Diario di un sommelier

Diario di un Sommelier è la rubrica curata da Giuseppe Petronio, amante del vino e sommelier per passione, noto su Instagram come @peppetronio, in cui racconta in modo originale il mondo del vino, i propri assaggi e le esperienze che vive, selezionando le cantine che più lo colpiscono e mettendo sempre avanti i rapporti umani.

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2 Giugno, 2024

Campo alla Sughera: quando il vino è poesia

Campo alla Sughera è situata tra Bolgheri e Castagneto Carducci, con la tenuta che si estende lungo la celebre costa etrusca della toscana, a metà strada tra il mare e la collina. Nei 18 ettari coltivati a vigneto, gli antichi fondali marini, ricchi di fossili, e le loro sabbie ancestrali incontrano le rocce delle alture, che il tempo e le piogge hanno trasformato in ciottoli e argille ricche di minerali. Terreni di grande complessità e finezza che sono stati valorizzati attraverso una scrupolosa analisi dei suoli, con l’obiettivo di creare una zonazione razionale delle proprietà. Oggi, i vigneti di Campo alla Sughera sono suddivisi in unità di vocazione attitudinale, aree vinificate separatamente e dedicate a esprimere una particolare sfumatura dei vitigni bolgheresi qui coltivati, la cui perfetta espressione concorre alla creazione di vini dalla forte identità territoriale. I vitigni internazionali hanno una radice nel territorio sin dal 1944, quando il Marchese Mario Incisa della Rocchetta impianta a Castiglioncello di Bolgheri, su un terreno collinare riparato dai venti, il primo ettaro di vigneto Cabernet Sauvignon. La posizione scelta dalla famiglia Knauf nel 1988 è perfetta: tra mare e collina, sabbie e marne esaltano la naturale complessità e la ricchezza espressiva dei vini del territorio. L’azienda progredisce ed espande le proprie vedute negli anni e nel 2023, con l’acquisizione di 2 nuovi ha di cui 1,5 ha piantati a Cabernet Sauvignon, arricchisce il proprio patrimonio vinicolo con l’obiettivo di incrementare la produzione del suo vino icona, Arnione, proseguendo poi nel 2024 con ulteriori 3,3 ettari, di cui 1 già vitato a Bolgheri DOC, incrementando produzione e la qualità dei vini. Mai trascurato è l’aspetto della sostenibilità: il rispetto dell’espressività dei vitigni passa da una programmazione dettagliata degli interventi in vigna, a stretto contatto con le esigenze della vite e il rispetto del suo ecosistema. Un pensiero globale che si traduce in azioni mirate e concrete per favorire la massima vigoria e la perfetta salute di ciascuna pianta. La vocazione mediterranea e lo spirito internazionale dei vini di Campo alla Sughera trovano la loro consacrazione nel metodo Médocaine, sistema d’allevamento viticolo adottato dai migliori Chateaux di Bordeaux. L’alta densità degli impianti, con un numero elevato di ceppi per ettaro, contribuisce ad aumentare la competizione radicale delle piante, che raggiunge strati più profondi e ricchi di microelementi. Grazie a questa tecnica d’allevamento la vite si specializza sulla produzione del frutto, riducendo l’apparato fogliare e concentrando le qualità polifenoliche e aromatiche in acini più piccoli e dalla buccia più spessa. Altro aspetto fondamentale è la qualità è selettiva che Campo alla Sughera ha scelto, senza fare sconti. Le uve subiscono infatti una triplice selezione: in vigneto, sul tavolo di cernita all’ingresso della cantina e durante la diraspatura, grazie a una tecnologia dedicata al distacco degli acini meno maturi. Le uve giungono in vasca ancora integre, perfettamente sane, e procedono la loro trasformazione in mosto e poi in vino senza mai subire stress di tipo meccanico. Ogni passaggio avviene per gravità attraverso serbatoi sovrapposti sui diversi piani della cantina, i cui locali di vinificazione e affinamento sono stati interrati. Le uve vengono lavorate con la massima cura, per preservarne le caratteristiche organolettiche, i vini vengono lasciati maturare senza vincoli di tempo, in totale armonia con la natura. Il nostro meglio per il vino. Tutta questa attenzione si ritrova in termini di eleganza nel calice. L’invecchiamento in legno non segue protocolli o regole prestabilite, sono le caratteristiche di ciascun vino e della stagione a suggerire la permanenza in barriques e tonneaux, i cui legni sono selezionati per garantire la massima espressività varietale. Ecco i vini prodotti, contraddistinti ciascuno da una breve frase che li contraddistinguono: CAMPO ALLA SUGHERA IGT TOSCANA ROSSO: emozione di terroir – Prodotto dalle migliori uve Petit Verdot dell’azienda e Cabernet Franc, il nostro Super Tuscan rappresenta l’apice dell’espressività territoriale di Campo alla Sughera, pura emozione di terroir che si manifesta nelle forme di un vino elegantissimo, ricco in estratto e polifenoli, la cui finezza sensoriale e piena maturità si raggiungono con un lento affinamento in barriques di rovere francese e maturazione in bottiglia. Prodotto soltanto nelle migliori annate, affina per 18 mesi in barriques e 18 mesi in bottiglia. ARNIONE BOLGHERI DOC SUPERIORE: il cerchio che racchiude la perfezione – Un vino dall’identità inconfondibile, elegante, ricercato, sintesi e summa della perfezione di ciascuna parcella di Campo alla Sughera, di cui raccogliamo e vinifichiamo le uve migliori. Blend di Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc che rivela ad ogni assaggio la felice complessità di Bolgheri, la freschezza del mare e la struttura delle sue possenti colline. Affina per 18 mesi in barriques e tonneaux di rovere per proseguire poi con un ulteriore affinamento in bottiglia per almeno 24 mesi. ADÈO BOLGHERI DOC: piacere, Bolgheri – Da uve Cabernet Sauvignon e Merlot raccolte a mano, selezionate e pressate con grande cura, nasce un vino di eccezionale beva, fresco e fruttato, complessato da fini trame tanniche e ottima struttura. Un’introduzione alle potenzialità di Bolgheri giocata sulla piacevolezza. Affina in barrique di rovere francese 12 mesi e matura in bottiglia per altri 6. Il nome richiama la poesia e la scrittura: Studioso e scrittore greco antico del III secolo a.C., Adèo fu autore di saggi sull’arte e sull’enologia. ARIOSO IGT TOSCANA BIANCO: voce mediterranea – Vermentino in purezza per un vino che esalta le sabbie e le brezze della costa Toscana, un piacere luminoso che accompagna la beva con note sapide e buona struttura. Uve raccolte a mano, con cura, e affinamento in acciaio per preservare la delicatezza del profilo aromatico. Matura in bottiglia per due mesi. Non tutti sanno che Castagneto Carducci in origine si chiamava Castagneto Marittimo, cambiò il suo nome agli inizi del Novecento in onore al grande poeta Giosuè Carducci, che trascorse parte della sua vita proprio lì. È quindi forte il legame tra luoghi e poesia, degustando i vini di Campo alla Sughera ho pensato proprio a come poesia e vino siano simili, entrambi possono raccontare luoghi e storie, farci immergere in pensieri oggettivi e soggettivi e accompagnarci in alcune avventure. E per concludere possiamo solo che richiamare alcuni versi di Carducci da abbinare a queste opere di Campo alla Sughera da leggere tra un sorso e l’altro: Ricordiamo tutti la famosa San Martino:  La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar. O anche E poiché il vino c’era:  … e poiché il vino c’era Riempii la mia coppa. Come pazzo cantando attesi l’alba lunare: a canzone finita i miei sensi se n’erano andati. I vini di Campo alla Sughera sono poesia imbottigliata, non potete perderveli! Campo alla Sughera: quando il vino è poesia A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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19 Maggio, 2024

Tedeschi: aromi di Valpolicella

Ci sono realtà che non possono mancare nel nostro bagaglio di conoscenze del mondo del vino e, per chi come me ama i grandi rossi della tradizione, qui siamo difronte ad una vera eccellenza da non perdere. Quattro secoli di storia e di tradizione vitivinicola, pionieri dei vini cru della Valpolicella, la famiglia Tedeschi dal 1630 interpreta con passione il territorio della Valpolicella. Vini, eleganti e dotati di spiccata personalità, svelano i sapori e gli aromi tipici della terra che caratterizza da sempre la loro produzione e identità. La grande sfida intrapresa dall’azienda consiste nel coniugare lunga tradizione e metodo di ricerca e produzione innovativa all’interno di vini capaci di raccontare la ricchezza del territorio della Valpolicella. I vini Tedeschi sono diventati sinonimo di terroir e di Valpolicella in tutto il mondo, grazie ad un lavoro costante e meticoloso in vigna negli anni. Tedeschi sostiene la ricerca e la sperimentazione, quali strumenti fondamentali per garantire una produzione di qualità. L’azienda, da sempre rispettosa del territorio, è oggi sostenibile, certificata secondo gli standard Biodiversity Friend ed Equalitas. Nulla può essere lasciato al caso: la profonda attenzione alla vigna implica anche la ricerca di ottenere una perfetta interazione tra caratteristiche del terreno, il microclima, l’esposizione, la scelta delle giuste varietà e il sistema colturale, con il fine di ottenere uve perfette. In quanto produttori di Valpolicella, di Amarone e di Recioto in Valpolicella da secoli, accanto alle uve autoctone obbligatorie nei vigneti di proprietà vengono coltivate anche piccole percentuali di cultivar meno note ma altrettanto tradizionali in Valpolicella come l’Oseleta, la Dindarella, la Negrara, la Rossignola e la Forselina. Nel 2010 è iniziato un lavoro di zonazione e di caratterizzazione dei vigneti della tenuta di Maternigo e della zona Classica. La zonazione, ovvero lo studio pedologico dei vigneti, è da anni vista come il punto di partenza necessario per una viticoltura di qualità, una strada impegnativa e onerosa, ma capace di offrire risultati importanti e permanenti. Oltre alla zonazione è stata affiancato il lavoro di caratterizzazione che analizza il terreno e misura il modo in cui la pianta si esprime da un punto di vista vegetativo. Una volta misurate le differenze, è stato dunque possibile intervenire in maniera mirata e capillare al fine di ottenere uno sviluppo vegetativo e produttivo uniforme della vite nell’intero parco vigneti, con evidenti conseguenze positive sulla qualità dei vini. Il lavoro di zonazione e di caratterizzazione ha permesso di preparare una carta dei suoli: Maternigo ha evidenziato l’esistenza di 7 diverse aree con caratteristiche pedologiche proprie per giacitura, terreno, sostanza organica e capacità di drenaggio; nella Valpolicella Classica, sia nel vigneto Monte Olmi sia nel vigneto La Fabriseria sono state invece evidenziate due diverse aree. Per ogni area a vigneto sono state delineate le diverse tipologie di suolo rinvenute. Le analisi mostrano un terroir ad alta vocazione e di grande qualità. Sono le differenze in microelementi, a tratti apparentemente poco significative dal punto di vista quantitativo, a determinare e a definire le peculiarità delle singole parcelle e quindi dei vini prodotti nei diversi vigneti. I risultati ottenuti dalla zonazione e dalla caratterizzazione dei suoli hanno avviato una serie di interventi in vigna. Nel tempo è stato portato avanti un processo di inerbimento per rafforzare le difese naturali del vigneto, un piano di controllo dello stress idrico, un innalzamento del contenuto di carbonio organico, un arricchimento del terreno mediante semina di particolari essenze, con lo scopo anche per rafforzare le difese naturali del vigneto, e l’apporto di concimi organici. Viene inoltre adottata una lotta integrata tramite l’utilizzo di batteri contro malattie come la tignola e la botrite e di estratti naturali per combattere la peronospora e l’oidio. Consapevoli di come la composizione del terreno possa influenzare l’aroma di un vino, in modo pionieristico nel territorio della Valpolicella, Tedeschi ha intrapreso uno studio di caratterizzazione aromatica dei vigneti. Le prove scientifiche dell’esistenza di un codice chimico trasmesso da uno specifico terroir ai vini arrivano grazie ai nuovi strumenti a disposizione dei ricercatori, spinti nei loro studi anche dalla curiosità dei produttori, sempre più interessati a comprendere i meccanismi che generano differenze aromatiche e di longevità nei vini ottenuti da vigneti situati in zone diverse dello stesso areale di produzione. Dopo la presentazione dei primi risultati, nel 2021, di uno studio iniziato nel 2017 svolto dalla famiglia Tedeschi con il Prof. Maurizio Ugliano e in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona sui caratteri aromatici delle uve e dei vini da singoli vigneti e sui principali fattori coinvolti nella loro espressione, arriva oggi un ulteriore aggiornamento, che entra ancora più nel dettaglio di quella che viene definita firma aromatica di un vino. L’identificazione delle impronte aromatiche di ciascun terroir ha comportato l’impiego di una strategia di analisi piuttosto complessa, che si è avvalsa dell’impiego di 4-5 differenti metodi di analisi della frazione aromatica. Questo perché l’aroma di un vino è, da un punto di vista analitico, un mix estremamente complesso, costituito da diverse centinaia di sostanze di cui però solo un numero più contenuto contribuisce all’aroma percepito. Infatti, alcuni dei composti che contribuiscono alle firme aromatiche non sono presenti nelle uve o nei vini giovani, ma si formano con l’invecchiamento. “In particolare, gli studi hanno mostrato che alcuni Amarone, tra cui quelli dell’azienda Tedeschi, si distinguono per la presenza di alcune sostanze odorose dalle caratteristiche olfattive complesse. Tra queste, i cineoli sono di particolare interesse in quanto supportano l’espressione di note aromatiche balsamiche che ricordano a tratti l’odore delle foglie di eucalipto”, sottolinea Ugliano. Affinché i vini possano sviluppare nel tempo questi caratteri, è importante che nelle uve siano presenti alcuni composti, aromaticamente poco odorosi e quindi spesso trascurati dai ricercatori, che poi nell’ambiente debolmente acido del vino formano lentamente i cineoli stessi. Si tratta quindi a tutti gli effetti di una riserva di precursori d’aroma che nel tempo contribuisce ad arricchire il profilo aromatico del vino con nuovi caratteri. “L’aspetto interessante è che l’appassimento, in particolare nel caso della varietà Corvina, aiuta la formazione di precursori d’aroma specifici a supportare poi lo sviluppo di questi sentori balsamici, attraverso meccanismi che ancora non comprendiamo del tutto”, aggiunge Ugliano. Grazie all’impiego di un nuovo metodo di analisi messo a punto dal Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, inoltre, è stato evidenziato il contributo, alle firme aromatiche dei vini, di un altro composto finora poco studiato nei vini rossi italiani, ossia il dimetil solfuro. Si tratta di un composto aromatico che a concentrazioni elevate impartisce al vino odori che ricordano il tartufo e il sottobosco, mentre se presente a livelli più bassi supporta l’espressione di note odorose di frutti neri e cassis. Nei vini giovani esso è pressoché assente, mentre con l’invecchiamento aumenta in maniera significativa ed è considerato un aroma chiave nel bouquet di invecchiamento dei rossi di Bordeaux e di quelli della valle del Rodano a base Syrah.  “Nel corso del nostro studio abbiamo riscontrato livelli elevati di dimetil solfuro in vini ottenuti da uve con un particolare profilo di sostanza azotata, a sua volta riflesso delle interazioni suolo-pianta. Appare legittimo quindi considerare questo composto come uno dei fattori chiave nell’espressione aromatica del terroir di un vino. Nel caso dei terroir studiati, il vigneto Fabriseria e una specifica parcella all’interno della tenuta di Maternigo sono risultati maggiormente associati allo sviluppo di dimetil solfuro nel corso dell’invecchiamento del vino”, conclude Ugliano. Per Riccardo Tedeschi, “lo studio conferma, una volta di più, che l’Amarone è un vino di terroir, dal quale dipende la produzione di vini con caratteristiche di complessità, corpo ed eleganza diverse da qualsiasi altro. A noi il compito di scegliere i vigneti più idonei e di lavorare le uve in modo da farne sprigionare il massimo potenziale”. Tedeschi: aromi di Valpolicella A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio A 1299 A 1468 A 1476
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24 Aprile, 2024

Villa Santo Stefano: la Toscana che non ti aspetti

Il bello del mondo del vino è che non si finisce mai di fare belle scoperte: oggi vi racconto di Villa Santo Stefano. Tutto nasce dall’intuizione del tedesco Wolfgang Reitzle che, dopo molti anni come manager delle più importanti case automobilistiche a livello mondiale, sceglie di produrre il suo vino e il suo olio tra le colline lucchesi, una terra dal clima mite e dai frutti generosi, magari meno consueta rispetto ad altre zone produttive e per questo davvero sorprendente degustandone le creazioni. Wolfgang fin da bambino passava in Italia le sue estati con la famiglia e la passione per la Toscana lo ha portato ad acquistare Villa Bertolli, che doveva essere una casa per passare alcuni mesi in Toscana assieme alla moglie Nina Ruge, e che in poco tempo si è trasformata in una società agricola dedita alla produzione di olio e vino. Oggi l’azienda produce, nei suoi 12 ettari di terreno, circa 50.000 bottiglie di vino e 1.500 litri di olio extra vergine, con una gestione attenta all’ambiente e uno spazio dedicato all’ospitalità. Tutto è iniziato nel 2001 quando Wolfgang Reitzle e Nina Ruge acquistano in Lucchesia Villa Bertolli assieme ad alcuni oliveti e ad un vigneto di circa un ettaro. A seguito della cessione da parte della famiglia Bertolli dell’omonimo marchio a Unilever, i signori Reitzle ribattezzano la villa in onore della omonima pieve del IX secolo che si trova nelle immediate vicinanze. Nasce così Villa Santo Stefano, nelle intenzioni della proprietà come una casa per le vacanze, con una posizione unica sulle colline, la vista mozzafiato sulla valle ed in lontananza sul mare, la vegetazione rigogliosa e la città di Lucca a pochi chilometri. Poi succede che Wolfgang e Nina assaggiano il loro primo olio extravergine di oliva e il vino del loro piccolo vigneto e tutto cambia. Marito e moglie decidono di ricominciare da qui e dedicarsi con impegno all’attività vinicola e olearia. L’impronta nella gestione dell’azienda è un perfetto equilibrio tra la conduzione attenta e rigorosa di Reitzle e l’approccio appassionato della moglie, che nei nomi dei vini ha impresso le sue emozioni. Le scelte in azienda sono spinte dalla volontà imprescindibile della proprietà di perseguire e produrre sempre il meglio, alla ricerca della perfezione. Qui mi piace richiamare una citazione (vista la grande esperienza nel campo automobilistico di Wolfgang) di Henry Ford: “Il più grande nemico della qualità è l’urgenza.” Siamo a nord della Toscana, dove ai borghi immersi tra colline e vigneti si alternano ville nobiliari, giardini segreti con le camelie più rare d’Italia, terme per rilassarsi e un tratto della Via Francigena per un’esperienza di trekking o bici. Il clima è mite e ideale per la coltivazione di olivi e viti. Solo una ventina di chilometri separano la Lucchesia dal mare e dalle sue lunghe spiagge; a nord le Alpi Apuane e gli Appennini la proteggono dai venti freddi. Questo permette a Villa Santo Stefano e il terreno circostante di beneficiare di un clima temperato. La leggera rugiada della notte, il sole del giorno e la lieve altitudine (270 s.l.m.) sono le condizioni ideali per la maturazione di olive di primissima qualità. Tutto ciò ha reso questa porzione di Toscana il cuore della produzione di olio extravergine di oliva, già da diversi secoli. La Cantina di Villa Santo Stefano, costruita nel 2006 e ultimata nel 2014, è dotata di una strumentazione altamente tecnologica. Oltre alla splendida barricaia, composta da ben oltre 150 botti di legno francese, rinnovate annualmente per un terzo, la parte produttiva e di vinificazione si compone di attrezzature che vanno dalla selezione delle uve durante la pigiatura al controllo delle temperature dei tronco conici di acciaio, con utilizzo della macro/micro ossigenazione per favorire un regolare svolgimento della fermentazione, operazioni che possono essere gestite anche da remoto. Questo senza rinunciare alla filosofia dell’azienda, che risponde all’idea di profondo amore e rispetto per la natura e di salvaguardia della sua autenticità. Poche bottiglie, etichette selezionate, natura incontaminata: l’azienda si presenta come una boutique del vino. Nei nomi e nelle etichette dei vini si rivela l’amore per il territorio, che ha dato vita al progetto di Wolfgang Reitzle e Nina Ruge. I vini sono prodotti con uve provenienti da agricoltura biologica e a breve saranno certificati da ICEA. I vini prodotti sono: LOTO Vino Rosso Toscana IGT; GIOIA – Vino Bianco Toscana IGT; SERENO – Vino Rosso DOC Colline Lucchesi; LUNA – Vino rosato Toscana IGT; VOLO – Vino Rosso Toscana IGT. Gli uvaggi, frutto di selezione e accuratamente vinificati, vanno dagli internazionali Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot, Alicante, ai grandi classici toscani primo tra tutti il Sangiovese, insieme al Ciliegiolo, Colorino, Canaiolo e Vermentino. Notevole anche L’olio Extravergine di Oliva biologico DOP Lucca, produzione di un blend toscano (80% Frantoio, 15% Leccino e 5% Moraiolo e Maurino). Un vino in particolare mi ha colpito, si tratta di LOTO, il vino di punta dell’Azienda, composto seguendo la tradizione delle grandi cuvée francesi: 50% Cabernet Sauvignon, 30% Merlot, 10% Cabernet Franc, 10% Petit Verdot. LOTO è il primo vino prodotto dall’azienda, nel 2006. Per ogni vite non vengono selezionati più di quattro grappoli, a garantire il massimo della resa da ogni pianta. La vendemmia e la selezione delle uve sono eseguite a mano e il processo di fermentazione dura 12 giorni. A seconda della tipologia di uva e dell’annata, l’affinamento dura dai 12 ai 18 mesi ed avviene in barrique francesi, in una barriccaia a temperatura (15°C) e umidità controllate. Successivamente il vino viene affinato per sei mesi in grandi vasche di cemento. Al termine viene composta la cuvée e viene quindi imbottigliato il vino, che dovrà attendere almeno altri 6 mesi prima di essere distribuito. Un vino dal carattere internazionale, di grande intensità, che si denota sia dal colore intenso che dalle sensazioni gusto-olfattive che confermano un equilibrio tra sentori di frutta matura come lampone e mirtillo e sentori speziati e terziari di liquirizia e vaniglia, il tutto accompagna un sorso importante e piacevole, sapendo raccontare un territorio che grazie a Villa Santo Stefano sarà sempre più apprezzato da noi appassionati. Cantina da non perdere, una gran bella sorpresa! Villa Santo Stefano: la Toscana che non ti aspetti A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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17 Aprile, 2024

Taverna, un sogno che si realizza

Partecipare ad alcuni eventi e degustazioni di settore permette sempre di fare delle bellissime scoperte, così è stato per me nel partecipare alla scorsa edizione di Nebbiolo nel Cuore e conoscere, con gran positiva sorpresa, Roberto Taverna e i suoi vini prodotti a Neive, uno dei 4 comuni della zona del Barbaresco DOCG. L’azienda di famiglia è stata fondata negli anni ’30. In quegli anni fu Ludovina Versio ad avviare l’attività nel mondo del vino, inizialmente aiutando il marito nella conduzione dei vigneti, ma negli anni ’50 lui la lasciò inaspettatamente vedova all’età di 30 anni, con la figlia Luciana. Non si risposò mai e con grande dedizione continuò a gestire i vigneti e a produrre vini per 30 anni fino a quando il marito di Luciana, Piero Taverna, ne prese le redini e gestì la tenuta per altri 30 anni. L’azienda è stata tra le prime a imbottigliare vini cru di Barbaresco, come quello “Cascina Slizza”, oggi parte di Gaia-Principe MGA, da un singolo vigneto ancora di proprietà della famiglia, nel 1974 sotto il nome appunto di Vina Versio, vedova del fondatore. Sono ancora presenti alcune bottiglie di quella gloriosa annata. Allora la maggior parte dei viticoltori vendeva l’uva o il vino sfuso, ma Vina riuscì a creare e gestire anche bacino di clienti privati, risultando tra le prime a iniziare a imbottigliare il proprio vino in bottiglie da 0,75 l e a produrre anche vini cru. Per la famiglia la coltivazione dell’uva, la produzione e la vendita del vino sono sempre state un’attività secondaria. Luciana era maestra, Piero lavorava per la Regione. Il loro figlio Roberto, diventato ufficialmente proprietario dell’azienda nel 1998 (menzionato nel logo di Taverna), è un elettricista. Ma questo non ha impedito la realizzazione del grande sogno di produrre vini di altissima qualità. Quando è arrivato il turno di Roberto di gestire la vinificazione, ha deciso di portare l’azienda ad un nuovo livello. Nel 2016 infatti richiede la licenza ufficiale di imbottigliatore e produce il suo primo Barbaresco. Nel 2019, diventata evidente la necessità di ampliare la produzione, si concretizza la partnership con Bisso, critico enologico ed enologo “locale” di fama internazionale. Piero aiuta ancora nei vigneti (quasi a tempo pieno) e si prende cura dei clienti privati. Nonna Vina è stata testimone delle prime 5 vendemmie della nuova era prima che arrivasse il suo momento, nell’agosto 2021, a quasi 98 anni. Diceva:  “A volte preferirei vedere o capire meno, ci sono molte cose che mi rendono nervosa nel mondo moderno”, ma ogni tanto chiedeva campioni di vasca e dava consigli. A pranzo o a cena Nonna Vina beveva solo Nebbiolo invecchiato, che lei o Piero avevano prodotto: “A questa età non voglio bere un vino meno importante, me lo sono meritato”. Diverse sono le referenze ma vorrei soffermarmi su due vini che mi hanno colpito particolarmente: Langhe DOC Chardonnay Vigna Gaia-Principe: Gaia-Principe è un cru importante del comune di Neive. La vigna, situata nella sottozona Slizza è una proprietà storica della famiglia Versio / Taverna, estesa per 0,2 ettari, una piccola parte accanto alla più vecchia vigna di Nebbiolo. Il sesto d’impianto non è della tradizione locale: due viti sono piantate accanto una all’altra e potate a Guyot lungo. La distanza fra le “copie” è di 2 metri. Un vino davvero importante, con la combinazione di metodi di produzione francesi e californiani, moltiplicata per la qualità dell’uva di questo cru, pensata per dare un vino di una grande profondità con potenziale d’invecchiamento. Dopo la raccolta l’uva viene pigiata, diraspata e poi pressata. Per pulire il mosto dai residui e particelle varie viene usato un flottatore, un metodo veloce e green. La fermentazione si svolge in tonneau usato di rovere francese senza controllo della temperatura mentre l’affinamento avviene per 14 mesi in tonneau nuovi da 5 hl di rovere francese, su feccia fine. Vino di grandissima eleganza, struttura ma anche piacevolezza. Barbaresco DOC Cottà Senteùndes: Cottà è un cru del comune di Neive. La vigna di dove proviene questo vino è la più piccola e la più giovane fra tutti i nostri Nebbioli. La sua peculiarità è che è piantata esclusivamente con Nebbiolo Rosé, che prima era considerato un clone del Nebbiolo (CN111) ma poi le analisi genetiche recenti hanno rivelato che si tratta di un “figlio” del Nebbiolo e quindi di una varietà diversa la cui origine genetica è sconosciuta. I vini che produce hanno caratteristiche molto simili al classico Nebbiolo, tuttavia ha anche le sue particolarità come il colore meno carico, come di fatti suggerisce il suo nome, assieme alle intense note floreali al naso. Sent-e-ùndes in piemontese vuol dire «centoundici» ovvero il numero del clone del Nebbiolo da catalogo. Un vino dal corpo leggiadro ma che sa esprimersi con grande carattere ed eleganza. Una grandissima e interessante scoperta i vini di Taverna, capaci di competere con i blasonati della zona, vini che rappresentano una storia di famiglia e un sogno realizzativo che si concretizza nel modo migliore, con qualità e carattere, da non perdere assolutamente!! Taverna, storia di una vita e di un sogno che si realizza A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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9 Aprile, 2024

Vignamaggio: sintonia con la natura

Realtà come Vignamaggio non possono assolutamente mancare nel nostro bagaglio di conoscenza, ecco perché ve la racconto oggi. Adagiata sulle colline del Chianti, tra boschi e ruscelli, Vignamaggio rappresenta un grande giardino dove il vigneto è parte integrante di un sistema agricolo biologico in cui uomo e terra vivono in sintonia in una comunità sostenibile, reinterpretando la tradizione policolturale delle tipiche fattorie toscane. Una tenuta di 400 ettari tra Greve e Panzano in Chianti, patrimonio condotto a regime biologico che si integra con il paesaggio circostante all’interno di una visione policulturale e che, oltre alla centralità del vino, comprende la cura del bosco, gli uliveti, i cereali, gli orti, l’allevamento di maiali di Cinta Senese e di pecore. Osservando il loro marchio si possono scorgere tutti questi elementi, infatti insieme alla Villa, simbolo di accoglienza e dell’offerta di ospitalità che offre Vignamaggio, ci sono la vigna, il giardino riqualificato, gli olivi, simbolo della produzione storica, e i cereali, rappresentativi della diversificazione colturale, tutti a testimonianza della molteplice attività dell’azienda. Oggi Vignamaggio è un microcosmo produttivo retto da un ecosistema autosufficiente: un laboratorio di biodiversità che pensa al presente per progettare il futuro di un’agricoltura sostenibile, il più possibile varia e interconnessa. Le cantine quattrocentesche della villa di Vignamaggio costituiscono il punto di partenza di un lungo percorso cominciato più di 600 anni fa. Oggi Vignamaggio è una fattoria biologica con una cantina all’avanguardia e produce vini di alta qualità, esprimendo le peculiarità dei diversi terroir della tenuta. La prima attestazione della produzione vitivinicola a Vignamaggio risale al 1404. In una pergamena dell’epoca venuva pianificava l’utilizzo delle botti vuote a disposizione e stabiliva quanto vino elargire all’assetato destinatario della lettera. I vigneti di Vignamaggio coprono una superficie di oltre 70 ettari, coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica. Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Malvasia Bianca e Trebbiano costituiscono i vitigni principali della tenuta, ma un particolare riguardo è stato rivolto al recupero di alcune varietà di viti locali come il Canaiolo nero e il Mammolo. Nella cantina di Vignamaggio si svolge tutto il processo di vinificazione, dalla selezione delle uve raccolte all’affinamento del vino in barriques e in grandi botti di rovere. Durante la vendemmia, sulla terrazza superiore, che costituisce il tetto della cantina stessa, vengono selezionate le uve; da qui esse scendono per caduta nei serbatoi in acciaio sottostanti, dove inizia il processo di fermentazione. Vignamaggio è una delle più antiche aziende agricole d’Italia, annoverata tra le aziende fondatrici del Consorzio del Chianti Classico, di cui è ambasciatrice nel mondo con i suoi prodotti d’eccellenza tra cui il Chianti Classico Riserva Gherardino e il Gran Selezione Monna Lisa. Il nome del CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA GHERARDINO è dedicato a Gherardino Gherardini capostipite della illustre casata che edificò Vignamaggio nel XIV secolo. Questo vino viene prodotto con uve Sangiovese per l’80-90% e Merlot per il 10-20%. Dopo le fasi di raccolta e vinificazione, si effettua un affinamento di circa 18-20 mesi in botti e barrique di rovere. Le uve provengono dai vigneti del Prato (Ovest), Solatio (Sud-Ovest) e di Querceto (Ovest/Sud-Ovest). Il CHIANTI CLASSICO DOCG GRAN SELEZIONE MONNA LISA: la villa rinascimentale di Vignamaggio è opera della famiglia Gherardini, la cui fama è legata alla figura leggendaria di Monna Lisa de Gherardini, la celebre Gioconda ritratta da Leonardo da Vinci tra il 1503 e il 1506. Folclore e storia si fondono e confondono nei secoli a venire: l’assonanza tra Via Maggio a Firenze (luogo di nascita di Monna Lisa) e Vignamaggio, unita al paesaggio ritratto da Leonardo, hanno portato molti a ritenere erroneamente che la Gioconda fosse nata qui. Per questa ragione, ancora oggi, la figura della Monna Lisa è legata a Vignamaggio, che ha voluto dedicarle questo vino. Il Chianti Classico Gran Selezione viene prodotto solo nelle annate migliori, con le uve aziendali provenienti dai vigneti più vocati, ovvero quelli del Prato (Ovest), Solatio (Sud-Ovest) e Querceto (Ovest / Sud-Ovest). L’uvaggio è costituito da Sangiovese per il 95% e da Cabernet Sauvignon per il 5%. Il vino è affinato in parte in barriques di rovere francese per 18-20 mesi e in parte in botti più grandi. L’affinamento complessivo minimo è di 30 mesi, di cui almeno 6 in bottiglia. Di grandissimo pregio anche le espressioni internazionali di Vignamaggio. IGT TOSCANA ROSSO CABERNET FRANC DI VIGNAMAGGIO è un vino storico dell’azienda, il Cabernet Franc di Vignamaggio viene prodotto con uve provenienti da viti di oltre quaranta anni, riscoperte per caso negli anni ’90 nei vigneti Solatio (Sud-Ovest) e Orto (Est). Il vino che si ottiene sfugge agli schemi tradizionali, infatti le bassissime produzioni per pianta e il clima piuttosto caldo della zona, rendono questo vino pieno e ricco di tannini eleganti. Il vino è affinato per 18-20 mesi in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte di secondo impiego, per poi proseguire con un lungo affinamento in bottiglia. L’IGT TOSCANA ROSSO MERLOT DI SANTA MARIA: Dopo oltre 25 anni di coltivazione del Merlot a Vignamaggio, l’azienda ha deciso di dedicargli un cru, espressione del vigneto migliore chiamato appunto Santa Maria a Petriolo, situato poco distante dalla Villa ed esposto ad ovest. Il Merlot di Santa Maria unisce alle note fruttate del vitigno, l’eleganza e la freschezza tipiche di Vignamaggio e del territorio di Greve. Il vino è affinato per circa 20 mesi in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte di secondo impiego, e successivamente per almeno 6 mesi in bottiglia. I vini di Vignamaggio vogliono esprimere l’essenza stessa di questo territorio con l’obiettivo di trovare persistenza, colore, equilibrio, profumo e storia, in un unico sorso, vini da non perdere e che non possono mancare nel vostro bagaglio di conoscenza! Vignamaggio: storia e qualità in sintonia con la natura A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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3 Aprile, 2024

Le Masche: qualità dal cuore dell’Alto Canavese

Cari amici, oggi parliamo di un territorio meno usuale del solito, siamo in Piemonte, nella zona nord della Provincia di Torino, in particolare, sulle colline dei comuni di Levone e Rivara. Qui nel 2007 nasce l’Azienda agricola Le Masche, dal desiderio del giovane Lorenzo Simone che, mosso da una grande passione per il proprio territorio e per la viticoltura, recupera all’avanzare del bosco circa 10 ettari di terre vitate. Nel 2013 terminati gli studi di agraria, decide di intraprendere in maniera concreta questa esperienza professionale realizzando la sua cantina. Egli stesso segue costantemente tutte le fasi del ciclo produttivo dal vigneto alla cantina puntando sempre ad esprimere al massimo le qualità dei suoi vigneti e del suo vino, con l’obiettivo di valorizzare le denominazioni della Doc del Canavese producendo un vino che possa diventare immagine del suo territorio. Il vitigno più rappresentativo, il Nebbiolo, lo ritroviamo nel Vigneto “Gaiarda”. Sul versante con esposizione a Sud / Est della collina di Rivara caratterizzato da un terreno sabbioso ghiaioso. Questo versante grazie alla sua esposizione permette un clima ventilato e mite durante tutto l’anno che conferisce una maggior sanità e maturazione delle uve. Le vigne storiche e più antiche sono situate sulla collina di Rivara in località Vigna Grande e Vigna Veja dove i vitigni principali: Barbera, Freisa, Uva rara, Neretto, Chatus ed altre varietà autoctone producono il Canavese Doc. Ulteriori vigneti di Barbera, Pinot e Cortese sono situati nel comune di Levone, sul versante Est del Monte Sepegna rivolti verso la collina di Pescemonte, vigneti scoscesi caratterizzati dalla presenza di rocce di tufo emergenti ai bordi dei vigneti che catturano il calore durante il giorno per rilasciarlo durante la notte. L’azienda, a testimonianza del rispetto per l’ambiente e autenticità del prodotto, accompagnato da passione e ricerca di qualità, è certificata SQNPI – Sistema di qualità nazionale di produzione integrata. Come detto, a farla da padrone è il Canavese Nebbiolo DOC, prodotto nelle versioni Gaiarda, macerazione a contatto con le bucce circa tre settimane in vinificatore controllato e affinamento di 18 mesi in legno e almeno 12 mesi di bottiglia, Gaiarda A l’è Chièl, macerazione sulle bucce più lunga, di circa 50 giorni cui segue poi un affinamento di 18 mesi in barrique di rovere e almeno 12 mesi di bottiglia, versioni che risaltano le tipicità del nebbiolo con una distinta nota speziata balsamica, e il Roccia, versione più giovane e delicata che fa solo acciaio. Molto interessante per eleganza e struttura anche il Piemonte pinot nero DOC spumante 1474, uve in purezza vendemmiate tra la fine di agosto e la prima settimana di settembre, rapida e delicata pressatura delle uve senza sgretolamento della massa e avvio della fermentazione alcolica a temperatura controllata e fermentazione di circa 10-15 giorni. Affinamento sui lieviti in vasca di acciaio per 4-5 mesi. In bottiglia affina poi per un minimo 36 mesi. Notevoli infine il Canavese Barbera DOC Bonaveria, l’Erbaluce di Caluso DOCG Antonia e il Canavese rosato DOC Francesca prodotto da Barbera e Nebbiolo. Un viaggio davvero notevole in una zona del Nebbiolo diversa dal solito, vini realizzati con cura e sapienza, testimoni del territorio, da non perdere! Le Masche: qualità dal cuore dell’Alto Canavese A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio OLYMPUS DIGITAL CAMERA
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27 Marzo, 2024

Costa di Bussia: pionieri del Barolo

L’azienda agricola Costa di Bussia si trova tra Barolo e Monforte d’Alba, il cuore delle Langhe, e vanta quasi 150 anni di storia. Siamo sulla famosa collina della Bussia, circondati da vigne che scolpiscono un panorama dichiarato Patrimonio dell’Unesco: le Langhe. La cantina viene infatti fondata nel 1874 da Luigi Arnulfo, considerato il Pioniere del Barolo per le sue innovative imprese nel mondo enologico locale e nel mercato internazionale del vino. Pensate, fu il primo produttore ad esportare il Barolo nel Nord America nel 1890! Visse un’epoca storica piuttosto drammatica per la viticoltura a causa delle epidemie di oidio, peronospora e fillossera, che decimarono i vigneti in tutta Europa. La ricerca di soluzioni a queste calamità produsse grande fervore scientifico e lo stesso Arnulfo viaggiò in Francia per aggiornarsi circa l’utilizzo dell’innesto su viti americane, adottò i moderni strumenti di cura del vigneto e sperimentò nuovi sistemi di coltivazione”. Egli fu, inoltre, pioniere del marketing e delle menzioni geografiche. Già a fine 1900 fece realizzare uno specchio da appendere nelle osterie o nei caffè per pubblicizzare il suo brand. La sua storia è raccontata nel Museo Storico a lui dedicato, cuore del percorso di visita ideato per mostrare la tenuta e i suoi undici ettari di vigneti, la cantina e le varie fasi di vinificazione e produzione dei vini. È innegabile che un buon vino nasce in vigna, grazie alle caratteristiche del terreno, all’esposizione al sole ed al clima, fattori naturali che vengono valorizzati da mani sapienti che ne sanno esaltare le qualità. La zona nota come Bussia è un “cru” riconosciuto per la produzione di vino, in particolare di Barolo. Questo terreno argilloso è infatti ricco di sali minerali che vengono trasferiti dalle viti all’uva ed infine al vino, arricchendolo in struttura e complessità. La pendenza dei filari, che difficilmente permette l’uso di mezzi meccanici, esalta però la qualità del prodotto. La mappa che trovate nella galleria fotografica rappresenta la suddivisione delle vigne attualmente coltivate ed è incredibile come ciascuna porzione abbia delle caratteristiche geo-climatiche proprie che vanno assecondate sia durante i lavori stagionali, sia durante la vinificazione, per poi ritrovarle anche nel bicchiere. Ed ecco i preziosi prodotti Costa di Bussia: Langhe doc Chardonnay, Dolcetto d’Alba doc, Barbera d’Alba doc, Barbera d’Alba doc vigna Campo del Gatto, Langhe doc Nebbiolo Arcaplà, Barolo docg Bussia, Barolo docg  Bussia Campo dei Buoi, Barolo docg  Arnulfo (0,75 L e 3 L), Barolo docg Riserva, Barolo Chinato e Grappa di Barolo. Tra questi vorrei soffermarmi, senza nulla togliere agli altri, sul Barolo D.O.C.G. Bussia Vigna Campo dei Buoi, annata 2016, che ho avuto il piacere di degustare, al quale sento di associare un aggettivo che ne riassume l’essenza: elegante. Un Nebbiolo di grande espressione, uve provenienti esclusivamente dalla vigna storica “Campo dei Buoi”, già menzionata nell’atto di acquisto del 1874, con la citazione “Campo detto terra dei buoi” riprodotta sull’etichetta del vino. Vigna esposta esclusivamente a sud di estensione poco più di un ettaro. I filari partono da quota di 250m e arrivano fino a 350m. In questa particella, la componente principale è la marna, mentre argilla e arenaria sono minoritarie. L’elevata presenza di carbonati garantisce un perfetto equilibrio idrico, sì da fornire risposte adeguate anche in caso di annate difficili. Le componenti minerali, quali potassio, fosforo, calcio e gli altri elementi, sono ben bilanciate e consentono una perfetta maturazione dei grappoli accompagnata da una ricchezza in componenti. Ricchezza ed equilibrio che ritroviamo anche nel calice, un vino che tra frutto, spezie, nota balsamica e tannino perfettamente levigato, regala un grandissimo piacere di beva. Abbinato perfettamente ad un filetto al tartufo, puro godimento. E per chi volesse immergersi a pieno nella vita di Langa, occorre segnalare anche l’Agriturismo Costa di Bussia ricavato in quello che era l’appartamento di Luigi Arnulfo. Un agriturismo immerso nei vigneti in cui rifugiarsi per vivere una vacanza slow, dove il ritmo del tempo è scandito solamente dalla natura che ci circonda. Una cantina di altissimo livello che produce vini che meritano davvero tanto e che devono essere nella cantina e nel calice di tutti noi appassionati, davvero consigliatissima! Costa di Bussia: pionieri del Barolo A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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20 Marzo, 2024

Rocche Costamagna: una storia di eccellenza

Cari amici, appassionati di vino, oggi vi porto in uno dei luoghi di produzione a noi più caro, siamo in provincia di Cuneo, in particolare a La Morra, zona altamente vocata, non a caso il più importante comune della denominazione Barolo in quanto a produzione enologica e numero di viticoltori. Proprio qui una delle più storiche realtà vitivinicole è rappresentata da Rocche Costamagna, cantina con una storia di dedizione alla vite e al vino che, nel corso del tempo, ha saputo elevare la qualità delle proprie etichette, valorizzando lo straordinario terroir di La Morra e, in particolare, esaltando i frutti del prestigioso cru del Barolo Rocche dell’Annunziata, che l’azienda ha l’onore di coltivare da oltre due secoli. Le storiche cantine di epoca napoleonica, restaurate e riportate all’antico splendore, ospitano oggi un’elegante struttura ricettiva, dove l’esperienza del Barolo incontra la calda e generosa accoglienza delle Langhe. Le origino sono rappresentate all’origine dal Regio decreto del 15 maggio 1841, con il quale si concedeva a Luigi Costamagna, figlio di Francesco Antonio, un permesso per il «commercio di vino al minuto […] per il vino prodotto dalle uve dei suoi vigneti” ubicati in La Morra». È il primo documento che attesta la vocazione enologica dell’azienda. Un atto importante perché sanciva limiti quantitativi e geografici dei vini allora prodotti, riconoscendo ai Costamagna un certificato di eccellenza, all’interno di un territorio specifico, quello del comune di La Morra. Nel 1911, Francesco Costamagna vince la Medaglia d’Oro al Gran Premio dell’Esposizione Internazionale di Torino: un riconoscimento per aver presentato cinquant’anni d’ininterrotta produzione. Negli anni viene mantenuto saldo il valore delle Rocche dell’Annunziata e dei vigneti lamorresi, trasmettendoli alle nuove generazioni che continuano a coltivarli e vinificarli. Alla fine degli anni ’60 I i vigneti vengono reimpiantati e razionalizzati, le storiche cantine di La Morra ristrutturate e dotate di nuove tecnologie enologiche. Tanta anche la cultura che ruota intorno all’attività agricola, si susseguono negli anni, infatti, manifestazioni culturali che valorizzano il Piemonte sotto gli aspetti dell’arte locale, la microstoria, le minoranze e la cultura enogastronomica, ma anche eventi in cui si discute di enogastronomia attraverso convegni, libri, saggistica. Pionieri anche dell’accoglienza in cantina, con la cantina che era già aperta dalla metà degli anni ’70 per degustazioni e visite guidate. Gli anni ’80 segnano l’ingresso in azienda di Alessandro Locatelli, oggi titolare dell’azienda. In quel periodo il Barolo comincia a svelare il suo potenziale e ad affermarsi come uno dei rossi più apprezzati e prestigiosi al mondo. Segue un periodo dedicato al miglioramento della gestione dei vigneti e alla cura nella vinificazione: anni di esperimenti, di innovazioni in vigna e in cantina, ma soprattutto di esperienze nuove, volte a trovare e sedimentare tecniche in grado di esaltare e sottolineare le già incredibili caratteristiche del terroir di La Morra e la spiccata personalità delle Rocche dell’Annunziata. Valorizzare i vitigni autoctoni a partire dalla vigna, conoscere bene le parcelle, i filari, i ceppi, i terreni, il microclima, saper adattare tecniche e operazioni in base alle reali necessità delle piante, rispettando il loro naturale equilibrio e portando i frutti a piena maturazione, senza stressare o forzare i ritmi della natura: questa è la sintesi della viticoltura sostenibile adottata da Rocche Costamagna negli ultimi vent’anni. Una serie di attenzioni e cure per limitare i trattamenti e accudire i vigneti in un’ottica di conservazione nel lungo periodo del patrimonio viticolo inserito nel famoso contesto ambientale e paesaggistico delle Langhe Albesi. «In vigna è inutile avere fretta. Vige una sola regola: la perfetta maturazione delle uve e la tempestiva raccolta. È questo il punto di partenza da cui nascono grandi vini» Alessandro Locatelli La parte verde delle vigne viene attentamente lavorata in ogni fase dell’anno, secondo interventi tempestivi e dedicati, al fine di ridurre i rischi fitosanitari e limitare gli interventi di ogni genere, praticando attenti diradamenti, volti a concentrare la qualità delle uve in pochi grappoli ben maturi. Le vigne, in buona parte ripiantate a partire dagli anni ’90 dopo un’attenta valutazione del terroir e delle caratteristiche pedologiche di ciascun suolo, sono state preparate con un’impostazione razionale con l’obbiettivo principale dell’uniformità della produzione qualitativa. Per poter contenere il vigore vegetativo da parecchi anni si pratica l’inerbimento, evitando lavorazioni con attrezzature che alterino la struttura del terreno, impoveriscano i suoli e favoriscano l’erosione superficiale. Un percorso verso la gestione sostenibile dei vigneti, con l’eliminazione del diserbo sottofila e l’impiego privilegiato di rame, zolfo e induttori di resistenza. La cantina produce diverse etichette, con Nebbiolo, Dolcetto, Barbera, Arneis, ma a risaltare è senza dubbio il Barolo Rocche dell’Annunziata, presente anche nella versione Riserva. La parcella aziendale, nell’omonima frazione, è posseduta e coltivata dalla famiglia Costamagna fin dall’800. Rocche Costamagna possiede in quest’area un corpo unico di 3,2 ettari coltivato a nebbiolo da Barolo, sormontato dalla Cascina Costamagna. Si tratta di una parcella stretta e lunga ubicata tra i 350 e i 310 metri di altezza, quindi nella fascia ottimale di produzione del Barolo, con esposizione prevalente a Sud-Est, aspetto caratteristico che rende la zona più fresca rispetto ai versanti esposti ad Ovest, delle stesse Rocche, favorendo maturazioni più lente e tardive. I suoli, caratterizzati dalla stratificazione di marne e argille grigio-azzurre appartenenti alla formazione geologica denominata “Marne di Sant’Agata Fossili” (tra gli 11 e i 7 milioni di anni fa), hanno una grande capacità di trattenere l’acqua ed evitare gli stress idrici nei periodi di siccità. I vini qui prodotti hanno un’identità fortissima: eleganti, morbidi e suadenti, sono estremamente complessi nella componente olfattiva, floreale e balsamica, con evidenti note di eucalipto. I vini di Rocche Costamagna non possono mancare nel vostro bagaglio di degustazione, vini che lasciano il segno, e che vi consiglio davvero di portare nella vostra cantina e nel vostro calice! A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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13 Marzo, 2024

Francesco Rosso: tradizione di famiglia nel cuore del Roero

Ci sono cantine che scelgono l’autenticità e fanno del rispetto della propria filosofia un caposaldo della produzione, e noi appassionati di vino non possiamo che esserne felici. Parliamo dell’Azienda agricola Francesco Rosso.  Siamo a Santo Stefano Roero, appunto nel cuore della produzione dell’omonima denominazione, dove la famiglia Rosso ha sempre avuto uno stretto legame con la terra e con l’agricoltura che si tramanda da generazioni. A partire infatti da Nonno Francesco, che lasciò prova del suo amore per la vigna e per la produzione di un “buon Nebbiolo”, come traspare da un vecchio quaderno tuttora conservato in cantina, passando a Papà Domenico, che scelse di privilegiare il settore degli ortaggi, fino ad oggi, arrivando a Francesco, che dal 2001 conduce l’azienda seguendo le orme del nonno arrivando nel 2012 alle prime etichette di vino del Roero firmate con il proprio nome. Oltre alla sua mano tutto il lavoro di produzione si svolge insieme ad una piccola grande squadra di famiglia composta dalla moglie Maria, i due figli Alex e Giulia, e la nonna. Ma appunto la filosofia di questa realtà è la cosa che risalta assolutamente e che la distingue dagli altri. la cantina, volutamente di piccole dimensioni (3 ettari e mezzo di vigna), segue la filosofia della gestione interamente familiare; tutti i principi della lotta integrata vengono seguiti anche senza avere la certificazione biologica poiché si ritiene che non vi sia alcun bisogno di una certificazione se è il vino a dare tutte le risposte (tra le altre cose, i livelli di solforosa hanno valori conformi ad un vino certificato); la tecnica di mantenimento delle piante è la stessa utilizzata per sé stessi: “non crediamo nelle medicine, ma all’occorrenza, se ci ammaliamo e abbiamo bisogno di antibiotici, ci curiamo. Così con la vigna: anziché riempirla di sostanze nella speranza che non si ammali mai ce ne prendiamo cura con estrema attenzione, per poi trattarla quando insorgono problemi.”; prima di tutto consumatori dei propri vini oltre che produttori! i vini prodotti devono piacere prima di tutto a loro; il vino non è prodotto “in serie”: una produzione intorno alle 15.000 bottiglie annue realizzate unicamente con l’uva delle proprie vigne, mai perfettamente uguale da annata ad annata, con ogni raccolto che viene gestito individualmente; l’affinamento dei vini viene fatto con legni grandi o piccoli a seconda di quanto si voglia agire sul risultato finale, inoltre vengono utilizzati solo legni francesi, Allier se si vuole preservare la rigidità del tannino, rendendolo più deciso, Fontainebleau, se l’intento è quello di dare una maggior morbidezza, arrotondare un tannino particolarmente aggressivo. Andiamo quindi a scorrere i vini che l’azienda propone e che ho avuto modo di provare in prima persona. Tutti delineano i tratti di una produzione di altissima qualità. Vini veri, che hanno la vivacità e la freschezza come tratto comune, insieme al grande carattere. In particolare a farla da padrone è il Nebbiolo in purezza declinato in quattro diverse versioni, il Roero Riserva DOCG, il Roero DOCG ‘Nciarmà, il Nebbiolo d’Alba Superiore DOC Bastianetto e il Nebbiolo d’Alba DOC, seguono poi Barbera d’Alba Superiore DOC Cichin e Barbera d’Alba DOC. Passando infine per l’unico a bacca bianca, Roero Arneis DOCG Madonna delle Grazie presente anche nella versione dolce dello stesso vitigno, con il Langhe Arneis Passito DOCG. Questa è solo una carrellata dei vini prodotti ma invito tutti voi a visitare il loro sito che riporta nel dettaglio estremo tutte le importanti variabili tecniche utilizzate in vigna, nella vinificazione e nell’affinamento, nonché tutte le analisi. Una cantina consigliatissima, cari amici appassionati di vino, e se questa filosofia vi ha ispirato non vi resta che degustare queste meraviglie dal tratto unico, vini che possono catalogarsi secondo la migliore accezione dell’artigianalità!! Francesco Rosso: tradizione di famiglia nel cuore del Roero A cura di Giuseppe Petronio  Mi trovi su Instagram @peppetronio
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