Le scoperte enoiche di Benny

Benedetta Costanzo ci porta alla scoperta di piccoli vignaioli e territori che prima di essere raccontati, emozionano. Senza però disdegnare il raccontare le esperienze che devono essere considerate dei punti di riferimento o pietre miliari che dir si voglia, per gli appassionati di vino.

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15 Luglio, 2024

lo champagne: la guida definitiva per saperlo bere

La storia e il territorio dello Champagne sono intimamente legati al suo successo e alla sua reputazione come uno dei vini più prestigiosi al mondo. La sua ricca storia, unita alla maestria dei suoi produttori e alle caratteristiche uniche del terroir, rendono lo Champagne un vero e proprio tesoro enologico da scoprire e apprezzare. la lunga storia dello Champagne Nel XVII secolo, la nascita dello Champagne come vino frizzante, attribuita all’abate benedettino Dom Pierre Pérignon, segna una rottura significativa nella storia del vino. Questo vino effervescente è associato per la prima volta a un preciso terroir e vengono utilizzate specifiche tecniche di vinificazione. Il successo dello Champagne si diffonde rapidamente, conquistando prima l’Inghilterra e poi la Francia aristocratica del Settecento. Tuttavia, i produttori di Champagne affrontano sfide tecniche, come la mancanza di conoscenza sulla seconda fermentazione e la fragilità delle bottiglie. Solo dopo decenni di sforzi e innovazioni, come l’uso di sughero e ferro per la tappatura e l’eliminazione dei depositi tramite il dégorgement, lo Champagne diventa il vino della gioia e della festa, simbolo della cultura e dello spirito francese. Nel XIX secolo, le grandi maison diffondono lo Champagne tra le élite aristocratiche di tutto il mondo, mentre nel XX secolo continua la sua ascesa, culminando con la creazione dell’AOC Champagne nel 1936. Oggi, lo Champagne è un universo complesso, popolato da grandi maison commerciali e piccoli produttori artigianali, che hanno contribuito a conferire al vino una nuova vita e prestigio. territorio La regione dello Champagne, con le sue specifiche caratteristiche, gode di un clima oceanico che favorisce una perfetta maturazione delle uve, con un’insolazione di 1.600 ore all’anno e una pluviometria relativamente modesta. Le sue diverse sotto-regioni offrono una varietà di terroir unici, ognuno con le proprie peculiarità. Nella Montagne de Reims, le colline caratterizzate da terreni gessosi assicurano un ottimo drenaggio e una perfetta esposizione al sole. Qui, il vitigno predominante è il pinot nero, e gli Champagne della zona sono rinomati per la loro potenza e struttura. Le sottoregioni includono Montagne de Reims, Piccola Montagna, Massif de Saint Thierry e Monts de Berru. Nella Vallée de la Marne, le colline sono caratterizzate da terreni argillosi e calcarei, ideali per il pinot meunier. Gli Champagne della Vallée de la Marne si distinguono per il loro bouquet fruttato e la morbidezza. Le sottoregioni comprendono Grand Vallèe de la Marne, Coteaux Sud d’Epernay, Vallèe de la Marne rive droite, Vallèe de la Marne rive gauche, Terroir de Condè e Vallèe de la Marne occidentale. Nella Côte des Blancs, i terreni gessosi garantiscono elevate riserve d’acqua e trattengono bene il calore, perfetti per lo chardonnay. Gli Champagne della Côte des Blancs sono noti per i loro aromi delicati e la finezza. Le sottoregioni includono Côte des Blancs, Val du Petit Morin, Côte de Sezanne e Vitryat. Infine, nella Côte de Bar, i terreni gessosi e marnosi sono ideali per il pinot nero, producendo Champagne di carattere e complessità aromatica. Le sottoregioni sono Barsuraubois e Barsequanais, che offrono una varietà di stili e caratteristiche uniche. classificazione Le classificazioni sono tre : Grand Cru (100%), Premier Cru (90-99%) e Cru (80-89%).
Le percentuali stanno a significare che le uve provenienti da un comune Grand Cru, la cui classificazione è 100%, saranno pagate esattamente il prezzo stabilito, mentre le uve provenienti da un comune classificato come 85%, saranno pagate per l’85% del prezzo stabilito. I comuni classificati Grand Cru sono 17, quelli Premier Cru 41, quelli Cru 255.
I 17 Grand Cru della Champagne sono: nella Montagne de Reims Louvois, Bouzy, Ambonnay, Verzy, Verzenay, Maill, Beaumont-sur-Vesle, Sillery e Puisieulx; nella Vallée de la Marne Aÿ e Tours-sur-Marne; nella Côte de Blancs : Oiry, Chouilly, Cramant, Avize, Oger e Mesnil-sur-Oger. Metodo di produzione
Uno degli elementi distintivi dello Champagne è il metodo di produzione, noto come “metodo champenoise” che prevede una seconda fermentazione in bottiglia per conferire al vino le sue bollicine effervescenti. È un processo complesso che richiede grande attenzione e precisione in ogni fase.
Le uve raccolte confluiscono in una pressa che viene riempita con 4.000 kg di uva e per legge si possono estrarre 2.050 litri (cuvée) che saranno vinificati, mentre la pressatura successiva produrrà ulteriori 500 litri (taille) meno pregiati e che normalmente vengono venduti. Il resto viene inviato alla distillazione. Le vin clair e la prima fermentazione La cuveé viene quindi sottoposta alla prima fermentazione alcolica, trasformando gli zuccheri in alcol grazie all’azione dei lieviti. Otteniano un vin clair che riposa fino a primavera in vasche di acciaio o botti di legno, svolgendo l’eventuale malolattica. Quindi viene assemblato con altri vini e messo in bottiglia con l’aggiunta del liqueur de tirage, una miscela di zuccheri, lieviti e sali minerali. In cantina, durante la prise de mousse, avviene la seconda fermentazione che produce CO2, creando le bollicine caratteristiche dello Champagne. Le bottiglie riposano in cantina per un periodo minimo di quindici mesi per i prodotti base e di trentasei mesi per i millesimati. remuage e degorgement: il fascino Dopo il periodo di riposo in cantina, le bottiglie vengono sottoposte al remuage, un processo per far depositare i sedimenti sul collo della bottiglia. Segue il dégorgement, a la volée o tramite una tecnica, sempre più diffusa, che prevede di porre il collo della bottiglia nell’azoto liquido che congela una piccola parte di vino. Ciò permette di aprire la bottiglia e di estrarre le impurità congelate sotto l’azione della pressione interna e senza perdita importante di liquido.. Segue l’aggiunta di rabbocchi o del liqueur d’expédition che definisce il dosaggio finale. L’habillage completa il processo, con la tappatura, l’inserimento della gabbietta e l’etichettatura, preparando gli Champagne per essere apprezzati e condivisi con il mondo. CARATTERISTICHE DEL PRODUTTORE Sulle etichette di Champagne si possono trovare le seguenti sigle che definiscono la natura del produttore:
NM négociant-manipulant: è il caso di una casa produttrice di Champagne che compra le uve e le assembla per elaborare e commercializzare il vino;
RM récoltant-manipulant: sono i vignaioli che elaborano e commercializzano le proprie uve; si tratta in generale di prodotti di alta qualità e di limitata produzione;
CM coopérative de manipulation: gruppi di produttori che associati in cooperativa raccolgono, vinificano e commercializzano;
RC récoltant-coopérateur: viticultori che conferiscono le loro uve a una cooperativa che ha l’incarico di eseguire la vinificazione; le bottiglie vengono quindi restituite ai singoli viticultori per la commercializzazione;
ND négociant-distributeur: un commerciante che acquista le bottiglie pronte per il consumo e le commercializza con il proprio marchio;
MA marque d’acheteur: prodotti creati appositamente per la grande distribuzione. TIPOLOGIE Il processo di produzione e le annate delle uve utilizzate possono identificare lo Champagne come:
Rosé, prodotti con due tecniche: assemblaggio di bianco base con vini rossi, o breve macerazione di uve rosse. Oggi queste tipologie sono molto richieste in quanto a un’immutata qualità e fragranza, uniscono una gradevole nota di colore;
Blanc de Blancs: sono prodotti unendo tra loro unicamente vini ottenuti da uve a bacca bianca chardonnay, anche se di differenti annate;
Blanc de Noirs: sono prodotti unendo tra loro unicamente vini ottenuti da uve a bacca nera pinot nero e pinot meunier, singolarmente o associati, non necessariamente della stessa annata;
Millesimé: vino ottenuto da una sola vendemmia;
BSA brut sans année: Champagne ottenuto con vini base di diverse annate. Benedetta Costanzo
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19 Giugno, 2024

AMontefalco - Cristina Mercuri: bendati per la masterclass

AMontefalco: Un nuovo volto per l’Anteprima del Sagrantino Negli ultimi due anni, l’anteprima del Sagrantino ha subito una trasformazione significativa. Rinominata AMontefalco, l’evento ha ampliato i suoi orizzonti, abbracciando un concetto più ampio che va oltre il celebre vino Sagrantino, per raccontare una Montefalco ricca di storie e significati diversi.
Alla sua seconda edizione, la manifestazione di due giorni ha riscosso un notevole successo, attirando l’attenzione di appassionati, sommelier e operatori del settore, desiderosi di scoprire le novità e le tendenze del mondo enologico di Montefalco. La scelta di rinnovare l’Anteprima del Sagrantino si è rivelata vincente, confermando Montefalco come un punto di riferimento nel panorama vitivinicolo italiano.
Montefalco, oltre a essere un territorio di grande tradizione vinicola, si distingue per la sua forte vocazione green, promossa dai produttori locali negli ultimi decenni. Attraverso vari progetti, sono stati implementati l’uso di energie rinnovabili e pratiche sostenibili che hanno reso Montefalco un esempio di viticoltura eco-compatibile. Molte aziende vinicole della zona hanno adottato tecnologie all’avanguardia per la produzione di energia solare e la gestione efficiente delle risorse idriche. Inoltre, sono stati intrapresi progetti di riforestazione e tutela della biodiversità, contribuendo così a preservare l’ecosistema locale. Cristina Mercuri grande professionalità per diffondere la conoscenza del sagrantino La prima giornata di AMontefalco è stata arricchita da un’eccezionale Masterclass tenuta da Cristina Mercuri, esperta del settore vinicolo, candidata Master of Wine, DipWSET, Italian Wine Ambassador e Italian Wine Educator. Mercuri è anche la fondatrice del Wine Club of Italy.
La conferenza stampa, svoltasi presso il complesso museale di San Filippo, ha visto Cristina Mercuri al centro dell’attenzione. Durante il suo intervento, ha enfatizzato l’importanza di valorizzare il territorio di Montefalco non solo attraverso il Sagrantino, ma anche esplorando altre varietà di vini e le peculiarità enogastronomiche locali. Anche lei, proseguendo il gioco iniziato l’anno scorso, ha descritto il territorio con termini e aggettivi con iniziale “A” e ha proposto nuove definizioni. Mercuri ha scelto “Astonishing” per vini capaci di sorprendere e incantare; “Accurate” per la cura e l’attenzione dedicata ai dettagli; e “Aspirational” per rappresentare un continuo miglioramento e una visione futura ambiziosa per tutti i vini della denominazione. Un viaggio sensoriale tra Sagrantino e grandi Vini del Mondo La Masterclass, riservata ai giornalisti e agli operatori di settore, ha rappresentato un momento di alta formazione e approfondimento, offrendo ai partecipanti un viaggio sensoriale attraverso i vini di Montefalco.
Un elemento unico di questa Masterclass è stata la degustazione bendata, che ha coinvolto vini intrusi provenienti da prestigiose regioni vinicole del mondo, come Bordeaux, Cote du Rhone e Stati Uniti, oltre a eccellenze italiane provenienti da Bolgheri e dall’Etna. L’emozione di ascoltare una grande professionista come Cristina Mercuri e la sfida di degustare i vini alla cieca hanno aggiunto un tocco di mistero e divertimento all’evento. Eccellenza in Lingua e Gusto: un’esperienza sensoriale in lingua inglese La Masterclass è stata diretta magistralmente in lingua inglese. Cristina Mercuri l’ha svolta in modo dinamico e coinvolgente, rendendo protagonisti i vini ma anche la sala di esperti presenti. I partecipanti hanno potuto apprezzare l’alta qualità dei vini, concentrandosi su aspetti come la qualità dei tannini, il finish e la persistenza. La degustazione ha rivelato come il Sagrantino si difenda egregiamente anche in confronto a grandi vini internazionali, dimostrando la sua capacità di emergere e di essere apprezzato al pari di rinomate etichette mondiali.
Prima di immergersi nella degustazione bendata dei dieci vini selezionati, ha introdotto i partecipanti ai fattori naturali che definiscono Montefalco e influenzano lo stile dei suoi vini. Descrivendo il territorio collinare al centro dell’Italia con un clima continentale moderato dall’altitudine, ha sottolineato l’importanza dell’esposizione delle vigne nel determinare il carattere finale del vino.
Il Sagrantino, cuore della giornata, è stato esplorato nei suoi dettagli più intimi: dalla sua raccolta tardiva che richiede abbondante sole per una maturazione ottimale, fino alla delicata gestione dei tannini che possono risultare astringenti se non trattati con cura. Mercuri ha messo in luce i punti di forza del Sagrantino, come la sua longevità e la qualità sempre più alta dei vini. Ma scopriamo i vini protagonisti della Masterclass. Sagrantino di Scacciadiavoli 2019
Eccoci al primo vino: il Sagrantino di Scacciadiavoli 2019. Proveniente dalle colline di Montefalco, al confine con Gualdo Cattaneo, questo vino si presenta nel calice con un colore luminoso. La degustazione rivela una grande coerenza tra occhi, naso e bocca, con un’esplosione tannica che coinvolge ogni parte del palato. I tannini sono presenti ma setosi, dal profilo piuttosto arrotondato. Un’ottima acidità ben integrata contribuisce a riequilibrare la bevuta. Il corpo è abbondante, con un buon finish che completa l’esperienza sensoriale. Sagrantino di Bocale 2019 Il Sagrantino di Bocale è veramente impressionante! È più intenso ed espansivo rispetto al primo campione. Al naso, avvolge con profondi aromi di mora e note evolute di cioccolato. In bocca, i tannini sono importanti ma di ottima qualità, molto sfaccettati e non affatto scontati. Sono tannini maturi che promettono una maggiore morbidezza in futuro. La freschezza è altissima, indicativa di una grande longevità. Ha un corpo pieno e un finale lungo che si adagia delicatamente sul palato. C’è molta estrazione, ma anche una raffinatezza che il tempo confermerà. Questo vino più tradizionale proviene dal territorio di Montefalco, al confine con Castel Ritaldi   Northern Rhone Côte-Rôtie Guigal Château d’Ampuis 2018 ( 111 euro) Con il terzo campione inizia il divertimento, perché non mi aspettavo che i vini “intrusi” fossero di così alta qualità. Cominciamo con un’eccellenza della Côte du Rhône, o meglio della Côte-Rôtie, famosa per il suo Syrah. Alla domanda di Cristina se fosse Sagrantino, la risposta è stata scontata: troppo diverso dal principe di Montefalco! Ha un colore vivace con sentori di frutti neri accattivanti, ribes nero, mora e amarene, accompagnati da note affumicate che richiamano i legni francesi. L’acidità sottile e vibrante è fondamentale per bilanciare dei tannini forse un po’ più asciutti. In bocca è denso e concentrato, ancora nervoso perché molto giovane. Bella esperienza! Passopisciaro Franchetti 2021 Terre Siciliane IGP (150 euro) Il quarto campione ci accoglie con aromi intensi e speziati, anticipando una bocca dove i tannini sono ben integrati e l’acidità è notevole. Il finale è minerale e fumoso, caratteristico di questo vino siciliano che esprime la sua qualità in modo unico grazie ai suoli vulcanici dell’Etna, molto diversi da quelli di Montefalco. Qui la sapidità finale domina, confermando la straordinaria qualità di questo vino. La sua eccellenza emerge chiaramente nella degustazione alla cieca. Sagrantino Antonelli San Marco 2018 Sagrantino Antonelli San Marco 2018: Il naso si apre con delicatezza, rivelando complessi aromi di arancia, fico e note balsamiche. In bocca, i tannini sono vellutati e l’acidità vibrante. Il vino è ben equilibrato, con un’alcol elevato che contribuisce all’armonia complessiva. Il finale è lungo e persistente, riflettendo fedelmente il territorio e l’anima del Sagrantino. Un’ottima interpretazione da parte di Antonelli. Messorio Merlot Le Macchiole 2019 ( 210 euro) Il naso si apre con un profumo saporito e balsamico, dominato da frutti rossi e prugna, con una sensazione di generosità. In bocca, i tannini sono vellutati e l’acidità è ben bilanciata. L’uso sapiente del legno contribuisce al perfetto equilibrio complessivo. È evidente che questo vino è un Merlot, espresso con grande maestria. Proveniente dal territorio di Bolgheri in Toscana, questa è sicuramente una delle più belle espressioni del Merlot italiano.  Château Montrose 2021 (180 euro) Saint’Estephe – Bordeaux Già al primo sguardo e ancor più dalle prime olfazioni, emerge il livello straordinario di questo vino che esprime un’eccellenza fuori dal comune, testimoniando la grandezza del territorio di Bordeaux, precisamente di Saint-Estèphe. annata non eccezionale. Il naso è intensamente invitante, con note di frutta scura e spezie che si amalgamano armoniosamente. I tannini sono vellutati e succosi, mentre un’acidità vivace conferisce al vino freschezza e perfetto equilibrio. Assaporare questo vino in una degustazione bendata è un’esperienza emozionante, capace di suscitare brividi di piacere! Sagrantino Carapace LungAttesa Tenuta Castelbuono 2016 Siamo arrivati all’ottavo vino della degustazione, un momento emozionante in cui ci immergiamo nel Sagrantino di una tenuta che è un’opera d’arte in sé creata da Arnaldo Pomodoro. Sto parlando del Sagrantino Carapace Lunga Attesa delle Tenuta Lunelli, un vino che mi ha colpito profondamente. Accanto a me c’è l’enologo Luca Campaldini, il quale ha contribuito a rendere questa esperienza ancora più speciale. Questo vino si apre con un naso complesso, dominato da intensi aromi di frutta matura e suggestive note terrose. I tannini sono morbidi e l’acidità è perfettamente equilibrata, conferendo al vino una straordinaria armonia. È un vino raffinato, dotato di una struttura eccellente che promette una lunga evoluzione in bottiglia. La vendemmia 2016 si presenta davvero eccezionale, offrendo un profilo ricco e vellutato con intriganti note di cioccolato ed erbe secche. I tannini, maturati splendidamente, sono già ben integrati, rendendo l’assaggio un’esperienza indimenticabile. L’innovazione nel processo di vinificazione si esprime attraverso l’elevazione di una significativa parte della massa in anfora (Tava e Manetti), conferendo al Sagrantino Carapace delle Tenute Lunelli caratteristiche uniche che lo distinguono nel panorama enologico. Ridge Lytton Estate Petit Sirah 2019  – Dry Creek Valley,  Contea di Sonoma (70 euro) Il penultimo vino si presenta con un naso ricco di frutta nera, accompagnato da evidenti note di vaniglia e tostature. In bocca, si distingue per i suoi tannini potenti ma vellutati, ben integrati e mai asciutti. L’alta estrazione conferisce al vino un corpo robusto, tipico del Petit Sirah californiano, arricchito dall’uso del legno americano. La struttura tannica e l’acidità bilanciata creano una sensazione di dolcezza che richiama al Nuovo Mondo, rendendolo nettamente diverso dalle espressioni umbre del Sagrantino, che evocano terre verdi e legni scuri. Un vino che sa come lasciare il segno. Sagrantino Memoira 2015 di Colpetrone L’ultimo vino in degustazione è il Sagrantino Memoira 2015 di Colpetrone, un vero capolavoro. Al naso, si presenta maturo con una complessità ossidativa che intriga e seduce. I tannini sono morbidi, mentre l’acidità vibrante dona freschezza e vivacità al palato. È un vino straordinariamente bilanciato, con una lunga persistenza che lascia il segno. Ciò che colpisce particolarmente sono le note balsamiche nette e avvolgenti, con sentori mentolati e di incenso che caratterizzano molti assaggi di questa cantina. Queste caratteristiche rispecchiano probabilmente i suoli unici del territorio di Marcellano, conferendo al vino un’identità distintiva e affascinante. Concludere la degustazione con un grande Sagrantino come questo è stato un vero piacere. Understanding High Quality by Tannins: obiettivo raggiunto! In conclusione, esplorando in degustazione bendata i 10 calici di vino, abbiamo capito che i tannini del Sagrantino non sono come vengono sempre indicati. La nomea di vino tannico per eccellenza e spesso sgraziato è stata ampiamente sfatata. Abbiamo soprattutto capito che il tannino del Sagrantino, quando è maturo e viene trattato a dovere, può donare vini di grande raffinatezza e precisione. Può addirittura competere con grandi vini del mondo come gli intrusi della masterclass, che grazie a questo confronto obiettivo non hanno fatto sfigurare il Sagrantino anche a  confronto con Merlot, Syrah e Cabernet molto famosi. Tutto ciò mi ha confermato ancora una volta che la qualità di un vino si valuta nel calice e il Sagrantino ha vinto la sfida! Cin cin! Benedetta Costanzo
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10 Giugno, 2024

Regina Ribelle: La Bianca che fa impallidire i Rossi!

Regina Ribelle Vernaccia di San Gimignano Wine Fest Oggi vi porto con me a conoscere la Vernaccia di San Gimignano. Non potevo certo mancare a un evento che mi avrebbe portato al cospetto della Regina Ribelle. Non è un cartone né una favola con draghi e cavalieri, ma un evento dedicato alla Vernaccia di San Gimignano, dove è stata presentata la nuova annata 2023 e le riserve 2022. Organizzato dal Consorzio in partnership con il Comune di San Gimignano, questo evento, giunto alla sua seconda edizione, si è tenuto dal 16 al 19 maggio ed è senz’altro l’evento di riferimento per questo vino. L’obiettivo è promuovere la Denominazione e il territorio circostante. La scelta di presentare i vini nel periodo primaverile mira a garantire vini più pronti e in grado di esaltarne il potenziale espressivo, offrendo un’esperienza completa attraverso assaggi, eventi culturali, musica e convegni. Io sono stata presente nei giorni del press tour del 16 e 17 maggio e devo ammettere che si è trattato di un evento organizzato molto bene in un luogo davvero speciale: San Gimignano, città ricca di storia e fascino. Le sue mura medievali e le strade acciottolate hanno visto passare pellegrini e mercanti, e oggi accolgono appassionati di vino e cultura. Ma prima di calarci in quest’evento e negli assaggi voglio raccontarvi la storia, le caratteristiche del vitigno e dei vini. Prima di tutto, un po’ di storia La Vernaccia di San Gimignano è probabilmente uno dei vitigni italiani più antichi e affascinanti, legato a un territorio di rara bellezza e ricco di storia. Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1990, San Gimignano è nota come la “Manhattan del Medioevo” per le 65 torri medievali che tutt’oggi la contraddistinguono e la rendono un vero e proprio museo a cielo aperto. Questo borgo accoglie ogni anno circa 3 milioni di turisti! San Gimignano è stata in grado di conservare nei secoli una viticoltura dedicata, celebrata fin dal Medioevo dai più grandi artisti e poeti del Bel Paese. È l’unico vino citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia, nel Canto XXIV del Purgatorio, cantato da Cecco Angiolieri e raffigurato in un dipinto del Vasari nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze. Le prime notizie documentate della Vernaccia di San Gimignano risalgono al 1276, in un registro fiscale, quando il Comune di San Gimignano istituì una tassa di 3 soldi sull’ingresso e l’uscita dai suoi confini della Vernaccia. Questo vino di grande pregio fu molto apprezzato alla corte dei Medici durante il Rinascimento e spesso servito durante i banchetti nobiliari. La sua fama si diffuse anche oltre i confini italiani, raggiungendo i mercati di Francia e Inghilterra. Rinascita e riconoscimenti Come molti vini italiani, la Vernaccia subì un declino nel corso del XIX secolo a causa di guerre, crisi economiche e malattie della vite come la fillossera. La rinascita della Vernaccia di San Gimignano iniziò nel XX secolo, grazie all’impegno dei produttori locali che lavorarono per migliorare la qualità del vino e per promuoverlo sia a livello nazionale che internazionale. Nel 1966, la Vernaccia di San Gimignano divenne il primo vino bianco italiano a ottenere la DOC e, successivamente, nel 1993 ottenne la DOCG, massimo riconoscimento per un vino in Italia. Attualmente, è l’unica bianca in Toscana, un territorio famoso per i suoi grandi vini rossi come il Nobile di Montepulciano e il Brunello di Montalcino. Questo vino è prodotto in quantità limitata, una vera perla enologica la cui fama ha oltrepassato i confini nazionali. Vitigno iconico coniugato in annata e riserva – differenze La Vernaccia di San Gimignano è prodotta principalmente con l’omonimo vitigno Vernaccia (min. 85%), che conferisce al vino un carattere distintivo. Le uve crescono su colline calcaree, che favoriscono la produzione di un vino con una buona freschezza gustativa e dalle spiccate note minerali riconducibili ai suoli. Al palato, si distingue per il suo equilibrio e un leggero retrogusto ammandorlato. C’è molta differenza tra la versione Annata e la Riserva.
La prima è il vino di entrata, prodotto con le uve raccolte durante una singola vendemmia. Questo vino viene generalmente invecchiato per un periodo più breve rispetto alla Riserva e può offrire un’espressione più fresca e giovane del vitigno. Si caratterizza per un colore e un bouquet più delicato e “croccante”, che si articola su fiori bianchi e frutta a polpa bianca, erbette aromatiche, ideale per aperitivi e piatti dalla struttura più leggera.
La Vernaccia di San Gimignano Riserva è una versione più prestigiosa del vino, prodotta con uve selezionate e invecchiata per un periodo più lungo. Secondo il disciplinare, la Riserva deve maturare in cantina per almeno 11 mesi prima di essere commercializzata. Anche se non è obbligatorio, spesso la Riserva viene affinata in legno, che può conferire al vino una maggiore complessità aromatica e una struttura più robusta rispetto alla versione annata. È uno dei pochi vini bianchi italiani a prevedere la riserva, esprimendo così la sua potenzialità evolutiva! Dati attuali e il cambiamento climatico La zona di produzione della Vernaccia di San Gimignano DOCG è limitata al comune di San Gimignano, in provincia di Siena. Questo piccolo territorio collinare offre condizioni climatiche e geologiche ideali per la coltivazione della Vernaccia. La combinazione di suoli sabbiosi, argillosi e calcarei, ricchi di un substrato fossile, insieme al clima mite e ventilato, contribuisce alla creazione di un vino di alta qualità. Secondo i dati del Consorzio, la superficie destinata alla produzione della Vernaccia è di 768 ettari, con un potenziale produttivo di 6.912.000 chili di uva, equivalente a 4.838.400 litri di vino. La riduzione delle rese nell’ultimo decennio è dovuta non solo alle scelte produttive volte a migliorare la qualità della Vernaccia, ma anche, e soprattutto, all’impatto del cambiamento climatico e dei suoi fenomeni estremi. Nella vendemmia siccitosa del 2022, si è registrata una produzione di 5.259.985 chili di uva, pari a 3.681.989 litri di vino. Nella vendemmia 2023, a causa della peronospora e delle condizioni climatiche avverse, si è registrato un calo produttivo significativo, con 3.245.330 chili di uva, pari a 2.271.731 litri di vino, un calo del 37,742% rispetto alla produzione dell’anno precedente. Le Aziende e gli Assaggi Nonostante le criticità climatiche degli ultimi anni, gli assaggi delle annate 2023 e 2022 hanno rivelato una qualità sorprendente e diverse punte di eccellenza. È impossibile raccontare e descrivere ogni singolo assaggio, ma la maggior parte si è rivelata interessante e promettente. Tra le conferme più significative spiccano il Colombaio di Santa Chiara, Guicciardini Strozzi, e Il Palagione, aziende che si sono sempre distinte particolarmente. Tuttavia, sento l’obbligo di raccontarvi di altre aziende che, in modo diverso tra loro, hanno espresso qualità e un’emozione in più. Eccovi le mie scelte. Abbazia di Monteoliveto: Unione di storia e viticoltura Tra vigne, ulivi e querce centenarie, sorge la Fattoria Abbazia Monte Oliveto. Fondata nel 1340 dai monaci Olivetani, questo luogo è stato scelto per la coltivazione della vite e degli ulivi. Affascinata dalla bellezza e dalla storia del posto, la famiglia Zonin acquistò la tenuta nel 1982. Nel 2011, nel rispetto del paesaggio toscano, fu realizzata una cantina completamente interrata, dove oggi vengono vinificate le uve dei loro vigneti seguendo tecniche tradizionali. Durante gli assaggi, Abbazia di Monteoliveto si è distinta con i suoi due vini: Abbazia di Monteoliveto 2023: Caratterizzato da accenni di erbette aromatiche e pera, questo vino ha mostrato una freschezza intrigante e un finale delicatamente ammandorlato. La Gentilesca 2023: Un vino notevole con note floreali di tiglio e gelsomino, menta, lime e arancia. Il sorso si distingue per una piacevole nota pepata e sapidità, rendendolo di grande interesse.
Casa alle Vacche: Una Riserva Divertente! Situata a pochi chilometri da San Gimignano, Casa alle Vacche è immersa nella splendida campagna toscana, una zona ideale per la coltivazione della vite e dell’olivo. Di proprietà della famiglia Ciappi da generazioni, l’azienda si estende su 25 ettari di vigneti e 3 ettari di oliveti. Grazie alla qualità dei terreni e all’esposizione ideale, l’azienda produce uve di elevata qualità, vinificate con cura utilizzando tecniche di agricoltura integrata. Attualmente, Casa alle Vacche è in fase di conversione al biologico e si avvale del marchio Agriqualità della regione Toscana per garantire il rispetto dell’ambiente e dei consumatori. Durante la degustazione, Casa alle Vacche ha presentato una serie di vini affascinanti per la loro complessità e profondità. Tra questi spiccano: I Macchioni 2023: Proveniente da un vigneto di 3 ettari di Vernaccia allevata a spalliera con potatura a guyot, su terreni di sabbie gialle ricche di calcare pliocenico. Il vino, curato con inerbimento parziale, vendemmia manuale, pressatura soffice e fermentazione a temperatura controllata su fecce fini, promette una splendida evoluzione nel tempo. Attualmente un po’ scomposto (imbottigliato da poco), si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli e profumi di fiori di campo. Al palato è pieno e sapido, con un finale di albicocca molto bello. Il Crocus Riserva 2021: Un vero divertimento per i sensi. Proveniente da vigneti esposti a sud-sudest su sabbie gialle plioceniche e concrezioni calcaree, con inerbimento totale e potature verdi. La pigiatura delle uve avviene direttamente in una pressa a polmone, con fermentazione controllata in legni nuovi e continui batonnage. Affinato in bottiglia per almeno 4 mesi, questo vino presenta un profumo intenso e penetrante di frutta esotica, zafferano, vaniglia, mandorla e burro salato. Colpisce per il suo naso ricco e complesso, con note dominanti di zafferano.
Casa Lucii: Un’azienda storica con vini di grande personalità Casa Lucii è una storica azienda familiare situata sulle colline di San Gimignano, nel cuore della Toscana. La passione per l’agricoltura biologica, certificata dal 2000, testimonia la cura del territorio di antiche origini e straordinaria bellezza. La continua ricerca della qualità garantisce produzioni uniche e di eccellenza. Casa Lucii mi ha impressionato con i suoi vini dalla forte personalità e dalle caratteristiche distintive. Già la versione Annata (annate 2023 e 2022) si è distinta per note pepate e di agrumi. Grazie alla gentilezza di Lorenzo e suo figlio, ho potuto testare la capacità della Vernaccia di sfidare il tempo. Partendo con un confronto tra le annate 2023 e 2022 della versione Annata di Casa Lucii, è emersa la mineralità della prima e una complessità più evolutiva della seconda. Il vero divertimento è iniziato con una mini verticale della Riserva Mareterra, figlia del vigneto di Cellole. Ho degustato cinque annate, dall’ultima uscita del 2019 alla più vecchia del 2013, passando per 2014, 2016 e 2018. Questi assaggi mi hanno mostrato come una buona Vernaccia si comporta nel tempo, evidenziando le differenze legate al millesimo, che conferiscono a ogni annata caratteristiche peculiari. La Riserva Mareterra non esce mai prima di cinque anni dalla vendemmia e fa un affinamento in barrique di primo passaggio, rendendo il tempo un elemento fondamentale per creare l’equilibrio giusto all’interno della bottiglia. Cesani: come un ritorno a Casa Cesani è un esempio perfetto di come la Vernaccia possa essere valorizzata senza l’uso del legno, mantenendo la purezza e la finezza dell’uva. Ogni vino assaggiato ha dimostrato una grande profondità e complessità, riflettendo il terroir unico di questa azienda e la loro dedizione alla qualità. Cesani articola la sua Vernaccia in tre diverse interpretazioni: Annata, Selezione e Riserva. Annata 2023 di Cesani ha un’impronta decisa e classica, con note di susina bianca, zenzero e senape. Il sorso è splendido e fine, dimostrando la capacità di questa azienda di valorizzare la Vernaccia in tutta la sua purezza. Eleganza, struttura ed equilibrio. Clamys 2022 è la selezione di Cesani, ha colpito per i suoi aromi di fiori gialli, arancia dolce, pepe bianco e zenzero. Il sorso è avvolgente e presenta una strepitosa sapidità, rendendolo un vino estremamente piacevole e intrigante. Complesso e perfettamente equilibrato. Sanice 2021: è un vino più sottile rispetto agli altri, con note di susina e zenzero. La bocca agrumata e fitta conferisce a questo vino una struttura complessa e intrigante. La sua evoluzione in bottiglia ha dimostrato la capacità di questa Vernaccia di maturare e sviluppare nuove sfumature di sapore nel tempo. Fattoria di Fugnano: cuore caldo ed eleganza Con Laura della Fattoria di Fugnano è stato feeling immediato, forse per le nostre comuni origini siciliane o per la passione condivisa per questo grande vino bianco. Laura è una donna forte dal sorriso luminoso, da cui traspare la passione per la terra e l’attaccamento alle proprie radici. Durante la degustazione, Laura mi ha dimostrato di saper produrre vini bianchi di grande qualità e personalità. Ogni annata degustata ha rivelato un diverso grado di evoluzione e complessità, confermando il potenziale di questi vini nel tempo.
Ho avuto l’opportunità di provare la versione Annata 2023 e poi 3 annate diverse della sua mitica Donna Gina, l’etichetta dedicata alla nonna, rappresentata proprio sull’etichetta. Che eleganza! Eccovi le tre annate a confronto: la 2022 floreale, con sentori di frutta gialla e un sorso dinamico in bocca, è ancora in fase di assestamento, ma già lascia intuire una qualità promettente. La 2021 inizia a sprigionare note di evoluzione, tra cui spicca un riconoscimento di pietra focaia. La 2020, invece, è proprio eccellente! Minerale e salina, esprime un potenziale di invecchiamento evidente e tanta eleganza, come la sua etichetta. Mormoraia: Un Simbolo di Eleganza e Sostenibilità Mormoraia, azienda agricola biologica dal 2016, si distingue non solo per la qualità dei suoi vini, ma anche per le sue eleganti etichette che riflettono l’attenzione ai dettagli e alla sostenibilità.
La combinazione di note fresche, sapidità e complessità minerale rende i vini di Mormoraia degni di nota e perfetti per chi cerca un’esperienza di degustazione autentica e raffinata. Durante la degustazione, ho potuto apprezzare tre etichette e tre annqate diverse: Suavis 2023, Ostrea 2022 e Antalis 2021. Suavis 2023 è ottenuto dalla pressatura di grappolo intero, con fermentazione e affinamento di 5 mesi in acciaio prima dell’imbottigliamento. Questo vino si presenta con toni dolci e croccanti, e note di mandarino che lo rendono di facile beva. La freschezza e la leggerezza di Suavis lo rendono un vino perfetto per ogni occasione. La selezione Ostrea 2022 proviene da un vigneto di circa 40 anni. Dopo la pressatura del grappolo intero, il vino fermenta e si affina per 6 mesi in botti grandi da 25 hl, per poi essere trasferito in acciaio e successivamente in bottiglia. Ostrea si distingue per le sue note erbacee e agrumate, con una sapidità e una persistenza appagante. Questo vino rappresenta una perfetta combinazione di tradizione e innovazione. Antalis 2021 proviene da un vigneto di circa 3 ettari, anch’esso vecchio di 40 anni. I profumi accattivanti e molto minerali di Antalis si accompagnano a note floreali di ginestra e muschio. Al palato, il vino mostra pienezza e persistenza, offrendo un’esperienza di degustazione ricca e complessa. La Lastra: Un Progetto di Vita Rurale La Lastra è un progetto di vita rurale che ha preso forma agli inizi degli anni ottanta grazie a Nadia Betti e Renato Spanu, affiancati dal fratello e da alcuni amici. La loro filosofia si basa sul rispetto dell’ambiente prima del business, delle persone prima del brand, della sostanza prima della forma, delineando così l’essenza di quest’azienda. La cura e la dedizione con cui vengono coltivati i loro vigneti si riflettono nelle straordinarie caratteristiche organolettiche dei loro vini. Durante la degustazione, ho avuto l’opportunità di assaggiare: La Lastra 2023 e 2022: Vinificate esclusivamente in acciaio con 12 ore di macerazione in pressa, entrambe le annate si distinguono per la loro spiccata mineralità. La Lastra Riserva 2022: Questa riserva è maturata per metà in barrique (di cui il 50% nuove) e metà in acciaio. Il risultato è un vino tranquillo e quieto con un bouquet di fiori, mineralità ed erbette aromatiche. Al palato, offre un sorso vibrante e una profondità accattivante. La Lastra 2015: Nonostante il passare degli anni, questa annata si mantiene in equilibrio e rimane ancora presente, mostrando un’evoluzione positiva nel tempo. Cantina Vagnoni: Conferme di Qualità La Cantina Vagnoni è un’azienda vinicola a cui sono particolarmente legata per vari motivi, che presto racconterò in un articolo dedicato. La continua produzione di vini che riflettono la dedizione e la passione per la viticoltura dimostra l’impegno costante dell’azienda verso la qualità e l’eccellenza. Durante gli ultimi assaggi, ho avuto l’opportunità di gustare due dei loro vini più rappresentativi: Selezione Fontabuccio 2022: Questo vino, composto per il 90% da Vernaccia, proviene dall’omonimo vigneto situato nella zona di Pancole. La fermentazione avviene per il 30% in barrique per 6 mesi e il restante in acciaio. Si distingue per la sua ricchezza e il tipico finale ammandorlato, rappresentando un’eccellente espressione del territorio. Vagnoni Riserva I Mocali 2021: Questo vino, interamente composto da Vernaccia, fermenta in barrique dove rimane ad affinare sulle fecce per 11 mesi, seguendo rigorosamente il disciplinare di produzione e sottoposto a continui bâtonnage. Sebbene ancora giovane, si conferma come un prodotto di qualità, promettendo una notevole evoluzione nel tempo. Fattoria Poggio Alloro: Un balletto di annate e confronti La storia della Fattoria Poggio Alloro ha inizio nel lontano 1972, quando i tre fratelli Fioroni acquistarono la terra e iniziarono ad attribuire un’attenzione particolare alla cura del vigneto. Nel 1989, avviarono l’imbottigliamento e la commercializzazione del prodotto, dando vita a una produzione di vini genuini, frutto di potature severe, basse rese e dell’utilizzo di concime organico, nel pieno rispetto dell’ambiente. La cantina, caratterizzata da una sapiente fusione tra modernità e tradizione, utilizza moderne tecnologie affiancate a una solida esperienza. Durante l’assaggio dei loro vini, ho avuto modo di sperimentare un vero e proprio balletto di annate e confronti: 2023 Annata Fattoria Poggio Alloro: Caratterizzata da ricchezza e complessità, questa annata si distingue per una macerazione pellicolare dinamica in ganimete, che conferisce al vino una straordinaria profondità. 2023 Il Nicchiaio: Proveniente dal vigneto singolo di Il Nicchiaio, questa annata presenta toni erbacei ma anche un’evoluzione di pietra focaia, cedro candito, zenzero e miele, con una lunghezza interessante che ne sottolinea la complessità. Proseguendo con le annate successive, tra cui il 2022 de Il Nicchiaio e la Riserva Le Mandorle 2022, fino ad arrivare alla 2021, ho potuto constatare la costante qualità e l’attenzione ai dettagli che caratterizzano i loro vini. Puliti, complessi e piacevoli, ogni annata racconta una storia unica, mantenendo sempre alti standard qualitativi. Azienda Agricola Signano: Un Legame Profondo con il Territorio di San Gimignano L’Azienda Agricola Signano ha radici profonde che affondano nel lontano 1961, quando Ascanio Biagini acquistò un modesto terreno di soli due ettari. Fu nel 1966 che iniziò la loro avventura nella viticoltura, piantando i primi vigneti di Vernaccia e Sangiovese e costruendo la cantina. Con il passare degli anni, l’azienda si espanse costantemente, acquistando sempre più terreni. Nel 1989, il figlio Manrico portò significative innovazioni tecnologiche, introducendo tecniche di vinificazione all’avanguardia. Oggi, con la terza generazione al timone, l’Azienda Agricola Signano si estende su 25 ettari di vigneti, mantenendo saldamente vivo il legame con il territorio di San Gimignano. Signano Poggiarelli 2003: L’assaggio più emozionante!!! Il loro Signano Poggiarelli 2003 è stato l’assaggio più emozionante di tutti. Con 21 anni di invecchiamento, questo vino si è rivelato un’autentica meraviglia, mantenendo intatta la sua vitalità e regalando un’esperienza sensoriale indimenticabile. È una testimonianza vivente dell’eccezionale capacità di invecchiamento dei vini di Signano, incantando e sorprendendo i palati con la sua straordinaria complessità e ricchezza. E con il gusto del Signano Poggiarelli 2003 ancora sulle labbra, un saluto speciale a San Gimignano e alla Regina Ribelle, consapevoli che il suo richiamo ci accompagnerà ancora per molto tempo. Alla prossima avventura e calici su! Benedetta Costanzo
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2 Giugno, 2024

Con maggio il vino fa buon viaggio

In questo mese di maggio appena concluso, mentre la primavera riveste i vigneti di colori vivaci e profumi delicati, ho sperimentato una serie di assaggi che mi hanno condotta oltre i confini italiani per esplorare le meraviglie enologiche del mondo. Ispirandomi a un antico proverbio che celebra l’armonia tra maggio e il buon vino, ci avventuriamo dunque in un viaggio attraverso terre lontane alla ricerca di storie, territori e sapori. Iniziamo gli assaggi del mese di maggio con tre Bollicine In questo viaggio, voglio mettere a confronto tre bollicine straniere provenienti da tre paesi diversi, ognuna con espressioni molto differenti pur condividendo il comune denominatore delle bollicine. Attraverso tre metodi di produzione diversi e tre risultati altrettanto distinti, esploreremo non solo le abilità dei produttori ma anche le tradizioni vinicole dei rispettivi paesi e i vitigni che le caratterizzano. Vi parlerò di una raffinata bollicina della Loire (Francia), di un vivace spumante del Portogallo e di un Pet Nat proveniente dalla Svizzera. Pronti a seguirmi in questa avventura enologica? Let’s go! 1. Vouvray GILET Jean Marc Gilet – Brut extra Iniziamo dirigendoci verso una regione della Francia ricca di fascino e storia: la Loira. Conosciuta come il “giardino di Francia”, non solo incanta per i suoi maestosi castelli e paesaggi mozzafiato, ma anche per la sua straordinaria tradizione vinicola. In questa terra di bellezza senza tempo, lo Chenin Blanc regna sovrano. Questo vitigno si distingue per la sua vivace acidità e la marcata mineralità salina, rendendolo l’emblema perfetto della regione. Quando si parla di bollicine della Loire, è inevitabile pensare a questo vitigno ideale che dona una personalità elegante e una certa complessità ai metodi classici che ne derivano. Domaine de la Rouletière – Jean-Marc Gilet Situato nella rinomata denominazione di Vouvray, il Domaine de la Rouletière è un’azienda vinicola che combina tradizione e passione, tramandata di generazione in generazione. Fondata nel 1914 con soli 2 ettari di Chenin Blanc, oggi si estende su 26 ettari grazie alla dedizione della famiglia Gilet. Dal 2003, Jean-Marc Gilet, vigneron di quinta generazione, guida l’azienda con competenza e amore per il territorio, coltivando le vigne sulle colline calcaree del Turoniano e producendo i vini nelle cantine sotterranee del Domaine. I terreni viticoli, caratterizzati da perruche (argilla silicea) e arbuis (argilla calcarea), conferiscono ai vini una distintiva mineralità e potenza, mentre il clima temperato della regione favorisce la maturazione ottimale dello Chenin Blanc. Il rispetto per la terra e le tradizioni è alla base della filosofia di coltivazione biologica adottata dal Domaine, con vendemmie manuali e vinificazioni che avvengono in vasche di acciaio inox. Una piccola percentuale di vini viene affinata in barrique di quarto o quinto passaggio, mentre gli spumanti riposano per un minimo di 18 mesi. Esperienza sensoriale Il Gilet Spumante Vouvray Brut Extra è un vino che incarna l’essenza del terroir di Vouvray. Realizzato al 100% con uve Chenin Blanc provenienti da vigne con una resa di circa 50 hl/ha, viene vendemmiato a mano per garantire la massima qualità. La fermentazione avviene a bassa temperatura, seguita da una seconda fermentazione in bottiglia secondo il metodo champenoise, e un periodo di affinamento di 24 mesi senza dosaggio.
Questo spumante si presenta con un’effervescenza delicata e persistente. Al naso, sprigiona profumi floreali di acacia, accompagnati da note di mela fresca, pera, kiwi e una pronunciata mineralità gessosa. Al palato, è fresco e vivace, con una struttura elegante che esalta la purezza del Chenin Blanc.
Perfetto come aperitivo, si abbina magnificamente anche a piatti a base di pesce e frutti di mare, come ostriche e scampi. La sua acidità bilancia la ricchezza di formaggi a pasta molle, come il chèvre, tipico della regione della Loira. Portogallo e Filipa Pato: espressioni di Bairrada Proseguendo il viaggio attraverso le perle enologiche del mondo, ci imbattiamo in un’autentica gemma proveniente dal Portogallo: Filippa Pato e il suo vino spumante 3B Blanc de Blancs brut nature. L’azienda si trova nelle vicinanze di Coimbra, una suggestiva città nella regione della Bairrada, in Portogallo. Filipa è diventata produttrice di vini seguendo le orme del padre Luis Pato, uno dei nomi più conosciuti della scena enologica portoghese. Lei però è andata avanti, contribuendo a portare la qualità dei vini portoghesi oltre i confini nazionali. Dopo aver conseguito la laura in ingegneria chimica nel 2001, Filipa decide di fondare la sua cantina, acquistando i primi vigneti per produrre uve bianche come Bical e Maria Gomes, e uve rosse del vitigno iconico della zona, il Baga, iniziando da zero nella regione di Beiras. Dal 2010, è accompagnata in questa avventura dal marito William Vouters, un sommelier di alto livello e ristoratore belga, che condivide con lei questa enorme passione e la segue con competenza e attenzione. La scelta biodinamica Sono circa 12 ettari di viti autoctone che crescono su suoli argillosi e calcarei, con una componente sabbiosa evidente e caratteristica. Fin da principio, Filipa ha investito su una viticoltura biodinamica, iniziando con il rispetto del contesto ambientale circostante. Le rese per ettaro sono mantenute basse, senza l’impiego di concimi o materiali chimici, con un’attenzione particolare all’uso di rame e zinco. La produzione prosegue in cantina con fermentazioni naturali innescate da lieviti autoctoni, seguendo un’etica artigianale che non permette l’uso di metodi invasivi. Non sono previsti filtraggi, chiarificazioni né l’uso pesante di solfiti. Un’altra attenzione importante è rivolta all’utilizzo di metodi di vinificazione sperimentali come l’affinamento in barrique e in anfore di terracotta, che grazie alla loro capacità di isolare la temperatura, permettono di mantenere il vino in ottime condizioni per lungo tempo. 2. Spumante 3B Blanc de Blancs brut nature: un’etichetta che racconta la sua terra Puri e moderni, i vini di Filipa Pato uniscono metodi arcaici con le più moderne innovazioni, rappresentando sinceramente il loro territorio senza fronzoli né abbellimenti, ma con tutta la loro autenticità. L’approccio naturale e biodinamico di Filipa Pato permette ai suoi vini di raccontare direttamente i campi in cui crescono e la brezza dell’oceano che ne scuote le foglie. Immaginate di versare un calice di 3B Blanc de Blancs. Dal colore giallo paglierino brillante, sprigiona intensi profumi di frutti bianchi, che anticipano la sua natura rinfrescante ed elegante. Al palato, si distingue per un’acidità sorprendente, croccante e tagliente, che si equilibra perfettamente con le note floreali e fruttate. Questo spumante, prodotto con il metodo classico, fermenta in acciaio e affina in bottiglia per almeno 8 mesi. Il processo di sboccatura e ricolmatura con vino base garantisce un’esperienza di degustazione pura e impeccabile. Perfetto come aperitivo, si abbina splendidamente a piatti di pesce. Immaginatelo servito con un crudo di gambero rosso di Mazara del Vallo, accompagnato da una maionese di avocado su una cialda croccante ai semi tostati. L’acidità vivace e le note fruttate di questa bollicina esaltano la dolcezza del gambero e la cremosità dell’avocado, creando un equilibrio perfetto che valorizza ogni boccone. Rosato oltre i confini: Il Pet Nat svizzero di Obretch A questo punto, avrei potuto parlarvi del Rosé ‘Rock Angel’ Chateau d’Esclans, davvero eccezionale, ma preferisco portarvi in Svizzera a conoscere la realtà di Obrecht. È  una cantina che da generazioni produce vini di alta qualità nella tenuta “Zur Sonne” nella regione della Bündner Herrschaft. Ho avuto il piacere di conoscere Obrecht a marzo presso l’evento “Matter of Taste” by Wine Advocate di robert Parker a Zurigo. Obrecht è un’azienda a conduzione familiare che ha sempre puntato sull’innovazione e sulla qualità. Christian e Francisca, attuali gestori della tenuta, seguono rigorosamente i principi della biodinamica, dedicandosi con passione alla cura naturale delle loro vigne. PET NAT BY TOM & ROMAN AOC 2023. È un vino rosato a base di pinot nero, con un contenuto alcolico di 11.0% Vol. e prodotto attraverso una prima fermentazione in serbatoio d’acciaio, seguita da una tradizionale fermentazione in bottiglia. Al naso, offre aromi fruttati e agrumati di pompelmo e bacche rosse, mentre al palato si presenta vivace, fresco e lineare, con un perlage naturale armoniosamente integrato. Questo vino versatile si abbina perfettamente a piatti come flammkuchen, salmone, prosciutto crudo e verdure, rendendolo ideale per molti momenti di convivialità. La particolarità di questo vino risiede nella sua produzione naturale e nell’approccio biodinamico della cantina Obrecht, che garantisce un prodotto autentico e di alta qualità, capace di sorprendere e deliziare. I Rossi di Maggio tra vecchio e nuovo mondo Per il mese di maggio, ho scelto due vini rossi che rappresentano l’antitesi tra il Vecchio e il Nuovo Mondo: un Pinot Noir d’Alsazia e un Pinotage del Sudafrica. Due storie affascinanti e, soprattutto, due vini molto diversi. Iniziamo con il Pinot Noir Altenbourg 2021 del Domaine Weinbach. Questo vino nasce da vigne coltivate biodinamicamente sul Grand Cru Altenbourg, situato tra i 200 e i 300 metri di altitudine, su un terreno di marne, calcare, arenaria e sabbia. La tenuta Weinbach, ai piedi della collina di Schlossberg, vanta una storia che risale ai frati cappuccini del XVII secolo, che coltivavano uve nel Clos des Capucins, una parte della tenuta estesa per 5 ettari. Messo in vendita durante la Rivoluzione francese, Weinbach è oggi rinomato per i suoi vini di alta qualità. Questo Pinot Noir si distingue per gli aromi di frutti neri e una struttura setosa e concentrata, espressione perfetta del terroir alsaziano e della cura con cui viene prodotto. Pinotage del Sudafrica: Windmeul Cellar Nel nostro viaggio alla scoperta delle perle enologiche del mondo, ci avventuriamo così nella  vibrante e affascinante terra del Sud Africa per assaporare il Pinotage, un vino emblematico della regione sudafricana. Qui, tra colline ondulate e vigneti baciati dal sole, il Pinotage trova il suo habitat ideale, esprimendo tutto il suo potenziale e il suo carattere unico. Il Pinotage è un vitigno unico e tipico del Sudafrica, ottenuto dall’incrocio tra Pinot Noir e Cinsault, e si distingue per i suoi caratteristici aromi e la sua straordinaria complessità. Situata vicino a Paarl, Windmeul è una cantina di grande tradizione e innovazione. Prende il nome da un antico mulino a vento, simbolo del centro economico della zona, usato per macinare il grano. Oggi, sotto la guida del maestro cantiniere Daniel Marais, la cantina continua a fondere storia e modernità, producendo vini di alta qualità e collaborando con Ou Meul Bakery per riportare in vita le tradizioni del passato. Descrizione del Vino Questo Pinotage del Sudafrica rappresenta perfettamente il Nuovo Mondo, con il suo carattere audace e distintivo. Dal colore rubino intenso con riflessi violacei, sprigiona aromi di frutti rossi maturi, prugna e un tocco di spezie dolci. Al palato, è corposo e ben strutturato, con tannini morbidi e un finale persistente che richiama note di cioccolato fondente e vaniglia. Ideale da abbinare a carni grigliate e formaggi stagionati, questo vino è un omaggio alla passione e alla ricca tradizione della cantina. Il Tokaj Oremus, Vino dei Re dalla Terra d’Ungheria Per concludere il nostro viaggio attraverso le meraviglie enologiche del mondo, ci immergiamo nell’incanto e nella maestosità del Tokaj Oremus, un vino leggendario che trae origine dalle fertili terre dell’Ungheria. Conosciuto come il “vino dei re” e il “re dei vini”, il Tokaj Oremus incanta i sensi con la sua ricchezza, la sua complessità e il suo carattere unico, derivato da una vendemmia tardiva di uve nobili coltivate in un ambiente unico al mondo. Le colline vulcaniche della regione di Tokaj, situate nel nord-est dell’Ungheria, sono il luogo magico dove iquesto vino prende vita. Qui, tra le viti baciate dal sole e le nebbie mattutine che si levano dai fiumi, le uve Furmint, Hárslevelű e Muscat Blanc à Petits Grains maturano lentamente e acquisiscono concentrazione, complessità e dolcezza. Il processo di appassimento naturale delle uve, causato dall’azione benefica della muffa nobile Botrytis cinerea, conferisce a questa vendemmia tardiva la sua caratteristica dolcezza e la sua straordinaria complessità aromatica. Il vino brilla con un colore dorato intenso e un bouquet aromatico avvolgente, in cui emergono note di miele, albicocche secche, agrumi canditi e spezie esotiche. Al palato sorprende con una dolcezza avvolgente e una freschezza vivace, equilibrata da una piacevole acidità e una straordinaria persistenza. I suoi sapori ricchi e complessi si sfumano delicatamente, lasciando una sensazione di pienezza e soddisfazione che perdura a lungo dopo ogni sorso. Il Tokaj Oremus è molto più di un semplice vino: è un simbolo di raffinatezza, eleganza e tradizione, che incarna l’anima e la bellezza dell’Ungheria. Un viaggio attraverso secoli di storia, cultura e passione per il vino! Che questo viaggio sia solo l’inizio di una lunga e indimenticabile avventura nel mondo dei vini pregiati e dei sapori straordinari. Egészségére! (Salute in ungherese) Le mie personali considerazioni finali Durante questo viaggio enogastronomico di maggio, sono emerse alcune osservazioni significative. La biodinamica sta guadagnando sempre più terreno non solo come filosofia, ma come un ritorno alle tecniche arcaiche e alle tradizioni che riportano autenticità e una maggiore espressione del territorio. Questa pratica non solo valorizza la naturalezza dei vini, ma esalta anche le peculiarità del terroir, offrendo ai consumatori un’esperienza unica e genuina. Inoltre, i vitigni autoctoni si sono rivelati fondamentali nel raccontare le storie e le caratteristiche distintive dei diversi terroir. Ogni sorso di vino da un vitigno autoctono porta con sé le sfumature e le unicità della regione di origine, rendendo ogni degustazione un viaggio nel cuore delle tradizioni vinicole locali. Come di consueto, mi sono divertita a condividere queste esperienze con voi, sperando di avervi incuriosito e di avervi fatto scoprire nuove realtà enologiche che forse non conoscevate. È stato un piacere portare alla vostra attenzione la ricchezza e la diversità del mondo del vino, e spero di continuare a farlo in futuro. Quindi, a presto e in alto i calici, sempre! Benedetta Costanzo
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26 Maggio, 2024

Quel che resta del Vinitaly

Perché un articolo non basta… Anche quest’anno Vinitaly 2024 ha lasciato un’impronta importante nei cuori e nelle menti di coloro che hanno avuto il privilegio di partecipare. Oltre alla vasta gamma di vini e alle numerose opportunità di networking, sono stati gli eventi speciali a rendere davvero unica questa edizione. Tra i momenti più memorabili, per me spiccano sicuramente la partecipazione ad Opera Wine e la presentazione di Korale, il primo vino contro la violenza di genere.
Vinitaly non è solo un’occasione per degustare vini straordinari; è anche un momento di connessione umana e condivisione di esperienze. Gli incontri con produttori appassionati e esperti del settore hanno arricchito il mio percorso personale offrendomi nuove prospettive e approfondimenti. Non solo vino ma anche altri prodotti come l’olio. L’Importanza dell’Olio anche a Vinitaly: Simbolismo e Civiltà L’olio ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella storia e nella cultura dell’uomo. Come il vino porta con sé la storia e la tradizione di generazioni di contadini e produttori che hanno coltivato e preservato gli ulivi attraverso i secoli. Ogni goccia di olio racconta una storia di duro lavoro, passione e rispetto per la terra, incarnando i valori di autenticità e artigianalità che sono al cuore dell’esperienza vinicola.
Incorporare la promozione dell’olio nell’ambito di Vinitaly non solo amplia l’orizzonte dell’evento, ma riafferma anche il legame profondo tra il vino e l’olio nell’identità culturale del Mediterraneo. E quindi vi parlerò del mio incontro con Andrea Scio, il proprietario di Tondo.Oil, un’azienda agricola familiare che si trova nei Monti Iblei, nel sud-est della Sicilia. È una piccola realtà che si distingue per la sua dedizione alla genuinità ed eccellenza dei propri prodotti. L’azienda coltiva con rispetto ed amore olivi centenari, di proprietà dal 1700. Ne preserva l’integrità e il benessere, e produce un olio di alta qualità e salubrità. Durante la nostra conversazione, Andrea mi ha raccontato della sua passione per la terra e per le tradizioni locali, e mi ha guidato attraverso il processo di produzione del suo olio. Gli uliveti si trovano nella Contrada Sant’Andrea, vicino a un antico Monastero templare del XIII secolo, e crescono su terreni calcareo-argillosi, su base vulcanica. Le piante di ulivo sono in gran parte centenarie, con un’età stimata che arriva fino a 300 anni. Tondo.Oil pratica un’agricoltura organico-rigenerativa, concimando gli ulivi con letame animale e favorendo la crescita di erbe, fiori ed essenze spontanee per preservare l’ambiente e la biodiversità. La cultivar che alleva è la Tonda Iblea, autoctona dei Monti Iblei, che qui trova l’ambiente ideale e la massima espressione. La raccolta delle olive, rigorosamente manuale,  avviene nei mesi di settembre-ottobre, seguendo l’andamento naturale della maturazione. Le olive vengono portate al frantoio per essere immediatamente molite a freddo. L’olio viene poi filtrato e conservato in modo da preservarne le caratteristiche organolettiche. Le bottiglie sono realizzate in vetro scuro per proteggerlo dai raggi solari, e i formati variano da 100 ml a 500 ml, con l’opzione anche di Bag in Box per una conservazione ottimale. Guidata da Andrea, ho degustato un olio di alta qualità, scoprendo le sue note aromatiche, il suo gusto complesso ma raffinato e la sua texture morbida. Una vera e propria rivelazione, con il suo profilo gustativo delicato e distintivo che rifletteva il territorio e il clima unici della Sicilia orientale.. Al Vinitaly con assaggi gourmet Le degustazioni di vino offrono non solo l’opportunità di scoprire eccellenti etichette vinicole, ma anche di immergersi nelle delizie culinarie delle diverse regioni italiane. Ospiti dei produttori o dei consorzi, ci si ritrova spesso a gustare vere e proprie mini merende “autoctone”, benvenuti culinari che accompagnano perfettamente le degustazioni di vino.
Questi momenti diventano una pausa rigenerante e riflessiva tra un sorso e l’altro, fornendo il sostegno necessario per affrontare le sfide delle degustazioni successive. e così ci immergiamo nella ricchezza e diversità dei prodotti enogastronomici italiani. Dai formaggi ai salumi, dai casatielli alle piadine, dai taralli alle burratine, dai cantucci agli amaretti, ogni morso è un viaggio sensoriale che ci permette di connetterci con le radici culturali e gastronomiche dell’Italia e con la sua ospitalità. Tra tutte le prelibatezze, desidero raccontarvi di un assaggio particolarmente gourmet che ho avuto l’onore di gustare: i prosciutti di Levì. Durante la mia visita al Padiglione del Friuli, ho avuto modo di assaporare la raffinatezza dei filettini di prosciutto crudo Levi, tagliati rigorosamente a coltello. Questa innovativa proposta, brevettata come “Patent Pending”, rappresenta un nuovo modo di apprezzare il prosciutto crudo stagionato.
Questi filettini sono ideali per essere utilizzati in molteplici modi: su tartine e focacce, per condire la pasta o il risotto, o per arricchire piatti iconici come i tortellini al prosciutto di Levi. La loro versatilità li rende adatti dall’aperitivo fino alla cena completa, e addirittura, caramellati, possono accompagnare persino un gelato! Già conditi con olio extra vergine di oliva e disponibili in una varietà di gusti, come peperoncino, 5 pepi, erba cipollina, cipolla di Cavasso, tartufo e molti altri ancora,  sono un’autentica delizia gastronomica che riflette l’eccellenza e l’innovazione dell’enogastronomia italiana. Secondo me creano dipendenza!!!
Prima di lasciare il Friuli, non posso fare a meno di condividere con voi tre assaggi speciali che hanno reso la mia esperienza in questa splendida regione davvero indimenticabile. Butussi: Il Millesimato 2010 Durante la mia visita alla cantina Butussi, ho avuto l’onore di festeggiare l’incontro con Tobia e Filippo brindando con un Millesimato 2010 Pas Dosé sboccatura marzo 2024. 90% ribolla gialla e una piccolissima parte di pinot nero e pinot bianco. Questo vino, che è rimasto sui lieviti quasi 180 mesi,  elegante e complesso, ha saputo sorprendere per la sua freschezza e per le note mature che lo caratterizzano. Mentre sorseggiavo il calice, parlavo con loro della realtà aziendale, immergendomi nelle storie e nelle passioni che animano il loro lavoro. Non vedo l’ora di visitare la loro azienda per esplorare ulteriormente le radici di questa eccellenza vinicola. Lis Neris e Alvaro Pecorari: La Gentilezza del Cuore L’incontro con Alvaro Pecorari di Lis Neris è stato un momento toccante, arricchito dalla gentilezza del suo cuore. Questa realtà, che considero un importante punto di riferimento italiano, porta avanti una storia familiare fin dal 1879 affondando le proprie radici nella terra friulana della Valle dell’Isonzo, Dal bisnonno al padre e ora ad Alvaro, la famiglia ha lavorato instancabilmente per trasformare il terreno in una rinomata azienda vitivinicola. Nonostante le sfide iniziali nel mercato locale, hanno sempre puntato sulla qualità e ciò ha portato al successo attuale. Lis Neris oggi vanta oltre 70 ettari di vigneti, producendo vini che uniscono potenza ed eleganza grazie alle uniche condizioni del territorio. La filosofia aziendale si basa sull’integrità biologica del suolo e sul rispetto per la tradizione. È stato un privilegio condividere con Alvaro degli assaggi speciali, nonostante il suo fitto programma. Tra i vini degustati, spicca il Dom Jurosa Extra brut Blanc de blancs, uno Chardonnay millesimato 2018 (tiraggio giugno 2019 e sboccatura a febbraio 2024), che grazie alla fermentazione in legno e al successivo affinamento e lunga sosta sui lieviti, riesce ad incarnare complessità ed eleganza. La qualità dei suoi vini è il frutto della passione e dell’attenzione che Alvaro riversa nel suo lavoro. Le sue parole e la sua ospitalità mi hanno ricordato che quando si lavora con il cuore, l’eccellenza diventa inevitabile. Specogna: Il Picolit Ogni anno, è ormai una tradizione per me passare dallo stand di Specogna. Winetales ne aveva già ampiamente parlato in un articolo a questo link.i
Quest’anno, oltre a riassaggiare le nuove annate e le riserve, ho avuto il piacere di concludere con una vera chicca: il Picolit. Il suo nome potrebbe derivare dalla scarsa produzione di acini e grappoli, oppure dalle ridotte dimensioni dell’uva stessa. La produzione di questo vino rimane estremamente limitata, non superando i 900 ettolitri in tutto il Friuli. Questa scarsità è dovuta al fatto che la vite di Picolit produce pochi e rari acini, con circa 10-15 acini per grappolo, a causa delle infiorescenze altamente soggette all’aborto floreale. Questa esclusività ha reso il Picolit sempre un vino molto prezioso, associato alle grandi occasioni e apprezzato da principi e Papi nel corso dei secoli. Il vigneto del Picolit di Specogna, risalente al 1958 e al 1963,  si trova nei Colli Orientali del Friuli, a un’altitudine di circa 150 metri sul livello del mare, su terreni di marna ed arenaria. La produzione è estremamente limitata, con circa 1 kg di uva per pianta. La vinificazione avviene con vendemmia manuale seguita da diraspa-pigiatura e pressatura soffice immediata. La fermentazione e l’affinamento avvengono in barrique di rovere da 228 litri per circa 24 mesi, seguiti da un ulteriore affinamento in bottiglia di almeno un anno prima della commercializzazione. Il colore del vino è un giallo dorato, mentre al naso si aprono note di albicocca, agrumi, tabacco e pasta di mandorle, con intensità ed eleganza che anticipano il gusto. In bocca, il Picolit si distende con freschezza e intensa aromaticità, accompagnate da una dolcezza presente ma equilibrata, senza risultare mai stucchevole. Il finale perfetto di un’esperienza sensoriale straordinaria! Rosati di Puglia con il Miglior Sommelier Puglia 2022 Dal Friuli vi conduco in una terra bellissima: la Puglia. Questa regione poggia su un grande basamento marino calcareo che, nell’antichità, era un fondale marino ancestrale. Abbiamo intrapreso un viaggio che si è svelato attraverso tanti vitigni autoctoni diversi, regalandoci espressioni molto variegate che riflettono le peculiarità del vitigno, del territorio e anche l’espressione stessa del produttore.
A guidarci in questo viaggio sensoriale è stata l’affiatata squadra dell’Enoteca Regionale Puglia, capitanata dal Presidente Giacomo D’Ambruoso. Il servizio di comunicazione dei vini di Puglia è stato portato avanti da una squadra di ben 20 sommelier provenienti da tutte le delegazioni, dal Gargano al Salento, coadiuvati dai Sommelier Astemi, ragazzi con bisogni educativi speciali. Un onore poter godere della partecipazione di un relatore d’eccezione come Giuseppe Baldassarre, docente, studioso e autore di libri sui tanti percorsi del vino pugliese, e Giuseppe Caragnano, Miglior Sommelier di Puglia 2022, che avevo conosciuto qualche anno fa a una gara nazionale per sommelier in cui avevamo concorso insieme. Iniziamo con due rosati a base di Bombino Nero, un’uva perfetta per essere vinificata in rosato. Anche a piena maturazione, in ogni grappolo è possibile trovare dei chicchi più acerbi che preservano l’acidità del vino. Questi vini provengono dallo stesso territorio di Castel del Monte, Andria ma parlano lingue diverse: sono Pungirosa 2023 delle Cantine Rivera e Mezzana 2023 di Conte Spagnoletti Zeuli. il primo si distingue per la sua vivacità e freschezza, con note floreali e fruttate che danzano in armonia sul palato. Mezzana, d’altra parte, presenta una struttura più complessa e una maggiore profondità aromatica, con sentori di frutti rossi e un’acidità ben bilanciata che conferisce al vino una piacevole persistenza, rendendolo un vino più gastronomico e strutturato.
Proseguiamo con un Nero di Troia e ci spostiamo al nord della regione, nella provincia di Foggia a Stornara, con il Marilina Rosé 2023 delle Cantine Spelonga. Questo vino si caratterizza per la sua vigoria e forza tannica che, nella versione rosata, si svela in modo interessante, con un piglio energico e un naso floreale elegante. Ecco poi due rosati a confronto a base di Susumaniello, un’antica uva tintorea che mi incuriosisce molto. Occorre una certa maestria nella lavorazione per ottenere da un’uva così dominante dei vini dai colori quasi eterei e impalpabili che ne preannunciano l’eleganza e la serbevolezza. Del rosato di Varvaglione ho apprezzato la sua estrema bevibilità e piacevolezza. Anche Vivìa regala una bella espressione di Susumaniello della zona di Lecce, vira su tonalità calde, con un profilo olfattivo un po’ più vegetale e speziato di pepe bianco. Un sorso più denso e avvolgente, sostenuto da una bella acidità e un finale ammandorlato che diverte. Arriviamo a Gioia del Colle, sulla Murgia carsica ricca di fossili, con Gioia Rosa di Terre Carsiche, un Primitivo dal sorso fresco e un bouquet floreale in cui predomina la rosa, seguito da piccoli frutti rossi, sensazioni iodate e vegetali di erba tagliata. Gocce di Giada di Vinicola Savese Pichierri , l’altro rosato a base di Primitivo, proviene invece da una zona più bassa e varia a livello pedologico. tanti suoli diversi caratterizzano infatti la Manduria, offrendoci un vino di maggiore spessore con un colore ramato che anticipa un frutto maturo e caldo. Proseguiamo con un Negroamaro in purezza del Salento di Mottura e con un blend di Negroamaro con una piccola percentuale di Malvasia, Taranta Vetrerè della zona di Taranto. In questi vini percepisco anche un potenziale evolutivo interessante. Concludiamo la degustazione con un Negroamaro in purezza della DOC Nardò, molto carico e persistente, che si sposa benissimo con il panettone di Molino Bongermino, del territorio di Taranto, preparato con un po’ di vino Primitivo.
La Puglia, con i suoi vitigni autoctoni e i suoi produttori appassionati, continua a stupire e deliziare, offrendo vini che sono espressione autentica del territorio e della cultura vinicola locale. Per oggi è tutto, un brindisi! Grazie per avermi seguito in questo viaggio attraverso le esperienze sensoriali e le scoperte enologiche di Vinitaly. Ci sono ancora tante storie e assaggi che meritano di essere raccontati, e non vedo l’ora di condividerli con voi nei prossimi articoli. Ma è arrivato il momento di lasciarci alzando insieme i calici e brindando virtualmente a questi meravigliosi momenti di convivialità e passione per il vino. Salute! Benedetta Costanzo
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18 Maggio, 2024

Un secolo di Gallo Nero: io c'ero!

Come in una favola C’era una volta una giovane giornalista del vino, sempre in viaggio e pronta a vivere avventure emozionanti. Grazie al lavoro che faceva si sentiva come Cappuccetto Rosso in una favola moderna. Ma invece di recarsi dalla nonna malata, aveva la fortuna di incontrare belle persone e vivere esperienze uniche in luoghi incantevoli. Domenica scorsa, la nostra eroina si trovava a Firenze, pronta a immergersi in un’altra di queste avventure. Ma non c’era alcun lupo cattivo ad attenderla. Ecco che lì, per festeggiare il suo 100esimo compleanno, c’era un magnifico Gallo Nero, simbolo del prestigioso Consorzio del Chianti Classico. Questa non è la solita fiaba dei fratelli Grimm. Questa è la storia vera e tangibile del Consorzio del Chianti Classico e del suo nobile Gallo Nero. E la nostra giornalista aveva la fortuna di incontrare anche i Galli Neri – i giovani produttori che portano avanti la tradizione e l’innovazione di questa prestigiosa denominazione – e Leonardo Romanelli, una figura iconica nel mondo del vino.
Un cast di personaggi affascinanti e un mondo di avventure da esplorare. E sa già che questa sarà una delle sue avventure più indimenticabili. Intanto un po’ di storia Nel cuore della Toscana, tra le dolci colline che si stagliano contro un cielo azzurro senza fine, si erge una delle regioni vinicole più celebrate al mondo: il Chianti Classico. Questa storia affonda le sue radici nei secoli. Il legame profondo con il simbolo del Gallo Nero risale addirittura al XIV secolo, quando il Gallo Nero era l’emblema della Lega del Chianti, un’organizzazione politico-militare per il controllo del territorio della Repubblica di Firenze. Ma è nel lontano 1716 che la storia del Chianti Classico assume una svolta decisiva, quando il Granduca di Toscana Cosimo III dei Medici emana un bando per stabilire i confini della zona di produzione del Chianti Classico. In quello stesso anno, istituì anche una congregazione di vigilanza per contrastare la diffusa contraffazione di questo vino pregiato, anticipando di fatto l’idea di un Consorzio di tutela.
Ecco perché la data del 1716 è così significativa da essere riportata all’interno del marchio del Gallo Nero che contraddistingue tutti i vini della denominazione.   Una storia continua nel corso dei secoli Nel 1872, il Barone di Ferro Bettino Ricasoli crea la ricetta del Chianti, mettendo in evidenza la centralità del Sangiovese, il vitigno principe della zona, in una “mescolanza di varietà di uve per produrre quel vino di alta qualità”.
Nel 1924, nasce il Consorzio a Radda, con l’obiettivo di promuovere e proteggere il Chianti Classico, distinguendolo dagli altri vini prodotti fuori del territorio di origine. Ma è solo l’inizio di una lunga serie di battaglie che porteranno alla conquista della propria DOCG nel 1996, separandosi definitivamente dalla denominazione del Chianti.
Un’altra tappa fondamentale è il 2005, quando il Gallo Nero diventa il simbolo univoco di tutti i vini Chianti Classico e viene inserito nel contrassegno di Stato applicato su tutte le bottiglie della denominazione: se non c’è il Gallo, non è Chianti Classico.
Nel 2014, l’istituzione della piramide di qualità segna un’altra pietra miliare, con tre livelli distinti: annata, riserva e Gran Selezione, che riflettono la diversità e l’eccellenza dei vini del Chianti Classico. Territorio Il territorio del Chianti Classico ha mantenuto sostanzialmente i confini stabiliti dal bando granducale, con le “capitali” rappresentate dalle città di Firenze e Siena, le quali abbracciano un’area di circa 70.000 ettari che si estende tra le due province.
Per rafforzare ulteriormente il legame tra il vino e il territorio e per aumentare l’identità territoriale e la riconoscibilità di questa eccellenza enologica, nel 2021 è stata approvata un’importante iniziativa: le Unità Geografiche Aggiuntive (UGA). Questo progetto, approvato dall’Assemblea dei Soci del Consorzio del Chianti Classico, prevede l’individuazione di 11 aree distintive all’interno del territorio del Chianti Classico.
Le UGA sono delineate sulla base di criteri specifici, che includono la riconoscibilità enologica, la storicità, la notorietà e i volumi prodotti. Sono sotto-zone caratterizzate anche da peculiarità uniche legate al terroir, al microclima e alle tradizioni vitivinicole locali.
È importante sottolineare che, in questa fase iniziale, le UGA sono applicabili esclusivamente alla tipologia di vino Gran Selezione, la massima espressione di qualità del Chianti Classico. Celebrando il Centenario del Consorzio del Chianti Classico 2024 – il Consorzio del Chianti Classico solleva il calice per celebrare un traguardo storico: cento anni di impegno, passione e dedizione alla valorizzazione di uno dei vini più rinomati al mondo. Il tocco di classe in più: per tutto il fine settimana, è stato possibile brindare ai primi 100 anni del Consorzio nell’elegante calice del Centenario, un simbolo tangibile di un secolo di impegno e successi nel mondo del vino.
Il ruolo del Consorzio va ben oltre la mera tutela del vino. Nel corso degli anni, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità del Chianti Classico e nel promuoverlo sul mercato globale. Attraverso campagne di marketing innovative, eventi enogastronomici di prestigio e una costante ricerca dell’eccellenza, il Consorzio ha contribuito a far conoscere e apprezzare il Chianti Classico in ogni angolo del pianeta. Uno sguardo al futuro e all’innovazione Ma guardare al futuro richiede lo stesso spirito di innovazione e impegno che ha caratterizzato il passato del Consorzio. Oggi, più che mai, il Chianti Classico si trova di fronte a sfide impegnative per rimanere attuale e competitivo non solo nel mercato interno, ma anche nei 130 paesi in cui viene esportato. È essenziale tenere conto delle nuove tendenze dei consumatori e della crescente consapevolezza ambientale e della sostenibilità.
Il settore del vino sta attraversando una fase di trasformazione e adattamento, e il Chianti Classico non è immune da questo cambiamento. Tuttavia, con la sua storia millenaria, la sua cultura vinicola radicata nel territorio e il suo impegno per la qualità, è ben posizionato per affrontare queste sfide in modo efficace. La Tre Giorni di Degustazioni ed Eventi a Palazzo Uguccioni Il programma per festeggiare il centenario del Consorzio del Vino Chianti Classico è stato un vero e proprio viaggio sensoriale. Dal 10 al 12 maggio, nel cuore di Firenze, tra le stradine acciottolate del centro storico, Palazzo Uguccioni si è trasformato in un palcoscenico per celebrare un secolo di eccellenza.
Questo gioiello architettonico è stata la prima sede del Consorzio in cui i 33 padri fondatori hanno iniziato la loro attività nel 1924. L’atmosfera all’interno del Palazzo era carica di storia e fascino, con le sue eleganti sale affrescate e i sontuosi saloni che trasudavano l’aura dei secoli passati. Grazie alla generosa concessione della proprietà, i partecipanti l’evento hanno avuto l’onore di accedere a un luogo che altrimenti sarebbe stato chiuso al pubblico. Questo ha reso l’evento ancora più esclusivo e memorabile, regalando a tutti i presenti un’esperienza autentica e indimenticabile. Il programma Sono stati 9 appuntamenti che hanno animato il fine settimana, ognuno offrendo un’esperienza diversa per gli amanti del Chianti Classico. Tra i momenti salienti del programma ci sono stati 5 incontri con altrettanti chef stellati di Firenze e Prato, i quali hanno presentato alcune delle loro creazioni culinarie in perfetto abbinamento con i vini del Gallo Nero. Accanto a loro, il rinomato esperto di vino Leonardo Romanelli ha guidato gli ospiti in un viaggio gustativo straordinario, esplorando le sfumature e le armonie tra cibo e vino. E poi assaggi al banco con varie annate ed etichette.
Importante lo spazio dedicato ai giovani talenti del settore, con 2 momenti riservati ai Giovani Galli Neri, i produttori under 40 che rappresentano il futuro della denominazione. Con la moderazione di Simon Staffler, essi hanno condiviso le loro visioni e le loro aspirazioni, mostrando come stiano portando avanti l’eredità dei loro predecessori con passione e creatività. La mia esperienza Nell’ultima giornata del weekend celebrativo, ho avuto il piacere di partecipare ai due emozionanti eventi conclusivi.
Il primo, dalle 17:00 alle 18:00, è stato il “Chianti Classico Century” guidato da Leonardo Romanelli. Durante questo incontro, abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare sei vini mentre ci immergevamo in un racconto che mescolava teatro e musica, ripercorrendo gli ultimi 100 anni di storia del Consorzio e del mondo del vino. È stato magico partecipare a un abbinamento musicale unico nel suo genere grazie alla conduzione di Filippo Bartolotta, che ha fuso grandi pezzi del panorama musicale italiano con annate pregiate di Chianti Classico. Assaggi, musica, recitazione e tanti brividi, ma soprattutto, tanta gioia nel cuore per la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di unico e irripetibile. Per questo ho scelto di condividerlo con voi! Vallepicciola – Chianti Classico Riserva 2019 La prima tappa di questo viaggio è stata segnata dal Chianti Classico Riserva 2019 di Vallepicciola, un’espressione autentica del Sangiovese che ha incantato con il suo colore scarico e luminoso. Al naso, le note minerali evocavano l’odore delle pietre bagnate, mentre in bocca la struttura e i tannini ben bilanciati regalavano una piacevole masticabilità. Mentre gli ospiti assaporavano questo vino, la melodia dolce e avvolgente di “Il Cielo in una Stanza” di Gino Paoli riempiva l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia. Questa musica ha reso ancora più dolce l’assaggio e il sapore in bocca, come se aggiungesse un gusto in più, quello dell’emozione di vivere qualcosa di speciale. È stata un’esperienza coinvolgente per i sensi, un incontro tra note musicali e sfumature aromatiche che ha sorpreso e incantato gli ospiti. Le citazioni di Luigi e Bettino Ricasoli Siridolfi, pronunciate da Bartolotta, aggiungevano un ulteriore strato di significato, collegando il presente alla ricca storia del Chianti Classico. La Sala del Torriano – Chianti Classico Riserva 2019 Questo vino, composto per il 90% da Sangiovese e per il restante 10% da Cabernet Sauvignon, prevede una lavorazione rispettosa con delestage e delicate follature. Al primo sorso, emerge una forza delicata, accompagnata da un tannino che richiede tempo per distendersi completamente. Tuttavia, è al naso che rivela tutta la sua complessità: note di viola mammola si intrecciano con un frutto ancora croccante e sfumature di erbe aromatiche, creando un bouquet fragrante e invitante. Si ripete la magia, quando la dolce melodia di “Che male c’è” di Pino Daniele riempie la stanza, trasportando tutti in un’atmosfera di calore e nostalgia.  Fèlsina – Chianti Classico Riserva Rancia 2019 Il viaggio nel mondo del Chianti Classico ci porta ora a Castelnuovo Berardenga, a sud della zona del Chianti Classico, con la riserva storica di Fèlsina, frutto di un singolo vigneto, Rancia, che dona al vino una personalità unica e distintiva. La degustazione è accompagnata dalla musica di Lucio Dalla, con la sua iconica canzone “Attenti al Lupo”. La voce profonda e decisa di Filippo Bartolotta si fonde con il sottofondo musicale, condividendo delle riflessioni sul cambiamento dei consumi, offrendo il punto di vista di Gherardo Ungarelli. È un momento che ci invita a rallentare, ad apprezzare e ad immergerci completamente nell’essenza del vino e nella ricchezza della vita. Rocca delle Macìe – Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli 2015 È un vino che porta con sé il prestigioso nome del suo creatore, Sergio Zingarelli. Composto al 100% da Sangiovese e proveniente dall’UGA di Castellina, è il risultato di un lungo affinamento, ben 18 mesi di invecchiamento in botti da 25 hl seguiti da ulteriori 2 anni di bottiglia. Questa Gran Selezione ha avuto il tempo di sviluppare complessità e profondità, esprimendosi con note terziarie raffinate che virano su un balsamico di eucalipto che invita alla contemplazione. Dopo nove anni dalla vendemmia, il vino si presenta in bocca rilassato e avvolgente, con una densità tannica che solletica gentilmente il palato, con un ritorno balsamico persistente e piacevole che invita a un altro sorso. L’abbinamento musicale con “Gocce di Memoria”, interpretata dalla voce vellutata di Giorgia, con la sua melodia struggente ha permeava l’aria, creando un’atmosfera di intimità e nostalgia che si è fusa perfettamente con il vino, elevando l’esperienza a un piano superiore. San Felice Wine Estates – Chianti Classico Gran Selezione Il Grigio 2015 La degustazione ci porta adesso alla rinomata San Felice Wine Estates (UGA di Castelnuovo Berardenga) che ci regala un assaggio significativo con la sua Gran Selezione Il Grigio 2015 – 90% Sangiovese e 10% vitigni autoctoni – un’altra Gran Selezione che porta con sé le caratteristiche distintive del suo territorio, con note fruttate e speziate che riflettono il microclima e il suolo unici di questa regione. Al naso parte in sordina ma poi in bocca si svela. Ricorda un calciatore che gioca coperto e poi sul finale fa Goal! L’assaggio è accompagnato da due citazioni degli ultimi presidenti del Consorzio, Sergio Zingarelli e Giovanni Manetti: Alla bellezza del Chianti non bisogna mai abituarsi, occorre invece trovare sempre nuovi modi per goderselo.  Altra riflessione sulla coesione tra gli attori di questa comunità chiantigiana che ha reso forte un territorio e una denominazione. Castellinuzza – Chianti Classico Gran Selezione Castellinuzza 2015 (UGA Lamole) La degustazione si conclude con questa Gran Selezione che nasce da un 95% Sangiovese e 5% Malvasia Nera e Canaiolo, due complementari classici che adoro. E anche Lamole perché è un territorio speciale, che a livello pedoclimatico sembra di montagna, caratterizzato dai suoi muretti a secco e le viti ad alberello. L’azienda Castelinuzza di proprietà della famiglia Cinuzzi dal 1400, ha sempre lavorato in modo genuino e con passione fin dal primo vino prodotto nel 1570. Colore trasparente, sentori floreali e note di elicriso e ciliegia. La gustativa è semplice e diretta, scorrevole e sapida. Proprio un gran finale!   Evento conclusivo della due giorni Successivamente, ho partecipato all’evento “Niccolò Palumbo per i 100 del Gallo Nero”, ancora una volta condotto da Leonardo Romanelli. Durante questo momento indimenticabile, abbiamo avuto l’opportunità di degustare dei Chianti Classico in abbinamento ai piatti preparati dallo chef stellato Niccolò Palumbo, del rinomato Ristorante Paca di Prato.
Ascoltare il racconto del vino e la spiegazione da parte dello chef del suo piatto e successivamente verificarne l’armonia sensoriale, è stato un gioco divertente e appagante. Il culmine si è raggiunto con il biscottino artigianale cacao e farina di mandorle con fegatini in abbinamento ad un vino emblema del Chianti Classico: la Gran selezione Il Poggio di Castello di Monsanto 2015.
È stata un’esperienza straordinaria per i sensi, che ha mostrato perfettamente come il Chianti Classico possa sposarsi in modo armonioso con la cucina di alta qualità. Conclusioni e un nuovo obiettivo In definitiva, il centenario del Consorzio del Chianti Classico è stato un evento straordinario, un’occasione unica per celebrare l’unione di intenti e la collaborazione fra le diverse aziende, che hanno caratterizzato l’attività del Consorzio fin dalla sua nascita, trasformando questa realtà in una delle più grandi bandiere del made in Italy nel mondo.
L’evento si è concluso con il discorso di Carlotta Gori, direttrice del Consorzio adottata da ben 28 anni dal Chianti Classico. Con passione ha ribadito l’impegno di voler ripartire simbolicamente proprio dal luogo dove tutto è iniziato, promuovendo la candidatura dell’area del Chianti Classico a Patrimonio dell’UNESCU. Questo perché è uno dei territori più belli al mondo, ricchissimo di cultura, che ha prodotto ricchezza preservando tuttavia l’ambiente.
In Chianti classico ci sono 341 siti storici protetti e grazie a studi impegnativi si sta portando avanti la proposta e speriamo di celebrare presto anche questa corona che senz’altro merita.   Da Firenze è tutto.
Un ultimo brindisi ovviamente con il Gallo Nero.
Cin!!! Benedetta Costanzo
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12 Maggio, 2024

I segreti dello Champagne con il miglior sommelier d’Italia Ivano Antonini

Questa settimana vi porterò in un viaggio straordinario attraverso il mondo affascinante dello Champagne, vissuto personalmente durante una degustazione indimenticabile a Villa Severi, sede della delegazione AIS di Arezzo. Ad accompagnarci in questo viaggio enologico è stato Ivano Antonini, Miglior Sommelier d’Italia nel 2008 ed ex-patron del rinomato Blend4 di Azzate (VA), un ristorante presente sulla prestigiosa guida Michelin. Ma il vero protagonista della serata è stato lo Champagne, non quello delle grandi Maison conosciute da tutti, ma quello che amo definire la “Piccola Champagne” artigianale. Parliamo dei vini dei RM (Recoltant Manipulant), quei produttori che creano Champagne utilizzando esclusivamente le proprie uve. Non si tratta di produzioni su larga scala, né di vini con uno stile uniforme anno dopo anno. Questi sono Champagne che raccontano storie uniche, che fanno vibrare il cuore e le papille gustative. Potrebbero tranquillamente essere considerati vini fermi, poiché le bollicine sono solo un dettaglio di un quadro molto più ampio. Questi vini hanno tanto da raccontare: il territorio, lo stile, l’eleganza e, soprattutto, la qualità. In molti casi, ricordano addirittura i vini della Borgogna per la loro complessità e raffinatezza. Tutti gli elementi per vivere un’esperienza indimenticabile L’inizio di una degustazione è un momento cruciale in cui il relatore può dimostrare non solo la propria competenza, ma anche la sua capacità di coinvolgere e ispirare il pubblico. Ivano Antonini è maestro in questo, studiando attentamente la platea e avvicinandosi al pubblico con empatia e autenticità. La sua passione per il vino traspare in ogni parola e gesto, trasmettendo un senso di entusiasmo contagioso a tutti i presenti. La sua scioltezza e sicurezza nell’esposizione dei concetti evidenziano la sua vasta esperienza e il suo bagaglio di conoscenze. Ivano è veramente “Enocentrico”!
È evidente fin da subito che il vino è la sua vera passione e che è desideroso di condividerla con gli altri.
Inoltre, ci svela i suoi due grandi amori enologici: lo Champagne e il nebbiolo. Questo aggiunge un ulteriore livello di autenticità alla sua presentazione, mostrando che non è solo un esperto, ma anche un appassionato dei vini che sta per degustare con noi. Presenza carismatica, profonda conoscenza del tema della serata e capacità innata di coinvolgere il pubblico: abbiamo tutti gli ingredienti per vivere una grande serata! Let’s go!!! Niente lezioni: solo alcune nozioni generali A questo punto, potrei parlarvi dello Champagne, del territorio e della sua storia, della denominazione. Tuttavia, mi rendo conto che sono stati scritti numerosi libri su questo argomento e che solo accennare al metodo di produzione o descrivere il territorio potrebbe diluire troppo la lettura e distogliere il focus dalla degustazione che stiamo per affrontare.
Pertanto, chiedo un po’ di pazienza ai meno esperti, perché prossimamente dedicherò un articolo completo allo Champagne, che potrà essere una preziosa fonte di informazioni per i neofiti e un utile ripasso o approfondimento per gli esperti. Per ora, vi fornirò solo alcune nozioni generali per affrontare questa splendida degustazione e goderne appieno. Territorio, zone e vitigni La prima regola scritta è che non è Champagne se non viene dalla Champagne. Per cui dobbiamo innanzitutto immergerci non solo nella sua affascinante storia, ma soprattutto nel territorio che lo ha reso unico al mondo. Situata nel nord-est della Francia, questa regione è caratterizzata da un clima oceanico e in parte continentale. Si trova quasi al limite della zona in cui è possibile coltivare la vite: a Epernay ci troviamo al 49° parallelo.
Si contano 34.200 ettari coltivati in quattro regioni, ognuna con caratteristiche specifiche che influenzano il carattere e lo stile dei vini prodotti. Nella Montagne de Reims, le colline gessose con esposizione predominante a sud favoriscono la coltivazione del Pinot Noir, conferendo agli Champagne di questa zona una nota di potenza e struttura. Nella Vallée de la Marne, i terreni argillosi e calcarei agevolano la coltivazione del Meunier, donando agli Champagne una spiccata morbidezza e un bouquet fruttato. Nella Côte des Blancs, i terreni gessosi favoriscono la coltivazione dello Chardonnay, regalando agli Champagne aromi delicati e una straordinaria finezza. Infine, nella Côte de Bar, nell’Aube, i terreni gessosi con tendenza marnosa promuovono la coltivazione del Pinot Noir, offrendo agli Champagne un carattere rotondo e complesso. Ecco alcuni dati che mettono in evidenza la potenza economica dello Champagne 16.200 viticoltori conferiscono spesso le uve alle grandi Maison, che invece sono soltanto 370, oltre a circa 130 cooperative. Le bottiglie prodotte ammontano a 309 milioni, generando un fatturato di 6.3 miliardi di euro, di cui il 66% è destinato all’esportazione. Il principale paese destinatario delle esportazioni è gli Stati Uniti, che importano circa 34 milioni di bottiglie di Champagne. Anche l’Italia non è da meno, con 9.2 milioni di bottiglie importate,  cifra che è in costante crescita. È evidente il debole che gli italiani hanno per queste bollicine francesi, come dimostra anche la partecipazione a questa degustazione. Nel 2015, la regione dello Champagne è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, in virtù della sua importanza storica, culturale ed enologica. Tornando alla nostra degustazione, serve precisare che Ivano ha selezionato delle etichette da intenditore, ognuna con peculiarità svelate durante l’assaggio. La sua scelta di servire i vini in un ordine “geografico”” anziché seguire la tipica logica di struttura o grado zuccherino, è stata sorprendente e intrigante. Ci ha condotto in un viaggio sensoriale attraverso le diverse regioni della Champagne, permettendoci di esplorare la diversità delle proposte. Iniziando da 3 vini del nord della Montagne de Reims, di tre villaggi in posizioni differenti,  e procedendo verso sud con un Rosè dell’Aube, abbiamo attraversato la Vallée de la Marne e la Côte des Blancs. Questo approccio ci ha offerto una panoramica completa della regione, consentendoci di apprezzare le caratteristiche uniche di ciascuna zona. Il primo vino scelto è stato particolarmente interessante in quanto prodotto con il Petit Meslier, uno dei vitigni rari ammessi dal disciplinare, oltre ai tre classici più famosi (Pinot Noir, Meunier e Chardonnay). 1. Brut Nature Petit Meslier 2019 Ecco la storia di un vino raro e prezioso: il Petit Meslier, proveniente dalla tenuta Elemart Robion situata nel comune di Lhéry, nella Montagne de Reims. Questa piccola azienda vitivinicola possiede 4.3 ettari di vigneti coltivati in modo biologico dal 2010e produce circa 12.000 bottiglie all’anno. Lhéry è una zona meno strutturata della Champagne, caratterizzata da suoli ricchi del calcare più antico della regione. La famiglia Robion, presente in questa terra da generazioni, coltiva varietà come Meunier, Pinot Noir, Chardonnay e il raro Petit Meslier, tutti in modo parcellare. Le fermentazioni avvengono con lieviti indigeni, permettendo al vino di esprimere appieno il terroir da cui proviene. Il nome dell’azienda, Elemart Robion, è un omaggio ai figli Catherine e Thierry: Eloi, Leopold e Martin, che rappresentano il futuro della cantina. Note di degustazione Il vino che abbiamo avuto il privilegio di degustare è il Brut Nature Petit Meslier 2019, millesimato prodotto con questo vitigno raro proveniente da una singola parcella. Dopo 36 mesi di affinamento sui lieviti, è stato sboccato nel maggio del 2023 con un dosaggio pari a 0 g/l, mantenendo la sua purezza e autenticità. Bellissimo il colore, luminoso, profondo e con tonalità dorate. Essendo una sboccatura di un anno, non è da ossidazione ma da maturità delle uve. Infatti al naso sentiamo note di frutta piene, non vegetali, impreziosite da tocchi di erbe aromatiche come timo e rosmarino. Esprime delicati profumi di lievitati anche se è il frutto a rimanere in evidenza. Una complessità ricca e matura che con qualche grado in più nel calice si apre ulteriormente. In bocca le bollicine sono il dettaglio meno interessante. e’ talmente pieno e strutturato che si può considerare un vino con le bollicine, meno aggressivo dei classici Champagne, anche se minerale e notevolmente sapido. Gran bella persistenza che ci lascia una bocca ben equilibrata grazie alla nota pseudocalorica che bilancia le durezze.     2. Brut Réserve Premier Cru BdB Marion Perseval – 100% Chardonnay Nel cuore della Montagne de Reims, nel villaggio Premier cru di Chamery, la famiglia Perseval custodisce da diverse generazioni le proprie vigne, estendendosi su circa 20 ettari di terreno. Gérard e sua moglie Marie-Thérèse sono ancora dediti alla produzione dello Champagne, anche se potrebbero tranquillamente godersi una vita da pensionati. Hanno passato gran parte delle loro terre ai figli, mantenendone solo una piccola porzione, sufficiente a garantire loro un’occupazione e a produrre poco meno di 12.000 bottiglie.
La produzione di Gérard Perseval si distingue per l’uso della pressa classica champenoise, la fermentazione delle uve in parte in acciaio e in parte in botte, e gli assemblaggi che riflettono l’anima dell’azienda. Lunghe maturazioni in bottiglia sono la chiave per ottenere vini di alta qualità. La loro preferenza è per gli assemblaggi classici, che combinano tutti e tre i vitigni principali con l’uso sapiente dei vini di riserva. Note di degustazione Tuttavia, il nostro assaggio è qualcosa di speciale: un Blanc de Blancs (BdB) a base di Chardonnay, ottenuto dall’assemblaggio di due annate diverse (2018 e 2020). In contrasto con i classici BdB della Côte des Blancs, questo vino presenta una struttura e una masticabilità sorprendenti. È considerato la punta di diamante della loro produzione, in grado di stupire in ogni annata. Il colore è più delicato, così come il primo naso che rivela le note più sottili tipiche dello Chardonnay. Tuttavia, è un vino profondo e complesso, in cui la struttura e la cremosità si fondono con una mineralità verticale e una freschezza agrumata che richiama il cedro. Qui, non sono le classiche note di pasticceria a dominare, bensì il terroir gessoso che parla della terra di Reims. Un bouquet di incredibile ampiezza eleva ulteriormente l’esperienza gustativa. La sensazione pseudocalorica è meno accentuata, ma c’è una grande concordanza con quanto percepito al naso, dai fiori di acacia agli agrumi, rendendo l’esperienza davvero appagante. 3. Millésime 2015 Pascal Mazet l terzo assaggio ci porta nel comune di Chigny-les-Roses, nella Montagne de Reims, presso Pascal Mazet. Fondata nel 1981 con il matrimonio di Catherine, figlia di viticoltori, e Pascal, figlio di contadini, l’azienda ha una superficie vitata di circa 2.5 ettari, gestiti in regime biologico. Dal 2018, sono affiancati dai figli Olivier e Baptiste. L’approccio di Pascal Mazet alla produzione di Champagne riflette un profondo rispetto per la terra e una passione per l’artigianato enologico. Il risultato sono dei vini di straordinaria complessità e carattere, che incarnano il meglio della Montagne de Reims.
Il millesimato in degustazione, rappresenta l’unico vino aziendale derivante da una singola vendemmia, completamente vinificato e fatto maturare in legno. Viene prodotto solo nelle migliori annate e proviene esclusivamente dalle parcelle meglio esposte. È un autentico specchio del millesimo d’appartenenza, a volte più elegante, a volte più giocato su corpo e struttura, ma sempre profondo e complesso. È un instancabile promotore di terreni sani e profondamente vocati, portando in ogni sorso la storia e il carattere del territorio in cui è nato. Note di degustazione l Millésime 2015 che stiamo degustando è una composizione di 46% Meunier, 30% Pinot Noir, 12% Chardonnay e 12% Pinot Bianco. Dopo la fermentazione malolattica, il vino affina per 12 mesi in legno e poi rimane ben 5 anni sui lieviti. Si tratta di un Dosage zero, e ne sono state prodotte solo 2944 bottiglie.
Il colore colpisce per quella nuance tipica dei Blanc de Noirs che aggiunge calore alla luce che emana. È un colore che esprime anche la lunga sosta sui lieviti e la sboccatura di oltre 2 anni. Al naso, arrivano note molto pulite che combinano eleganza e complessità, con una piacevole freschezza di ribes. In bocca, emerge ancora mineralità, ma anche una “morbidezza” accentuata dall’affinamento in legno. Sono assenti le note vanigliate o tostate, rendendo l’esperienza di degustazione estremamente piacevole. 4. Extra brut Terre de Meunier S.A. Con il quarto assaggio ci spostiamo nella Vallée della Marne, nel comune di Mareuil Le Port, presso Dehours & Fils. L’azienda possiede 14,50 ettari vitati e produce circa 80.000 bottiglie all’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Negli anni ’70, il padre Robert fu un precursore relativamente ai vini di riserva, accantonando il vino nelle annate buone per utilizzarlo in quelle meno favorevoli. Nel 1996 entra in gioco il figlio Jerome, che riorganizza il domaine con l’obiettivo di valorizzare i diversi terroirs, coltivandoli in modo naturale. La sua filosofia è quella di raccogliere le uve a maturità completa sulle 42 parcelle di proprietà, situate sulla riva sinistra della Marna, coltivate al 65% da Meunier. Ogni anno, una singola parcella viene prodotta solo in magnum. Il progetto delle riserve perpetue è iniziato nel 1998 e dal 2021 tutti i parcellari non sono più millesimati ma perpetui. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Terre de Meunier S.A., un vino composto al 100% da Meunier, con uve provenienti da due lieux-dits: Le Patis de Cerseuil (a sud) e Les Vignes Dans le bois (a nord). La base è del 2020, con il 16% di vins de réserve (la più vecchia del 2013). La vinificazione avviene in acciaio, con malolattica svolta, e il vino riposa sui lieviti per 24 mesi. Il dosaggio è di 4 g/l, con sboccatura nell’aprile 2023. Sono state prodotte 12.524 bottiglie di questo straordinario vino. Il colore presenta tonalità con riflessi da Vin Gris. La carbonica è più pronunciata, portando profumi un po’ diversi dagli altri. Emergono note di maggiorana e frutta, mentre in bocca si percepisce una mineralità gessosa, struttura e potenza. Grazie al dosaggio zuccherino, si ottiene un equilibrio avvolgente che non dà percezione dello zucchero: è un vino molto completo. È un peccato che da disciplinare non sia possibile produrre Grand Cru con il Meunier in purezza. Si apprezzano le belle potenzialità di questo vitigno, considerato un tempo di serie B ma che sta dimostrando negli ultimi anni un grande valore. Se penso che è il loro vino di apertura, è proprio il caso di esclamare Chapeau! È il mio preferito in assoluto. 5. Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A. Con il quinto assaggio ci trasferiamo nella mitica Côte des Blancs, nel comune di Cramant, presso Pertois-Lebrun. L’azienda possiede 9,69 ettari vitati e produce circa 35.000 bottiglie l’anno, seguendo i principi della viticoltura biologica HVE. Fondata nel 1955, l’azienda è gestita dagli ultimi eredi della famiglia Perois-Lebrun, i fratelli Antoine e Clément Bouret, che coltivano i vigneti esclusivamente a Chardonnay in 5 villaggi Grand Cru e 2 villaggi Premier Cru.
Dal 2011, Clément si occupa delle vigne della cantina, mentre Antoine gestisce la parte commerciale. Le vinificazioni vengono divise tra legno, acciaio e cemento, ma negli ultimi anni hanno introdotto delle anfore per le vinificazioni separate delle parcelle Grand Cru. Note di degustazione Abbiamo degustato l’Extra Brut Blanc de Blancs Grand Cru Ambitieuse S.A., un vino composto al 100% da Chardonnay proveniente dai villaggi di Chouilly, Le Mesnil-sur-Oger, Oiry e Cramant. È composto per il 50% dalla base dell’annata 2017 e per il restante 50% da vini di riserva perpetua. Dopo la pressatura viene svolta la fermentazione malolattica e il vino riposa sui lieviti per 4 anni. Il dosaggio è di 1.5 g/l e la sboccatura più vecchia della serata risale a giugno 2022. È evidente dalle prime olfazioni che si tratta di un Grand Cru e della Côte des Blancs. Emergono eleganza e tipicità, accompagnate per la prima volta da note spiccate di pasticceria e crema pasticcera. La complessità è amplificata dalla percentuale dei vini di riserva perpetua. Si percepiscono anche note agrumate e una dolcezza legata al frutto evoluto, il tutto sottolineato da un sottofondo gessoso che persiste in bocca, conferendo mineralità e sapidità. 6. Brut Rosé de Brut Rosé de Saignée Saignée 2018 Con l’ultimo assaggio, ci spostiamo nella regione più a sud dello Champagne da Gilbert Leseurre, nel comune di Arrentières (Aube). L’azienda vanta 7 ettari vitati e produce circa 30.000 bottiglie all’anno, seguendo pratiche di viticoltura biologica. Fondata nel lontano 1961, Arrentières è un villaggio piccolissimo, con circa 160 abitanti. I vigneti sono suddivisi principalmente tra Pinot Noir (80%), Meunier (10%) e Chardonnay (10%), distribuiti su 17 parcelle. Nonostante la qualità dei loro vini, sono poco conosciuti in patria poiché la quasi totalità della produzione è destinata all’esportazione. Gilbert rappresenta la quarta generazione di viticoltori, ma nel 1979 ha deciso di cominciare a produrre vino a proprio nome. È sposato con Nathalie Falmet, anch’essa produttrice nell’Aube. Note di degustazione Abbiamo concluso la degustazione con un rosato davvero particolare, il Brut Rosé de Saignée 2018 a base di 100% Pinot Noir. La vinificazione avviene in acciaio e botte nella cantina della moglie Nathalie Falmet, dove il vino riposa sui lieviti per ben 5 anni. Il dosaggio è di 5,5 g/l, e la sboccatura è avvenuta nell’ottobre del 2023. L’assaggio di questo vino è una vera e propria sorpresa. Il rosé può essere prodotto tramite assemblaggio o tramite saignée (macerazione). La Champagne è l’unica regione al mondo che prevede la possibilità di creare un rosé miscelando vino bianco e vino rosso. Nel calice, notiamo subito qualcosa di molto particolare, a cominciare dal colore. Non è il solito rosato con riflessi di buccia di cipolla o color fior di ciliegio; è un rosa peonia pieno, ipnotico e che senz’altro non lascia indifferenti. Anche il bouquet è unico. Come per tutti gli altri assaggi, troviamo come filo conduttore l’equilibrio e la lettura del territorio. Emerge la mineralità del gesso, mentre sono assenti le solite note di pasticceria e pan brioche che spesso identificano questa tipologia di vino. Questa peculiarità rende l’assaggio meno scontato, arricchendo ulteriormente l’esperienza sensoriale. Appuntamento in autunno con un’altra eccellenza In conclusione, l’esperienza di degustare Champagne con Ivano Antonini è stata veramente straordinaria. L’approccio al mondo dei piccoli produttori RM ha aggiunto un tocco speciale alla nostra scoperta delle bollicine, regalandoci emozioni uniche ad ogni sorso. La serata è stata un autentico viaggio sensoriale, arricchito dalla passione e dalla conoscenza di un grande maestro come Ivano Antonini. E non possiamo fare a meno di anticipare un appuntamento imperdibile: siamo riusciti a strappargli la promessa di un’altra serata, questa volta con protagonista un’altra sua grande passione, il Barolo. Quindi, non vediamo l’ora di ritrovarci in autunno per un nuovo viaggio nel mondo del vino, guidati dalla maestria e dalla passione di Ivano Antonini. Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
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4 Maggio, 2024

Orcia Wine Festival: che vi siete persi!

13esima edizione supera tutti i record L’incantevole città di San Quirico d’Orcia ha nuovamente ospitato l’Orcia Wine Festival: dal 25 aprile al 28 aprile, appassionati di vino, intenditori e famiglie si sono riuniti per gustare i sapori dei vini Orcia Doc e immergersi nel tessuto culturale di questo angolo pittoresco della Toscana.
Già alla sua tredicesima edizione, la manifestazione ha preso il via con un notevole aumento di presenze (oltre 1350 gli ingressi), stabilendo un nuovo record di partecipazione. Per chi non è riuscito ad esserci è stato davvero un grosso peccato!!!
Cercherò dunque con questo articolo di condurvi con me alla scoperta di una bellissima kermesse enologica. Un programma d’eccezione Sotto la guida di Giulitta Zamperini, presidente del Consorzio del Vino Orcia, e in collaborazione con il Comune di San Quirico d’Orcia, il festival si è svolto come una celebrazione multiforme che ha soddisfatto tutte le età e tutti gli interessi. Il programma del festival è stato variegato quanto i vini che celebrava, offrendo qualcosa per tutti. Dalle degustazioni guidate da esperti alle attività adatte alle famiglie come l’iniziativa Orcia Wine for Kids, l’evento ha mostrato la versatilità e l’accessibilità dei vini Orcia. Zamperini ha sottolineato il ruolo del festival come piattaforma per mostrare il terroir unico e la qualità in ascesa dei vini Orcia Doc, evidenziando la partnership preziosa con la comunità locale. Il programma del festival ha offerto una proposta vincente per tutta la famiglia. Tra le varie iniziative, ho particolarmente apprezzato l’idea del laboratorio per bambini chiamato “Orcia Wine for Kids”. In questi giorni, spesso vissuti in compagnia della famiglia, questa iniziativa offre un’opportunità preziosa: un laboratorio pensato appositamente per i più piccoli, della durata di ben tre ore, che permette ai genitori di godersi appieno le degustazioni e le masterclass senza preoccuparsi dei figlioli. Durante tutto il festival, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di esplorare le strade storiche di San Quirico d’Orcia attraverso passeggiate urbane e visite guidate, immergendosi nel ricco patrimonio culturale della città. l Museo Barbarossa e il Museo Forme nel Verde hanno accolto i visitatori, offrendo spunti sulla storia e la bellezza naturale della regione.
Questo festival ha regalato un’atmosfera unica, lontana dalla confusione che spesso caratterizza altri eventi simili. Immergiamoci dunque nell’energia travolgente dell’Orcia Wine Festival. Un ringraziamento speciale a Marco Capitoni e al Consorzio Orcia che mi hanno dato l’opportunità di esplorare a fondo i vini, il territorio e le cantine. Ma prima facciamo un salto nella storia della DOC e del territorio. Il vino più bello del mondo! Questo slogan, coniato dalla mitica Donatella Cinelli Colombini, incarna il profondo legame dei vini di questa regione con il territorio della Val d’Orcia, riconosciuto nel 2004 come patrimonio dell’UNESCO, diventando il primo territorio rurale a conseguire tale prestigioso riconoscimento.
La storia geologica e pedologica della Val d’Orcia risale a milioni di anni fa, quando questa regione faceva parte di un vasto mare che si estendeva attraverso l’attuale area conosciuta come Toscana. I movimenti tettonici della crosta terrestre nel corso dei millenni hanno portato all’innalzamento del suolo, emergendo dal mare e dando inizio alla formazione delle catene montuose che circondano la valle.
Le rocce marine e sedimentarie che costituivano il fondale marino hanno creato un substrato geologico ricco di minerali e nutrienti che ha reso la regione estremamente fertile, caratterizzata da una grande varietà di terreni e suoli, che vanno dalla terra argillosa alle rocce calcaree e al galestro conferendo ai vini complessità e struttura. Altro fattore importante è il microclima favorevole alla maturazione delle uve che fa godere di ampie escursioni termine tra giorno e notte, fondamentali per la concentrazione degli aromi e per il mantenimento dell’acidità nei vini. Un po’ di storia della Doc La DOC Orcia è stata istituita il 14 febbraio 2000, su impulso di alcuni produttori e fondatori del Consorzio Vini Orcia, con l’obiettivo di sostenere e promuovere l’immagine del vino e del territorio straordinario in cui viene prodotto. Il Sangiovese è il vitigno principale utilizzato nei Vini Orcia: nell’area sono coltivati anche altri vitigni autoctoni e alloctoni, tra cui Foglia Tonda, Colorino, Merlot, Petit Verdot, Trebbiano, Vermentino, Malvasia, Chardonnay, Marsanne e Roussanne.
La denominazione Orcia DOC comprende varie tipologie di vino: Orcia, Orcia Sangiovese, Orcia Riserva, Orcia Rosato, Orcia Bianco e Orcia Vin Santo. La zona di produzione dell’Orcia DOC si trova tra due rinomate denominazioni enologiche, il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano, famose per la produzione di grandi vini rossi apprezzati in tutto il mondo.
Dodici sono i comuni coinvolti nella produzione di questo vino nella denominazione, situati nella parte sud della provincia di Siena: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia e Trequanda, oltre a parte dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena. Alla scoperta dei volti dell’Orcia Doc Ecco le 20 Cantine partecipanti all’Orcia Wine Festival: Atrivm, Bagnaia, Campotondo, Capitoni Marco, Dirimpettaio, Donatella Cinelli Colombini, Fabbrica, La Canonica, La Nascosta, La Grancia di Spedaletto, Olivi – Le Buche, Palazzo Massaini, Podere Albiano, Roberto Mascelloni, Poggio Grande, Sampieri del fa, Sassodisole, Tenuta Sanoner, Val d’Orcia Terre Senesi, Vegliena. Dopo aver esplorato i banchi d’assaggio allestiti nelle magnifiche sale affrescate di Palazzo Chigi Zondadari, mi sono concessa una veloce rinfrescata e ho indossato un outfit elegante, pronta per un appuntamento imperdibile.
Al centro del festival c’era infatti la “Cena a Palazzo” del 27 aprile, a cui ho avuto l’onore di essere invitata e che ho molto apprezzato. Una festa culinaria curata in collaborazione con l’Alleanza Slow Food dei Cuochi Toscana. Si è trattata di un’esperienza esclusiva: una cena a quattro mani curata dai talentuosi chef Massimo Rossi del ristorante Belvedere di Monte San Savino e Tiziana Tacchi de Il Grillo è Buon Cantore di Chiusi. Cena a palazzo Chigi Sullo sfondo di Palazzo Chigi Zondadari, gli ospiti hanno gustato un menu creato per esaltare i sapori della regione, con ingredienti provenienti dalla “Comunità dell’olivo minuta” di Chiusi e dalla “Comunità della cassetta di cottura” di San Casciano dei Bagni. Ogni piatto è stato abbinato con cura ai vini delle venti cantine presenti al OWF, mostrando la relazione armoniosa tra cibo e vino profondamente radicata nella tradizione toscana. Una bellissima scoperta è stata la Cassetta di cottura, che ha permesso di creare piatti a lunga cottura in modo sostenibile e con risultati eccellenti.     Ecco il menu. L’atmosfera della serata era pregna di soddisfazione per il buon andamento della manifestazione, e si respirava una bella armonia tra i produttori, che oltre ad essere colleghi sono anche amici. Si percepisce un’autentica collaborazione che permette alla denominazione di crescere sempre di più. Risveglio speciale in Val d’Orcia Domenica mattina, il risveglio a Campiglia in Val d’Orcia è stato magico. Cielo terso e un paesaggio mozzafiato. Avevo voglia di correre a Palazzo Chigi per riprendere gli assaggi e soprattutto partecipare alla masterclass con 9 riserve. Ma prima, una ricca colazione e un salto con Paolo Salviucci della Cantina Campo Tondo, ad ammirare le vigne ad alberello. Spero di parlarvene presto in un articolo dedicato, magari quando in autunno sarà finita la nuova cantina!   La masterclass con le Riserve a Palazzo A Palazzo Chigi iniziamo una splendida masterclass che mi permette di valutare i vini Orcia nel tempo. Fondamentale l’introduzione dei produttori e magnifica la degustazione di Andrea Frassineti Delegato ONAV Siena, un vero conoscitore sia del territorio che dei vini. Andrea ci ha accompagnato calice dopo calice alla scoperta di ben nove vini: l’annata 2019 sicuramente ha mostrato di avere una marcia in più. Dagli assaggi più semplici ai vini più complessi è stato un crescendo molto coinvolgente e rivelatore! Altra masterclass interessante è stata quelli dei bianchi, sabato mattina sempre a Palazzo Chigi,  dove è stato possibile paragonare i vari Orcia Bianco DOC  e IGT andando da vini più semplici e beverini come lo chardonnay Il Tavoleto di Campo Tondo fino a vini più complessi ed evoluti come il Toscana Bianco IGT  di Poggio Grande da uve Marsanne e Roussanne che fermentano e affinano per circa il 50% in legno,  creando un vino di grande struttura, complesso e persistente da gustare nel tempo. Ma passiamo agli assaggi più significativi Tra i bianchi mi hanno colpito il Vermentino Toscana IGT BattiBecco 2023 di Bagnaia per la sua mineralità, ma anche l’ORCIA DOC Rosato MaLamore 2023, dal colore tenue ma brillante. Vini molto beverini e ideali per le serate estive. Particolarmente azzeccato il rosato a base di Sangiovese 100%. Due vini diversi ma che in comune hanno la succosità e lo stacco sapido finale. Bravi, perché il sangiovese in purezza nella versione rosata, non è mai facile da lavorare! Un altro assaggio che mi ha colpito è stato il vino frizzante PetNat Fabbrica – Pienza, originariamente parte della gamma sperimentale, prototipo prima di diventare un nuovo prodotto l’anno scorso, con un nome e un’etichetta completamente nuovi! PopNat 2023 è un vino frizzante naturale, con la fermentazione che ha inizio nel tino e si conclude in bottiglia. Nessun solfito aggiunto, non filtrato, chiarificato o degorgiato; si tratta sicuramente di un vino naturale, caratterizzato da un carattere eccentrico e da una torbidezza che ne enfatizza l’originalità. Lo Spumante Rosato brut (metodo charmat) ultimo nato dell’azienda Sassodisole, che produce vino a Montalcino da ben 4 generazioni,  come spiega Roberto Terzuoli, è il sangiovese più festaiolo, che però grazie alla sua struttura, ben celata dietro l’estrema piacevolezza, può essere un vino da tutto pasto. 6 ore di macerazione, presa di spuma in autoclave, colore accattivante, quasi ipnotico: il sangiovese che non ti aspetti! Altro passo per Bulles Metodo Classico Rosato brut, ottenuto da uve Sangiovese in purezza, dell’Azienda Atrivm situata a San Giovanni d’Asso, nel territorio di Montalcino.
Ho avuto il piacere di assaggiare il millesimo 2018, sboccato a gennaio 2024 dopo aver trascorso circa 72 mesi sui lieviti.
Questo vino viene prodotto solo nelle annate migliori, con una produzione limitata a 500-600 bottiglie. Il perlage è fine e il colore delicato, ottenuto grazie a poche ore di macerazione delle bucce. Si tratta di un brut in cui il dosaggio rende il sorso equilibrato e piacevole, con una persistenza che invoglia a continuare a gustarlo. Pluralità di espressione nei rossi fra Orcia doc, Riserve e IGT Passando ai rossi il discorso si complica perché incontro una pluralità di stili e intenzioni che dapprima possono un po’ disorientare ma poi comprendo: alcuni vini sono figli del territorio, altri sono espressione del vignaiolo. Marco Capitoni mi colpisce sempre per la genuinità e la franchezza dei suoi vini. Pur avendo poche etichette, i suoi vini sono identitari e rappresentano un ritorno alle radici per chi conosce questa realtà. Tra le sue creazioni più riconoscibili, troviamo il Troccolone Orcia Sangiovese Doc 2022, un vino che fermenta e affina in anfora di terracotta dell’Impruneta. È una vera e propria “astuzia enologica”, capace di mantenere intatto il frutto e la freschezza del Sangiovese, mentre in bocca addolcisce le sue asprezze. Il Capitoni Orcia Riserva Doc 2020, un Sangiovese con una percentuale variabile di Merlot, incarna lo stile ormai consolidato dell’azienda. Ancora qualche mese di affinamento in bottiglia e sarà pronto a rivelare appieno la sua complessità. Non posso dimenticare la nuova etichetta presentata al Vinitaly, il Merlot in Magnum dal suggestivo nome “L’uomo e l’uva” IGT Toscana 2019, che conferma la costante ricerca di eccellenza da parte di Capitoni. Se desideri comprendere appieno l’essenza dell’Orcia DOC di Pienza, lui è lo stile di riferimento. Le sue vigne, situate appunto a Pienza, si sviluppano su stratificazioni di sabbie e argille plioceniche a 460 metri sul livello del mare. Capitoni Orcia doc è l’unica etichetta che, dal 2001, viene prodotta ogni anno e secondo Marco Capitoni, è come un puzzle. Frutto di un lavoro certosino, il vino passa attraverso vendemmie separate, vinificazioni separate e affinamento in legni separati. Dopo due anni, si decide il blend vincente che, seppur costante, è sempre il risultato dell’annata. Infine, segue un anno di affinamento in bottiglia prima di essere commercializzato, garantendo una qualità eccezionale e una perfetta espressione del territorio. Podere Albiano: tanto impegno e una scommessa vinta
Ci troviamo nel suggestivo territorio di Trequanda, precisamente nella Frazione di Petroio, dove nei primi anni del 2000 Anna Becheri e Alberto Turri decidono di abbandonare Milano per intraprendere una nuova vita nella Val d’Orcia, partendo da zero. Con determinazione e passione, impiantano manualmente le prime vigne in un territorio ricco di ulivi, boschi e altre coltivazioni. Dopo tre anni di sperimentazioni e microvinificazioni, mirate a comprendere le caratteristiche delle uve e le potenzialità che potevano esprimere, nel 2009 inaugurano una cantina nuova e sostenibile.
I nomi dei loro vini sono un omaggio alla tradizione che li circonda, come Ciriè (che significa “è di nuovo”), a simboleggiare la rinascita della vigna proprio nel luogo in cui era sempre stata! Distintive anche le etichette artistiche che richiamano ai paesaggi della Val d’Orcia.
Tra le loro creazioni, l’Orcia DOC Riserva 2019 Tribolo mi ha particolarmente colpito per la sua schiettezza e verticalità, per la freschezza succosa che caratterizza i grandi Sangiovese. Una nota di grafite arricchisce il bouquet, mentre la complessità e la persistenza in bocca sono testimonianza di una vendemmia eccezionale.   La Grancia di Spedaletto e i sogni che si avverano La Grancia di Spedaletto è il frutto del sogno del nonno di Francesco, il quale, all’età di vent’anni, lasciò le Marche insieme alla nonna per intraprendere una nuova vita in Toscana. Qui avviarono un’azienda agricola e, negli anni successivi, il celebre agriturismo del Castello di Spedaletto, situato nel cuore della Val d’Orcia. Nel 2002, anno della nascita di Francesco, sono state impiantate le prime vigne e ha avuto inizio la produzione vinicola. Oggi, la Grancia di Spedaletto è un’azienda vitivinicola di dimensioni ridotte, con circa un ettaro di vigneto, che si distingue per la produzione di due vini, di cui uno è una riserva di Sangiovese in purezza sottoposta a lungo affinamento.
Questa realtà è a conduzione familiare, e recentemente Francesco insieme al cugino, Mirko Pifferi, hanno preso il timone dell’azienda, occupandosi sia della gestione del vigneto che della cantina, con l’obiettivo di combinare tradizione e innovazione. I vini prodotti sono genuini e sinceri, espressione autentica del territorio e del lavoro appassionato della famiglia. Nonostante debbano ancora crescere, l’entusiasmo e la passione per il lavoro non mancano, e questo si riflette nella qualità e nell’unicità dei loro vini. Sornione come un gatto acquattato tra le viti che uniscono vite Quando ascolti Gabriella parlare dei vigneti, dell’azienda e dei vini, è evidente la dedizione e la passione che ci sta dietro, e non manca mai un sorriso sul suo volto. Valdorcia Terre Senesi, situata a Castiglione d’Orcia, ospita i loro vigneti, incastonati tra boschi e altre realtà biologiche, a un’altitudine compresa tra i 380 e i 500 metri sul livello del mare. Oggi, quasi 7 ettari di vigneti si estendono su una collina che guarda il Monte Amiata, con un’esposizione est-ovest che regala una generosa illuminazione solare e un microclima adatto alla vite. In vigna vengono adottate esclusivamente pratiche tradizionali e sostenibili, evitando l’uso di prodotti chimici. Tutta la produzione è tracciata, certificata e controllata.
Accanto al Sangiovese, coltivano varietà come Cabernet Franc, Merlot, Colorino, Pugnitello, Ciliegiolo e Foglia Tonda. Vorrei soffermarmi sulla loro Riserva Orcia DOC 2019  Sornione, un Sangiovese in purezza che affina per 24 mesi in legno e un ulteriore anno in bottiglia. Il nome stesso fa riferimento a un gatto panciuto che attende di catturare il topo, proprio come questo vino attende pazientemente nelle botti panciute di essere gustato. E in effetti, è un vino che cattura l’attenzione con la sua complessità, la sua eleganza e la sua capacità di raccontare il territorio e la passione che vi è dietro ogni sorso. Luca e Giulitta Zamperini e la storia di un amore grande! Sarebbe facile raccontare la storia di un’azienda con una tradizione lunga più di un secolo, eppure Poggio Grande va oltre. Fondata nel lontano 1907 da Giovanni Zamperini, la famiglia ha vissuto per generazioni nella campagna che circonda il Castello di Ripa d’Orcia, dedicandosi con amore e passione alla fattoria e alle antiche tradizioni agricole dell’allevamento e della coltivazione. Ma Poggio Grande è molto di più. Dal 1999 è anche una cantina, grazie alla dedizione di Luca, attuale proprietario, che ha investito tempo e cura in ogni dettaglio. Dalla scelta delle migliori terre per impiantare nuovi vigneti ai metodi sperimentativi utilizzati nei processi di cantina, l’obiettivo è sempre stato quello di ottenere una produzione di alta qualità.
Ma è anche la storia di un padre e una figlia che condividono una grande passione e che tutti i giorni si impegnano nella gestione della vigna e della cantina mettendoci sempre tanto amore. Ed è quello che si ritrova poi nel calice, insieme a una certa “follia” del voler fare tutto a modo suo di Luca. E così nasce la riserva che vi voglio raccontare: Di Testa Mia Orcia Riserva 2019. Solo 1060 bottiglie prodotte non nelle annate migliori (per ora solo 3 annate dal 2015), ma nelle annate che piacciono di più a Luca, in cui ci crede! La storia del vino la potete ascoltare direttamente da loro, io vi descriverò il vino. Nasce da una sola botte di 10 hl che Luca mette da parte per gli amici, le uve migliori provenienti dal primo vigneto impiantato, e fa quasi 4 anni di affinamento in tonneaux di rovere francese e poi bottiglia. Un vino complesso e longevo, che incarna tutta la passione e l’impegno di una famiglia che ha fatto della viticoltura una vera e propria arte. Cantina Campo Tondo e una famiglia che ci crede Cantina Campo Tondo è molto più di un’azienda vitivinicola: è una famiglia che crede nel proprio territorio e nella passione per il vino. L’affinità nata con la famiglia Salviucci è stata immediata e ho apprezzato ogni membro della famiglia. Persone diverse ma con valori saldi, che portano con loro in vigna, in cantina e nel calice. Mi hanno riservato un’accoglienza speciale, e desidero ringraziare in modo particolare Paolo, che domenica mattina mi ha condotto a vedere le loro viti ad alberello, Elena che ha curato tanti dettagli della manifestazione e, in particolare, la cena a Palazzo, e Sabrina, con cui sento di aver instaurato una bella amicizia. Non vedo l’ora di tornare quando sarà ultimata la nuova cantina per poter scrivere e  raccontare di più.
Dal coraggio di Paolo e Sabrina nasce la loro azienda a Campiglia d’Orcia nel 2000. Oggi è subentrata anche Elena, mentre Sabrina continua a dare un supporto importante. I loro vini si possono considerare di montagna, con altitudini che sfiorano i 600 m slm e un microclima caratterizzato da forti escursioni termiche che permettono maturazioni lente e una grande concentrazione di aromi. Vi parlerò dell’Orcia DOC Banditone 2020. Il nome deriva dal toponimo del vigneto La Bandita, la prima vigna impiantata nel 2000 a Sangiovese con qualche filare di Merlot e Colorino. Esiste un legame profondo tra Banditone e Paolo Salviucci perché è il primo vino che ha prodotto, quello in cui si riconosce di più. Si presenta con un colore rubino brillante e un naso preciso e fine che ci parla chiaramente del Sangiovese: note di viola mammola, frutti rossi e speziatura dolce, con delicate nuance leggermente tostate. In bocca si apprezza la sua complessità: freschezza, note balsamiche e una piacevole trama tannica. Il palato è appagante, grazie anche all’ottima spalla acida che lo rende un vino dalla grande bevibilità, una caratteristica che contraddistingue tutti i vini di Campo Tondo. Ci vediamo alla XIV edizione di OWF Vorrei continuare a condividere con voi tanti altri assaggi straordinari, ma temo di dilungarmi troppo.
Pertanto, vi invito caldamente a visitare la Val d’Orcia e i suoi vignaioli, scoprendo personalmente le meraviglie di questa terra e assaggiando i suoi vini unici. Inoltre, non perdete l’occasione di partecipare alla prossima edizione dell’Orcia Wine Festival , in programma dal 25 al 27 aprile 2025. Io ci sarò e non vedo l’ora di incontrarvi e condividere insieme questa straordinaria esperienza enologica! Benedetta Costanzo
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27 Aprile, 2024

Benedetta Costanzo. Il mio Vinitaly 2024

Oltre le Polemiche, i fatti delle Donne del Vino Tra chiacchiere, critiche e polemiche, la 56esima edizione di Vinitaly si conferma come un evento imprescindibile per il settore, ma anche come palcoscenico per discorsi importanti. Quest’anno, in particolare, si è parlato molto del ruolo delle donne nel mondo del vino e delle sfide che ancora devono affrontare. Le affermazioni sulla genetica femminile e il senso di inferiorità atavico e sul bere da sole,  hanno sollevato interrogativi importanti, ma hanno anche offerto l’opportunità di riflettere e discutere su temi cruciali. Quindi mentre Vinitaly chiude i battenti con numeri positivi e un’atmosfera di successo, le polemiche innescate dalle recenti dichiarazioni di Boralevi durante il TG2 Post continuano a far discutere.
Scelgo di guardare oltre le polemiche e di concentrarmi sulle donne che, oltre a bere il vino, sono protagoniste attive nella sua creazione. Il mio Vinitaly Korale In un settore tradizionalmente dominato dagli uomini, è importante riconoscere e celebrare il contributo fondamentale delle donne nel mondo del vino. Esse non solo lavorano nei vigneti e nelle cantine, ma sono anche enologi, sommelier, giornaliste e imprenditrici vinicole di successo. La loro presenza e il loro impegno sono essenziali per l’evoluzione e la crescita del settore.
In questo contesto, la storia di Korale prende vita: un progetto che ho conosciuto al Vinitaly e che voglio far conoscere a tutti per farne un esempio da divulgare.
Nella lotta contro la violenza di genere, ogni iniziativa conta. È con questo spirito che l’Associazione Donne del Vino si impegna attivamente in varie iniziative a livello nazionale e regionale. Oggi voglio raccontarvi di un progetto straordinario portato avanti dalla delegazione calabrese dell’associazione DDV: Korale, il primo vino contro la violenza di genere. Korale: perché tacere non è mai la soluzione
Il nome “Korale”, scelto con cura dall’Associazione, racchiude in sé una storia affascinante da raccontare. Prima di tutto, è un vino “corale”, perché nasce dalla collaborazione di 10 produttrici calabresi, ognuna contribuendo con il proprio migliore rosso, creando così un blend che celebra l’unione e la diversità. Questo connubio di sapori è il risultato della lavorazione di sei vitigni autoctoni: Gaglioppo, Magliocco, Greco Nero, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese e Nocera. L’arte di creare questo mix perfetto è stata curata in cantina dalla produttrice Danila Lento e dalla sommelier Maria Rosaria Romano. Si tratta di un’edizione limitata, solo poche centinaia di bottiglie. Ma ciò che rende questo vino così speciale è il suo scopo: sostenere il Centro Antiviolenza “Roberta Lanzino” di Cosenza.
Il Centro è una struttura fondamentale in Calabria, nata per offrire sostegno e assistenza alle donne vittime di violenza, un luogo che si impegna a non lasciare mai sole le donne in momenti di bisogno. È dedicato a Roberta, una giovane donna che è stata tragicamente vittima di violenza sessuale e omicidio a soli 19 anni. A distanza di 35 anni da questo tragico evento, non è ancora stata fatta giustizia, un fatto che sottolinea ancora una volta le sfide e gli ostacoli che le donne devono affrontare. È davvero triste e sconcertante vedere come ancora oggi le vittime di violenza di genere debbano lottare non solo contro l’abuso stesso, ma anche contro i pregiudizi della società. È inaccettabile che ancora esistano mentalità che suggeriscono che la colpa di ciò che accade alle donne sia in qualche modo della vittima stessa, una mentalità che non solo perpetua l’ingiustizia, ma rende anche più difficile per le vittime ottenere sostegno e giustizia. Obiettivo del progetto Il progetto Korale si pone l’obiettivo di dimostrare che con la solidarietà e la coesione è possibile trovare una soluzione a questa grave problematica. Intanto le bottiglie sono state regalate a chi ha offerto donazioni al Centro Antiviolenza e la campagna è andata benissimo, oltre le aspettative.
La prima presentazione del vino è avvenuta il 3 marzo presso la sede AIS a Cosenza nell’ambito delle “Giornate delle Donne del Vino” che ha visto la partecipazione del Presidente Nazionale delle Donne del Vino, Daniela Mastroberardino. Il tema scelto per le iniziative nazionali e regionali del 2024 è stato “Donne, Vino, Cultura”, un tema che abbraccia i valori fondamentali promossi dall’Associazione Donne del Vino. Questa tematica riflette l’amore per la terra, la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, con un’attenzione particolare al patrimonio vitivinicolo, che rappresenta un tesoro culturale di inestimabile valore. Le “Giornate delle Donne del Vino” Le “Giornate delle Donne del Vino” rappresentano un appuntamento imperdibile per tutte le associate, un momento di unione e celebrazione dell’apporto femminile alla società e al mondo del vino. Dal 1 al 14 marzo, in tutta Italia e in dieci Paesi nel mondo, si sono susseguiti eventi diffusi che hanno dato visibilità al ruolo delle donne nel settore vinicolo. Gli eventi hanno compreso degustazioni, incontri, tavole rotonde incentrate sul tema dell’anno e una campagna social che ha coinvolto le socie in scatti fotografici, valorizzando i contesti paesaggistici di grande valore culturale legati al mondo del vino. Queste giornate risultano importanti per la valorizzazione della cultura enologica e la lotta contro la violenza di genere, come dimostra il lancio del progetto Korale. Korale approda al Vinitaly Ho avuto l’opportunità di degustare Korale e capire il progetto durante il Vinitaly. Infatti il 15 aprile, presso lo stand istituzionale della Regione Calabria, si è svolta la presentazione del progetto e ho partecipato a quest’incontro con molto piacere. La degustazione è stata guidata da Chiara Giannotti, una giornalista stimata e donna del vino, fondatrice di Vino.tv, un blog, un profilo social e una WebTv dedicati al mondo vinicolo. Chiara  Giannotti ha sapientemente condotto l’evento coinvolgendo non solo la delegata regione Calabria Vincenza Alessio Librandi, ma anche altre donne produttrici che hanno condiviso la loro visione e il loro impegno nel progetto. Presenti l’Onorevole Gallo e il Maestro gioielliere Gerardo Sacchi. Etichetta ricca di simbolismo antico Centrale l’intervento di Caterina Malaspina, che ha brillantemente spiegato l’etichetta di “Korale”, ricca di simbolismo mitologico. Molti degli elementi presenti sull’etichetta rimandano alla storia di Persefone, la figlia di Demetra rapita da Ade e costretta a vivere negli inferi contro la sua volontà. La madre, nel suo disperato tentativo di ritrovare la figlia, trascura la natura, portando il mondo alla carestia. Per risolvere la situazione, Zeus interviene imponendo ad Ade di restituire Persefone alla madre. Tuttavia, poiché Persefone ha mangiato sei chicchi di melograno negli inferi, è obbligata a ritornare per sei mesi ogni anno. In quei mesi la terra diventava spoglia e non produceva mentre quando riusciva a liberarsi rendeva fertile la terra: nasceva il mito dell’alternanza delle stagioni. ,
Il nome “Kora-le” trae origine dal greco antico (kora” = donna o fanciulla) ma è anche uno dei nomi con cui veniva invocata la dea Persefone. Questa storia di rinascita e fertilità è incarnata dall’etichetta di “Korale”, che raffigura il profilo del volto di una delle numerose statue ex-voto dedicate a Persefone, che punteggiavano la Magna Grecia. Sostenibilità Korale, oltre a rappresentare l’incontro tra i millenari vitigni della regione Calabria, porta avanti un importante impegno per la sostenibilità ambientale. La sua storia affonda le radici nell’antica tradizione vitivinicola della regione, dove furono i Greci a introdurre la coltivazione della vite. Tuttavia, Korale non è solo un omaggio all’antica tradizione vitivinicola della regione, dove furono i Greci a introdurre la coltivazione della vite. È anche un esempio di come sia possibile coniugare la tradizione vinicola con pratiche sostenibili che includono l’utilizzo di bottiglie più leggere e sottili, riducendo così il loro impatto ambientale e il consumo di risorse durante la produzione e il trasporto. Inoltre, i tappi utilizzati sono completamente riciclabili, contribuendo a minimizzare l’impronta di carbonio del prodotto. Anche l’etichetta di Korale è stata realizzata con materiali eco-sostenibili, utilizzando fibre riciclate. Questa scelta non solo riduce l’utilizzo di risorse naturali vergini, ma promuove anche l’idea di economia circolare, contribuendo a ridurre gli sprechi e a chiudere il ciclo dei materiali. Conclusioni In conclusione, il progetto Korale rappresenta non solo un vino di alta qualità e dal profondo legame con le radici storiche della Calabria e della Magna Grecia, ma anche un simbolo di solidarietà, sostenibilità e empowerment femminile nel mondo del vino. Korale dimostra che è possibile coniugare la tradizione vinicola con pratiche moderne e responsabili in un contesto in cui le donne del settore vinicolo sono sempre più protagoniste. Questo progetto è un esempio di come la determinazione e il talento femminile possano dare vita a iniziative significative per combattere la violenza sulle donne. Questa iniziativa rappresenta l’impegno nella società civile per il miglioramento della condizione femminile e per un futuro migliore. Benedetta Costanzo
benedetta.costanzo@winetalesmagazine.com
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