Buongiorno in Vigna

A cura di Clara Maria Iachini

Il Buongiorno in vigna nasce sulla piattaforma ClubHouse, un format dove ogni mattina do voce ai vignaioli per raccontare le loro storie, idealmente proprio dalla vigna, che condividono con il resto degli ascoltatori le loro esperienze a aneddoti, a volte svelando anche i trucchi del mestiere.

La maggior parte delle volte sono cantine che ho visitato di cui sono innamorata, altre di cui mi innamoro attraverso le voci e i racconti e che poi necessitano di una visita approfondita. Meraviglioso è scoprire le loro chiavi di narrazioni totalmente differenti, dal super tecnico al più emozionale, dalla cui voce traspare tutta la passione e voglia di raccontare, perché niente ha valore se dietro non c’è una storia da sapere.

Da qui nasce la voglia di mettere nero su bianco, con gli occhi di chi ascolta ed ha la passione nel cuore per la storia e l’amore per il vino.

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2 Settembre, 2021

Il "Bosco dei Medici", il vigneto sacro

Produrre del vino sappiamo bene che sia un’arte, produrlo in certe zone lo è ancora di più. Il mio viaggio continua in Campania, insieme ai miei amici di #autoctonocampano per il press tour vesuviano. Arrivo in una caldissima giornata di agosto, nella cantina Bosco dei Medici, nel cuore di Pompei, non ci crederete ma a due passi dal Santuario della Beata Vergine Maria del Santo Rosario, proprio a ridosso degli scavi archeologici, iniziano delle bellissime vigne, che inglobano a tratti parti di resti archeologici. Proprio un paio di giorni prima della mia visita, è stata scoperta, effettuando dei lavori nel vigneto, una tomba particolarissima con una camera per l’inumazione in un periodo in cui nella città, i corpi venivano incenerati, una pratica simile alla cremazione dei nostri giorni, trovati dipinti alle pareti di piante verdi su uno sfondo blu, con il corpo del defunto parzialmente mummificato, notizia che è finita su tutti i giornali, vi lascio un approfondimento del ritrovamento qui Sembra incredibile passeggiare tra queste viti a piede franco, Piedirosso, la Falanghina e il Caprettone, tutti vitigni autoctoni, ormai ho perso il conto di quanti ce ne siano in Campania e ogni volta mi stupisco di quanti ce ne siano. Giuseppe il titolare della cantina racconta da cosa derivi il nome Caprettone, sono presenti diverse storie popolari, la più attendibile pare sia quella che dica che appunto il grappolo di questa vite assomigli alla barba di una capra e da qui il nome del vitigno. Nonostante la giornata torrida, non mi pesa passeggiare in vigna, poco prima di arrivare a Pompei, ho visitato con la guida Yuri Buono, noto esperto di cultura e storia del territorio, nonché di vino e l’enologo Vincenzo Mercurio, le vigne che sono fuori città proprio sulle pendici del Vesuvio, a Terzigno, su un bel terreno, scuro come la pece e fumante a tratti, dal gran caldo che fa, allevamento a pergola misto, perché una volta si piantava così, ci spiegano minuziosamente la storia, la vendemmia e la vinificazione, mi riparo sotto alle pergole da cui bramo un po’ d’ombra, proprio come fanno i grappoli stessi. Il nome della cantina e dell’omonimo resort che sorge in centro a Pompei, come da assonanza, deriva dalla famiglia nobile Toscana di Luigi De Medici di Ottajano, primo ministro del Regno di Napoli che nel 1567 aveva acquisito terreni affidando al nipote Giuseppe il compito di trasformarla in una zona vocata per la produzione di vini eccellenti in una zona dove già gli antichi greci, sfidarono la natura e piantarono le primi viti tanto da dare uve di alta qualità, tanto da essere decantati e celebrati da poeti e scrittori ai tempi degli antichi romani. La cantina è una meraviglia, come tutto il resto della struttura, curato nei minimi dettagli, dagli esterni, fino a dentro la bottaia, vi accomodiamo sotto un pergolato in una lunga tavolata, è giunta l’ora dopo tanto parlare e narrare di toccare con mano, anzi con bocca, i prodotti di questa magica ed esoterica terra, dal cibo al vino. I piatti sono cucinati deliziosamente con i loro prodotti, di alta qualità e soprattutto piatti che valorizzano la tradizione ed il territorio, iniziamo le danze con una verticale di diverse annate di Pompeii Bianco IGT Vesuviano in purezza, dove emerge tutta la sapidità del posto, erbe e agrumi e una nota persistente di idrocarburo. Chiudiamo il cerchio con altri vini di degustazione: Lavaflava Caprettone e Falanghina denominato Lacryma Christi. Lavarubra Piedirosso e Aglianico Lacryma Christi rosso DOC Pompeii Piedirosso rosso IGT Vesuviano Sotto quella pergola, si celebra la cultura, il convivio, ci scambiamo opinioni e considerazioni sui vini, ma soprattutto ci sentiamo uniti in uno dei riti più belli esistano, condividere la tavola. Bosco dei Medici è una cantina da visitare almeno una volta nella vita, ma se doveste fare il bis è anche meglio. A cura di Clara Maria Iachini 
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20 Agosto, 2021

Rotolando verso sud, Cantina Casa Setaro.

Rotolando verso sud (Negrita) è la colonna sonora perfetta di questo racconto. Un lunghissimo viaggio in autostrada in uno dei weekend da bollino nero di agosto, io e la mia sorellina Olga, ci incamminiamo per un viaggio infinito, fatto di code e rallentamenti, l’afa, il traffico, la stanchezza stanno prendendo il sopravvento e un viaggio di poco più di tre ore si trasforma in un viaggio spazio temporale di otto ore circa, che con il senno di poi saremmo arrivate a Parigi, avremmo stappato un cremoso champagne, sotto la Chiesa di Saint-Étienne-du-Mont, una delle chiese più belle di Parigi che si trova sulla montagna Sainte-Geneviève, vicino al Panthéon, perché oltre che essere la mia preferita di Parigi, dire sotto Notre Dame sarebbe stato troppo mainstream. Ma questa è un’altra storia. Invece no, da Foligno stiamo viaggiando verso il Vesuvio alla scoperta di vitigni a noi sconosciuti e soprattutto autoctoni, grazie al press tour organizzato dal collettivo di #autoctonocampano, di cui ho già scritto un articolo che trovate qui. La mia terza esperienza in terra campana, questa volta penso di conoscere già un po’ il territorio, ma ovviamente sbaglio, prima l’Irpinia e poi il Cilento alla scoperta dell’Aglianicone e adesso sulle pendici del Vesuvio, un’unica regione da sfaccettature totalmente diverse, profondamente ricca di storia, arte e cultura, ma anche di natura e paesaggi mozzafiato. Siamo su terreno vulcanico, nero fumante, viti centenarie a piede franco a pergola, piantate così a caso tra loro in ordine sparso, uve autoctone che caratterizzano la zona del Vesuvio, Falanghina Pompeiana, Piedirosso, Caprettone dalla denominazione Lacryma Christi, a destra scorgo l’imponente Vesuvio a sinistra un mare blu cobalto, l’aria è torrida, il sole a picco, mi riparo sotto la pergola e inizio a fantasticare. Terra di detti e leggende popolari, ricca di esoterismo, magia e scaramanzia. Proprio per citarne una, il nome Lacryma Christi deriva da una leggenda popolare, che narra la storia di Lucifero, l’angelo cacciato per le sue nefandezze dal Paradiso, che ruba un pezzo del Paradiso, sprofondando nelle viscere dell’Inferno, lasciando dietro di sé una voragine da cui sorse il Vesuvio. Si racconta che Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli il Paradiso rubato, pianse lacrime copiose e dalle sue lacrime nacquero i vigneti di questo vino. Veniamo accolte da Massimo della cantina Casa Setaro, ereditata dai nonni, dove una volta prese lui le redini, converte la cantina da vendita di vino sfuso a bottiglie sapientemente vinificate, visitiamo la parte vecchia dove un tempo si svolgevano tutte le attività adesso dismessa, anche se ci confida che un giorno gli piacerebbe sistemare quella parte antica dove ogni muro trasuda storia e ricordi. Adesso la cantina è letteralmente la sua abitazione, in mezzo alle vigne, vista mare sapientemente divisa in abitazione e zona di vinificazione. Massimo ci ospita a cena a bordo piscina, dove i ragazzi di Autoctonocampano hanno organizzato una fantastica ed originale degustazione, bendandoci, così giocando e mettendoci tutti in discussione, cerchiamo di dare un nome a quei calici bui che portiamo prima al naso, poi in bocca. Il vino che più mi cattura il cuore è quello dedicato a suo padre: Don Vincenzo, Piedirosso e Aglianico denominato come Lacryma Christi rosso Doc, un vino magnetico e profondo che ha sicuramente una dolce storia da raccontare. Di grande effetto anche il Fuocoallegro, Piedirosso in purezza vendemmiato con le uve allevate alla massima altitudine, vengono raccolte a mano e separate dai raspi prima di effettuare un processo di criomacerazione per circa 48 ore per poi fermentare e fare affinamento prima in anfora poi in botti di rovere francese per 12 mesi. Sapido, minerale e persistente, esprime in pieno il terreno vulcanico su cui è raccolto, vince il premio “Best in show” ai Decanter World Wine Awards e Massimo orgogliosamente e con un po’ di timidezza, stenta quasi a confessarlo. La sorpresa invece è una bolla che non ti aspetti sulle pendici del Vesuvio, metodo classico millesimato brut, Caprettone in purezza, Pietrafumante, dove ritrovi la cremosità e i sentori di pane e allo stesso tempo un tripudio di agrumi e erbe selvatiche, sorseggiarlo in giardino, al tramonto, con la vista del Vesuvio, con i miei compagni di viaggio ed il produttore stesso che ti racconta la sua storia è stato uno dei momenti più belli di tutto il press tour, perché alla fine la bollicina accompagna i brindisi e i sorrisi di chi si appresta a trascorrere una serata divina in tutti i sensi. A cura di Clara Maria Iachini 
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19 Agosto, 2021

#autoctonovesuviano, i volti dietro ai social.

Ancora oggi mi sveglio e spero di poter mirare dalla finestra il Vesuvio con una sfogliatella in mano e dall’altra parte il mare. Sono tornata da pochi giorni da uno dei tour più belli mai vissuti. Autoctono Campano chiama, noi rispondiamo. Per me è la terza esperienza in Campania, tra Press tour e wine-experience ormai mi sento di casa, sì perché l’ospitalità in questa terra è il punto forte e ad ogni viaggio ne ho sempre più la conferma. Autoctono Campano è un team di esperti del vino che promuove il territorio e nello specifico porta alla scoperta di innumerevoli vitigni autoctoni della regione in modo originale e mai scontato, questa volta tocchiamo un suolo particolare e speciale, affascinante sotto ogni punto di vista, si parte per il Vesuvio e per le meravigliose vigne che scendono giù da pendici nere fino verso il mare. Paesaggi mozzafiato che descriverli a parole purtroppo non rende giustizia alla bellezza reale che gli occhi riescono a fruire. Un verde incontaminato che si fonde con il blu del mare, terra nera che quasi fuma come se fosse appena scesa dalle pendici del vulcano, una sorta di misticità tra il pericolo sempre in agguato e il romanticismo del tramonto che si scorge sulle cime dei Monti Lattari fino a Capri, terra di leggende e detti popolari, di cui troviamo segni ovunque ed è tutto tremendamente bello e potente, come le persone stesse che raccontano la propria terra. La luce negli occhi dei produttori che narrano la propria storia è qualcosa di bellissimo, riescono a coinvolgerti nel racconto fino a farti sentire parte vivente dell’esperienza che andrai a fare in vigna e cantina. Tre giorni scorrazzando tra Terzigno, Trecase, Boscotrecase e Pompei un sali e scendi tra le aziende Tenuta Le Lune del Vesuvio,  Casa Setaro, Sorrentino e Bosco de’ Medici immersa nell’affascinante Pompei. Tutte le cantine fanno parte del Consorzio tutela vini del Vesuvio Dop. Caprettone, Catalanesca e Piedirosso i vitigni principali che hanno fatto da protagonisti alle ricche degustazioni a cui ho avuto il piacere e la fortuna di partecipare, perché per me tutto questo è fonte di crescita e confronto con i miei colleghi. Anche questa volta siamo stati tantissimi, winelovers, sommelier, blogger e giornalisti da ogni parte d’Italia, disposti a viaggiare tutto lo stivale per ritrovarsi insieme a studiare e scoprire nuove realtà o approfondirle nel caso di già conoscenza, perché parliamoci chiaro, visitare le cantine e conoscerne la storia è ciò dà identità e personalità a quello che poi troviamo nel calice, di cui poi tanto parliamo. Il vino è magia, condivisione e passione, quello che accade intorno ad un tavolo di professionisti con il produttore, quando si degusta è un’esperienza mistica  ed empirica che si fa fatica a percepire. Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno e la determinazione degli organizzatori Nello Gatti, Francesca Mafrici, Immacolata Mauro e Paolo Gurrera e Stefano Franzoni, hanno fatto in modo che tutto fosse impeccabile. I sorrisi infiniti di Nello, la dolcezza e premura di Francesca e Imma, i parcheggi di Paolo, gli inaspettati video di Stefano hanno fatto sì che tutto sia stato troppo speciale e irripetibile. Si torna a casa con la voglia di rivedere di nuovo tutti e con la valigia già pronta per partire e come dico io “rigorosamente vuota” serve spazio per portare a casa vino ed emozioni! Un grazie sincero a tutti i miei compagni di viaggio, a Yuri Buono per avermi portato in posti incredibili a guardare scorci mozzafiato e a tutte le aziende che non ci hanno fatto tornare a casa a mani vuote, ma con i prodotti unici e tipici: Orto contro vento, Ristorante Nonna Nia, L’oro del Vesuvio, Arte e pasta. Al prossimo #autoctonocampano ormai mi sento ambasciatrice di questa terra talmente bella, ricca di storia e di cultura e di persone dal cuore grande che ti fanno sentire letteralmente a casa! A cura di Clara Maria Iachini 
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3 Luglio, 2021

IL GOAL DAL CUORE

Una caldissima domenica di giugno, è tutta la mattina che giro tra banchi dei produttori, all’Only Wine Festival a Città di Castello, mi fermo sotto un gazebo a respirare e incontro Luca, finalmente dopo tanto tempo ci conosciamo dal vivo. È incredibile il mondo dei social, nel nostro settore si stringono amicizie virtuali che poi riesci ad approfondire dal vivo e nascono delle vere e proprie amicizie con alcuni e opportunità di scambi professionali con molti altri. Luca l’avevo intravisto a Montefalco durante Anteprima Sagrantino, ma non avevo avuto modo di incrociarlo e stringergli la mano per congratularmi della sua vittoria. Luca Matarazzo è un broker assicurativo da 20 anni, ma ha sempre avuto l’amore e passione per il vino, diventa sommelier A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier) nel 2015, degustatore ufficiale nel 2017, Wset II livello superato con lode, una formazione da invidiare e lodare. Scrive sul quotidiano online – direttore editoriale Maurizio Valeriani – con mansioni di reporter e critico enogastronomico, ha collaborato come freelance per WINE-TV. Dal 2019 inizia a partecipare assiduamente a vari Concorsi per Sommelier, sia monotematici (Sagrantino, Negroamaro, Soave), regionali e nazionali. Nell’edizione 2019 del Miglior Sommelier Toscana si piazza al terzo posto attualmente ancora valido non essendoci stata l’edizione 2020. Nello stesso anno si posiziona terzo al Gran Premio del Sagrantino ed a quello del Negramaro. Relatore e Degustatore A.I.S. per la Campania con superamento del corso propedeutico alle lezioni di terzo livello sull’abbinamento cibo vino. Attualmente fa parte nella Delegazione A.I.S. di Salerno guidata da Nevio Toti, dopo aver vissuto quattro anni stupendi nella Delegazione di Grosseto di Antonio Stelli. I concorsi per lui sono stati una scommessa, ha cominciato a 40 anni, spinto da Cristiano Cini e Simona Bizzarri della scuola concorsi, lui lo vede come un percorso stimolante per studiare e approfondire dei territori diversi. Il primo concorso è proprio il Gran Premio del Sagrantino nel 2019 arriva terzo, dove sul podio più alto si posizionano Simone lo Guercio e Valentino Tesi, che poi sono diventati i migliori sommelier d’Italia, spera davvero in buon auspicio e che gli porti fortuna. Non aveva mai assaggiato prima il Sagrantino, ama i vini tannici, ne fu colpito immediatamente, per lui è quello che lo diverte e incuriosisce di più. Adora l’eleganza del pinot nero ma il sagrantino è quel calciatore un po’ rude che ti marca a uomo, ma se manca nella squadra è un problema, è potente, è nervoso, non facile da domare, preziosissimo, una varietà unica nel mondo, che solo in questo piccolo areale di Montefalco si produce, è irripetibile e inimitabile. Per studiare un luogo, lo devi frequentare assiduamente, a Montefalco viene accolto dai produttori come uno di famiglia, com’è nota l’ospitalità di queste zone, come accolgono anche me, quando vado in visita in cantina. Lui con grande umiltà e voglia di comunicare e raccontare il territorio, se ne innamora, lo fa suo, lo descrive come altri non hanno mai fatto e vince il Gran Premio Sagrantino 2021, afferma che “Il Sagrantino è un prodotto di nicchia, che vantiamo nel mondo come esclusività”. Abbiamo in comune tante cose io e Luca, anche lo stesso Sagrantino del cuore, che per correttezza non cito, visto il mio amore spassionato ed incondizionato per il Trebbiano spoletino, gli chiedo cosa ne pensa e lui di getto mi risponde che negli anni prossimi futuri diventerà il più importate bianco d’Italia, come fai a non adorarlo? Siamo davvero sulla stessa lunghezza d’onda. È stato un onore per me conoscerlo dal vivo, una persona molto disponibile, che trasuda passione, da cui sicuramente avrò tanto da imparare, approfitto per fargli tantissimi “Viva il lupo” per il prossimo concorso Albana di Romagna. A cura di Clara Maria Iachini 
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11 Giugno, 2021

Eraldo Dentici

Eraldo Dentici è per me il mio fil rouge, tanto per scomodare Goethe, con il mondo del vino, una mia affinità elettiva. Eraldo è eclettico e un po’ matto, come me del resto, mi dà carta bianca per raccontarlo e si fida di me, insieme abbiamo tanti progetti che piano piano stanno prendendo forma, ed è pazzo proprio perché mi asseconda. Se io nella vita lancio i coriandoli, Eraldo spaccia pozioni magiche.
Insieme potremmo essere definiti la coppia di amici più pazza del mondo.
La sua cantina è un luogo anacronistico, tutto fuori posto, ma esattamente in ordine per la sua mente, lui fa tutto a mano, dall’imbottigliamento, all’etichettatura, persino la capsula, che viene inserita in una serpentina bollente e ti chiedi come sia possibile che produca tutte quelle bottiglie, così, da solo, con l’aiuto del padre.
Eraldo da geometra a vignaiolo, che inizia veramente per scherzo, per “sfuggire” alla leva militare obbligatoria, si butta in vigna.
Lui è molto attento alla natura, sceglie persino dei vetri per le bottiglie che abbiano poco impatto sull’ambiente, i vini sono vegani, non utilizza chimica in vinificazione, non controlla la temperatura, lascia il decorso della natura. I suoi vini non sono filtrati e vi assicuro che sono di una limpidezza sconvolgente con dei colori super ammalianti, al naso sprigionano freschezza la stessa che poi ritrovi al palato, fatta eccezione per Esimio che è un mondo a parte, di cui vi parlerò qualche riga più sotto.
I suoi sono “vini naturali” anche se dal punto di vista giuridico non è possibile così definirli, sono l’esempio di capolavoro della vinificazione, sfido chiunque a dire il contrario. Il suo cavallo di battaglia è Esimio, etichetta opera d’arte di Cosimo Brunetti, pittore e videomaker di Spoleto, che rappresenta proprio un cavallo blu.
“Esimio: di rare qualità, straordinario, singolare, esemplare” è il significato etimologico della parola.
Ormai ho perso il conto di quante volte ho scritto di questo vino.
Credo di aver finito ormai le parole, un vino eclettico, come il vignaiolo che lo produce, un vino che quando lo assaggi non puoi non innamorarti.
Il colore di Esimio mi ricorda un po’ la barba di Garibaldi, personaggio epico che adoro, come narra l’illustrissimo Prof. Barbero un vero amante della Malvasia, che adoro ascoltare nei suoi infiniti e interessantissimi podcast. Il colore ancora prima del profumo ti riempie gli occhi e la mente, Esimio è un implosione di profumi e un’emozione in bocca è il vino del cuore, quello che riesce in ogni momento a riportarti l’allegria e la serenità, un vino ormai di casa per me, so di essere maledettamente imparziale sul mio giudizio del cuore, ma voi al mio posto cosa fareste con il vostro vino del cuore? Blend 85% grechetto 10% trebbiano toscano 5% chardonnay.
Esimio ha la dolcezza di una zucca, il graffio di un’acacia, l’insolenza di una pesca matura pungente ed ha una particolarità che ogni bottiglia potrebbe esprimere cose diverse, ha una lunga e super tecnica di macerazione per 3 mesi sulle bucce di grechetto, in acciaio, poi a primavera viene custodito in barrique per poi affinare in bottiglia: un vero e proprio capolavoro da 15,5% e un tannino degno di un rosso, praticamente inaspettato. Ovviamente tutto avviene in modo naturale senza controllo della temperatura e fermentazione su lieviti indigeni in tini aperti tanto che come motto Eraldo ha: “Il vino si fa con l’uva”. Sicuramente tornerò a parlarvi di altre meraviglie di questa cantina, restate sintonizzati! Clara.
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