Provato per Voi

La nostra redazione, come dei veri 007, andranno alla scoperta di locali, cantine ed esperienze culinarie e non solo…senza nessun fine commerciale ci racconteranno pregi e difetti della loro esperienza.
Come ogni agente segreto che si rispetti, la firma sarà anonima…

Cà del Bech Fabio Arrow Right Top Bg

11 Aprile, 2023

Cà del Bech, ovvero la fantastica storia di un bergamasco a Milano

Con Provato per Voi vi portiamo in una bottega in via Mantova 8 a Milano. Fabio è il bergamasco, nato in Porta Romana, girovago, poliedrico con una storia tutta da raccontare ma che è meglio vi racconti lui quando andrete a trovarlo. Quello che racconteremo noi, qui, ora, è la sua recentissima nuova vita. Abbandonata la professione precedente cosa fa un bergamasco nell’anima e nelle vene? Se ne inventa una nuova. Fortunatamente Fabio ha fatto del suo sogno nel cassetto, della sua passione, e della sua storia familiare la sua nuova professione. Cà del Bech ovvero la fantastica storia di un bergamasco a Milano. Cà del Bech perchè il Bech era suo nonno, nonno materno, soprannominato così per via del suo naso “aquilino”, appunto Il Bèch, che era contadino a Casirate d’Adda e da cui Fabio ha ereditato la passione per la terra bergamasca. Fabio conosce le Valli Bergamasche meglio delle sue tasche, le ama, le racconta, le descrive come l’eldorado della gastronomia di qualità, quella in mano a piccolissimi produttori. Fabio li conosce tutti personalmente e ogni settimana fa visita ai suoi fidati fornitori per “rubare” loro, implorandoli, poche forme di formaggi incredibili, salumi inenarrabili, e ancora miele, olio, farine, ovviamente vini e bevande di vario genere. Oltre alle dimensioni insulse dei casari, apicoltori, vignaioli, coltivatori in genere, ciò che accomuna i gioielli da assaporare che Cà del Bech propone è l’altissima qualità. Ne consegue, come un assioma, la rarità e l’unicità di ciò che troneggia sui piccoli scaffali della bottega. Fabio racconta Tutto si può acquistare, ma i racconti di Fabio son la vera merce preziosa. Le storie di come ha conosciuto i vari personaggi, di come va alla conquista settimanale di perle per le nostre papille olfattive e gustative, sono a gratis. Cà del Bech ovvero la fantastica storia di un bergamasco a Milano, si diceva. Quindi, cari milanesi, accorrete numerosi per scoprire le meraviglie che la vicina Bergamo, con la sua varietà di territori e produzioni, può donarvi. Lasciate perdere, almeno per una sera, la cucina fushion, il sushi, i piatti etnici. Dimenticate le proposte all you can eat e tornate con i piedi per terra, nella terra. Immergetevi nella terra bergamasca, fatta di gente verace e cocciuta, instancabile, incapace di mollare, attaccata alle proprie tradizioni come camosci alle rocce, paladina del gusto. Fatelo perché gustosa deve essere la vita, faticosa, ma gustosa, come una michetta con salame, bergamasco, ça va sans dire. Cà del Bèch, Via Mantova 8, 20135 Milano, Italy Orari Apertura Bottega: Lunedì, Martedì, Mercoledì – Venerdì e Sabato 07.30 – 13.30 / 16.00 – 19.30 Giovedì 16.00 – 20.00 (la mattina è dedicata al setaccio delle Valli bergamasche) +39 339 4687785 cadelbech@gmail.com
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Osteria dei binari, tra suggestioni e suggerimenti di buona vita Arrow Right Top Bg

7 Marzo, 2023

Osteria dei binari, tra suggestioni e suggerimenti di buona vita

L’Osteria dei Binari, in via Tortona 1, Milano, accanto alla stazione di Porta Genova, un luogo ricco di suggestioni e suggerimenti di buona vita. Avevamo poco tempo, giusto un’oretta per incontrarci per pranzo e fare due parole su alcuni progetti da sviluppare, per poi tornare tutti alle faccende in cui siamo perennemente affaccendati. La scelta è stata puramente casuale, direi strategica per non dover attraversare la città tra l’ultimo appuntamento della mattinata e il primo del pomeriggio. Il nome ha sicuramente attratto: Osteria dei Binari. Per mancanza di tempo non ho guardato alcuna recensione, alcun menù, nulla. Sono rimasta colpita da qualche foto che preannunciava l’ambiente accogliente in cui poi ci siamo immersi volentieri.   Si entra e si fa un tuffo nel passato, nella Milano di inizio ‘900, e tutto quanto parla di atmosfere di allora, di un modo diverso di stare a tavola, di frequentare locali, di consumare le giornate. Si entra qui e si è invogliati a rallentare. Se all’ingresso fornissero anche abiti dell’epoca nessuno avrebbe da ridire ad indossarne uno e fingere di tornare indietro nel tempo. L’Osteria dei Binari è uno scrigno di bellezza liberty, ricco di oggetti e arredi d’epoca. Uno spazio enorme per un locale milanese, con tante sale interne, stanze al piano interrato dove vengono anche conservati i vini, un dehors dove in passato i campi da bocce fornivano un passatempo semplice e sano agli avventori. Camini, lampade in ferro, specchiere meravigliose, porte, tendaggi, poltroncine rosse. Tutto parla di un tempo che fu, e che viene da rimpiangere. Ogni zona si presta ad usi diversi: pranzo, cena, aperitivo, serate in stanze riservate per trascorrere buon tempo in compagnia. Anche gli avventori che abbiamo trovato seduti ai tavoli vicino al nostro sapevano di habitué, di chi va sul sicuro e vuole assaggiare piatti semplici, conosciuti, confortevoli, in un posto che sa di casa. Tra i tavoli si aggirano lo chef, il patron, il personale, con naturalezza e dei caldi sorrisi. Tutto scorre via liscio, senza intoppi, senza ansie da prestazione, senza fretta. E’ un locale che fa bene all’anima e allieta il palato con piatti tipici della tradizione lombarda e milanese, con qualche digressione, e noi abbiamo optato per la classica cotoletta alla milanese, ovviamente. Non potevamo non inserirlo nella nostra rubrica Provato per voi. Carta dei vini davvero interessante, e varietà di proposte al bicchiere che ha soddisfatto i gusti di tutti. Non vi sveliamo tutto, potete leggere le informazioni generali direttamente dal sito del ristorante. “Un luogo affascinante. – commenta Simone Angelone – Mi sono sentito trasportato nella sua atmosfera vintage, elegante e raffinata. I ricordi del passato l’han fatta da padrone, e mi sono immerso in un viaggio fantastico tra collegamenti con vecchie pellicole cinematografiche e memorie dei racconti del mio papà su quella milano esplosiva di vita e lavoro degli anni ’70.
All’osteria del binari si respira una cultura rara, ricca di valori e fatiche che non dimentica le sue radici.Un grazie allo staff che ci ha trasmesso la sua passione e un ringraziamento speciale a Fabrizio che ci ha accolti nella sua seconda casa con una semplicità genuina d’altri tempi regalandoci emozioni uniche grazie alla sua dedizione superlativa. Un luogo che mi ha donato veramente tanto, il luogo perfetto per grandi cose.” Abbiamo vagato ovunque e sentito raccontare di ciò che è stato e ciò che sarà. Ci torneremo, sicuro, e chissà mai che possiate essere ospiti di una serata speciale. Orari apertura: Da lunedì a domenica
7:00-15:30 – 19:30-01:00 Telefono +39 02.89409428                    
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24 Ottobre, 2022

Il palazzo che nasce da un grande errore

Questo palazzo nasce da un grande errore…è così che Marco inizia il suo racconto sulla “Tenuta i Lecci”. Ci troviamo a Monticello in provincia di Arezzo, tra i borghi della Toscana. Marco e Roberta sono i proprietari della tenuta, Marco è cresciuto e ha vissuto i cambiamenti di questa terra mentre Roberta si è trovata a vivere la sua nuova esperienza un po’ per amore e soprattutto per passione, d’altronde si sa che la Toscana lascia senza fiato.  Siamo negli Anni 70, quando il padre di Marco, per poter costruire le fondamenta della sua casa di famiglia , ha dovuto scavare a fondo ed il risultato è stato un “palazzo” molto alto anche se non particolarmente visibile da un occhio poco attento. La tenuta possiede otto ettari dei quali due e mezzo di vigneto impiantato nel 1970 e cinque ettari a oliveto, coltivati secondo la coltura biologica nel rispetto della natura. Marco insieme all’enologo si dilettano nella produzione di vino, le cui cantine si trovano nei sotterranei di questo enorme “palazzo”. Due piani  sono dedicati interamente alla produzione con affinamento ed imbottigliamento e successiva conservazione prima della vendita. Un agriturismo per gli ospiti di passaggio, appartamenti ben pensati, dal più grande al più piccolo, con arredamenti che vanno dal moderno al classico per soddisfare famiglie, coppie o single e godere di pace e tranquillità. Tra le chicche, una sala comune al piano terra, una parte dedicata ai giochi, con biliardo, biliardino, scacchi, dondolo e ping pong; mentre  la restante parte della sala è dedicata alla degustazione dei vini e all’occorrenza può trasformarsi in sala cinema per intrattenere gli ospiti. Gli spazi esterni, intorno all’agriturismo sono stati suddivisi in aree connesse tra loro, la piscina e il gazebo dedicato al barbecue con accanto il dondolo sull’albero, alquanto fiabesco e rigenerante, soprattutto, se considero la musica in filodiffusione che accompagna questa meravigliosa atmosfera. Ovviamente un parcheggio dedicato agli ospiti, anch’esso pensato per non creare distonia tra la realtà industrializzata e la natura. Un agriturismo, ma anche un nuovo modo di vivere tra equilibri: l’Uomo, la Natura e i Prodotti, ricavandone sensazioni e suggestioni per un completo bilanciamento tra esperienze di colori, profumi e gusto. La chiave d’ingresso della Tenuta i Lecci: ospitalità, accoglienza e cortesia ma anche una bellissima vista al tramonto tra le colline e le luci fino al giungere della sera accompagnata dal cielo stellato. Vi ho detto che il “palazzo”, l’agriturismo è molto alto?!?! Beh, ecco, altri progetti sono in “work in progress” e noi di Winetales siamo curiosi di tornare. A cura di Elisa Pesco   
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Claino Cin Arrow Right Top Bg

19 Agosto, 2022

Osteria De Cin - Claino con Osteno

  Qui a Provato Per Voi siamo sempre più entusiasti di raccontare luoghi ed esperienze, soprattutto se si trovano a meno di due ore di auto dalle grandi città (Milano in questo caso). Oggi parliamo della Valle Intelvi un luogo che sta costantemente aumentando il proprio peso come meta turistica per appassionati di sport stagionali, escursionisti e frequentatori di agriturismi e b&b immersi nel verde. Recentemente, quasi per caso devo ammettere, con la scusa di una gita al Borgo Dipinto di Claino, ci siamo imbattuti in un locale estremamente interessante. Un luogo di vero equilibrio tra tradizione e innovazione in un mare magnum, sempre apprezzato intendiamoci, di stracotti, polente, carpioni e selvaggine varie. Osteria de Cin a Claino rappresenta in primo luogo la sfida imprenditoriale di due giovani ragazzi Deborah e Riccardo, che propongono una filosofia di cucina a nostro avviso dirompente e davvero in equilibrio tra tradizione e innovazione.
Osteria de Cin ci ha subito colpiti per l’originalità della proposta: un focus estremamente professionale su carni pregiate. Selezionate, conservate, trattate e raccontate con cura e passione. Ecco che, con nostra sincera sorpresa, a Claino ci siamo trovati nella posizione di dover decidere se mangiare swami beef danese, sashi choco finlandese, vacca clandestina o rubia gallega vacca vegia di 15 anni allo stato brado. La scelta è stata sapientemente agevolata dall’intervento di Riccardo che con professionalità e leggerezza ha contribuito a rendere l’esperienza ancora più piacevole. La sala rispecchia la filosofia di cucina, con un ambiente ricercato e il piacevole contrasto tra elementi tradizionali e moderni. Un espositore a temperatura controllata accoglie i visitatori presentando immediatamente i tagli di carne disponibili. Altra nota interessante, a conferma di un vero approccio innovativo in cucina, è l’impiego della tecnica della maturazione spinta attraverso tecnologia a ultrasuoni. Questa tecnica permette di esaltare tutti gli aspetti organolettici dei prodotti, garantendo un boost in termini di morbidezza, colori,sapori e profumi. Provare per credere. Non solo carne ovviamente: il menù prevede una varietà interessante di primi e alcuni piatti di mare. Ingredienti di stagione e piccoli produttori locali chiudono il cerchio per quanto riguarda la proposta food.
Interessante anche la carta dei vini che dà spazio a un paio di proposte locali, oltre che alle più conosciute denominazioni fino ai brand più blasonati. In conclusione, l’esperienza è stata assolutamente positiva. Osteria de Cin  a Claino si rivela una bellissima sorpresa. Abbiamo pranzato in un ambiente piacevolissimo, siamo stati ingolositi da una proposta dirompente, decisamente innovativa per la zona, siamo stati convinti da un servizio amichevole e professionale (abbiamo pranzato anche con una bambina piccola che è stata da subito messa a proprio agio), abbiamo scelto tra una buona selezione di vini e soprattutto abbiamo una gran voglia di tornare per provare ciò che non abbiamo avuto modo di assaggiare. BRAVI!! 
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3 Luglio, 2022

Aperitivo pendolare del Martedì

Tum vero cerneres quanta ratio, quantaque patientiae est… nell’aperitivo del Martedì del pendolare. Una volta alla radio, vi era un programma satirico, “Piovono pietre” di Alessandro Robecchi, dove un tormentone piuttosto divertente era quello – di solito inserito a inizio trasmissione – della condanna del Martedì, giorno definito di per sé detestabile. Almeno così mi ricordo, portate pazienza, sono passati più di vent’anni. Mi ricordo invece benissimo il celebre aforisma attribuito a Karl Marx: “La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Smart Working E infatti, nel mio personalissimo calendario di smart working, il Lunedì è solitamente residenziale mentre per il Martedì è previsto il tormentone lavorativo, nella fattispecie del tragicomico viaggio da #ostaggiopagante di Trenord, alla volta del tornello dell’uffizio e da lì nel pomeriggio il tremendo ritàrritòrno (N.d.A. anche oggi 20 min di ritardo su 75 minuti di corsa previsti, tanto per sgradire) – altro che Itaca di Kavafis. Lascio al lettore stabilire quale dei due tormentoni sia tragedia, quale farsa, o che la cosa non importi. Questo esercizio ci verrà utile nel seguito. Il proprium e la grande ouverture L’oggetto di questo articolo, il suo proprium aristotelico per metterla giù dura, è la descrizione dell’happy hour del Martedì preserale, tentato antiguidrigildo (è a pagamento, infatti, solo che il segno è sbagliato) per lo sbatti della giornata. L’articolo, onestamente, come testo non è un granché. Però ci ho messo tutta… una grande ouverture criticista. Quindi attendete, vado ad eseguire l’ouverture (cit.). Il sommo Kant, nell’averci illuministicamente esortato ad uscire dallo stato di minorità che dobbiamo solo a noi stessi, pone tre domande attorno alle quali sviluppare il (suo) proprio criticismo: – Uno. Cosa posso sapere con certezza, il problema della conoscenza e della metafisica.
– Due. Cosa posso fare, il concetto del dovere.
– Tre. Cosa posso sperare, l’esistenza o meno di Dio. Spoiler Detto molto, ma molto alla buona il maestro di Koenigsberg osa sapere (sapere aude, questo è il motto dell’Illuminismo) chiedendo alla ragione di interrogare se stessa, indagandone i propri limiti e risolve così a suo modo la massima forma di socratica saggezza, il sapere di non sapere, definendo analiticamente un dualismo fenomeno/noumeno e circoscrivendo la possibilità di conoscenza al primo, riconoscendo come inconoscibile il secondo. Ehm... capisco la necessità esistenziale di avere una grande ouverture, ma con Racconti di Vino che c'azzecca? Grazie per la domanda, in effetti poco o nulla, ma mi salverò in corner con un colpo di reni da “non tutti sanno che”. Nella dieta del Filosofo, in età matura, vi era il consumo giornaliero di una intera bottiglia di vino, vino di Bordeaux. Poi ancora non ci si spiega come mai… Ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43; ma questa è un’altra canzone. Tre mistificazioni, pars destruens Non divaghiamo, ovviamente alle tre domande kantiane mica so rispondere – anche se ho letto che il problema dei sette ponti di Koenigsberg, la passeggiata a senso unico sul fiume Pregel, è matematicamente impossibile (grazie Eulero per la bella teoria a riguardo): quindi farò il mio dovere di zanzara minore indicando, in una pars destruens si spera non troppo abborracciata, tre mistificazioni che incatenano l’aspirante illuminato impedendogli la via d’uscita da quella famosa caverna platonica (oppure, più modernamente, da una sala cinema in cui si proiettino illusori film su rinnovati afflati di autocoscienza e riscatto sociale tipo quel Johnny Castle di Dirty Dancing). Iniziamo dagli adoratori della vittoria: quegli ingenui individui secondo i quali vincere è l’unica cosa che conta. Per domesticare i quali basta travestire una qualsiasi ca**ata da competizione e coinvolgerli: essi vorranno partecipare per vincerla, ovvero parteggiare per il favorito. Impiegato del mese… è lei o è solo una questione che affligge i tifosi della #omissis? Veniamo poi agli astuti professori di pseudovirtù teologali: quelli per intenderci che declinano il lavoro in salsa di vocazione; per fare il verso al famigerato passo della Thatcher “A crime is a crime is a crime” qui si asserisce che “un lavoro è un lavoro è un lavoro” – e va pagato. Niente metafisica (tanto kantianamente è impossibile) giuslavoristica vocazionale, per cortesia: il macellajo accetta euro in cambio di carne trita, non di visibilità social. Finiamo quindi con i simpaticissimi guru della pseudoscienza qualunque, ovvero di sfumature finalistiche di scienze altrimenti acclarate come tali. In una curiosa interpretazione asimmetrica del teorema della relatività cinese di Laszlo: “Non importa quando grande possa essere il tuo trionfo od orrenda la tua sconfitta, ad almeno un miliardo di cinesi non importerà nulla”, i nostri contemporanei sofisti, evocando oscuri sensazionalismi, si appellano a quel po’ di sincronicità residua che ci fa sentire tutti abitanti di questo piccolo pianeta – laddove invece a ben guardare ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole, ed è (per fortuna) subito sera – per gabolàre la supercazzola e sbarcare il lunario. Non c’è maieutica, solo happy hour Tutto questo atteso, finito il Martedì lavorativo e “On their way back from the fire”, il lavoratore pendolare, conosciuti i ciclopi, la Maga Circe e finanche i proci, potrebbe cercare (e quindi finirebbe pure per trovarla: la natura del bersaglio è l’essere colpito dalla freccia) consolazione terrena in un aperitivo moderato nelle dosi e di buona qualità nelle componenti. Aperitivo pendolare Sulla via della stazione Trenord di Piazza Cadorna, prima di entrare prendi a destra per poche decine di metri, fino all’angolo con Via Paleòcapa: c’è il Patti Bakery&Bistrot. La selezione birre è ridotta in numero ma di buon gusto (parva, sed apta mihi); gli stuzzichini vengono dalla loro panetteria, dall’altra parte del bar, e vengono serviti tiepidi, il che rende il tutto molto goloso; il servizio è solo lievemente imbruttito (ed è un complimento: significa che è coerente con il “disciplinare” milanese – simpatici e solleciti, senza perdere troppo tempo e senza farsi gli affari tuoi). Con i tempi come siamo? Vediamo, in pratica ci vanno minuti a giro. Prima di un treno a bassa densità di trasportati… ok facciamo due giri. Li vale tutti. A proposito si chiedeva: tragedia, farsa o non importa? Dico solo che, a credere che una cosa valga quello che costi, qui… sei già dentro / l’happy hour / vivere vivere / costa la metà. Credits Lo stream of conciousness di “aperitivo del Martedì del pendolare” non sarebbe mai potuto emergere senza il Patti Bakery&Bistrot, Trenord, lo smart working e quelle vecchie canzoni di Guccini. Ma soprattutto grazie al vituperio del Martedì in Piovono Pietre a cura di Robecchi (sperando sempre di ricordarmi giusto, potrebbe anche essere stato Alessandro Milan che in quei tempi inveiva settimanalmente contro il Martedì: perdonatemi comunque, vi prego). Aperitivo del Martedì del pendolare avviene di norma ogni Martedì lavorativo: ma siate gentili, fate finta di non conoscermi.
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15 Aprile, 2022

La bolla bianca

La bolla bianca immersa nella calda Puglia: Alberobello. Ci troviamo nel tacco dello stivale italiano, pieno di tradizione, cultura e vino. Noi di Wine tales non possiamo che provare a raccontare una delle esperienze in giro per il territorio. Si sa, in Italia, non ci sono luoghi senza una storia, anche Alberobello, così bianca e affascinante, si lascia guardare e ci sorprende ad ogni passo, piena di sali e scendi e gradini mal tagliati. Il nome Alberobello deriva da silva alboris belli, con il significato di “bosco dell’albero della guerra”, sembra che nel XVI secolo fu dato inizio ad una prima antropizzazione della selva che successivamente diede il via all’urbanizzazione di quest’area con la costruzione di un agglomerato di piccole case. I trulli, case basse e bianche, furono costruite con pietra calcarea, facilmente reperibile, senza malta come ordinato dal conte Girolamo II per evitare il pagamento dei tributi. Ed è proprio in centro ad Alberobello, nel corso principale, vicinissimi alla cattedrale dei Santi Cosma e Damiano, in uno dei trulli si legge  Amore & Vino. Amore perché è la passione che trasforma le idee in fatti, una bottega che per cento anni, la SALUMERIA, è sempre stata aperta al pubblico, gente del luogo ma ovviamente anche turisti, oggi diventa la locanda per gustare un aperitivo, un pranzo o una cena. Vino, perché la Puglia è un’altra regione italiana piena di prodotti tradizionali, di cantine e produttori che con amore coltivano i loro vigneti e fanno emergere quanto di autoctono possa dare la loro terra, dal Primitivo al Negramaro per finire al Nero di Troia. “Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia e una scintilla all’amore!”, è così che, Valerio, proprietario di questa enogastronomia, Amore & Vino, ci accoglie un lunedì sera quando gli altri locali in un periodo di bassa stagione sono quasi tutti chiusi. Un posto dove gustare prodotti tipici della zona, dai salumi ai formaggi, dalle conserve artigianali di verdure ai nobili taralli, qualche piatto tipico del giorno come fave e cicoria ed una scelta importante di vino. Dimenticavo, non sono riuscita a testare i dolci, le porzioni abbondanti mi hanno fermato. La locanda, ha anche dei tavoli e può accogliere circa 20-25 persone, non male! Come sempre non ci siamo tirati indietro nella degustazione di un ottimo Primitivo Prezzo: da 20 a 25 euro The Ghost Writer 
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28 Marzo, 2022

Quattro stagioni alla Trattoria Visconti: Festa di Primavera

Si parte per le Quattro Stagioni alla Trattoria Visconti: ecco com’è andata la recente Festa di Primavera, convivio che vedeva ospite speciale l’oste, recentemente promossosi a emerito, Maurizio Vaninetti da Morbegno. ALL’INGRESSO DELLA TRATTORIA Prima di infelicitarvi – italiano certo tentativo, ma storicamente ben attestato: scippato infatti ad Alessandro Barbero in una lettura sulla Prima guerra Mondiale – troppo con riferimenti a Vivaldi, prendiamola da un altro punto di vista. TRATTORIA VISCONTI L’eccellenza umana Giusto una diecina di anni fa, nel 2011, due serissimi professori di filosofia americani, Hubert Dreyfus e Sean Dorrance Kelly se ne sono usciti con un bel libro dal titolo All Things Shining. Reading the Western Classics to Find Meaning in a Secular Age. Bel libro e di dimensioni ancora umane (meno di 250 pagine in tutto nell’edizione italiana, impreziosita dalla prefazione di Gianni Vattimo). Ma perché ricordarne il titolo in inglese e non quello della versione italiana Ogni cosa risplende. I classici e il senso dell’esistenza ? Perché quello originale spiega ben di più dove si vada a parare. I nostri autori si occupano di fenomenologia ed esistenzialismo: due filosofi (come li appellerebbe il Filosofo Schopenhauer) da università, di questo ce ne faremo certo schopenaueriana ragione. Il bel libro ha come tema quale il miglior modo di vivere e di cosa sia fatta l’eccellenza umana: roba grossa. Maieutica a stelle e strisce In un testo di filosofia l’importante non è il punto di arrivo (tanto dopo ogni uber-filosofo viene sempre un altro uber-filosofo), ma il percorso che segue. E in Ogni cosa risplende l’utilizzo dei classici a testimonianza e illustrazione del cammino del pensiero occidentale fino al suo contemporaneo degrado attuale – sospeso tra nichilismo e ritorno a ottusi fondamentalismi – è illuminante. Insomma, una pars destruens davvero interessante. Ad essere invece un po’ deboluccia, invece, non è tanto la maieutica proposta a resipiscenza del degrado – abbastanza suggestiva (non entro nei dettagli altrimenti non soffrirete come il sottoscritto – comunque poco – a leggere il testo fino alla fine) ma la fenomenologia antropologica individuata ad illustrazione. Che gli americani necessitino – come suggerito – del grande evento sportivo per recuperare una qualche briciola di esperienza del senso del sacro è, temo, indice di un rinnovato stato di adolescenza, talvolta inquieta, di un grande popolo. Se però la questione si risolve in termini di ritornare a provare sentimenti di meraviglia e gratitudine a fronte ad accadimenti dipendenti solo in parte dalla nostra volontà… beh allora niente di meglio di una visita alla Trattoria Visconti. Festa di Primavera, 21 Marzo Occasioni propizie? Quante ne vuoi. La settimana scorsa, 21 Marzo, alla Trattoria Visconti di Ambivere, la Festa di Primavera appunto: cena a quattro mani con special guest il Maurizio Vaninetti, storico cuoco dell’Osteria del Crotto di Morbegno. FESTA DI PRIMAVERA 2022 – MENU’ Attenzione: se lo chiami chef lui ti ricorda che chef è un barbarismo che indica colui che comanda senza però obbligo di azione; preferisce essere visto come oste: già solo questo posizionamento è da applausi a scena ancora aperta. Quattro mani? Figura meramente retorica: qui c’è un brain trust in azione. Assieme al Vaninetti, l’intellighenzia di Fiorella e Roberto in cucina, la poiesi organizzativa di Giorgio e, nel caso, l’insospettabile afflato di cosmopolitismo panlombardo nella scelta dei vini in abbinamento a cura di Daniele. TRATTORIA VISCONTI, FIORELLA Abbinamenti quindi con l’intervento ex-machina di Claudia Crippa herself, che porta le sue meditate espressioni della denominazione Igt Terre Lariane della Az.Agricola La Costa. Ehi, ma nemmeno i giornalisti del principali quotidiani sportivi usano toni così encomiastici verso le squadre di calcio i cui tifosi costituiscono lo zoccolo duro del seguito della testata. Ma quando ci vuole ci vuole, vecchio mio. La perfezione artigiana È un menù degustazione che traguarda la Primavera, tema svolto con la consueta titanica ricerca della perfezione artigiana nell’interpretazione (quella che, da un imprevedibile punto in poi gli umani riconoscono come arte). È ciò che contraddistingue la cifra formale della Trattoria, la cura appassionata del dettaglio senza uscire dai binari della fenomenologia da trattoria così come in genere riconosciuta. Del resto anche l’altrimenti invincibile gigante Anteo, se staccato dalla madre terra, perde i suoi poteri e viene così sconfitto facilmente da Ercole: guai a perdere contatto con l’essenza del piolismo – qui truly berghem-style. L’entrée è quindi la prima insalata di campo con l’uovo sodo: in Valtellina l’olio era merce forestiera, si condiva con qualcosa di grasso secondo disponibilità: in questo caso, c’è del guanciale croccante. Madeleine: Madrid 1982 FLAN DI ASPARAGI, BRIGANTE BIANCO Per antipasto, flan di asparagi (e lunghe julienne di asparagi a movimentare la presentazione del piatto) appoggiato su uno specchio di orobicissimo crema di stracchino all’antica: mostrami Narciso depurato da ogni narcisismo. Il bilanciamento tra i sapori, non voglio sapere quanto tentativi sia costato ma li è valsi tutti, è da urlo – non da urlo di quadro di Munch, piuttosto da goal dell’azzurro Tardelli – qui scatta il ricordo – nella finale mondiale 1982. Entrée e antipasto vengono abbinati a Brigante Bianco, uvaggio di Chardonnay e Incrocio Manzoni bianco con una piccola frazione del vitigno autoctono Verdese: floreale di profumo, fresco e sapido al palato, persistente senza essere invasivo. All’ombra del campanile Per primo, gnocchi strangolapreti (e nessuno ne faccia motto di spirito con parroco della chiesa del paese, per carità). La Trattoria si trova giusto all’ombra del campanile – un punto di riferimento vecchia maniera per rintracciarla. E gli gnocchi? Ah sì, con germogli dl luppolo selvatico (qui chiamato loertis) e crema di borragine. STRANGOLAPRETI E LOERTIS, dettaglio Nel bicchiere, il prezioso riesling renano Solesta, fermentato in acciaio e affinato in acacia: per andare d’accordo con il loertis ci vuole una personalità ben adeguata. SOLESTA, RIESLING RENANO Intermezzo con gli ospiti Ad intermezzo, qualche parola dell’oste prezioso ospite, in sintesi con la cucina, sul menù presentato e in proprio sul significato di fare trattoria e di averla fatta negli ultimi trent’anni. Poi la parola passa al vignaiolo che descrive l’azienda, il territorio e approfondisce sui vini abbinati. CLAUDIA, DANIELE, MAURIZIO, ROBERTO Seguono a ripresa della cena degli involtini di coste ripieni di carne e la polenta di mais rosso rostrato di Ambivere. Se gli involtini fossero stati realizzati con la verza si sarebbe trattato dei tipici nosècc (o capù a seconda di quale paese della zona capiti). NOSECC IN FOGLIA DI COSTA (a Milano un qualche genialino del marketing li avrebbe tosto battezzati nosècc sbagliati: e avremmo dovuto tutti esteriormente plaudire e portare pazienza nell’intimo per questa scontata boutade) Torniamo alle cose serie: Roberto conferma sì che il ripieno continua a essere composto da carni bianche e rosse come nei nosècc di verza, ma che le percentuali sono cambiate per adattarsi al diverso sapore della foglia di costa che lo riveste. LA COSTA, SAN GIOBBE In abbinamento, il pinot nero San Giobbe, dal più bel vigneto dell’azienda: qui comunque la giri vincono tutti. Impeccabile. E che dolce! FRAGOLE E BAVARESE Al dolce è la volta dell’insalata di fragole, la marmellatina di scorza d’arancia, la bavarese alla vaniglia servita in tazza e decorata da vaniglia candita. In questo caso l’abbinamento con il passito rosso Càlido è reso cogente dalla relativa gioventù del passito stesso – di recentissimo imbottigliamento. le fragole in dettaglio Passito che conserva ancora la freschezza necessaria ad equalizzare (in metafora musicale) la frutta e la bavarese senza sovrastarle. Fuori programma a richiesta INCREDIBOLL, METODO CLASSICO DI RIESLING RENANO Finisce qui, ma non ancora. Su richiesta lo (elle-o) stappo fuori programma di Incrediboll, l’ultima etichetta realizzata da La Costa, spumante metodo classico di riesling renano: se non è caso per ulteriore meraviglia e gratitudine questo, io non saprei altro. Questa è la Festa di Primavera alla Trattoria Visconti: le stagioni sono quattro, si parte benissimo, le altre ci attendono. Da questo ennesimo felice serialismo elegiaco di Magnosolo, alla prossima. p.s.: sono tenuto a ricordarvi, per la quarta volta in questo testo, che si è parlato della Festa di Primavera alla Trattoria Visconti (e con questo anche il SEO è contento).
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20 Marzo, 2022

Antropologia della convivialità brianzola

Antropologia della convivialità brianzola: dove il (poco) difficile è capire di cosa si stia parlando, messo giù così in astratto: dopo diventa tutto (molto più) semplice e gradevole. Dunque: antropologia, cioè studio dell’essere umano, sotto varie prospettive, indagandone i comportamenti nella società; mentre convivialità, cioè la sostanza di ciò che è conviviale, relativo ai convivi – caratterizzato, per estensione, da allegria e spensieratezza, non impegnativo. E anche oggi il nostro pellegrinaggio quotidiano a Wikipedìa e al Vocabolario Treccani (che sempre ringraziamo) l’abbiamo compiuto. TARTARE e NEBBIOLO DELLE ALPI – Ah ok, quindi volevi raccontare qualcosa di non troppo strutturato su come i brianzoli bevono e mangiano. Vabbé, beata semplicità.
– Simple as possible but not simpler, sir. Comunque ho colto il punto: voleremo bassi. Questione di metodo Antropologia, scienza umana; di scienza si dovrebbe trattare quindi: a questo punto con quale metodo? Facciamocelo indicare nientemeno (volare bassi, eheheh, forse #laprossimavolta) dal filosofo dell’amicizia, e di quei piaceri che oggidì, decadendo, definiremmo come sostenibili: quasi un ideologo della convivialità insomma. Dice infatti Epicuro (Lettera a Pitocle, 87): “Tutto, dunque, procede senza turbamento se si risolvono tutti i problemi secondo il metodo delle molteplici spiegazioni in accordo con i dati dell’esperienza, lasciando sussistere in merito, com’è opportuno, le spiegazioni plausibili: qualora invece se ne ammetta qualcuna, ma se ne rifiuti qualche altra, benché sia in accordo anch’essa con i dati dell’esperienza, è chiaro che si esce dall’ambito della scienza della natura (phusiologhématos) e si cade nel mito (epì dè tòn mùthon katarrèi)”. VINI SEMPRE PRONTI AL SANTA POLENTA AL BELL’OM Tutto questo atteso e in quest’ottica, una delle cose che mi appaiono più razionalmente consolatorie da compiere ogni tanto e verso sera (trovandosi nelle vicinanze di Lecco, beninteso) è quella di salire di poco nel parco del Monte Barro fino alla frazione Bartesate di Galbiate, parcheggiare la macchina – per chi si può ancora permettere di questi lussi, altrimenti c’è la fermata del bus proprio nello stesso parcheggio – e da lì con pochi passi a piedi fare un salto alla Trattoria Santa Polenta al Bellom. Una vecchia trattoria Nel vecchio borgo, quasi al riparo della chiesa dedicata ai santi Macario e Genesio (chiesa in qualche modo legata ai Borromeo, così testimonia lo stemma “Humilitas” davanti la porta), la trattoria è quella tipica di paese dal millennio passato con la sala del bar generosa nell’esposizione dei vini, la cucina di facile accesso e la sala da pranzo arredata supertradizionalmente con la stufa a legna in un angolo: tutto trasuda ospitalità operosa, il minimalismo razionale lombardo colpisce ancora. SANTA POLENTA AL BELLOM, LA SALA Gli aficionàdos locali sostano in chiacchiere al bar, e si affidano alle proposte in mescita a cura di Alessio e Silvano: gli Springsteen e gli Steven Van Zandt di sala; con Elisa che fa i controcanti alla Patty Scialfa e Tommy, lo chef, che arrangia cucina manco fosse “The Professor” Roy Bittan. E la E-street Band del Bell’Om può con questo dirsi omaggiata. Tra ecumenismo vinario e norcineria applicata Alessio, del vino, ha una visione piuttosto ecumenica, con malcelate simpatie oltremontane: alterna infatti proposte indigene (lombarde, toscane, piemontesi) a escursioni francofone tra lo Champagne, la valle della Loira e la Borgogna (ne dico tre per rappresentarle tutte). Silvano, valtellinese non solum nascita sed etiam mores e prestatosi volentieri alla Brianza, svaria sul tema e, quando vuole stupirci con effetti speciali, si ricorda della sua norcina passione dell’affinare di salumi e chiede alla regia in cucina un campione dei “suoi” affettati per completare/impreziosire l’aperitivo. ALESSO, SI STAPPA Poi uno si stupisce di ritrovare quasi sempre le stesse facce, e tutte allegre: teletrasportassimo il Santa Polenta a Siviglia… bisognerebbe staccare il numero all’ingresso per evitare litigi di precedenza ad entrare. Ma per fortuna siamo a Bartesate, frazione della repubblica di Galbiate (oh, c’è scritto sul muro al parcheggio); in Brianza non siamo così megalomani: al Bell’Om ci si sta tutti, e con la bella stagione il bicchiere si svuota anche meglio all’aperto, in piazza, dove è statisticamente impossibile che passi una macchina e dove l’unica limitazione, ma ormai accade meno di una volta, è nell’opportunità di chiamare l’Altissimo a testimonianza di questa o quella propria asserzione. Punto di vista Il vostro cronista resipiscente prende posto o alla botte numero uno (se in esterno) o di questo periodo ad uno dei (due) tavoli al bar, attende fiducioso e – rara avis – se chiamato in causa conversa, uscendo ottimista dal porto sicuro del silenzio. Il vino è selezionato con disciplina e sentimento, le favelle degli astanti… certo, avrebbero ben indotto Farinata a levarsi nella tomba e a chiedere, le pietanze dalla cucina esprimono ricerca nei materiali (l’importanza di usare burro di qualità nella preparazione dei pizzoccheri, ad esempio, non verrà mai sottolineata a sufficienza), prima consistenza e poi fantasia nelle preparazioni – in Brianza siamo tutti molto sensibili al mito del gigante Anteo, in fondo. Il format crea dipendenza, #sapevatelo. L’ultima volta è stato lo spettacolo del DOCG Valtellina Superiote Grumello “Vigna le Prudenze” di Alberto Marsetti… GRUMELLO VIGNA LE PRUDENZE, DI ALBERTO MARSETTI …e della tartare di vitellone francese dalla Garonna, allevato al fine di esaltare la massa magra della béstia – poco olio a parte, infatti, questa tartare… non serve condirla. TARTARE DI VITELLONE GARONNESE Peccato di gola A seguire, perché un sacrificio in vista della resipiscenza successiva va pur fatto, allora sia la polenta ùncia il nostro peccato di gola. POLENTA, UNCIA Alla fine La ricerca del Senso: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, cosa facciamo nel frattempo. Ecco, al Bell’Om si esemplifica, e mirabilmente, questa modesta antropologia. L’omaggio al Maestro di Samo… l’avrete certo ben còlto. Manca solo la colonna sonora. Scegliete pure tra Working On the Highway, The River e Glory Days: e alzate il volume. Qui @bottigliadissanguata. Il vino è finito, passo e chiudo, alla prossima. p.s.: anche qui paghiamo la tassa al convenzionalismo del SEO e ripetiamo trice: antropologia della convivialità brianzola, antropologia della convivialità brianzola, antropologia della convivialità brianzola
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13 Marzo, 2022

L'ultimo manzo all'olio è sempre il migliore

Dove prima si rappresenta la cifra dell’apprezzatore seriale (della miglior specie, ci mancherebbe) prendendo a pretesto le teorie del sociologo Richard Sennett e se ne esemplifica poi la fenomenologia attraverso la descrizione di un menù presso una trattoria che il Magnosolo sceglie e risceglie per i propri pranzetti in Franciacorta ormai da più di un anno, una volta al mese, 9 mesi l’anno. Il manzo all’olio recentemente assaggiato, quello dell’ultima volta è stato il migliore (ultimo manzo all’olio sempre il migliore, si diceva), ma è stato così anche la volta prima, e quella prima ancora. Ed è tutto il menù a meritarsi la seriale preferenza del nostro fotoassaggiatore. L’apprezzatore seriale, uomo artigiano alla Sennett
L’Uomo Artigiano, il libro di Sennett (ed it.Feltrinelli, 2008) ha a che fare con la maestria tecnica nella cultura materiale, l’arte di fabbricare bene le cose. Il desiderio – impulso umano fondamentale – di svolgere bene il proprio lavoro per se stesso, assieme agli ostacoli che incontra, economici e sociali. Il libro si concentra sul nesso tra la mano e la testa, sul dialogo tra le pratiche concrete e il pensiero, sull’acquisizione di abitudini a sostegno della propria attività – abitudini che creano un moto vagamente oscillatorio tra soluzione e l’individuazione dei problemi. Tutta questa disciplina trova inconscio omaggio ed esercizio nell’apprezzatore seriale, che torna e torna ancora ad assaggiare lo stesso piatto, lo stesso vino, ogni volta convinto di avvicinarsi alla verità, al messaggio ultimo in esso contenuto, eppur convinto di non coglierlo mai appieno. Conoscitore quindi solo asintotico, ma non per questo rattristato: in fondo ancora una volta Itaca ha dato il bel viaggio, cos’altro ci si sarebbe dovuti aspettare? Ora, che questa maestria tecnica della cultura materiale si trovi meglio nello chef, nel vignaiolo che nell’apprezzatore seriale dei di loro piatti e vini è quasi un truismo… insomma ci mancherebbe altro. L’apprezzatore seriale vive di suggestioni prodotte dal poietès, appunto: ma le esercita di par suo allo stesso, medesimo modo – solo un livello di astrazione sopra (o sotto, dipende da dove guardate). Ma adesso la teoria è già abbastanza, zu den sachen selbst: è il momento di tornare alla Trattoria del Gallo, nel centro di Rovato, capoluogo della Franciacorta, provincia di Brescia. Obiettivo Manzo all’olio, once again. Il serbatoio dell’acqua e la comodità del parcheggio del mercato. Arrivare a Rovato è piuttosto semplice, basta non sbagliare il casello dell’Autostrada A4: c’è scritto “ROVATO”, più di così… Per chi, venendo da Ovest, si fa un giro in una qualche cantina della Franciacorta storica, giusto prima di pranzo, la statale che passa per Erbusco, porta giusto a Rovato. ROVATO, SERBATOIO DELL’ACQUEDOTTO Quasi al centro del paese, come riferimento si tiene il serbatoio dell’acquedotto, anche questo difficile da non vedere; il parcheggio del mercato è nelle vicinanze, grande a sufficienza – posso assicurarlo, e con la stazione dei vigili urbani a ulteriore sicurezza. Qualche gradino, due passi per poche centinaja di metri e sei subito in trattoria. Scelte da menù, ritualizzate TRATTORIA DEL GALLO, INSEGNA A questo punto, preso il tavolo e vista la carta, scatta il serialismo, e merita una qualche spiegazione: io/noi/Magnosolo si viene in Franciacorta non più di una volta al mese, e da un mese con l’altro svanisce il ricordo de frammento di un brandello del profumo… ehi ma questa è altra canzone. Il ricordo, dicevo, si tramuta in saudade di sfumature di manzo all’olio. Nella pratica, si finisce sempre per ordinare le stesse cose – e con piena soddisfazione nella reiterata preferenza, nell’eterno (beh, forse qui un po’ si esagera) ritorno. Si prende atto dell’intera proposta, la si valuta con ponderata assennatezza, si finisce per ordinare le animelle arrostite come antipasto. ANIMELLE ARROSTITE A seguire i casoncelli bresciani, poi il manzo all’olio (di Rovato, indovinate un po’), la torta al cioccolato per finire. Ecco, magari un pajo di volte si è cambiato il dolce, e forse una volta gli antipasti, ma casoncelli e manzo all’olio… #whatelse? E chi presta servizio, ormai abituato alla richiesta del bicchiere di complemento per farne improvvisata base di abat-jour da tavolo dove porvi una qualche luce che illumini bene i piatti. Perché, signori, il sipario si sta per alzare su casoncelli e manzo all’olio del Gallo, e non è spettacolo che meriti minor attenzione: chi presta servizio già conosce come andrà a finire la comanda. Al maitre, piuttosto, al maitre proporre l’accostamento con qualche bel calice di Franciacorta, che, com’è noto, è indicato proprio a tutto pasto. Festival del Franciacorta, tutto l’anno IL SOMMELIER VERSA IL FRANCIACORTA Ritualizzata la comanda, anche la proposta vini si presta a felici suggestioni: è nota la cantina del Gallo come rappresentazione piuttosto esaustiva della Franciacorta (intesa qui nei suoi vini, come DOCG), benedetta l’iniziativa di proporre etichette di una singola cantina come evento settimanale di richiamo e riferimento per la scelta. Di solito quindi si concorda sul Franciacorta della settimana, a calici, ed è come un altro festival, solo che dura tutto praticamente tutto l’anno. Questa volta però, la stagione non è ancora iniziata, una e una sola bottiglia: cantina Monte Alto, Extra Brut. FRANCIACORTA MONTE ALTO EXTRA BRUT Lo scorso anno visitammo il produttore, la sua vigna vista lago d’Iseo – col quell’appezzamento vocato al Pinot in via di reimpianto e con tutti i ragionamenti e speranze del caso, la sua cantina sotto casa e ne assaggiammo non solo i Franciacorta ma anche i vini fermi: torneremo. Intanto viene sempre bello riassaggiarne accanto ai piatti della tradizione locale. Casoncelli bresciani Il casoncello bresciano è sottile nella pasta, esuberante nel ripieno ed esplosivo al palato: appropriato quindi ammansirlo servendolo irrorato di burro poco arrostito e con poco grana padano. La forma a caramella è elegante, quasi sciantosa, il piatto (bianco, mi raccomando) attira fin dalla vista per la nuance sul chiaro, il profumo ammalia. CASONCELLI BRESCIANI, DETTAGLIO Se ti distrai un attimo, manco t’accorgi d’averlo finito (non è vero, ogni singolo tortello proprio non passa inosservato, li conti quanti te ne rimangono e procedi quasi a malincuore – per fortuna prendo tempo facendo qualche foto – eppure alla fine del piatto ti renderai conto di come la porzione fosse tale, non un assaggio, e porzione per normomangiatori d’appetito in buona vena). Non sempre sempre lasciano la stessa impressione: sono tortelli di razza e qualche rara volta pare fingano di non riconoscerti. Questo è il bello dell’apprezzamento seriale: a te ricomporli nel loro genere, coglierne sia l’essenza che l’eventuale sfumatura di giornata. Manzo all’olio, manzo cotto (anche) nell’olio La ricetta è ancora di quelle povere, la parte del manzo consigliata è il cosiddetto cappello del prete – un taglio che si usa anche nel lesso, prevede tra l’altro anche le acciughe ed è attestata dal ‘500. Si vede che per allora una certa rotta commerciale, a partire dal mare, che portava in Franciacorta le acciughe si era ben stabilita. La carne viene, almeno qui dal Gallo, presentata tagliata in congruo spessore, col suo sugo e servita con polenta e spinaci saltati nel burro e spolverati di grana padano. ManZO ALL’OLIO DI ROVATO, TENERISSIMO Si taglia già con la forchetta, in bocca è una delizia. Due le artigiane vocate al manzo all’olio in servizio presso la Trattoria del Gallo, e dalla loro opera ogni volta emerge sempre il bisogno di tornare una prossima. Quella golosissima torta al cioccolato Spazio per il dolcetto? La torta di cioccolato senza farina: detta così è quasi sminuirla, va assaggiata. Ripeto, va proprio assaggiata. TORTA AL CIOCCOLATO, SENZA FARINA Omaggio all’artigiano in cucina e alle virtù del Franciacorta Il menù casoncelli e manzo all’olio, scelto, riscelto e strascelto in questi mesi continua a figurarsi cagion sufficiente per pranzettare da queste parti: ancora non ha smesso di raccontare ogni volta qualcosa di nuovo, ovvero di farsi occasione di nuove narrazioni Lo spumante metodo Franciacorta, nelle etichette poco o non dosate e comunque a basso tenore di residuo zuccherino, ne resta esaltato da un lato, si fa degno alfiere dall’altro – ciascuna etichetta a modo suo. Non è poi facile preferirne una in questo contesto – laddove assaggiata da sola ognuna si fa preferire in qualche aspetto. TRATTORIA DEL GALLO, INTERNO Alla prossima fotocenetta, sempre a cura del vostro cialtrosaccente consapevole @magnosolo. p.s.: …a te ricomporli nel loro genere, coglierne sia l’essenza che l’eventuale sfumatura di giornata. Un topos: ci torneremo su. p.p.s.: quando il nerd un cicinìn s’indigna. Come far contento il SEO? basta ripetersi pedissequamente: l’ultimo manzo all’olio è sempre il migliore, l’ultimo manzo all’olio è sempre il migliore, l’ultimo manzo all’olio è sempre il migliore, l’ultimo manzo all’olio è sempre il migliore, l’ultimo manzo all’olio è sempre il migliore.
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