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22 Ottobre, 2024

MyCia acquisisce Dishcovery

La holding Healthyfood cresce con l’acquisizione del competitor la pmi dell’inclusività e dei servizi digitali per la ristorazione Consolida la sua crescita con un nuovo milestone MyCIA, giovane PMI innovativa italiana, nata ad Arzignano (VI) e con sede anche a Milano, che ha l’obiettivo di tutelare le esigenze alimentari dei consumatori nell’alimentazione fuori casa, attraverso soluzioni digitali inclusive per il settore Horeca. E’ di questi giorni l’annuncio dell’acquisizione, attraverso la holding HealthyFood che la detiene, del 100% delle quote societarie di uno dei suoi principali competitor, Dishcovery e del suo staff. Il valore dell’operazione è confidenziale. Fondata a Modena nel 2018 da Marco Simonini e Giuliano Vita e con un portafoglio di 800 clienti e importanti partnership con colossi del F&D, Dishcovery è nata con l’obiettivo di rivoluzionare l’esperienza culinaria dei ristoranti. Specializzata in soluzioni digitali, ha sostenuto una rapida crescita durante la pandemia, grazie alla necessità di soluzioni contactless, supportata anche dall’ingresso di fondi nel capitale per sostenere la sua presenza a livello internazionale, contribuendo a modernizzare il settore della ristorazione. I due brand continueranno ad operare in parallelo, servendo ognuno la propria clientela e insieme Dishcovery si arricchirà dei servizi a valore aggiunto, soprattutto in termini di inclusività, di MyCIA con la sua Carta d’Identità Alimentare, compilata da oltre 190 mila utenti. Perché i dati di settore, in linea con quelli del Centro Studi di MyCIA, parlano chiaro: nella selezione dei ristoranti, l’inclusività è per la metà degli italiani al primo posto nella scelta dei locali, con un trend inarrestabile che ha portato, in parallelo, alla radicale trasformazione degli scaffali del retail per dare spazio a prodotti dedicati a fasce alimentari sempre più specifiche. Sono entusiasta di questa nuova acquisizione che porta due innovative società italiane ad unirsi rafforzando il nostro ruolo in un mercato così strategico, ampliando il portafoglio clienti Commenta Pietro Ruffoni, fondatore e CEO. Dishcovery è stato il precursore di questo settore e ha aperto quella strada che abbiamo contribuito anche noi ad ampliare con la svolta della Carta d’Identità Alimentare. Siamo simili nell’attitudine alla tecnologia, all’innovazione e alla creazione di valore attraverso piattaforme, particolarmente facili e vincenti, di dialogo con la clientela per il mondo Horeca. Insieme ci rafforziamo nel perseguire il nostro obiettivo di standardizzare la nostra carta e il suo sistema unico al mondo per costruire un mondo sempre più attento e inclusivo. La somma dei due portafogli genera numeri importanti per il settore: oltre 3.000 clienti, che vanno da colossi multinazionali, ai migliori ristoranti e bar di tutta Italia, con oltre 30 milioni di utilizzi registrati attraverso la piattaforma. Nella foto del titolo da sinistra: Marco Simonini, Pietro Ruffoni e Giuliano Vita La Redazione
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21 Ottobre, 2024

Guida Vini d’Italia 2025: l’istantanea del vino italiano secondo Gambero Rosso

Un mondo in fermento costante, proprio come la Guida. 498 Tre Bicchieri, tra cui 52 al debutto al vertice, e la nuova carta dei Vini Rari per raccontare anche piccolissime realtà a tiratura artigianale. 12 i premi Speciali  Sono ormai 38 gli anni trascorsi dal Gambero e dalla sua celebre Guida Vini d’Italia: un lungo viaggio per ascoltare e informare vignaioli ed enologi, imprenditori del vino e semplici appassionati, così come per sviluppare un mercato sempre più largo, consapevole e maturo. Vini d’Italia 2025, pillar della collana guide del Gambero Rosso, continua a fare e farsi strada, innovando un format già molto rodato, grazie anche alle traduzioni in lingua inglese, tedesca, cinese e giapponese. Nella nuova edizione, sempre più ricca, rientrano nel complesso ben 24.772 referenze, a fronte di circa 40mila vini degustati. Spiccano 498 Tre Bicchieri, il massimo riconoscimento, e si distingue in particolare la nuova sezione dedicata ai Vini Rari, voluta per dare spazio anche le realtà vitivinicole più piccole, caratterizzate da una tiratura di bottiglie molto limitata e quindi doppiamente preziosa. Cinquanta grandi bottiglie a tiratura limitata capaci di accendere la curiosità dei collezionisti: veri tesori enologici che passano da prestigiose cuvée affinate per 40 anni sui lieviti, a singole parcelle o vini da meditazione per una carta dei vini davvero unica. Il lavoro che sta dietro alla Guida è immane Commenta Lorenzo Ruggeri, direttore responsabile del Gambero Rosso. Sono orgoglioso di un team di quasi 70 esperti, coordinati dai curatori Giuseppe Carrus, Gianni Fabrizio e Marco Sabellico. Mai come in questo momento è urgente raccontare la bellezza condensata in un buon bicchiere di vino. Non parliamo solo di territorio, paesaggio e valore umano ma di un vero e proprio stile di vita: uno sguardo curioso sul mondo. Dopo aver assaggiato quasi 40mila campioni siamo in grado di scattare una foto ad alta risoluzione del mondo del vino italiano che ha davanti grandi sfide. Un universo di affascinante complessità, in perenne evoluzione. Come la nostra Guida. Non è un caso che Gambero lanci, insieme alla 38° edizione, un nuovo e ambizioso corso dedicato al Vino del Futuro, coordinato dal professore Attilio Scienza, con un programma didattico trasversale, ricco e altamente innovativo per valorizzare un’Italia vitivinicola in un momento di grandissime trasformazioni. Il progetto formativo, articolato in 4 moduli a distanza per un totale di 150 ore di lezioni on demand, oltre a seminari in presenza, rappresenta un viaggio completo della filiera: dalle novità in vigna a quelle del mercato, modelli di business e nuovi linguaggi tra storytelling e mondo digitale. I 12 premi Speciali di Vini d’Italia 2025: Bollicina dell’Anno OP Pinot Nero M. Cl. Pas Dosé Poggio dei Duca ’19 – Calatroni  Un Metodo Classico di straordinaria finezza e tensione gustativa, che inizia ora a esprimere una complessità che si svilupperà con gli anni a venire. Frutti rossi ad ondate, balsamico, offre un carattere a dir poco vibrante e saporito per una persistenza da manuale. Uno splendido esempio di quello che il pinot nero, in questo caso da un’unica parcella a 550 metri di quota nel comune di Rocca de’ Giorgi, può dare in un terroir vocato come l’Oltrepò. Bianco dell’Anno Alto Adige Sauvignon Gran Lafóa Ris. ’21 – Colterenzio Chi pensava che il potenziale di Colterenzio si fosse espresso fino in fondo assaggi questo ulteriore balzo in avanti. Il Gran Lafóa nasce nel vigneto che negli anni Ottanta iniziò la rivoluzione qualitativa di questa cantina e non solo. È una selezione esasperata della porzione di vigna più vocata a questa varietà, a 450 metri di quota, che ci regala un bianco poderoso, intensissimo e allo stesso tempo straordinariamente elegante. Rosato dell’Anno  RGC Valtènesi Chiaretto Antitesi ’23 – Avanzi  Un vino apparentemente delicato e sottile, Antitesi fa parte della nouvelle vague dell’enologia italiana che ha rivoluzionato lo stile e l’immagine del Rosé in Italia. Rivoluzione iniziata in Valtènesi, dove Avanzi realizza questo delizioso Chiaretto a base di groppello: straordinaria facilità di beva, fini note fruttate, tagliente e minerale. Dalla sua ha anche una grande capacità d’evoluzione nel tempo. Rosso dell’Anno  Chianti Colli Fiorentini Molino degli Innocenti Ris. ’19 – Torre a Cona  È stata una scelta impegnativa data la ricca concorrenza, ma abbiamo scelto questo vino perché incarna perfettamente il paradigma del grande rosso, classico e moderno allo stesso tempo. Un vino di struttura ma non imponente, ottenuto da un terroir storico e da un’uva autoctona, tutto giocato sulla profondità, sulla finezza dei dettagli, sull’eleganza. Vino da Meditazione dell’Anno  Moscato Passito al Governo di Saracena ’15 – Feudo dei Sanseverino  Non è la prima volta che la Calabria, e Saracena in particolare, ci regalano grandi emozioni. I fratelli Bisconte hanno firmato un altro piccolo capolavoro: il Moscato ’15 è di spettacolare profondità e complessità, un vero vino da meditazione da scoprire lentamente nelle sue mille sfumature. Progetto Solidale  Lis Neris Alla cantina della famiglia Pecorari – che firma da sempre vini di altissimo livello – fa capo la Fondazione Fancesca Pecorari ONLUS, che da anni è impegnata in progetti di assistenza ai bambini del Myanmar, dell’Andhra Pradesh in India e dell’Uganda. Con il loro contributo fondamentale sono state costruite 34 scuole. Cantina Emergente  Maugeri  L’Etna propone sempre nuove spettacolari etichette e nuove aziende. Quella di Renato Maugeri e delle figlie Carla, Michela e Paola, nel rapido volgere di tre vendemmie si e’ imposta come una delle più significative della denominazione, un risultato che passa dalle vinificazioni per vigna fino a un completo sistema d’ospitalità. E ha grandi progetti di sviluppo. Miglior Rapporto Qualità-Prezzo  Lambrusco di Grasparossa di Castelvetro 7Bio – Settecani  Il premio va a un vino, il delizioso Grasparossa 7Bio, ma soprattutto a una Cooperativa che lavora in maniera esemplare e riesce – grazie all’impegno dei soci e della squadra che la dirige – a realizzare prodotti autentici, che raccontano perfettamente il territorio d’origine e che vengono proposti a un prezzo davvero abbordabile. Premi per la Vitivinicoltura Sostenibile  Resistenti Nicola Biasi  L’introduzione delle nuove varietà “resistenti” in viticoltura ha suscitato un ampio dibattito che è lungi dall’esaurirsi. Nicola Biasi è un enologo dal lungo curriculum che alle parole ha unito i fatti, realizzando e contribuendo a realizzare le più interessanti e innovative etichette con le nuove varietà sotto l’insegna Resistenti Nicola Biasi. Un premio meritatissimo. Cooperativa dell’Anno  Belisario  In un periodo complesso per il sistema cooperativo marchigiano abbiamo voluto rimarcare il lavoro di una realtà solida e virtuosa. Belisario in oltre cinquant’anni di storia ha raccontato il territorio di Matelica con vini dal taglio curato e impeccabile, spesso indimenticabili e capaci di sfidare il tempo. Questo grazie a una squadra competente e appassionata, a una gestione rigorosa e all’impegno corale di tutti i conferitori. Viticoltore dell’Anno  Mario Fontana  Erede di una lunga tradizione di viticoltori, Mario Fontana cura personalmente le sue vigne di famiglia, quelle vigne dove è cresciuto e dove ha appreso i rudimenti del mestiere sin da fanciullo grazie a suo nonno. Se passate dalle parti del vigneto Villero a Castiglione Falletto, probabilmente lo trovate lì con le forbici in mano. Cantina dell’Anno  San Leonardo Da oltre 300 anni la famiglia Guerrieri Gonzaga è custode di questa splendida tenuta, che grazie alla passione e all’impegno in prima persona di Carlo, enologo, e ora di suo figlio Anselmo si è guadagnata una reputazione internazionale per la qualità dei suoi vini. Ma San Leonardo è molto più di una celebre griffe enologica: è un luogo di pace e di bellezza che ha ispirato e continua a ispirare tutti i viticoltori della regione, e non solo. Visitatela e capirete…   Per leggere tutti i Tre Bicchieri, suddivisi per Regione: https://www.gamberorosso.it/tag/liste-tre-bicchieri-2025/   La Redazione
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21 Ottobre, 2024

Gambero Rosso Over The Top

Al via la prima piattaforma OTT dell’enogastronomia italiana Tutto il mondo Gambero disponibile su tutti i device e sul canale 257 del digitale terrestre.
Sempre dalla parte del gusto. È la Netflix dell’enogastronomia italiana: debutta la piattaforma Gamberorosso.tv. Fruibile in ogni momento su ogni tipologia di device, strutturata come un vero e proprio provider on demand di tutte le serie di maggior successo del mondo food & wine. Dalle ricette di Giorgione e quelle Vito e della sua bolognesissima famiglia Bicocchi, passando dai panini di Max al mondo dell’alta cucina con grandissimi protagonisti, storici e meno, come Pascucci e Igles Corelli, Peppe Guida e Cristiano Tomei. Il palinsesto si rinnova continuamente con tre puntate nuove ogni giorno. Ampio spazio alle ricette, tradizionali o d’autore, reportage di viaggio dall’Italia e dal mondo, approfondimenti su cibo&salute e ovviamente tanto vino, con degustazioni e giri in vigna. Tantissimi le serie e gli episodi già online, con una serie contenuti totalmente nuovi che saranno caricati nelle settimane a venire, visibili sulle Smart TV sul canale 257 del digitale terrestre. Quando vuoi, ovunque sei. Finalmente il nostro pubblico ha tutti gli ingredienti per costruirsi il suo menu. Il progetto è una risposta per rimodularci sulle sue esigenze e, insieme, andare incontro a chi ancora non ci conosce Commenta Lorenzo Ruggeri, direttore responsabile del Gambero Rosso. Negli anni abbiamo lanciato tanti personaggi che si sono imposti nel mondo dell’enogastronomia con uno stile innovativo e originale, e ora è il momento di rendere accessibile a tutti i nostri contenuti. Sarà una sfida attualizzare il nostro know how con un linguaggio sempre più attuale e dinamico. Da oggi abbiamo uno strumento in più per promuovere l’autentico sapore italiano. Innovativa la piattaforma tecnologica, sviluppata su misura da Persidera, leading player italiano del settore, con la grafica completamente rinnovata, ideata da TB Design di Tina Berenato, in linea con tutte le novità del Gambero Rosso, dal nuovo sito alla storica rivista cartacea, per chiudere con l’ampia gamma di guide settoriali. Gambero Rosso TV è una nuova e importante realtà nel panorama della programmazione televisiva dedicata all’enogastronomia, con il suo marchio di eccellenza che accompagnerà i telespettatori in questo viaggio culinario fruibile in modalità on demand o lineare su tutte le tipologie di dispositivi Commenta Guido Fermetti, COO di Persidera. Il canale lineare è trasmesso sul canale 257 del digitale terrestre per i possessori di smart TV, che potranno accedervi con facilità dopo aver inquadrato il QR code ed essersi registrati sul sito di Gambero Rosso.   La Redazione
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20 Ottobre, 2024

Rinasce Tenuta La Fiammenga: una storia dal 1596 tra il Monferrato e le Fiandre

La famiglia Sartirano dà nuova vita alla storica cantina di Cioccaro di Penango (Asti): trenta ettari di vigne e terreni coltivati in biologico. Un’eredità culturale di quattro secoli di vino e di arte Con la famiglia Sartirano rinasce Tenuta La Fiammenga: i cugini Paolo e Guido danno nuova vita alla storica cantina di Cioccaro di Penango, trenta ettari nel Monferrato nell’Astigiano che già guarda il Casalese. Sono la quarta generazione di produttori di vino che accetta ora una nuova sfida e oltrepassa i confini delle colline di Langa dove da generazioni portano avanti la cantina Sansilvestro e l’azienda agricola Costa di Bussia Tenuta Arnulfo. È stato amore a prima vista commentano Paolo e Guido si innamorano parlando dei 25 ettari di vigneti della Tenuta, tutti coltivati in biologico. La nostra ambizione è rivolta tanto al recupero e valorizzazione dei vigneti quanto alla ristrutturazione della cascina per potziare l’accoglienza. L’anno 1596: Pietro Jescot, il Moncalvo e gli artisti fiamminghi Il nome La Fiammenga deriva da Pietro Jescot, figura affascinante e colta, commerciante di tele originario delle Fiandre. Tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, fu il proprietario della tenuta di Cioccaro di Penango sulle colline del Monferrato astigiano. Importante fu il suo legame con gli artisti locali dell’epoca, quali Guglielmo Caccia detto il Moncalvo e i fratelli De Wespin, autori della Cappella del Paradiso del Santuario di Serralunga di Crea. La profonda connessione con gli artisti fiamminghi ha definito l’identità culturale fin dal 1596, quando la figlia di Caccia, Theodora, fu battezzata con Jescot come padrino, segnando così l’inizio di una storia intrisa di arte e commercio. La Tenuta è divenuta un luogo dove la passione per l’arte e la viticultura si fondono in un unico, armonioso panorama. La storia di Jescot e Caccia, testimoniata da documenti e racconti, racchiude in sé il valore di una tradizione che vede l’arte non solo come ispirazione ma come pilastro fondamentale dell’identità territoriale. La famiglia Sartirano: la rinascita della memoria  L’avvento della famiglia Sartirano, con una lunga esperienza nell’imprenditoria del vino piemontese, ha segnato un nuovo capitolo per la Tenuta Fiammenga, portando un soffio d’innovazione pur rimanendo fedeli alla ricca eredità culturale e vinicola del luogo. I Sartirano hanno come mission il rafforzamento del legame con la terra e il recupero di antichi metodi di vinificazione: La Fiammenga si trasformerà in una destinazione enologica che guarda al futuro senza dimenticare il passato. È stato fatto un grande lavoro di reimpianto dei vigneti, mettendo un’attenzione particolare verso la produzione di vini che riflettano l’originalità e la qualità del Monferrato. Oggi, la Tenuta Fiammenga continua a essere un simbolo di come la storia, l’arte e la viticultura possano intrecciarsi per creare vini che non sono solo espressioni di un territorio ma anche testimoni di una ricca eredità culturale. Venticinque ettari di vigneti nel cuore del Monferrato La Tenuta Fiammenga sono 30 ettari coltivati in biologico nel cuore del Monferrato, la maggior parte (25) vitati e produttivi, o in fase di reimpianto. Le varietà coltivate sono le tradizionali: Barbera, Grignolino e Freisa; accanto ad altri vitigni che respirano un’aria internazionale, Cabernet, Merlot, Sauvignon, Chardonnay e Pinot Nero.  Vitigni internazionali dialogano con quelli locali, tessendo una sinfonia di gusti che celebra l’incontro tra l’anima del luogo e l’orizzonte del mondo. I terreni: il suolo come vita e anima La famiglia Sartirano ha affidato all’agronomo Carlo Arnulfo uno studio dei terreni nei vigneti della Tenuta. Questo quanto emerso: La Fiammenga si trova al centro di un complesso di suoli antichi che prendono origine a cavalle delle epoche Zancheliano (5,3-3,6 milioni di anni fa) e Piacenziano (3,6-2,6 milioni di anni fa). La presenza di marna, argille azzurre e sabbie d’Asti, sempre riferite alle stesse epoche geologiche, ha contribuito a creare un sistema collinare dove coesistono queste tre tipologie di suolo. La matrice di cui possiamo disporre è formata da successione di strati marnosi, marnosi sintosi e marnosi sabbiosi, e questa combinazione la rende vocata alla vite. La Fiammenga occupa un crinale dove le tipologie di suolo a volte si alternano e altre si sovrappongono. Lo studio accurato degli aspetti chimico fisici e funzionali di tutte le unità fornisce una conoscenza dettagliata delle diverse frazioni di collina. La presenza in questo suolo di micro e macro fauna marina giustifica la sua origine per deposito. Il susseguirsi durante questo lungo periodo di formazione di strati aventi origine diversa, ha favorito la complessa composizione in micro e macro minerali utili a creare un ambiente dove tutte è presente ma nulla è in eccesso. La buona dotazione di marna calcarea è indispensabile come volano idrico mentre le sabbie si lasciano più facilmente ispezionare dalle radici e forniscono gli elementi naturali utili alla sapidità. Il risultato è una favorevole situazione che costringe la vite a scendere in profondità per trovare quanto utile e al contempo la pone in una condizione protetta per mitigare gli eccessi climatici e lasciare che la pianta concluda ogni fase del ciclo annuale in condizioni ottimali. Il complesso collinare, attraverso la sinuosità del crinale, garantisce esposizioni che vanno da sud-est (più fresche) a sud.ovest (gradatamente più calde) attraversando il più esposto sud. La quota altimetrica va da 230 a 270 metri sul livello del mare ed è sufficiente per una buona ventilazione ed un’escursione termica utile a garantire la freschezza dei vini. Questa favorevole situazione pedo-climatica offre l’opportunità di trovare la giusta combinazione tra varietà, suolo ed esposizione adatta a soddisfare le esigenze delle varietà qui coltivate. Tre tipologie di suolo che combinate con le esposizioni formano unità distinte dove tutte le varietà coltivate trovano una situazione utile alla loro massima espansione qualitativa. In cantina: la “vinificazione materica” e le lunghe macerazioni La Tenuta Fiammenga, situata in un territorio ricco di argilla nel Monferrato, integra la produzione vinicola con la storia e l’arte locale, posizionandosi come punto di riferimento sia culturale che enologico. La tecnica di “vinificazione materica”, ideata da Paolo Sartirano, rappresenta un elemento chiave nella produzione dei vini della Tenuta.  Questo metodo prevede l’uso di tonnaux da 500 litri per una fermentazione lenta e macerazioni prolungate con il mosto in contatto con le bucce, e mira ad amplificare l’estrazione di colore, sentori, aromi, e tannini. Ciò conferisce ai vini struttura e sensazioni tattili distintive. Sartirano si ispira alla vinificazione a cappello sommerso, pratica storica del Monferrato che comporta una lunga macerazione delle bucce per estrarre caratteristiche organolettiche intense. Il cappello sommerso Questa tecnica tradizionale viene elevata attraverso la “vinificazione materica”, che non solo richiama l’eredità enologica regionale ma introduce un’espressione artistica nel processo produttivo. Attraverso questo approccio, Sartirano trasforma una pratica ancestrale in un’arte che esprime complessità e raffinatezza, legando profondamente i vini al territorio e alla sua storia geologica e artistica. In conclusione, la vinificazione materica alla Tenuta Fiammenga non è soltanto una metodologia di produzione del vino, ma un tributo alla tradizione artistica e culturale del Monferrato, dove ogni sorso di vino è un viaggio attraverso la storia, l’arte e il paesaggio della regione. Progetto Terre Emerse: il Fossile 3 – La Coda di Balena Fra i filari, si erge la Coda di Balena, il Fossile numero 3 opera della giovane artista Giorgia Sanlorenzo, dove la coda di una balena di ferro emerge dalla terra come un ponte tra epoche. Questa scultura narra di origini marine, di un tempo in cui il mare baciava queste colline, lasciando dietro di sé un tesoro di fossili. È un inno alla memoria della terra, che, in cima a una collinetta, disegna sul cielo tramonti incorniciati dalla maestosa coda di un antico cetaceo, simbolo di un passato immerso nelle acque e ora racchiuso nel cuore vitale dei vigneti. La Tenuta Fiammenga, con il suo circuito “TerrEmerse”, diviene così custode di storie sommerse, dove ogni scultura di ferro evoca la presenza silenziosa degli abissi di un tempo, in un luogo dove la storia si fonde con il mito, e il vino diventa messaggero di un dialogo eterno tra terra e mare.   La Redazione  
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19 Ottobre, 2024

Il consorzio Alta Langa Top Sponsor di Buonissima 2024

Torino, con la quarta edizione di Buonissima (dal 22 al 27 ottobre 2024), si conferma tra le capitali dell’enogastronomia. Il Consorzio Alta Langa affianca l’organizzazione come Top Sponsor della manifestazione che coinvolge tutta la città, dal cuore del centro alle periferie, dai palazzi storici alle trattorie tipiche, dalle piazze auliche ai ristoranti, trasformandola per
cinque giorni in un laboratorio gastronomico all’aperto, con più di 100 chef ospiti. Le Alte Bollicine Piemontesi saranno presenti in diversi momenti del festival. A partire da Degustando Opening Dinner, evento inaugurale che si svolgerà mercoledì 23 ottobre, nel quale 10 grandi cuochi prepareranno i loro piatti signature in versione street food per il pubblico di Buonissima cucinando a vista davanti al pubblico: 13 stelle tutte insieme ospitate a Palazzo Madama. L’Alta Langa DOCG accompagnerà i piatti preparati da Virgilio Martinez – Central, Lima; Enrico Crippa – Piazza Duomo***, Alba; Moreno Cedroni – Madonnina del Pescatore**, Senigallia; Michelangelo Mammoliti – La Rei Natura**, Serralunga d’Alba; Matteo Baronetto – Del Cambio*, Torino; Pasquale Laera – Borgo Sant’Anna*, Monforte; Giovanni Grasso – La Credenza*, San Maurizio Canavese; Flavio Costa – 21.9*, Piobesi d’Alba; Federico Zanasi feat Ferran Adrià – Condividere*, Torino; Davide Scabin – Carignano*, Torino. Nelle Sala di Guardie di Palazzo Madama sarà anche aperta, in anteprima, la mostra Threads di Malena e Virgilio Martinez. Si tratta di un’esposizione interdisciplinare, realizzata dallo Chef del Central di Lima, e dalla sorella Malena, co-direttrice del centro di investigazione sulla biodiversità peruviana Mater Iniciativa, che attraverso la bellezza della materia lega la
gastronomia al paesaggio, il paesaggio alle persone, le persone alle storie. L’Alta Langa DOCG sarà proposto in abbinamento a uno dei piatti dell’esclusiva cena inaugurale a quattro mani che si svolgerà al ristorante Del Cambio*, curata da Matteo Baronetto ed Enrico Crippa, con la partecipazione di Ferran Adrià. Il 24 ottobre, alla OGR, nella tavola conviviale di Snodo, si berrà Alta Langa DOCG in accompagnamento ai piatti di Diego Guerrero del ristorante DSTAgE** di Madrid per Grand Opera: Piemonte, Spagna, Music Hall. La cena-spettacolo sarà un omaggio al Piemonte, interpretato da uno dei cuochi più eccentrici e innovativi della scena spagnola. Diego
Guerrero ha dedicato gli ultimi quattro mesi alla creazione di un menu unico elaborato appositamente per Buonissima: quello che andrà in scena sarà un omaggio alla cultura italiana, fatto non solo di cibo – con sette piatti totalmente inediti, mai proposti nel ristorante di Madrid – ma di musica, spettacolo, performance e arte.
Anche in quattro delle cene di “Metti Torino a Cena”, dove i cuochi torinesi ospitano nei loro ristoranti chef nazionali e internazionali, l’Alta Langa DOCG sarà protagonista, in abbinamento ai piatti serviti per l’occasione. Si potranno degustare Alte Bollicine Piemontesi da Tre Galli (24 ottobre ore 20, Giuseppe Russo di Tre Galli con Luigi Taglienti di Io Luigi Taglienti di Piacenza); Insieme dal Clandestino (24 ottobre, ore 20, Ded Gaci di Insieme con Michele Valoti) della Trattoria La Madia di Brione, Brescia); Birichin (25 ottobre ore 20, Nicola Batavia di Birichin con Paolo Casagrande del Lasarte*** Barcellona); Casa Vicina (25 ottobre ore 20, Claudio Vicina di Casa Vicina con Giancarlo Morelli del Pomiroeu di
Seregno). Il 25 ottobre, all’Uci Lingotto, durante CHEFilm! Speciale Bob Noto, le Alte Bollicine Piemontesi saranno offerte al pubblico insieme a uno dei piatti cucinati da Carlo Cracco – Cracco in Galleria**, Matteo Baronetto – Del Cambio*, Giuseppe Rambaldi – Cucina Rambaldi e Paolo Griffa – Caffè Nazionale* durante la proiezione del documentario
dedicato a Bob Noto “The World’s Finest Palate” di Francesco Catarinolo. Il 26 ottobre sarà la volta della cena “Nel Grande Nord: A Great Immersive Dinner”, che si terrà nella sala immersiva delle Gallerie d’Italia di Piazza San Carlo, cucinata da Nicolai Nørregaard del Kadeau** di Copenaghen e l’Alta Langa DOCG non mancherà. Infine, il 27 ottobre, i vini Alta Langa DOCG saranno presenti al Pranzo della domenica nel Castello di Rivoli.
Otto “cuochi pop e top” si incontreranno per preparare un pranzo tradizionale piemontese per 150 persone: a cucinare saranno Fulvio Marino, Terrazza da Renza, Nicola Batavia, Fabio Ingallinera, Anna Ghisolfi, Andrea Chiuni e Alberto Marchetti IL CONSORZIO ALTA LANGA
Il Consorzio Alta Langa è nato nel 2001, dopo molti anni di ricerche e studi approfonditi, metodici e documentati sulla vocazione dell’area. Riunisce viticoltori e produttori appassionati e lungimiranti che, spinti da un grande orgoglio piemontese, hanno fondato e fatto crescere questa denominazione giovane ma con radici profonde che affondano nella storia e nel territorio. La grande scommessa che unisce tutti è quella di produrre un vino necessariamente
importante, che non sarà pronto prima di sei anni dall’impianto dei vigneti. A oggi il Consorzio conta più di 80 case spumantiere e 90 viticoltori associati.
Dal 2022 il presidente del Consorzio è Mariacristina Castelletta, vicepresidente è Giovanni Carlo Bussi.
Il Consorzio vanta partnership di lunga data con la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, di cui è Main Sponsor e di cui l’Alta Langa DOCG è Official Sparkling Wine, e con il mondo Slow Food in particolare con la Banca del Vino e con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo; il Consorzio è anche partner del Teatro Regio di Torino. L’ALTA LANGA DOCG
L’Alta Langa Docg ha l’onore di rappresentare il primo metodo classico d’Italia, nato proprio
in Piemonte alla metà del 1800.
La denominazione ha ottenuto la Doc nel 2002 e il massimo riconoscimento qualitativo della Docg nel 2011, oggi ha una produzione di oltre tre milioni di bottiglie. L’Alta Langa Docg è fatto con uve Pinot nero e Chardonnay, in purezza o insieme in percentuale variabile; può essere bianco o rosé, brut o pas dosé e ha lunghissimi tempi di affinamento sui lieviti, come prevede il severo disciplinare: almeno 30 mesi. Caratteristica distintiva dell’Alta Langa è quella di essere uno spumante esclusivamente millesimato, cioè frutto di un’unica vendemmia: ogni bottiglia riporta sempre in etichetta l’anno della raccolta delle uve, legandosi indissolubilmente alle particolari caratteristiche di quella specifica vendemmia. Viene prodotto in un territorio collinare (oltre i 250 metri slm) che abbraccia le province di Asti, Cuneo e Alessandria: una terra che guarda le cime innevate delle Alpi e respira il mare e che raccoglie l’eredità conservata dagli avi, mantenuta intatta per molto tempo senza subire trasformazioni radicali, come è avvenuto invece nelle basse colline.
Quello dell’Alta Langa è un territorio prezioso, da sostenere, in cui è salvaguardata la biodiversità. Terra letteraria, terra straordinaria di resistenze – di guerre e di culture -, che ha fatto fronte ai cambiamenti e li ha assecondati senza perdere il suo bagaglio di memoria e la sua forte identità.
L’Alta Langa ha ottenuto la Doc nel 2002 e la Docg nel 2011. I NUMERI DEL CONSORZIO E DELL’ALTA LANGA DOCG:
• Oltre 80 Case spumantiere associate al Consorzio
• 455 ettari di vigneto tra le province di Alessandria, Asti e Cuneo
• Il vigneto Alta Langa è coltivato per 2/3 Pinot nero e per 1/3 Chardonnay
• 3.200.000 di bottiglie prodotte dalla vendemmia 2023
• Mercato interno: 85%
• Export: 15%   La Redazione
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19 Ottobre, 2024

Tenuta Angelici: Il Gufo e il Syrah Eroici

Tenuta Angelici: Il Gufo e il Syrah Eroici
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18 Ottobre, 2024

Mila Vuolo. Dalla vigna al mare

Ed è qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare… Ma soprattutto: il mare chiama… Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole… Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamarti… Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà (Alessandro Baricco) Come si fa a scappare dal mare? Ma soprattutto, perché si dovrebbe scappare? Quando è nel mare che nasci, la salsedine, il suo odore acre, fanno parte del tuo respiro; lo sciabordio delle onde è il suono che regala tranquillità. Non c’è paura, solo rispetto per qualcosa che, sai, essere più grande, molto più grande di te. Mila Vuolo è dal mare che arriva. Il mare è il suo elemento. Dalla sua casa non vede il mare, lo tocca. Ci sta con i piedi dentro. Solo a vederla in viso, comprendi come i suoi colori sono quelli di una donna che il mare lo ha vissuto e lo vive. Un sorriso bianchissimo che spicca sulla pelle scura dove io capelli che sembrano appena asciugati dopo una nuotata in mare aperto. Mio padre era di Cetara. Io vengo dal mare non dalla campagna. Ogni giorno cerco di ricavarmi l’ora di mare. Quella è la mia passione. L’aria aperta è il mare. L’elemento primordiale. Le nuotate, la barca a vela. Il sole che scalda la pelle. Il sale che la liscia per poi scavare lunghe crepe su di essa. Un elemento concreto ancorché evanescente poiché puoi amarlo e viverlo ma mai utilizzarlo come base per costruire qualcosa. Mi piace l’idea di costruire qualcosa che al mare non posso costruire. Un paesaggio modificato, un prodotto mio. Anche se non so che fine farà. Ci ho investito e ci continuo ad investire. Che non posso cambiarmi la macchina, non mi interessa. Sto raccogliendo risultati sempre di più ma non ancora abbastanza. È vero che se devo identificarmi nel tempo libero mi identifico nel mare ma vivere in campagna mi piace. Siamo nei rioni collinari ma a pochi km dal centro. Quando vivevo a Roma impiegavo più tempo per arrivare in piscina. Qui vivo i ritmi della campagna, faccio la vita sociale di città e il tempo libero del mare. È alla terra Mila che fa riferimento. Una terra che forse non ha mai voluto ma che si è trovata. Per poi viverla, amarla e trovare in essa la possibilità di una vita tutta sua. Mila ha un sorriso che illumina ciò che le è intorno e che usa quasi come modo per celare una certa timidezza. O magari quella voglia di essere da un’altra parte. Magari al mare, su uno scoglio a contemplare l’orizzonte mentre le onde si infrangono e il sale è l’unico sapore che hai in mente. Prima di sette figli e con un padre noto ginecologo di Cetara, meraviglioso borgo di pescatori della costiera amalfitana, Mila studia informatica all’università per poi trasferirsi immediatamente a Roma in quella che era la Telecom. È il 1990 quando, a soli 25 anni, Mila sbarca a Roma. Single. Neolaureata. Un lavoro fisso. Una casa. I Mondiali di calcio. Il mix perfetto per stare bene e divertirsi e, soprattutto, per guadagnarsi quella indipendenza e autonomia che prima non aveva. Quando parlo con Mila ho sempre, costantemente, l’impressione che in lei ci sia sempre stata una voglia di autonomia frenata in qualche modo dal padre. Quel padre che con tutta probabilità le aveva trasmesso l’amore viscerale per il mare e che nel 1980, animato dalla voglia di fornire ai propri figli prodotti genuini, aveva acquistato un piccolo fondo agricolo alle porte di Salerno. Quasi tredici ettari con una casa colonica e un colono che era li da tempo immemore. Qualche filare di vite, nocciole, ortaggi. Tra i miei fratelli ci sono tre medici, un ingegnere, due laureati in giurisprudenza. Mio padre non c’era più e a quel punto avrei avuto l’autonomia che non avevo prima. Era un peccato abbandonare questo posto. Nel frattempo al lavoro, mentre all’inizio mi entusiasmava poi non era più la stessa epoca. Si facevano fesserie in modo pomposo. C’è stata l’occasione e sono andata via dal lavoro. Il dottor Vuolo muore nel 1999. Nove anni dopo che Mila arriva a Roma e dopo 19 dall’acquisto del fondo. Fino a quel momento Mila non si era minimamente interessata del fondo. Nominalmente era intestata a mia madre ma la seguiva lui con il colono. Era una tenuta fatta per investimento e per avere il vino, la frutta, gli ortaggi a tavola. C’erano le nocciole che si vendevano. Era una delle realtà di inizio secolo. Animali, grano. Papà mi diceva “perché non ti interessi della campagna?”. Perché non mi lasceresti fare e da te io non voglio prendere ordini. Papà ha aperto la strada a tutti. Ha aperto il futuro a noi. Amore e odio; rispetto e riconoscenza. Ma lontananza. La vita di Mila era a Roma e il ritorno a casa voleva dire Cetara e mare. Non terra. Ho cominciato a lavorare a gennaio ’90. Papà è morto nel ’99. Già nel 2000 avevo però preso tre mesi di aspettativa per vedere di poter far qualcosa qui con i progetti di imprenditoria giovanile. Progetto che in realtà ho presentato il giorno prima di fare trentasei anni. Non è andato a buon fine. Ho continuato il lavoro e nel frattempo abbiamo impiantato un pezzo di vigna perché già con mia madre e le mie sorelle ne avevamo iniziato a parlare. Sarà pure una bella vita quella di una neolaureata a Roma in un momento storico nel quale non è che la vita costasse come ai giorni d’oggi, ma se da un lato hai il mare che ti scorre nelle vene, il lavoro non soddisfa più e non c’è più nulla che possa minare la tua indipendenza, allora anche Roma diventa un ostacolo. Sono venuta definitivamente qui con un esodo agevolato. Mi sono offerta volontaria. È il 2002 e Mila prende tutta la sua vita di Roma riportandola a Salerno e Cetara. L’aveva programmato già dal 2000 aspettando solo una occasione. Programmato e progettato cominciando a fare l’impianto delle viti espiantate tempo prima.
Malessere? Noia? Nostalgia? Di tutto un pò. Dalle colline di Salerno, le Colline di Giovi, il mare del golfo si vede in maniera nitida. Non è solo una visione meravigliosa ma una esperienza sensoriale con gli occhi che viaggiano verso l’infinito del mare e le narici che assorbono l’odore dello iodio che i venti marini portano fin qui su. Su queste colline, il vino si è sempre fatto. Fiano e Aglianico principalmente con il Cabernet Sauvignon usato per mitigare il gusto forte di quest’ultimo. Un vino di quelli veri, tradizionalmente venduto sfuso. Almeno fino a quando, nel 1986, lo scandalo del metanolo non portò alla impossibilità di venderlo in questa forma. La conseguenza? Vigneti espiantati.
Anche quello del dott. Luca Vuolo fece la stesa fine. Addio ai circa 500 ettolitri prodotti e immediatamente venduti.
Proprio però nel ricordo di questa qualità delle vigne, Mila con la sua famiglia, già nel 2000, decidono di impiantare nuovi vigenti. Nel 2000 c’eravamo appoggiati alla persona che ci aveva fatto l’impianto. Però non era capace di seguirmi né io di capire come andavano le cose. Mi sono cosi avvalsa della collaborazione di un enologo/agronomo con il quale collaboro ancora oggi, Guido Busatto che è Veneto e all’epoca seguiva qualche altra cantina in Campania. Il ritorno di Mila non è semplice. La terra c’è ma non è la sua terra. È quella della famiglia anche se nessuno la vuole coltivare assorbiti come sono in altre attività.. Lei si. Il progetto che ha in mente contempla la terra. Anche se di questa non sa nulla e si deve affidare a qualcuno. Ero cosi fuori dal mondo che mi sono affidata all’enologo. Poi mano mano ho imparato a prenderne confidenza e a protestare. Mi sono iscritta nel 2007 al corso di viticoltura ed enologia. Ho seguito per tre anni le lezione però di esami ne ho fatti pochi perché non ne avevo più voglia. Ogni anno c’è qualcosa per la quale è bene che all’enologo mi ci affidi. Mila sa che deve affidarsi c’è poco da fare. Lei non sa e deve farsi seguire
Se conosceste Mila, capireste come sia una che non si abbatte. Mai. Parla con una quella calma alternata da sorrisi che è propria delle persone che prendono la vita con serietà ma leggerezza. Un quasi fatalismo che non è quello dei pessimisti. Al contrario, delle persone che amano la vita giorno dopo giorno. I sistemi di gestione dei ripartitori elettronico digitale io che ne sapevo che erano? Adesso gestisco alberi di olivo. Le fasi alte sono accomunate. Mi appoggio alle persone ma poi decido io. L’unica cosa che riesco a delegare è il lavoro nei campi. Quattro sono gli ettari impiantati a Fiano, Aglianico e Cabernet Sauvignon. Il resto della azienda olivi e nocciole. Ho cercato di far salire il livello qualitativo delle colture. Adesso cerco i frantoi. Vado tutti i giorni in azienda. Le nocciole sono un investimento più tranquillo. Le raccogli e il mese dopo arriva l’incasso. Con il vino ci metto anche sei sette anni per far uscire una bottiglia. Già, sette anni. Sembrano tanti ma per far ammorbidire l’Aglianico, alle volte non bastano. Un vitigno ostico, duro, determinato. tannico. Richiede tempo per essere domato. Così tanto che induceva i contadini ad usare il Cabernet per ammansirlo. Che poi un simile blend non fosse più identitario, era il prezzo da pagare. Ma tanto, con l’Irpina a pochi km, a chi volete importasse del vino salernitano? La mia prima vendemmia con Guido Busatto è stata nel 2003. Molto siccitosa. Di Aglianico sono riuscita a produrre qualcosa mentre di Cabernet niente. Un paio di damigiane che abbiamo bevuto l’anno dopo alla festa dei miei quaranta anni. L’Aglianico è rimasto in purezza non per scelta ma per caso. È venuto meglio di quanto ce lo aspettassimo. Si conosceva in giro come il primo Aglianico in purezza dei colli di Salerno. Abbiamo continuato a farlo per una scelta di coerenza. Cosi vinifico a parte e in purezza il Cabernet Sauvignon. Scoprire, casualmente, come si è scoperta la penicillina, che il Cabernet non serviva a meno di non volerlo bere fresco, deve essere stato un bel punto segnato da Mila. Anche se poi un Aglianico da bere giovane Mila lo produce comunque. È il Prêt-à-porter che ho testato nella annata 2021.
Siamo sui colli di Giovi e non in Irpinia. I terreni sono calcarei con arenaria e marne mentre in Irpinia (senza voler generalizzare) calcarei e argillosi a matrice di riporto vulcanico. Ciò che però cambia drasticamente è il clima con le limitate escursioni termiche di Giovi nonché la presenza del mare.
Il risultato è un vino che, sempre e comunque con tre anni di vita dopo il solo acciaio, assume sentori freschi e vinosi con la frutta che è delicata, non particolarmente matura. Prevale la arancia e un fiori ancora non particolarmente rossi. Una ciliegia, di quelle gialle e rosse, una susina fanno sentire la loro presenza.
Assaggiandolo si percepisce l’Aglianico per la sua importante trama tannica che tende a non essere aggressiva. Prêt-à-porter si lascia bere in maniera scorrevole per via di un percorso sensoriale molto interessante: parte indubbiamente fresco e con un bellissimo gusto dei frutti scoperti all’olfatto; il tannino prende il sopravvento, ma dura poco così da far rimanere la bocca in un piacevole stato. La persistenza che comunque è buona, non viene disturbata dalla ruvidezza del tannino. Il finale, solo leggermente amarognolo, lo rende abbinabile con piatti di pasta (magari all’uovo) al ragù così come con una carne, purché non sia alla brace. Il bilanciamento è ben riuscito e quello che mi piace di più è il percorso gustativo che lo rende bevibile. Rimanendo Aglianico! Il mio vino è l’Aglianico in versione classica. Mi sono resa conto che anche quello del 2009 sta ancora benissimo. Dunque dico questo è il mio vino e quando riesco a venderlo lo vendo. Senza manovre commerciali. Per evitare lo stoccaggio delle bottiglie ho deciso di fare una linea più veloce. Tenere ferma la produzione di diecimila bottiglie all’anno non è possibile. L’Aglianico Colli di Salerno in purezza è quello del 2016. Un tempo congruo per poter far ammorbidire il vitigno che ha comunque avuto il suo passaggio in legno. Il riflesso che ha un accenno di granato sembra far sperare in un ammorbidimento che i sentori di frutta abbastanza matura confermano. La freschezza del sottobosco, accentuate dal leggero balsamico, sembrano dire che ancora non è tempo per le morbidezze. Non ci sono sentori particolarmente legnosi e questo mi piace perché vuol dire che si conserva l’autenticità. Le ciliegie si trasformano piano piano in visciole; la liquirizia, la cannella, la noce moscata si fanno strada. Tutto esprime semplicità e schiettezza. Veridicità.
Il sorso è immediatamente denso di tannino con la ciliegia che dona, al contempo, freschezza e dolcezza creando un giusto bilanciamento con una persistenza non particolarmente lunga. Il tannino è maturo e importante come si conviene ad un Aglianico. Si avvicina certamente a quelli irpini ma decisamente più morbido e, soprattutto, con una straordinaria potenzialità evolutiva. Oltre l’Aglianico in purezza nelle due versioni, anche un rosato, un Fiano e il Cabernet Sauvignon che Mila adesso vinifica in purezza. Anche se il fiano sta andando troppo bene. Uscivo con le annate vecchie ma ho finito tutto. Non sono riuscita, con le tremila bottiglie, a farlo uscire nel momento quando sta al meglio. Ma non ci stavo dietro per il mercato. Mila non è persona con l’animo propriamente commerciale. Rifugge i social, non ha un sito internet. Vende solo con piccole distribuzioni o facendo assaggiare i suo vini durante le manifestazioni tematiche. Non ho mai fatto una commercializzazione spinta. Non amo i social cosi faccio di tutto per far assaggiare il vino. Altrimenti si conserva e in qualche modo lo vendo. L’azienda è piccola. Si riesce a gestire. Nessuna velleità di ampliare perché di grande c’è già il mare. Andare incontro all’ignoto si può fare certamente ma vorrebbe dire imbarcarsi in qualcosa che magari la distoglierebbe dal suo mare. Non ho mai voluto prendere uva da fuori o da ampliare. Se ci fosse qualcosa di adiacente ci penserei ma mi piace l’idea che quando entro nel mio cancello so cosa fare. Questa è la dimensione che mi piace. È una attività che ho scelto dunque mi deve piacere. Parlare con Mila è come parlare con qualcuno di famiglia. Che sia la mamma o la zia, inocula tranquillità. Non ama gli eccessi, non ci sono sfarzi attorno a lei. Tutto è essenziale. Come le etichette dei suoi vini: quando si sta in spiaggia o su una barca, basta un costume. Niente di più. L’essenzialità di Mila, la voglia di mare, forse anche di lontananza dal mondo. È nella mia indole stare sola. Voglio accentrare un pò perché delego poco. Le cose mie mi piace seguirle. Mila è indipendente. Lo voleva essere con il padre, l’esperienza di Roma lo dimostra, quella della vigna lo conferma. Determinata, decisa, cosi che anche per il vino la devi convincere. Il rosato l’ho voluto fare io perché il Fiano mi finiva mentre l’Aglianico mi rimaneva. Per sopperire a questi due limiti mi sono imposta nel farlo con le proteste dei miei collaboratori che pensavano si incasinasse tutto. È venuto bene ci è piaciuto. Magari non ho conosciuto Mila nel suo aspetto di determinazione e decisione però ciò che vedo è una persona delicata, quasi nascosta. Che deve comunque coinvolgere le persone in tante attività. Perché il vino è così. Ho sempre fatto la vendemmia pubblica. Dopo i primi anni siccitosi e visto che l’Aglianico teme l’umidità, sono in biologico e le vigne giovani, capitava spesso che l’uva cominciava a guastarsi e serviva selezionare gli acini. Serviva tanta manodopera e ho coinvolto gli amici. Dopodiché è rimasta la tradizione. È importante far vedere cosa c’è dietro una bottiglia di vino. Vengono i miei fratelli e gli amici. Si creano delle belle situazioni. Cosa ci sarà nel futuro, nemmeno lei lo sa. Non può porsi il problema perché formalmente la proprietà non è sua ma della famiglia. Figli non ce ne sono e i nipoti devono ancora farsi sotto. Una delle mie tre sorelle è diventata sommelier dunque viene con piacere. Non ho figli e non so se qualcuno dei miei nipoti vorrà interessarsene. La proprietà non è mia e non posso delegare qualcuno. Ho sessanta anni e va bene cosi. Il mood tranquillo. Le parole posate. Una celata impazienza di scappare al mare. La sua è una scelta di vita non di azienda. Poi gli amici, la famiglia e il mare. Il mare. C’è una frase di Herman Broch, scrittore austriaco, che descrive meglio di me una persona come Mila. Gliela dedico Coloro che vivono in riva al mare difficilmente possono formare un solo pensiero di cui il mare non sia parte.     Ivan Vellucci ivan.vellucci@winetalesmagazine.com Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
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17 Ottobre, 2024

GUIDA ESSENZIALE AI VINI D'ITALIA 2025 by DOCTOR WINE

IL COSA E IL DOVE Nelle ampie sale (ma forse non a sufficienza) dello SPAZIO 900 dell’EUR a Roma, lo scorso 6 Ottobre è stata presentata alla stampa e agli appassionati romani la decima edizione della GUIDA ESSENZIALE AI VINI D’ITALIA di DOCTOR WINE (al secolo Daniele Cernilli). Oltre 20000 etichette degustate, 3189 recensite, 1254 Aziende selezionate, 584 pagine… Questi i numeri di un volume che riassume il lavoro di un anno di un team che si propone di guidare il consumatore nella scelta dei vini che, nei prossimi mesi saranno, a loro dire, irrinunciabili. GLI ASSAGGI Tante le Aziende presenti (molte in pectore) per un numero di vini che sapevo benissimo essere soverchiante. M’ero fatto, come sempre, una sorta di programma di massima ma l’afflusso di pubblico era tale che ho dovuto rivedere e correggere saltando anche là dove avrei voluto ficcare il naso. E allora ecco che ho selezionato a occhio anche nelle regioni a me più care (Friuli Venezia Giulia e Abruzzo), che ho saltato a piè pari quel Lazio in cui vivo, che mi sono ritrovato a seguire l’occhio e l’estro del momento. Risultato? Una cinquantina di assaggi, tutti di livello assolutamente alto, dai quali ho voluto estrapolare una “TOP EIGHT” che racconti quei vini che, al di là della Qualità, sono riusciti a provocare un’emozione. Come da un annetto a questa parte ho ripreso a fare ho assegnato a ciascuno un punteggio (e associato a chi se lo merita un brano musicale). Certo, confrontare i miei punteggi con quelli dei redattori della Guida Vi darebbe la certezza che sono davvero “cattivo” come dicono ma, personalmente, credo che le vere “eccellenze” siano solo quelle che riescono ad accendere una scintilla nella nostra anima e che il valore del vino non si possa valutare con numeri o altro. Vabbè, voi leggete, assaggiate, criticate, suggerite e condividete. QUELLI CON LA MUSICA MONTEPULCIANO D’ABRUZZO “FOSSO CANCELLI” 2019, CIAVOLICH (ABRUZZO): ci si mette il cemento ad aggiungere un tocco di sana rusticità ad un naso altrimenti forse troppo incravattato nel raccontare il nero della prugna e il rosso dei frutti maturi. Ecco allora comparire un sottobosco totale, completo di resine e radici, mazzetti di erbe aromatiche, soffi balsamici, una presa di tabacco dalla sacca di cuoi per riempire la pipa prima del relax e ben più che un accenno a quello che i francesi chiamerebbero “goudron”. Sorso avvolgente, caldo come un abbraccio, morbido ma affatto carente di brio e dinamismo e con un finale di freschezze e speziature. (89 Punti in attesa che il vetro faccia il suo lavoro). Da bere ascoltando PIPER AT THE GATES OF DAWN di VAN MORRISON. SPUMANTE METODO CLASSICO ROSSO MILLESIMATO 2005, LINI 910 (EMILIA ROMAGNA): sisi, si fa presto a dire Lambrusco. Perché Voi lo pensate semplice, da pane e salame o al limite da cotechino, capitone eventualmente… Ma qui siamo a Correggio, il paese di Azzo (sic). Supponete dunque per un istante che un “pazzo” decida di farlo rifermentare in bottiglia e poi esiliarlo in cantina per quindic’anni. Una giratina alle bottiglie sulle pupitres tanto per passare il tempo, via il tappo a corona e altri due anni di vetro per arrivare a 17 anni di oblio. Il risultato è un Lambrusco “upside down”, che racconta in primis radici di china e rabarbaro, sottobosco umido ed erbe aromatiche e lascia la chiusura al frutto, piccolo e ancora freschissimo che saltella tenendo per mano sottili tostature e asprezze d’agrume. Un lungo soffio balsamico introduce un sorso succoso che la delicata spuma rende carezzevole e pulitissimo anche nel ricordare didascalicamente i descrittori olfattivi. Un vino assurdo! Un vino fatto per meditare sui peccati commessi! Un vino per peccare più forte. Da abbinare a sigaro e poltrona ascoltando SINS OF MY FATHER di TOM WAITS. (95/6 Punti) A proposito, “LABRUSCA”, quello rosso e fatto quasi tutto con Salamino e che sarebbe un’ecografia morfologica del precedente, si becca il mio premio “LEVATEMELO” al netto dei suoi soli 88- Punti. BAROLO DOCG PIANPOLVERE SOPRANO BUSSIA 2012 RISERVA, PIANPOLVERE SOPRANO (PIEMONTE): tra foglie secche e cortecce è l’humus ad alzare la voce ma sono l’arancia sanguinella e la melagrana a condurci per mano nello sfogliare i descrittori olfattivi che, dopo il capitolo delle rose e quello delle balsamicità di china e liquirizia, si chiudono con una quarta di copertina vergata dai chiodi di garofano.. Sorso austero ma affatto tronfio, avvolgente, voluminoso ma scorrevolissimo nel suo crescendo sapido supportato dal sottilissimo grip dei tannini fino alla lunghissima chiusura. (91 Punti). Da bere ascoltando GOLD DUST WOMAN dei FLEETWOOD MAC. CHIANTI CLASSICO DOCG “CASANUOVA DI NITTARDI VIGNA DOGHESSA” 2022, NITTARDI (TOSCANA): forse è ancora troppo presto per parlarne, forse bisognerebbe aspettare che il Sangiovese abbassi un po’ la cresta. Forse bisognerebbe aspettare che le verdi balsamicità si acchetino e lascino che anche le note dolci di frutta e di spezie intonino il proprio canto ma…a me il Sangiovese piace così! Ruvido quanto spetta a un prodotto fatto con maini sporche di terra, schiene indolenzite e rilassati sospiri quando ci si lascia andare su una sedia. Il sorso rinfranca, disseta, lascia che la lingua schiocchi e vada a ripulire le gengive da un tannino educato ma fremente. E allora chiuderete gli occhi e Vi lascerete andare al ricordo della giornata che è stata, dimentichi della fatica e concentrati a sfogliare l’allungo minerale di un vino che fonde la pazienza con l’urgenza. Da bere ascoltando L’APPUNTAMENTO di ORNELLA VANONI (e, magari, sfogliando il libro che raccoglie le etichette degli anni passati). (89+ Punti…cioè “quasinovanta”, ma solo perché io sono cattivo). QUELLI SENZA LA MUSICA SÜDTIROL ALTO ADIGE DOC SAUVIGNON “GRAN LAFÖA” 2021 RISERVA, CANTINA COLTERENZIO (ALTO ADIGE): naso dolomitico, verticale, duro nel raccontare una pesca addirittura piccante nella sua dolce-amara intensità. E poi i fiori, gli alpeggi e di nuovo i sassi e la loro preistorica sapidità. Sorso di disarmante corrispondenza, sapido e strapiombante come quelle rocce che erano mare, tagliente come un microappiglio ma con una intensità glicerica che sa di sosta comoda dopo un lungo tiro di corda. Intenso. (88+ Punti). Una nota di merito anche per lo Chardonnay “LAFÖA” 2022 per il suo profilo snello e alpinistico (prima ancora che alpino) che porta, attaccati all’imbrago, freschezze di pesca, agrumi e nocciole sotto un cielo plumbeo. FRIULI COLLI ORIENTALI PIGNOLO “DALPIN” 2018 RISERVA, BUTUSSI (FRIULI VENEZIA GIULIA): peccato per quel naso che racconta un legno, ancora non perfettamente mimetizzato, che abbassa con troppa irruenza i toni scurissimi di un olfatto profondamente intimista e terragno. Cuoio, tabacco, liquirizia, chiodi di garofano, caffè, cioccolato, frutta grande e piccola…c’è altro di “nero” che Vi viene in mente?! In bocca si presenta con una inattesa gioventù e con tannini ben vestiti ma non ancora ben pettinati e s’allunga in un finale sapido e molto coerente sorprendendoVi con un’ultima goccia, quella che sporca il bicchiere, di romantica lavanda. (Si becca 88+ e anche il mio premio “PECCATO” ma il Pignolo si sa…è “pignolo”). Da segnalare dello stesso Produttore un Sauvignon “GENESIS” 2023 (soprattutto per l’insolito asparago con cui si approccia al naso) che pecca anch’esso di gioventù. BAROLO DOCG PERNO “CAPPELLA DI SANTO STEFANO” 2020, ROCCHE DEI MANZONI (PIEMONTE): il naso è un piccolo affresco di rose e frutti rossi, rilievo luminoso su uno sfondo boschivo. Scuro ma affatto cupo presenta al naso chiodi di garofano e china in una atmosfera di freschezze balsamiche. Il sorso è un elegante, dinamico e inesorabile incedere dei descrittori olfattivi e la chiusura sa di spada medievale. (88+ Punti). COLLIO DOC MALVASIA “PETRIS” 2023, VENICA & VENICA (FRIULI VENEZIA GIULIA): già evoluto nei profumi nonostante l’imbottigliamento recente, mixa le amaritudini di timo e salvia con le dolcezze della camomilla e di una frutta gialla matura meravigliosamente “poco esotica” aggiungendo, in fondo al bicchiere, un tocco di agrume candito e una mandorla da far schioccare la lingua. In bocca vive della profonda sapidità del mare che era ma il calore e la sostanza riescono a ben bilanciare l’iniziale scompenso regalando un sorso di non comune piacevolezza e interesse. (88+ Punti). Appena sotto il Sauvignon “RONCO DELLE MELE” 2023, cui la gioventù ribelle lascia venga messa in evidenza un po’ troppa esoticità per i miei standard. Lo aspetto alla prova del tempo perché se lo merita e per il piacere di “doverlo” riassaggiare. TOSCANA IGT ROSSO “TENUTA DI TRINORO” 2021, TENUTA DI TRINORO (TOSCANA): un vino con il mare sullo sfondo. E mentre lo guardate scansate gli arbusti della macchia mediterranea, i cespugli di erbe aromatiche, le bacche scure dei rovi e dei ginepri e respirate i pensieri dell’incenso e del caffè mentre fuori il cielo puzza di ferro e temporale. Il sorso è appena troppo compito ma tenta di dissimulare quell’eccesso di eleganza a suon di tannini solleticanti e sapida mineralità e con un lungo finale di mirabile rispondenza. (89 Punti ma in divenire). E QUINDI? Quindi è il momento di ringraziare Daniele Cernilli per avermi ospitato e tutti i Produttori che hanno avuto la pazienza di sopportarmi. Ed è il momento di trovare il modo di sopravvivere a questo Ottobre così ricco di Eventi e dar conto di tutti con la solita professionalità. Difficile non lasciare qualcuno indietro ma…troverò il sistema per ringraziare tutti con le mie poche parole Roberto Alloi VINODENTRO  
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17 Ottobre, 2024

DUE EVENTI (e molte considerazioni)

IL COSA E IL DOVE Nell’ultimo, lungo, fine settimana di Settembre i winelovers romani hanno avuto molto da assaggiare. Dal 28 al 29, nell’insolita location di ESPRESSOANDCO (all’interno del Palazzo COIN di San Giovanni), è andata in onda la prima Edizione di ITINERE, Evento organizzato da TASTE FACTORY, Lorenzo Campoli e Alessio Ranaldi che ha riunito sotto lo stesso tetto oltre 40 Aziende di food and beverage proponendo banchi d’assaggio e interessanti masterclass. Il 30 è stata invece la volta di LE PERLE DI MEZZACORONA, serata organizzata da GAMBERO ROSSO per presentare le eccellenze del grande, omonimo, gruppo vinicolo.   GLI ASSAGGI Circa 80 i vini che ho assaggiato complessivamente con risultati che… Beh, ormai lo sapete tutti che sono “cattivo” ma uscire da una due giorni così impegnativa con non più di una decina di vini per i quali ritengo valga la pena spendere qualche parola (e in buona parte anche della stessa Azienda) mi ha lasciato molto perplesso. E se è vero che c’erano anche altre cose buone (ma prive di quel tocco di “emozione” che dovrebbe trasmettere il vino) è altrettanto vero che c’erano tanti vini (ma tanti) che avrei potuto tranquillamente non assaggiare, di quelli di cui non senti la mancanza. Eppure l’entusiasmo del numerosissimo pubblico accorso m’ha fatto riflettere sul fatto che, evidentemente, il mercato e il gusto comune procedono mano nella mano mentre io continuo a veleggiare in direzione ostinata e contraria. Comunque, stavolta dovrete metterci un po’ di impegno per districarVi tra le mie personalissime scelte che, non sapendo come raggruppare, ho pensato di dividere (masterclass e punteggi a parte) tra quelle che si sono meritate un abbinamento musicale e quelle che avrebbero voluto ma non ce l’hanno fatta. Assaggiate, criticate e condividete. UNA MASTERCLASS La storia di GAROFOLI è ben più lunga di un secolo e procede in gran parte parallela alla storia del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Claudio Luconi (Responsabile Vendite dell’Azienda) ha presentato tre annate di VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC CLASSICO SUPERIORE “SELEZIONE GIOACCHINO GAROFOLI” RISERVA, etichetta che assomma in sé il meglio delle uve con le quali si producono i famosi “PODIUM” e “SERRA FIORESE”. Impianti di 38 e 30 anni (cloni selezionati negli anni ’80), bassissime rese per ettaro (nell’ordine dei 30q.li) e, ad oggi, 5 anni di clausura in cemento sono i numeri di contorno di un vino che DOVETE assaggiare, PER FORZA! – 2016: fiori di campo, agrumi e frutta bianca affollano un olfatto in cui le freschezze balsamiche di menta ed eucalipto devono sgomitare per farsi vedere e dove, dal fondo al calice, la gessosa mineralità sembra essere un vecchio saggio che sa come andrà a finire tra qualche anno. La consistenza del sorso riempie mentre la balsamicità sembra aver trovato i propri spazi aiutando la facilità di beva. Sicuramente un gran bel vino ma privo di quel quid che fa emozione (almeno adesso, almeno questa bottiglia. (86+ Punti). – 2010: il naso è di una complessità disarmante. Giallo, se dovessi associargli un colore. Giallo di ginestre, giallo di fiori di tiglio e di gocce di miele che contrastano simpaticamente con cementose piccantezze. La frutta è lì, sullo sfondo, mai invadente, sembra osservare e lasciare spazio alle erbe spontanee, ai cespugli di macchia mediterranea vista mare… Sorso potente, impetuoso, eppure leggiadro come un ballerino classico. Lascia che la danza dei descrittori olfattivi si palesi al palato e che questi si inchinino nel finale a immagini di pasticceria mandorlata. Un grande vino di cui vorrete avere qualche bottiglia in cantina visto che la prima è già finita. Da bere ascoltando NOTHING CAN COME BETWEEN US di SADE. (93 Punti). – 2008: dimenticata una prima bottiglia decisamente NO, la seconda, appena ficcate il naso nel bicchiere, Vi regala una sensazione di scoglio e “muscoli” saldamente attaccati netta e decisa, un infrangersi di onda che dura il tempo di scrollare la testa e andare a sfogliare il resto dei descrittori: l’erba medica, l’agrume, il giusto di frutta bianca e un parterre di freschezze aromatico balsamiche difficile da catalogare. Il sorso risulta scorrevole nonostante la consistenza glicerica e l’ampiezza dello spettro gustativo e la sapidità mai doma è certamente l’arma vincente in questo vino ancora vivo nonostante il peso degli anni inizi a fargli chinare un po’ la testa. (88 Punti). QUELLI CON LA MUSICA GAVI DOCG “FORNACI” 2021, MICHELE CHIARLO (PIEMONTE): olfatto “green” e verticale che propone fieno non maturo, mughetti, erbe amare, il giusto di pesca e di frutta secca il tutto in una atmosfera elegantemente boisé trafitta da accenni di idrocarburo. Sorso che sfodera il pugno glicerico per domare la verticale freschezza, sostanzioso, quasi masticabile con una chiusura che, ammiccante, travia con le sue piccantezze minerali. Da bere ascoltando DETROIT 442 di BLONDIE. (ITINERE, 88 Punti) NIZZA DOCG “LA COURT” 2020 RISERVA, MICHELE CHIARLO (PIEMONTE): il sottobosco osserva in tralice prugne e ciliegie che si fanno confettura per future dolcezze ma, al momento, cedono il passo a china e radice di liquirizia tra pensieri tabaccosi e sottigliezze di cannella. Il sorso accenna morbidezze ma poi segue la strada segnata dai tannini e si dedica a sottolineare sostanza e bevibilità esemplare perfettamente accordate ed una eleganza assolutamente avulsa da sovrastrutturate opulenze. Da bere ascoltando WOODOO CHILD di JIMI HENDRIX (ma suonata da STEVIE RAY VAUGHAN). (ITINERE 89 Punti). “IL FANCIULLINO COLLEZIONE PIERINO LEVIA” 2022, TENUTA LEVÌA (LAZIO): l’annata 2023, proposta in una bottiglia probabilmente “poco felice”, mi aveva fato storcere il naso con quel suo sgarbo di ridotto sul quale era terribilmente difficile sorvolare. Ma il piglio di Alessio nel proporre e promuovere il proprio lavoro, le proprie origini, le proprie radici è tale che non ho potuto dire di no alla prima annata di un vino fatto con la Malvasia più bistrattata tra quelle della sua numerosa famiglia. Malvasia di Candia, nata per tagliare ed essere tagliata, destinata all’oblio nelle descrizioni (percentuali a parte), risorta qui quale araba fenice dalle proprie ceneri per spiccare il volo verso futuri diversi. All’olfatto prende spunto dall’assaggio dell’annata 2023 e indossa le mentite spoglie di uno Chardonnay. Sono abiti larghi, adatti alle sue grassezze ma li indossa dissimulando la taglia sbagliata grazie a una muscolatura tonica e ben più che definita fatta di frutta esotica (forse un po’ troppo per i miei gusti) E poi mostra fruscii di tigli e agilità di erbe aromatiche a compensare quelle grassezze di burro che si impossessano del palato appena decidete di assaggiarlo. Ben equilibrato nelle componenti fresco sapide conferma le note olfattive aggiungendovi il brio di un finale sapido e piacevolmente ammandorlato. 1944 bottiglie numerate sono una dedica al nonno e 87 sono i punti che gli do (che siano uno stimolo a correggere qualcosa e guardare avanti). L’ho assaggiato a ITINERE, Voi bevetelo ascoltando WE USED TO KNOW dei JETHRO TULL. CHIANTI CLASSICO DOCG “LA CORTE” GRAN SELEZIONE 2019, CASTELLO DI QUERCETO (TOSCANA): c’è un bosco intero dentro il bicchiere! Ci sono i funghi, le foglie umide, i muschi, le cortecce, la resina… Non ci sono i piccoli frutti (forse qualche bacca scura) ma non sono mancanza bensì caratteristica. E poi il cuoio e i cavalli sellati, tabacchi aromatici, freschezze mentolate e la delicatezza di qualche viola. In bocca è freschezza dinamica e svolazzevole, piacevolissimevolmente tannico, di maschia sapidità e luuuuungooooo… Da bere ascoltando LOVE IS A LOSING GAME di AMY WINEHOUSE. (MEZZACORONA 91 Punti se li merita tutti anche se può migliorare in equilibrio e non impazzisco per il Sangiovese). TOSCANA IGT ROSSO “CIGNALE” 2018, CASTELLO DI QUERCETO (TOSCANA): quasi tutto Cabernet Sauvignon con un piccolo saldo di Merlot che ruba l’anima alle more ed è poi indeciso se raccontare mari o monti. C’è il bosco ma anche un ché di risacca, la freschezza dell’eucalipto e il caldo abbraccio del cioccolato, la dolcezza delle spezie e la ruvidità della pietra. Sorso coerente, fresco e sapido, educatamente tannico (con brio) e lungo nei suoi echi balsamici. Da bere ascoltando LA NOSTRA ULTIMA CANZONE di MOTTA (MEZZACORONA 88+ Punti). QUELLI SENZA LA MUSICA FRUSINATE IGT MERLOT “SULISS” 2017, MASSERIA BARONE (LAZIO): in una atmosfera fumosa di quasi boudoir, tra pot pourri di rose e legni nobili, la ciliegia, ben matura ma ancora croccante, è quella che riempie il cioccolatino boero e le spezie son lì, a fare da contorno. Il sorso è caldo e avvolgente come un manto, morbido (fin troppo) con tannini ancora vivaci e una freschezza “ni” che è facile preda di un legno un po’ troppo presente. Bel vino, non nelle mie corde ma gran bel vino. (ITINERE 88 Punti). Della stessa Azienda si meritano poi una menzione le bellissime etichette e i CABERNET DI ATINA “MARCÖN” RISERVA e “RICUCC”, il primo che merlottizza rotondità chiudendo dimentico su chiare note di cioccolato dimenticandosi delle note green del vitigno (peccato per un alcol un pochino troppo esuberante) e il secondo che recupera punti rispetto all’assaggio di un paio di anni fa dimostrando brio e succosa bevibilità (il legno? ‘nzomma…).     SICILIA DOC SYRAH “KAID” VENDEMMIA TARDIVA 2021, ALESSANDRO DI CAMPOREALE (SICILIA): estremamente complesso il naso che sacrifica l’Oriente delle spezie sull’altare delle amaritudini di mallo di noce. Ricco il corredo fruttato, rosso, nero, di bosco e no. E poi il Mediterraneo dei pomodori secchi, dell’origano e dei capperi a precedere la chiusura gicata tra cioccolato e tabacco nero. Sorso caldo e morbido, decisamente sapido, forse un pochino troppo incravattato e…meno lungo di quanto avrei pensato. (ITINERE Quasi 90 Punti…quasi). CHIANTI CLASSICO DOCG “IL PICCHIO” GRAN SELEZIONE 2018, CASTELLO DI QUERCETO (TOSCANA): forse più equilibrato rispetto al “LA CORTE” gioca la carta della frutta, rossa di ciliegie e nera di more prima di dedicarsi al tabacco, alle sottigliezze boschive e a ben più di un mazzo di rose. Sorso di fine eleganza non dimentico di un tocco di sana rusticità, tannini ben pettinati e freschezza a supporto. (MEZZACORONA 88 Punti, perché gli manca un quid).   GRECO DI TUFO DOCG “ALETHEIA” 2021 RISERVA, DONNACHIARA (CAMPANIA): ben centrato sulle note vegetali della nespola e del gelsomino non dimentica le dolcezze della susina e chiude birbante tra minerale sapidità e graffi balsamici. Sorso caldo e di glicerica sostanza, ben fresco e decisamente sapido trova la quadra con la tipicità del vitigno raccontando dolcezze mandorlate nel lungo finale. (MEZZACORONA 87 Punti perché…di più non se ne merita).   Infine, mentre meritano di essere segnalati il NIZZA “MONTEMARETO” e l’elegante BARBARESCO “REYNA” di MICHELE CHIARLO (rispettivamente 87 e 88- Punti), il VERMENTINO DI SARDEGNA DOC “DEMÀ” 2023 di CALA DI SETA (86 Punti), il PASSITO “HECATE” 2020 di FEUDO ARANCIO (86+ Punti), il TOSCANA IGT ROSSO “IL QUERCIOLAIA” 2018 di CASTELLO DI QUERCETO (87 Punti) e la grappa di Traminer di NOTA (cui non do punti perché non mi permetto ma che è una vera “esperienza”). Una nota di biasimo va invece a quel Produttore (si dice il peccato ma non il peccatore) che, per bocca del suo “brand ambassador”, fa un vino che “non va degustato ma solo bevuto” (sic). Da segnalare anche la monocultivar di Itrana di RICCARDO PALOMBELLI che, a poche settimane dalla nuova campagna olearia, mostra ancora con lodevole impegno la propria anima di pomodoro e carciofino sott’olio senza dimenticare un tocco di frutta secca d’accompagno (meno in forma, invece, il blend “CRISOPEA”). E QUINDI? E quindi niente! 2 giorni, 78 assaggi e…9 vini da salvare. Questi i numeri che non avrei voluto scrivere ma che sono l’ineluttabile conseguenza di un mondo del vino che, per carità, deve guardare necessariamente al mercato ma…senza perdere di vista il valore qualitativo del prodotto. Lo so, direte tutti che sono “cattivo” o “talebano” ma credo che il vino non vada ridotto a semplice “bevanda” o raccontato attraverso una serie di profumi spesso avulsi dal contesto della vigna in cui nasce. Un vino dovrebbe accendere un’emozione e lasciare un ricordo indelebile legato a questa e, purtroppo, di emozioni, in queste due giornate ne ho vissute davvero poche. Verranno giorni migliori, lo so. GRAZIE comunque agli organizzatori di ITINERE e a GAMBERO ROSSO per l’ospitalità e a tutti i Produttori che hanno avuto la pazienza di sopportarmi. DAJE FORTE, SEMPRE Roberto Alloi VINODENTRO  
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