03 Lug 2022
Provato per Voi

Aperitivo pendolare del Martedì

Tum vero cerneres quanta ratio, quantaque patientiae est… nell’aperitivo del Martedì del pendolare. Una volta alla radio, vi era un programma satirico, “Piovono pietre” di Alessandro Robecchi, dove un tormentone piuttosto divertente era quello – di solito inserito a inizio trasmissione – della condanna del Martedì, giorno definito di per sé detestabile. Almeno così mi ricordo, portate pazienza, sono passati più di vent’anni.

Mi ricordo invece benissimo il celebre aforisma attribuito a Karl Marx: “La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”.

Smart Working

E infatti, nel mio personalissimo calendario di smart working, il Lunedì è solitamente residenziale mentre per il Martedì è previsto il tormentone lavorativo, nella fattispecie del tragicomico viaggio da #ostaggiopagante di Trenord, alla volta del tornello dell’uffizio e da lì nel pomeriggio il tremendo ritàrritòrno (N.d.A. anche oggi 20 min di ritardo su 75 minuti di corsa previsti, tanto per sgradire) – altro che Itaca di Kavafis.

Lascio al lettore stabilire quale dei due tormentoni sia tragedia, quale farsa, o che la cosa non importi. Questo esercizio ci verrà utile nel seguito.

Il proprium e la grande ouverture

L’oggetto di questo articolo, il suo proprium aristotelico per metterla giù dura, è la descrizione dell’happy hour del Martedì preserale, tentato antiguidrigildo (è a pagamento, infatti, solo che il segno è sbagliato) per lo sbatti della giornata.

L’articolo, onestamente, come testo non è un granché. Però ci ho messo tutta… una grande ouverture criticista. Quindi attendete, vado ad eseguire l’ouverture (cit.).

Il sommo Kant, nell’averci illuministicamente esortato ad uscire dallo stato di minorità che dobbiamo solo a noi stessi, pone tre domande attorno alle quali sviluppare il (suo) proprio criticismo:

– Uno. Cosa posso sapere con certezza, il problema della conoscenza e della metafisica.
– Due. Cosa posso fare, il concetto del dovere.
– Tre. Cosa posso sperare, l’esistenza o meno di Dio.

Spoiler

Detto molto, ma molto alla buona il maestro di Koenigsberg osa sapere (sapere aude, questo è il motto dell’Illuminismo) chiedendo alla ragione di interrogare se stessa, indagandone i propri limiti e risolve così a suo modo la massima forma di socratica saggezza, il sapere di non sapere, definendo analiticamente un dualismo fenomeno/noumeno e circoscrivendo la possibilità di conoscenza al primo, riconoscendo come inconoscibile il secondo.

Ehm... capisco la necessità esistenziale di avere una grande ouverture, ma con Racconti di Vino che c'azzecca?

Grazie per la domanda, in effetti poco o nulla, ma mi salverò in corner con un colpo di reni da “non tutti sanno che”. Nella dieta del Filosofo, in età matura, vi era il consumo giornaliero di una intera bottiglia di vino, vino di Bordeaux. Poi ancora non ci si spiega come mai… Ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43; ma questa è un’altra canzone.

Tre mistificazioni, pars destruens

Non divaghiamo, ovviamente alle tre domande kantiane mica so rispondere – anche se ho letto che il problema dei sette ponti di Koenigsberg, la passeggiata a senso unico sul fiume Pregel, è matematicamente impossibile (grazie Eulero per la bella teoria a riguardo): quindi farò il mio dovere di zanzara minore indicando, in una pars destruens si spera non troppo abborracciata, tre mistificazioni che incatenano l’aspirante illuminato impedendogli la via d’uscita da quella famosa caverna platonica (oppure, più modernamente, da una sala cinema in cui si proiettino illusori film su rinnovati afflati di autocoscienza e riscatto sociale tipo quel Johnny Castle di Dirty Dancing).

Iniziamo dagli adoratori della vittoria: quegli ingenui individui secondo i quali vincere è l’unica cosa che conta. Per domesticare i quali basta travestire una qualsiasi ca**ata da competizione e coinvolgerli: essi vorranno partecipare per vincerla, ovvero parteggiare per il favorito. Impiegato del mese… è lei o è solo una questione che affligge i tifosi della #omissis?

Veniamo poi agli astuti professori di pseudovirtù teologali: quelli per intenderci che declinano il lavoro in salsa di vocazione; per fare il verso al famigerato passo della Thatcher “A crime is a crime is a crime” qui si asserisce che “un lavoro è un lavoro è un lavoro” – e va pagato. Niente metafisica (tanto kantianamente è impossibile) giuslavoristica vocazionale, per cortesia: il macellajo accetta euro in cambio di carne trita, non di visibilità social.

Finiamo quindi con i simpaticissimi guru della pseudoscienza qualunque, ovvero di sfumature finalistiche di scienze altrimenti acclarate come tali. In una curiosa interpretazione asimmetrica del teorema della relatività cinese di Laszlo: “Non importa quando grande possa essere il tuo trionfo od orrenda la tua sconfitta, ad almeno un miliardo di cinesi non importerà nulla”, i nostri contemporanei sofisti, evocando oscuri sensazionalismi, si appellano a quel po’ di sincronicità residua che ci fa sentire tutti abitanti di questo piccolo pianeta – laddove invece a ben guardare ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole, ed è (per fortuna) subito sera – per gabolàre la supercazzola e sbarcare il lunario.

Non c’è maieutica, solo happy hour

Tutto questo atteso, finito il Martedì lavorativo e “On their way back from the fire”, il lavoratore pendolare, conosciuti i ciclopi, la Maga Circe e finanche i proci, potrebbe cercare (e quindi finirebbe pure per trovarla: la natura del bersaglio è l’essere colpito dalla freccia) consolazione terrena in un aperitivo moderato nelle dosi e di buona qualità nelle componenti.

Aperitivo pendolare

Sulla via della stazione Trenord di Piazza Cadorna, prima di entrare prendi a destra per poche decine di metri, fino all’angolo con Via Paleòcapa: c’è il Patti Bakery&Bistrot.

La selezione birre è ridotta in numero ma di buon gusto (parva, sed apta mihi); gli stuzzichini vengono dalla loro panetteria, dall’altra parte del bar, e vengono serviti tiepidi, il che rende il tutto molto goloso; il servizio è solo lievemente imbruttito (ed è un complimento: significa che è coerente con il “disciplinare” milanese – simpatici e solleciti, senza perdere troppo tempo e senza farsi gli affari tuoi).

Con i tempi come siamo? Vediamo, in pratica ci vanno minuti a giro. Prima di un treno a bassa densità di trasportati… ok facciamo due giri. Li vale tutti.

A proposito

si chiedeva: tragedia, farsa o non importa? Dico solo che, a credere che una cosa valga quello che costi, qui… sei già dentro / l’happy hour / vivere vivere / costa la metà.

Credits

Lo stream of conciousness di “aperitivo del Martedì del pendolare” non sarebbe mai potuto emergere senza il Patti Bakery&Bistrot, Trenord, lo smart working e quelle vecchie canzoni di Guccini. Ma soprattutto grazie al vituperio del Martedì in Piovono Pietre a cura di Robecchi (sperando sempre di ricordarmi giusto, potrebbe anche essere stato Alessandro Milan che in quei tempi inveiva settimanalmente contro il Martedì: perdonatemi comunque, vi prego).

Aperitivo del Martedì del pendolare avviene di norma ogni Martedì lavorativo: ma siate gentili, fate finta di non conoscermi.