Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero

Ebbene, cosa tratteremo in questa rubrica dal titolo più lungo al mondo? Di articoli magri, ovviamente.

Magri, smilzi ma densi come i sugoli di mosto d’uva.
Eppure, mi sovviene la discrasia tra Dioniso e Bacco quando all’epoca si trastullavano in cantina, grotte più che cantina, organizzando le prime visite enoturistiche a go-go intenti a sbevazzare da una coppa d’oro e l’altra, e un’altra ancora e ancora…

Si sa, in cantina spira un velino d’aria, un refrigerino e un umidiccio che t’imbalsama se soffri di cervicali. Come chi scrive. E benché i nostri aitanti Dei, non erano poi così cinti di pesanti veli, si mostravano tutti ignudi e impettiti, scostumati, baldanzosi e vigorosi alle muse.
Miracoli del siropo de cantina!?

Perché mai, allora, Dioniso e Bacco non dovrebbero sempre e comunque andarne fieri di quella Madre del Vino (cit., mi cimenterò) che per millenni, nel bene e nel male, gli ha conservati amorevolmente, serbati dagli odori nauseabondi, custoditi dalle ipertermie, protetti dai venti e movimenti insalubri, nutriti costantemente di buon fradiciume, coccolati dalla mistica penombra e infine resi così celebri da diventare l’agente sociale (oibò, l’influencer) più ambito della società contemporanea?

Boh, resta un enigma questa rubrica! Che scioglieremo e scopriremo… se ne avrò voglia!

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31 Marzo, 2024

Costruzioni enotecniche o Cantine vinicole?

La bona cantina fa el bon vin
(la buona cantina fa il vino buono) Gli aneddoti di vita vissuta cui sono stato investito da quando professo nel mondo del vino, cioè dal 1988, sono numerosi e fra questi ce ne sono alcuni troppo divertenti e altri d’inverosimile tristezza. Avremo modo di passarli tutti in rassegna quelli attinenti al tema, con lo spirito goliardico che mi caratterizza, per servirci di essi e raccontare cosa sono e come dovrebbero essere costruiti quei ” …(.).. locali necessari all’arte di ben fare e conservare il vino” e cosa sono diventati. Ad accompagnarci e a coadiuvarci ho dovuto accogliere, mio malgrado, due special guest star che hanno insistito così tanto e preteso di intervenire durante i racconti, perché asseriscono che senza la loro memoria storica la rubrica non si avvarrebbe di alcuna scientificità. E del resto, considerato tutto quel che quei due narcisi di Dioniso e Bacco hanno vissuto, e soprattutto bevuto, come potevo dare loro torto. Dionysos seduto che tende un kantharos. Interno da un piatto attico a figure nere, ca. 520-500 a.C. Da Vulci. All’apparenza sovrapponibili, entrambi Dei del vino con le medesime funzioni, ma con importanti discrasie caratteriali e di sostanza, celate dietro le loro orge e baccanali. I classici e la letteratura antica ci ricordano che, mentre Dioniso risulta essere personaggio nobile, gioviale e rispettoso delle regole, Bacco invece ha un caratterino che non ti dico, vendicativo, scostumato e amante degl’happy hour. Non oso prefigurare cosa ci aspetta. Questa è la squadra, quindi avanti con il primo racconto. Il primo aneddoto su cui oggi voglio, ehm scusate…, vogliamo concentrarci fa tappa nel lontano 2003. Appena dopo la Laurea, tutto eccitato presi il coraggio di scrivere una sorta di recensione della mia tesi di ricerca, “La Cantina: storia, ambiente e progetto. Quindici cantine della Marca trevigiana“, nello spazio dedicato ai lettori di un quotidiano on-line dedito al mondo del vino sul web, nella speranza di incontrare qualcuno interessato per mettere a frutto uno studio durato ben 48 mesi di vita. Oggi, purtroppo, tale quotidiano non è più attivo. La brevissima recensione illustrava succintamente lo studio e gli argomenti della Tesi, mettendo in luce gli aspetti interessanti poco noti anche agli operatori del settore, soprattutto tecnici, come la storia e l’evoluzione tipologica e costruttiva delle Costruzioni Enotecniche. Costruzioni enotecniche, esordisce Dioniso ? Si, avete letto bene! Cioè delle cantine, sbotta Bacco,? Si, quelle vinicole! Ah! Fatto sta che l’utilizzo del titolo “costruzioni enotecniche” a surroga di cantine vinicole, saltò subito all’occhio anche al direttore del quotidiano on line che decise di contattarmi personalmente per farmi prima i complimenti di circostanza, ma soprattutto, immediatamente dopo, ammonirmi piccatamente perché non avrei dovuto usare il termine succitato in quanto non consono né d’uso corretto. Insomma, secondo il direttore avrei commesso un errore colossale! Ci confrontammo piacevolmente con grande apertura mentale e ognuno portò la propria esperienza. A distanza di più di vent’anni la questione si ripresenta ed è un bene perché in questo modo provvediamo a fare chiarezza. Per i non addetti ai lavori, ma soprattutto per gli addetti ai lavori. Ebbene, il tema che affrontiamo oggi è la dicotomia tra Costruzioni enotecniche e cantine vinicole e cosa ammettono, o escludono, le prime rispetto le seconde. Ci hanno insegnato che le cose vanno chiamate con il loro nome, per darne un senso; e dunque anche la giusta definizione e l’inquadramento dei vari locali oggetto di studio hanno bisogno di essere individuati nel corretto modo. Ma c’è chi, invece, preferisce o si sente obbligato a conformarsi alla contemporaneità, seguire le semplificazioni semantiche dell’era moderna e considerare le abbreviazioni, il far presto, valori da inseguire. Intanto, Dioniso scalpita e ondeggia la testa su e giù in segno di approvazione; Bacco, sornione, accenna un ghigno di disprezzo e scuote la testa a destra e sinistra in segno di contrarietà. Si stanno consumando strappi. Senatore Conte Vincenzo Dandolo, 1812 La letteratura moderna e contemporanea di settore non menziona e non illustra il perimetro funzionale delle costruzioni enotecniche/cantine vinicole, perché ad un certo punto del cammino enologico ci si è concentrati più sulle apparecchiature che sugli involucri edilizi enotecnici, mentre invece lo fa compiutamente, e bene, la letteratura storica ed antica. Non l’avessi mai detto, mi tocca cedere la parola a Dioniso che si sente investito dall’alto uffizio d’intervenire e m’impone di fermarmi perché, dice, deve ricordare ciò che nell’anno 1812 scriveva un suo lontano amico sui luoghi da fare i vini: ..(.)..In ogni arte si è dovuto prima trovare e fissare il modo con cui preparare la materia prima, costruire e apprestare gli strumenti o utensili propri a modificarla, e i locali atti all’esercizio dell’arte stessa e alla migliore conservazione del prodotto ottenuto…. (.)..   Continua Dioniso. Il Senatore Dandolo, non a caso cita un elenco degli strumenti e locali all’uopo adibiti: Primo. Degli utensili.
Secondo. Della mondezza degli utensili.
Terzo. Della Capanna.
Quarto. Della Tinaja.
Quinto. Della Cantina É con la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che si viene a delineare precisamente la definizione di Costruzioni enotecniche, grazie a tre importanti studiosi come il prof. Cerletti G. B., prof. Giuseppe Mina e prof. Salvatore Mondini, che rispettivamente nel 1885, 1892 e 1910, pubblicano tre fondamentali libri sull’enotecnica dal titolo “Le costruzioni enotecniche”. Manco a dirlo, Dioniso s’immedesima colle parole del prof. Mondini e le recita: Sotto la denominazione generica di costruzioni enotecniche vanno considerati tutti quei fabbricati destinati alla lavorazione delle uve, per la fabbricazione e conservazione del vino, e per l’esercizio delle industrie derivate… (.)… Occorre, quindi, stabilire anzitutto una netta distinzione fra i locali da adibirsi alla trasformazione dell’uva in vino, che prendono il nome di tinaie, da quelli destinati alla conservazione ed all’invecchiamento del vino, che costituiscono le vere cantine. Queste (ultime) reclamano particolari esigenze, secondo che debbano servire ad un limitato, ovvero ad un prolungato soggiorno del prodotto. Donde l’opportunità di distinguerle in cantine di elaborazione ed in cantine di conservazione…(.)..>> Potremmo, pertanto, desumere che chi utilizza il titolo “Cantine vinicole“, riferendosi all’insieme dei luoghi atti al'” l’arte di fare, conservare e far viaggiare i vini...”, lo fa in modo inappropriato. Spesso inconsapevolmente, di rado, molto di rado, consapevolmente. Come guardo Bacco, che fin qui se ne è stato beatamente in ascolto, alza il ditino di sfida coll’intenzione di profferire solo poche parole, dice,: Signore e Signori, il termine “cantine vinicole” è spesso utilizzato in modo generico per indicare non solo le strutture di stoccaggio e invecchiamento del vino, ma anche tutte le altre costruzioni enologiche coinvolte nel processo di produzione del vino. Ci sono diverse ragioni per cui questo titolo viene comunemente impiegato per riferirsi all’intero complesso delle strutture enotecniche. Vado ad elencarle. Tradizione e storia: il termine “cantina” ha una lunga storia nel contesto vinicolo e ha radici profonde nella tradizione enologica. Nel corso dei secoli, le cantine sono state le prime strutture utilizzate per la produzione e lo stoccaggio del vino, e questo termine è diventato ampiamente accettato per descrivere tutto il complesso delle strutture enotecniche. E poi, sembrerebbe che l’etimologia del titolo “costruzioni enotecniche” risalisse a meno di centocinquant’anni fa. Consuetudine del settore: nel linguaggio comune del settore vinicolo, il termine “cantina” è diventato un modo conveniente per riferirsi all’insieme delle strutture enotecniche. Questo è particolarmente vero in alcune regioni vinicole tradizionali, dove il termine è radicato nella cultura e nella pratica quotidiana dei viticoltori e degli enologi. Versatilità: il termine “cantine vinicole” è versatile e può adattarsi a una vasta gamma di strutture, indipendentemente dalle loro specifiche funzioni. Questo lo rende utile quando si fa riferimento a diverse fasi del processo di produzione del vino, comprese la vinificazione, l’imbottigliamento e lo stoccaggio. Semplificazione e comunicazione: utilizzare un termine generico come “cantine vinicole” semplifica la comunicazione e facilita la comprensione, specialmente per il pubblico non specializzato. Piuttosto che dover spiegare ogni singola struttura enotecnica (come la tinaia, la sala di fermentazione, la sala di elaborazione, la sala di imbottigliamento, ecc.), il termine “cantine vinicole” copre tutte queste strutture in modo conciso.>> Lapalissiano, no?! Dopo questa ultima parte di lezione pragmatica, ci permettiamo sommessamente (sommessamente per non ricominciare la diatriba tra Dioniso e Bacco) un ultimo inciso cui vale la pena ricordare. Da quando il fenomeno dell’enoturismo ha aperto le porte delle cantine vinicole agli amanti del turismo del vino, e non solo, le varie strutture per l’accoglienza si sono sempre più organizzate e specializzate per dare servizi all’altezza. A mio avviso, nuove strutture come: sale degustazione, tasting room, punto vendita, wine shop, enoteche, microsuite per l’enoturismo, alloggi nelle botti, SPA del vino, etc., rientrano di buon grado nel gruppo delle costruzioni enotecniche. E voi, miei diletti lettori, che ne dite? Vi sentite di sostenere di più le tesi del millennials Bacco o del boomer Dioniso? A voi l’ardua sentenza.   Arch. Edoardo Venturini Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero   Fonti bibliografiche:   Dandolo (C.te) Vincenzo, 1812, “Enologia ovvero l’arte di fare, conservare e far viaggiare i vini del Regno”, Parte I, Ed. Silvestri, Milano, pp. 104-283;
– Mina Giuseppe, 1892, “Le costruzioni enotecniche ossia guida pratica per l’impianto di enopolii e cantine sociali, per la costruzione delle cantine, dei vasi vinari e dei fabbricati d’appendice degli stabilimenti enologici”, Ulrico Hoepli Editore- Librajo della Real Casa, Milano; Mondini Salvatore, 1910, “Costruzioni enotecniche”, Ulrico Hoepli Editore-Librajo della Real Casa, Milano. Fonti immagini: {{BritishMuseum |Psiax |Dioniso seduto che tende un kantharos. Interno da un piatto attico a figure nere, ca. 520-500 a.C. Da Vulci; Senatore Conte Dandolo Vincenzo, (copertina libro): Commendatore dell’ordine della Corona di Ferro, Cavaliere della Legion d’Onore, Membro dell’Istituto reale, uno de’ quaranta della Società Italiana delle Scienze, e socio di molte Accademie nazionali e straniere. Per approfondimenti, mi trovi qui:
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