The Voice of Blogger

The Voice of Blogger a cura di  Claudia Riva di Sanseverino ci porterà nel mondo dei blogger del Vino coinvolgendoli in avvincenti storie da raccontare.

Un viaggio tra i personaggi del web che Claudia e Stefano selezioneranno di volta in volta e che quotidianamente con immagini, stories e reel raccontano con passione e competenza il vino e le sue meravigliose storie.

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5 Settembre, 2024

La Farra: storia di scommesse vinte e valorizzazione del territorio

Un invito nato da una scommessa: un abbinamento coraggioso. Ovvero la cucina bolognese accompagnata a tutto pasto da Prosecco di Conegliano Valdobbiadene DOCG. A essere sincera, qualche pregiudizio lo avevo ma sono una persona curiosa, sempre pronta a fare esperienze e aperta a nuove sfide. Ed è anche così che si scoprono le aziende, a tavola! Nella storica cornice del Ristorante La Cesarina, situato in quella che ritengo la più bella Piazza di Bologna (Piazza Santo Stefano), il Veneto più tradizionale ha incontrato la bolognesità più tipica. Una piacevole pausa dagli impegni quotidiani, in compagnia dei produttori. E’ una bella storia quella dei tre fratelli Nardi, oggi alla guida dell’Azienda La Farra e tutti dedicati alla valorizzazione del territorio. Siamo nel cuore del Conegliano, in una tenuta che si estende per circa 25 ettari. Qui, le uve Glera vengono coltivate e lavorate a mano per poi essere trasformate, e valorizzate, in vini iconici. Scopro che La Farra offre un’esperienza enoturistica che è un vero viaggio sensoriale, dalla vigna al calice. Il percorso è lungo circa 3 km ed è percorribile in 50 minuti a piedi. Snodandosi dalla cantina attraverso i vigneti sulle colline, arriva fino al Belvedere La Farra. Questo è un casolare pittoresco e luminoso, immerso nei vigneti eroici e di proprietà della famiglia Nardi.  LA FARRA, VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO “Il progetto di recupero del Casolare muove da una vera e propria esigenza di condivisione che tutti noi fratelli sentivamo profondamente – racconta Adamaria Nardi. Si tratta infatti di un angolo di mondo che abbiamo sempre vissuto con grande intensità e che desideravamo aprire agli altri. Più che un semplice luogo, è l’incarnazione di un legame profondo con la terra che lo circonda. Il vino che qui prende vita è infatti da noi interpretato come un frammento di un cosmo più vasto, intrinsecamente intrecciato con l’essenza stessa di questo territorio di cui il casolare è al tempo stesso simbolo e ambasciatore.”  “La decisione di valorizzare il Casolare”, racconta Innocente Nardi, “si radica nella volontà di contribuire, a nostra volta, all’eredità lasciataci dalle generazioni che ci hanno preceduto. Basti pensare che questa struttura è ubicata nella suggestiva località Rive dei Nardi, collina che si inscrive armoniosamente in questo contesto. Qui, tra le colline punteggiate dai vigneti storicamente appartenuti alla famiglia Nardi, il casolare si è affermato come simbolo dell’arte viticola di questo luogo, teatro dell’impegno e della dedizione tramandatici. Valori, questi, che abbiamo scelto di onorare e perpetuare nel tempo.  Con questo spirito, abbiamo deciso di investire nel recupero dell’edificio, intenzionati ad aprire le sue porte a chi si riconosce nella nostra filosofia e desidera scoprire l’anima nascosta dietro ogni calice di vino firmato La Farra. Il nostro desiderio è infatti quello di condividere non solo il vino, ma anche le sfide e le peculiarità di questo territorio unico al mondo: la ripidità delle sue colline, i suoni distintivi, il microclima unico; tutti elementi che si fondono in un mosaico irripetibile.”  UNA SCOMMESSA VINTA Come non essere curiosi dopo questa descrizione? L’enoturismo è indubbiamente un grande volano per l’economia – ma torniamo alla tavola e ai nostri assaggi. Stuzzichino di salumi del territorio con crescentine con Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato 2023 Tortellini alla panna Cesarina inventati da Cesarina Masi nel 1940 con Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Rive di Farra di Soligo Extra Dry 2023 Lasagne verdi alla bolognese con Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Sui lieviti Brut Nature 2022 Petto di tacchinella con punte di asparagi e contorni di stagione con Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Rive di Farra di Soligo Extra Brut 2022  Torta di riso tradizionale Si dice che gli opposti si attraggono, e anche se i sapori della tradizione emiliana sono decisi e definiti, i profumi e le bollicine eleganti delle referenze assaggiate sono riusciti a tenergli testa. Abbinamento non facile, addirittura un po’ azzardato, che tuttavia è risultato piacevole nella sua inconsuetudine. Dimostrazione, questa, che non c’è una sola regola, così come non ce ne devono essere di assolute. La bellezza sta infatti nella ricerca e nel dinamismo della sperimentazione. La scommessa è stata vinta, e non solo a tavola in quel momento e in quella occasione, di certo frutto di un grande lavoro di qualificazione e valorizzazione di un territorio che merita di essere conosciuto più accuratamente. Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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28 Agosto, 2024

FIOROTTO FESTEGGIA I PRIMI 90 ANNI

Se da una parte è bello raccontare le nuove realtà vinicole, è altrettanto emozionante celebrare quelle che storicamente sono presenti da anni sul territorio, custodendolo. LA FELICITA’ Ho conosciuto Daniele Fiorotto qualche anno fa. Giovane, dinamico e appassionato, è nato in quel di Nervesa della Battaglia. Città, questa, che ha dato vita al celebre Galateo scritto nel ‘500 da Giovanni della Casa. Daniele è non a caso un ragazzo posato che ama la bellezza e l’eleganza. Una delle sue frasi preferite è quella recitata da Valeria Bruni Tedeschi nel film La Pazza Gioia di Paolo Virzì: “Ma dove si trova la felicità? Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili.” Daniele ha interpretato seriamente quest’affermazione, e questi elementi ce li ha regalati tutti quando, in occasione del 90° anniversario, ha presentato ai più di 300 invitati il nuovo Caveau del Gusto. Questo è uno spazio di 150 metri quadrati pensato appositamente per accogliere i clienti e coccolarli con i prodotti dell’azienda. Oltre ai vini, infatti, Fiorotto1934 produce formaggi e miele biologici. LA STORIA DI FIOROTTO Il fondatore, Vittorio Fiorotto, arrivò a Nervesa Della Battaglia negli anni ‘30 con moglie e figli per dare vita all’attività. Una decina di capi di bestiame, qualche filare di vigneto, campi di cereali e a prato furono il suo investimento iniziale. Da allora, la stessa passione ed intraprendenza si sono tramandate di padre in figlio fino ad arrivare, oggi, alla quarta generazione (in realtà quinta, data la nuova nascita di Giacomo il 31 maggio). Dal 2017, la gestione aziendale è passata alla ai fratelli Daniele, Marina e Stefano. Tra le varie proprietà e i numerosi terreni, il complesso aziendale si estende attualmente su 120 ettari, di cui circa 20 dedicati soltanto al vigneto, 3 a bosco e il rimanente coltivato a prati e cereali per alimentare i 180 capi di bestiame presenti in  allevamento. I FESTEGGIAMENTI PER I 90 ANNI L’inaugurazione del 14 giugno è stata allietata da musica, luci e un’atmosfera festosa, nella quale i Fiorotto sono stati idealmente abbracciati da amici, clienti e parenti che hanno loro dimostrato grande affetto e stima. Abbiamo avuto la possibilità di passeggiare sotto la bellussera, antico sistema di coltivazione della vite detto anche “a raggi”, illuminata scenograficamente. Questo particolare sistema, diffuso principalmente in Veneto, fu inventato dai fratelli Bellussi di Tezze di Piave (Treviso) alla fine dell’800, per combattere il flagello della peronospora e prevede un sesto di impianto ampio. Nella bellussera, pali in legno di circa 4 metri di altezza sono collegati tra di loro da fili di ferro disposti a raggi, mentre ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa 2.50 metri da terra. Da ciascuna di esse si formano così dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera. Nel tempo, chi ha mantenuto questo tipo di impianto ha conservato un importante patrimonio storico, a testimonianza e memoria dell’identità e della tipicità di questo territorio. I VINI DI FIOROTTO 1934 I nomi dei vini si rifanno alle figure storiche e romantiche, come il Florimonte, ad esempio, che deriva dal cognome di Monsignor Galeazzo Florimonte (1484-1565), vescovo italiano e fine umanista, letterato e riformatore.  Durante la serata abbiamo avuto modo di assaggiare tutte le referenze prodotte, abbinate ai piatti di Do Eat Ricevimenti, azienda partner con cui Fiorotto1934 condivide i principi di sostenibilità e genuinità dei prodotti.  Fiorosa Vino spumante Brut, ottenuto da uve 100% Pinot Nero, Charmat lungo 11 mesi Florimonte Extra Charmat Dry, da uve Glera vendemmiate a metà settembre con raccolta manuale  Florimonte Brut Charmat, da uve Glera sempre vendemmiate a metà settembre con raccolta manuale Florimonte Millesimato Cuvée Brut, Metodo Charmat lungo 7 mesi da uve Chardonnay, Pinot bianco e Glera   In anteprima, abbiamo potuto assaggiare una nuova referenza pensata per onorare il fondatore dell’azienda. “Vittorio Il Fondatore” è un Metodo Ancestrale con rifermentazione in bottiglia da 6 a 12 mesi da uve Glera di antichi vigneti di famiglia, mantenuti a Bellussera. Tutti i vini hanno ottenuto la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata). Fiorotto1934 è da sempre attenta al rispetto delle persone e dell’ambiente, e adotta un sistema di agricoltura intelligente nel quale vengono utilizzate attrezzature all’avanguardia unitamente ad antiche pratiche agronomiche tramandate nel tempo. Le uve vengono coltivate secondo metodi di produzione che garantiscono alti livelli di sostenibilità, raccolte manualmente e vinificate con pressatura soffice, al fine di diminuire l’impatto ambientale, la percentuale di residui e l’uso dei solfiti. Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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7 Agosto, 2024

La Grande Bellezza 2024

Si è appena concluso il Tour de La Grande Bellezza 2024. Sai di cosa si tratta? IL FORMAT DE LA GRANDE BELLEZZA 2024 E’ un evento dedicato alla degustazione e alla scoperta dei vini eccellenti del territorio italiano, frutto della accurata e attenta selezione condotta dai critici Raffaele Vecchioni e Federica Ferone, il primo convinto che “oggi più che mai, sia fondamentale creare connessioni fatte di storie, momenti, vita ed emozioni per aumentare la percezione di un brand e conoscerlo a fondo”. Bologna è la città che chiude il tour che ha toccato Amsterdam, New York,  Napoli, Milano in location di grande fascino. La degustazione di vino è costituita da un Grand Tasting principale, dove sono presenti circa venti aziende italiane e distributori, che hanno la possibilità di raccontare i loro prodotti a professionisti del settore. Nel corso del pomeriggio si sono svolte due masterclass, decisamente interessanti, di aziende che non conoscevo. Entrambe sono state un’esperienza arricchente sia dal punto vista umano che culturale. Mattatore unico Raffaele che con quel pizzico di informalità che mette tutti a proprio agio, ha magistralmente condotto le degustazioni dandoci la possibilità di confronti e approfondimenti di cui il mondo del vino ha così bisogno. 1° MASTERCLASS ORIZZONTALE DI BAROLO 2020, Poderi Gianni Gagliardo Sfumature preziose di Comunali e Cru, simbolo di unicità del territorio. Barolo del Comune di la Morra (scheda tecnica) Barolo del Comune di Monforte d’Alba (scheda tecnica)  Barolo Monvigliero (scheda tecnica)  Barolo Castelletto (scheda tecnica)  Barolo Fossati (scheda tecnica)  Barolo Mosconi (scheda tecnica)  Lazzarito Vigna Preve (scheda tecnica)  Serra dei Turchi (scheda tecnica) Da un’unica barrique di 10 anni, vengono prodotte solo 150 magnum e solo negli anni migliori  Incredibile, quanto siano emerse le differenze di territorio. Il produttore, che era presente, ci ha assicurato che il metodo di vinificazione è lo stesso per tutti i prodotti e che la cantina lavora per far emergere uno stile preciso che sia leggibile e riconoscibile, come un’impronta. Ovviamente, ho individuato i miei preferiti, ma in tutti gli assaggi è stata lampante la ricerca dell’eleganza e della bevibilità con una longevità sicuramente importante. Nei bicchieri, la storia di un sogno, quello di Paolo Colla. Nato a Santo Stefano Belbo nella terra del moscato, vinifica Dolcetto con grande passione ma sogna il Barolo. Nel 1961 riesce ad acquistare una cascina a La Morra, dove può finalmente coltivare e vinificare Barolo. Quando l’unica figlia di Paolo sposa Gianni Gagliardo, il suocero Paolo gli trasmette l’amore per la terra e per il vino. Da qui la produzione cambia passo e nome, e nel 1986 iniziano ad arrivare anche riconoscimenti e premi importanti. I vigneti sono in regime biologico certificato, alla cui conduzione vengono applicati i principi della biodinamica seguendo un approccio olistico che tiene conto dell’equilibrio generale dell’ambiente-vigneto. La filosofia produttiva è chiara: se un vino non viene ritenuto soddisfacente, non si produce. Una curiosità è che la bottiglia (con un’elegantissima etichetta) reca nel vetro una mascherina cadente, a simboleggiare la profondità del vino e la sua capacità di creare legami fortissimi fra le persone. Come dicevano gli antichi ‘’In vino veritas’’. 2° MASTERCLASS SAPAIO IN VERTICALE Quattro annate per ripercorrere un identikit di un successo. Podere Sapaio 2020  Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot (scheda tecnica)  Podere Sapaio 2019 Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot (scheda tecnica) Podere Sapaio 2012 Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot (scheda tecnica)  Podere Sapaio 2008, unico ad avere il 20% di Merlot nel blend (scheda tecnica)  Podere Sapaio si estende in 40 ettari di terra. Di questi, 27 sono vitati di cui 18 locati a Bolgheri e i restanti 9 a Bibbona. Decisione coraggiosa, quella di rimanere IGT pur potendo “vendere” il prestigioso nome Bolgheri che tutto il mondo conosce. La produzione si focalizza esclusivamente su Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot in regime biologico e, come si legge nel loro sito, anche oltre… La fermentazione avviene in acciaio e l’affinamento in barriques e tonneaux. In degustazione al Grand Tasting ho assaggiato l’altra referenza aziendale (ne sono prodotte due), il  VOLPOLO 2020, blend di Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot. Sempre con fermentazione in acciaio e affinamento in barriques e tonneaux, sosta in vasche di cemento fino all’imbottigliamento. L’intuizione del Marchese Mario Incisa della Rocchetta sulle potenzialità di Bolgheri rimane sempre attuale e viene puntualmente rinnovata nel tempo, pur nella diversità degli stili e delle visioni che ciascun produttore possiede. Un universo da scoprire, fatto di persone che interpretano il territorio e lo trasformano in eccellenze liquide. Ogni volta, non posso che sorprendermi e incuriosirmi ancora di più! Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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3 Luglio, 2024

Rauscedo, le radici del vino

Chissà perché quando beviamo un calice di buon vino pensiamo a chi lo ha prodotto e mai a chi lavora per fornire ai vignaioli le viti migliori! Ora che ho visitato Rauscedo, centro di eccellenza mondiale di produzione delle barbatelle, ci penserò. Si discute sempre molto di vino e vigne, di territorio e stile ma saltando il passaggio fondamentale, ovvero la qualità a monte, le radici, per così dire. Oggi come non mai, il cambiamento climatico e la domanda crescente di sostenibilità obbligano i vivaisti a trovare nuove soluzioni che aiutino i viticoltori. E non solo loro, anche la produzione delle nocciole e delle mandorle ad esempio risente gli effetti del riscaldamento globale… LA STORIA DI RAUSCEDO Partiamo dall’immediato dopoguerra (la Prima) in una zona povera e martoriata dai combattimenti. Precisamente nel piccolo Comune di Rauscedo ai piedi delle Alpi Carniche. In quel periodo, in tutto il mondo si cercò di trovare una soluzione all’invasione della temutissima filossera, “sbarcata” in Europa a fine ‘800 e in rapidissima diffusione. Dopo che fu individuato il fattore di resistenza in alcune specie di viti americane, si comprese che la strada da percorrere era quella dell’innesto. Si osservò infatti che le specie americane resistevano all’attacco della fillossera all’apparato radicale, mentre la vite europea, responsabile della produzione, non reagiva alle punture nell’apparato fogliare. Così, vennero associate le due caratteristiche, selezionato il portainnesto in base alla resistenza a specifiche avversità (in particolare alla fillossera) e il nesto in funzione della sua adattabilità all’ambiente climatico e alle sue caratteristiche produttive. A Rauscedo si formò una cooperativa di uomini che con tenacia e genialità diedero vita alla prima barbatella in terra friulana. Da qui in poi, tutta la comunità si adoperò per sviluppare questo particolare settore. In un territorio povero ma dotato di una buona condizione climatica e di un terreno adatto alla coltivazione, i primi soci si misero all’opera per produrre e commercializzare le barbatelle, dapprima in Italia e successivamente all’estero. E’ del 1933 il primo listino con i prezzi degli innesti in vendita delle ben 24 varietà a bacca rossa, 16 a bacca bianca, 17 da tavola e 17 portinnesti. Quando si dice “fare la storia”!  Oggi siamo passati a 496 varietà, 480 cloni originali VCR®, esclusiva mondiale di 14 varietà resistenti e 4 portainnesti M, con il 77% di resa media in vivaio.  LA RADICI DELLA RICERCA Cos’è la ricerca se non curiosità e studio al servizio della collettività e di un futuro migliore? La prevenzione, la previsione delle problematiche future per la loro risoluzione non è forse la miglior arma che possiamo utilizzare? In sintesi “prevedere il futuro” ci può aiutare a crearne uno migliore? Incoraggiati dai traguardi raggiunti, i soci di VCR decisero di aumentare gli investimenti sulla ricerca fino a creare, nel 1965, un centro per individuare le migliori tecniche vivaistiche e avviare un proprio programma di miglioramento genetico. La selezione clonale muoveva a quel tempo i primi passi e i Vivai Cooperativi Rauscedo, unica azienda privata a potersi fregiare del titolo di “Costitutore Viticolo”, nel 1969 riuscirono ad omologare i primi 51 cloni della serie “Rauscedo”, ancora utilizzati ai giorni nostri. IL RESEARCH CENTER E LE RADICI NEL FUTURO Inaugurata nel 2019, la nuova sede VCR Research Center accoglie 365 m² di laboratori in una costruzione architettonicamente inserita in modo armonioso nel contesto paesaggistico e caratterizzata dall’autosufficienza energetica. Gli 8 laboratori sono divisi per aree e sono dedicati alla diagnostica sierologica e molecolare, alla microbiologia, alla micropropagazione, alle colture in vitro e alle analisi chimiche. L’estensione totale è di 22,5 ettari. Questi comprendono ben 19 ettari di vigneti, 4 serre riscaldate di 2000 m² e molto altro. Per capire come i VCR siano leader mondiali indiscussi del vivaismo viticolo basta leggere alcuni numeri: 210 soci produttori 80 milioni le  barbatelle innestate all’anno 80 dipendenti 1000 lavoratori stagionali specializzatissimi (la selezione viene fatta manualmente) 35 i paesi nel mondo dove VCR è commercialmente presente  Questi sono alcuni dei dati che mi hanno impressionato maggiormente ma vi assicuro ce ne sono tantissimi altri, più tecnici e non meno significativi, che si trovano nel loro sito e che fanno capire come nel tempo questa realtà ha raggiunto il primato del distretto di produzione di barbatelle più importante al mondo.  Ad esempio, sono 100 le strutture nel territorio nazionale e 24 quelle nei paesi esteri. VCR possiede inoltre il 90% di VCR France (società creata nel 2002 a Nimes) e detiene come società partecipate Agromillora in Spagna, Vitro Hellas in Grecia e Novavine in California. Affida inoltre, tramite licenze di esclusività, la commercializzazione oltre oceano delle proprie varietà e dei propri cloni a Chalmers Nursery in Australia, Riversun in Nuova Zelanda e Bosman Adama in Sud Africa. VCR fornisce al viticoltore un servizio a 360°, dalla fase di progettazione del vigneto all’analisi del terreno, proseguendo con la consulenza post-vendita e affiancando il cliente anche in fase di produzione.  LE MICROVINIFICAZIONI DI RAUSCEDO Credo che sia un ‘unicum’ nel mondo…Cosa? La cantina di vinificazione che può effettuare 600 microvinificazioni all’anno e più di 300 nano-vinificazioni, con annesso laboratorio enologico, per l’analisi e la comparazione qualitativa di cloni, varietà convenzionali e nuove varietà di uve da vino e da tavola. Le innumerevoli vinificazioni consentono una verifica costante delle potenzialità enologiche di tutte le varietà e dei diversi cloni italiani e stranieri oggetto di moltiplicazione. Nell’accogliente sala di degustazione abbiamo avuto la possibilità di assaggiare in anteprima tre microvinificazioni di vitigni resistenti (PIWI). Sauvignon Kretos, gradevole, sapido e ben strutturato Sauvignon Rythos frutti tropicali, buona acidità Pinot Iskra MC, limone, agrumi, buona acidità Una curiosità: alla guida del Laboratorio c’è una donna, la Dott.ssa Elisa de Luca, mentre mentre il CDA è  formato da giovani sotto i 30 anni. Anche i dirigenti sono molto giovani, come ad esempio Yuri Zambon. RAUSCEDO LE RADICI DEL VINO La nostra visita prosegue alla sede storica della Cantina Rauscedo, anche questa una cooperativa nata nel 1951, voluta da 130 soci e ispirata all’esperienza delle cooperative nate intorno alla produzione di barbatelle, come ci spiega con orgoglio Michele Leon.  Inizialmente contava 280 ettari di cui 85% a bacca rossa e 15% a bacca bianca. Oggi la cantina ha due sedi produttive, conta 370 soci e 1900 ettari di superficie, il che la rende la più estesa della regione. I vitigni a bacca bianca sono il  92%, mentre il restante è a bacca rossa.  La cantina è ampia, sobria e dotata delle più moderne tecnologie. Spazi immensi ospitano le cisterne storiche in cemento da 200 a 700 ettolitri termocontrollate, tuttora utilizzate a fianco di quelle in acciaio. Qui si lavorano circa 240.000 ettolitri di vino! Le vigne si trovano nella bassa pianura alluvionale, su terreni sassosi e ciottolosi molto drenanti, in mezzo ai fiumi Tagliamento, Meduna e Cellina. Un suolo simile alle famose Graves di Bordeaux. Tra Prealpi e mare, nel bicchiere si apprezzano la sapidità e, allo stesso tempo, gli aromi intensi e una grande persistenza. Bello il detto locale “L’acqua divide gli uomini, il vino li unisce”. GLI ASSAGGI  Brut Villa Manin (in onore del Doge Manin che depose la Serenissima), Metodo Classico con oltre 32 mesi di affinamento sui lieviti, crosta di pane, intenso ed elegante. Chardonnay, fresco e persistente. Traminer Aromatico, pesca, rosa, ananas. Prodotti di qualità e prezzi accessibili a tutti. Controllare per credere. Una curiosità: il Friulano non è un dialetto ma una lingua riconosciuta dallo Stato Italiano nel 1999. Questa lingua pare che derivi dal latino rustico aquileiese, mescolato a elementi celtici, a cui si sono poi aggiunti numerosi elementi slavi e germanici, in quanto i vari popoli di stirpe germanica (longobardi, goti, franchi, tedeschi) hanno dominato il Friuli per oltre 900 anni. Si chiama ‘clap’, che è anche il nome dei sassi che si trovano nei fiumi. E come lasciare il Friuli senza assaggiare il Frico? Una degna conclusione di una giornata che ricorderò!Un sentito ringraziamento a Lorenzo Tosi (Responsabile Comunicazione e Marketing VCR), Michele Leon (Sindaco di San Giorgio della Richinvelda) e all’amico Mauro Genovese che ha reso possibile tutto questo. Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
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19 Giugno, 2024

San Lorenzo Vini, una supernova brilla nel Teramano

Il nome di San Lorenzo Vini e le stelle presenti in etichetta richiamano immediatamente la notte più stellata dell’anno. Questa cantina è una stella, anzi una supernova brillantissima nei cieli del Teramano. La scelta del logo si deve alla chiesetta, dedicata al Santo, che sorge su un terreno di proprietà della cantina ma anche a una data importante per quella che è diventata l’odierna azienda. Mi trovo in Abruzzo e precisamente sulle dolci colline teramane per un press tour. Arrivata al B&B Cascina Giglio Rosso, esco ad esplorare il territorio. Qualcuno, guardando il panorama, lo ha paragonato alla Toscana per via dei cipressi. Sono 600 per l’esattezza, tutti piantati da San Lorenzo Vini e che incorniciano le stradine bianche e i pendii delle colline come i bordi di un pizzo. Mi chiedo perchè cerchiamo sempre di paragonare tutto… questo è l’Abruzzo e ha un’identità tutta sua. Noto infatti che con la Toscana ci sono molte differenze, dalle cime innevate quasi di fronte al mare ai calanchi e alle palme. Un angolo incontaminato dove le vigne ti circondano e si respira aria pulita.   LA STORIA DI SAN LORENZO VINI Incontriamo Gianluca Galasso, che insieme al fratello e allo zio Agronomo Gianfranco Barbone e coadiuvato dall’enologo Riccardo Brighigna, porta avanti l’attività. Fu però il bisnonno Francesco D’Amico, nel 1890, che acquistò i primi due ettari nel borgo medioevale di Castilenti per festeggiare la nascita del suo primogenito. Il 10 agosto del 1940 il di lui figlio, Giuseppe D’Amico, di ritorno dall’America dove era emigrato in cerca di fortuna, comprò dal Duca Caracciolo i primi 80 ettari e iniziò a mettere a dimora le prime barbatelle. La scelta fu fatta con lungimiranza e saggezza. Infatti, la poca distanza dal Gran Sasso d’Italia (solo 20 km) e la vicinanza alla costa adriatica (altrettanti, i chilometri) garantiscono le condizioni climatiche ideali per la coltivazione della vite, sia per temperatura che per ventilazione. Il nonno, dopo anni di conferimento delle uve ad altre cantine, decise di produrre in proprio e convertì anche le coltivazioni di frutta in vigne. In dieci anni e con notevoli investimenti, sono stati convertiti oltre 100 ettari dal sistema a pergola abruzzese a guyot e cordone speronato. Tutti i reimpianti sono stati fatti mantenendo la tipicità dei vitigni e riproponendo le marze dei vecchi vigneti preservando i cloni esistenti.   SAN LORENZO VINI OGGI Ad oggi, San Lorenzo Vini si estende per una superficie di 220 ettari, di 160 dedicati alle vigne. Di questi, 50 sono in Provincia di Pescara in aree produttive molto vocate per la produzione del Trebbiano e del Pecorino. Tornando alle colline teramane, la proprietà si presenta in modo compatto. Formata da un unico grande lotto che si estende su tre crinali di colline di conformazione calcareo-argillosa, è posta ad un’altitudine tra 250 e 350 metri slm. L’attenzione alla sostenibilità quasi maniacale si ritrova qui in moltissimi aspetti: il posizionamento della cantina nei pressi delle vigne, l’abbattimento degli interventi fitosanitari, il saldo a credito delle emissioni di CO2, l’utilizzo di energie rinnovabili, la tutela della biodiversità, il risparmio idrico, l’inerbimento permanente e le collaborazioni con le attività locali. San Lorenzo Vini è da cinque anni in regime biologico e aderisce  al sistema SQNPI, certificazione delle produzioni agricole ottenute in conformità ai disciplinari regionali di produzione integrata. Questi prevedono l’utilizzo di tecniche compatibili con la tutela dell’ambiente, la salute degli operatori agricoli e dei consumatori. Quella, per intenderci, con il bollino dell’ape!     Le vigne, di tipo autoctono e internazionale, si susseguono a perdita d’occhio. Tra loro, tre laghetti alimentati da acqua sorgiva, che qui scorre in abbondanza. La proprietà sta anche facendo un grande lavoro di recupero e restauro degli antichi casolari che sono destinati all’accoglienza. Io ho pernottato alla Cascina Giglio Rosso, alloggio semplice e curato con una bella piscina e una grande pace che, non vi nascondo, mi è dispiaciuto lasciare.   LA CANTINA  Gianluca ci spiega con orgoglio che le 33 storiche vasche in cemento, a dispetto delle mode, non sono mai state abbandonate. Sono grandi cisterne da 300 ettolitri l’una, fatte a stampo, che non si trovano più in commercio e che risalgono agli anni ‘80. Sono termocondizionate, in modo da garantire che la temperatura non scenda mai sotto i 10 gradi d’inverno e rimanga costante d’estate, e sono dotate di sistema antivibrante. Parallelamente all’orgoglio di una storia di generazioni troviamo anche il dinamismo e la voglia di sperimentare, per creare nuovi prodotti sempre strizzando l’occhio a quello che offre il territorio. A preziosa chiusura della grande anfora di argilla vediamo infatti un coperchio di Maiolica di Castelli, un famosissimo centro nel Teramano che ebbe il suo apice nel ‘600. La degustazione si svolge nella bellissima cornice del settecentesco Palazzo De Sterlich, nel centro di Castilenti, acquisito dalla famiglia nel 2015 per avere maggior spazio per l’affinamento e parallelamente un luogo per l’accoglienza e il tasting. Al piano nobile, ancora in fase di restauro, si potrà in futuro ammirare un affresco con una scena di caccia che si sviluppa a 360° gradi. Il palazzo faceva parte del patrimonio del Marchese De Sterlich, uno dei più famosi piloti automobilistici dell’inizio del ‘900 (se volete saperne di più…). LA DEGUSTAZIONE – Pecorino Terre Teramane 2020, sentori di idrocarburi più simile al marchigiano che all’abruzzese (qui la scheda tecnica). – Pecorino Terre Teramane 2015   “Abbiamo puntato sul Pecorino – ha detto Gianluca Galasso ai presenti – fin dal ‘98 perché è un vitigno che in questo territorio si è adattato perfettamente. Inoltre, è stato molto interessante scoprire negli anni la sua potenzialità nell’invecchiare ed evolversi”. Del resto, proprio recentemente e riferendosi a una Masterclass al Vinitaly di Pecorino Marchigiano, anche il Gambero Rosso nel suo recente articolo “Sul Pecorino non abbiamo capito una mazza, storia di un vino che invecchia meglio di tanti rossi” aveva posto l’accento sul grande potenziale di invecchiamento di questa tipologia di uve. – Oinos Montepulciano Colline Teramane DOCG 2013. La dolcezza delle spezie unita al bellissimo sentore di frutta rossa stramatura avvolgono e stravolgono l’olfatto. Al gusto è estremamente equilibrato, giustamente tannico, caldo, morbido, di grande struttura e persistenza aromatica e con un ottimo dosaggio del legno.   – Oinos Montepulciano Colline Teramane DOCG 2008. Qui si raggiunge il paradiso pur mantenendo il carattere vivo e fresco del sorso. – Don Guido Montepulciano Colline Teramane DOCG Riserva 2015, prodotto in sola Magnum in onore del nonno e appena uscita in commercio. Un turbinio di frutta rossa con un tannino vitale ed elegante.  DON GUIDO, FIORE ALL’OCCHIELLO DI SAN LORENZO VINI “Il Don Guido, ha proseguito Gianluca, è stato presentato in anteprima nazionale al Vinitaly e oggi vogliamo farlo assaggiare agli amici giornalisti e ristoratori. Per noi è un vino iconico, una produzione di 3.500 bottiglie, tutte numerate e in solo formato magnum dedicato a nostro nonno che è venuto a mancare nel 2019. Per la realizzazione, dopo vari test fatti con l’enologo, abbiamo optato per un appassimento breve, che conferisce maggiore morbidezza al vino. Infine, il vino fa un affinamento in tonneau per sette anni. Questo lungo tempo gli dona eleganza e morbidezza e un tannino non invadente”.     La giornata è proseguita tra passeggiate tre le vigne, i casolari e i cipressi e un gustosissimo e raffinato brunch servito al Giglio Rosso, a cura dello chef Maurizio Della Valle del ristorante La Corte a Spoltore. Ed è proprio all’insegna della sostenibilità caparbiamente perseguita dalla famiglia Galasso che abbiamo concluso in dolcezza con la dimostrazione del maestro cioccolatiere Centini di Teramo che ha realizzato davanti ai nostri occhi i cioccolatini partendo dalle diverse fave di cacao.     Queste le parole di Gianluca a seguito dei miei ringraziamenti per aver vissuto 24 ore tra la magia della natura, i sapori del territorio e l’evidenza di una squadra coesa e determinata che porta avanti con grinta questo lavoro: “Noi ce l’abbiamo messa tutta per farvi entrare nel nostro mondo, per farvi capire quanta passione riserviamo all’attività, giorno dopo giorno. Solo con grande dedizione e lungimiranza  si costruiscono cose belle da tramandare alle generazioni future”. E il mio pensiero è immediatamente andato al famoso proverbio dei Nativi Americani il cui messaggio le sue parole ricalcano: “La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli”. Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
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15 Maggio, 2024

Not Only Wine

UN RICORDO CHE RIAFFIORA Avete presente quelle statuine che da piccoli (per i più agé) cambiavano colore a seconda del tempo da azzurro a rosa? In occasione di Only Wine 2024 è stato bello vedere per la prima volta lo stesso principio applicato a un’etichetta di vino. L’etichetta in questione è quella del nuovo prodotto della Casa Vinicola La Fornace e si tratta di un Rosé rifermentato. Il concetto è incisivo e immediato: se la bottiglia è fredda l’etichetta è di un color blu intenso, mentre se la si tocca, le parti “riscaldate” dalla nostra mano la colorano di rosa-arancio, lasciando magicamente per un po’ il segno dell’impronta delle dita. Il merito della mia “scoperta” lo devo al giovane Giovanni Colaiacovo, Presidente del neonato Consorzio L’Alta Umbria che racchiude i produttori della zona a nord di Perugia. Vignaioli esuberanti, che si sono costituiti in associazione per far conoscere il loro territorio, stanchi di sentire nominare la loro regione solo per uno o al massimo due vini (tanto per fare i nomi, Sagrantino e Trebbiano Spoletino). A quanto pare si sono anche inventati nuovi metodi di comunicazione e un esempio di questo l’ho avuto tra le mani. UNA GRAFICA GIOVANE CHE ‘PESCA’ NEL PASSATO Tornata a casa, incuriosita, ho raggiunto al telefono gli ideatori, Matteo Mariangioli e Aurora Pelaggi, entrambi grafici under 30, per sapere come nasce un’idea simile. Loro mi raccontano che la proprietà della cantina per cui l’etichetta è stata realizzata è giovane, anche se la realtà è nata nel 1969. Il progetto nasce quando il produttore decide di utilizzare le uve di una vigna vecchia situata in prossimità della cantina fino a quel momento non lavorata. Non si poteva prevedere quale potesse essere il risultato finale e l’evoluzione del prodotto è andato di pari passo con lo studio dell’etichetta e la necessità di metterla in commercio a prodotto finito. Contrariamente a quello che mi ero immaginata, il motivo della variazione termica non era quello di dare un’indicazione sulla temperatura di servizio del vino, ma di sviluppare qualcosa che ricordasse la sorpresa, il colore, la scoperta, la freschezza e il divertimento ancor prima dell’assaggio. Per realizzare questa etichetta è stata utilizzata una vernice termocromica, solitamente utilizzata per i prodotti medicinali allo scopo di controllare la correttezza della conservazione.  UN RICORDO…AFFUMICATO? Avete mai sentito parlare del Vin Santo Affumicato? Una chicca Presidio Slow Food presente in degustazione. Al naso i sentori di fumo ti pervadono e avvolgono, dal fumo del camino della cucina di una volta al tabacco di sigaro e miele di castagno, in bocca quasi sembra di percepire la cenere. Come non volerne sapere di più? Giochiamo in casa come zona di produzione, ovvero nell’Alta Valtiberina, proprio intorno a Città di Castello. La particolare affumicatura deriva dal fatto che in questa zona anni or sono l’attività della coltivazione del tabacco era in ascesa. Nelle stesse stanze dove si stendevano ad asciugare le foglie di tabacco, i produttori di vino sistemavano quindi anche i grappoli, appesi uniti a due a due sulle travi. L’esposizione al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna faceva penetrare negli acini questa particolare nota di affumicato, rendendo quel Vin Santo unico.  Le uve impiegate sono Trebbiano, Malvasia, Canaiolo, Vernaccia e San Colombano, ma anche Grechetto e Malfiore, tutte raccolte a maturazione ancora non eccessiva, affinché le bucce degli acini siano spesse e resistano all’appassimento che dura almeno tre-quattro mesi, fino a dicembre o gennaio. I grappoli sono quindi diraspati, pigiati e lasciati a fermentare in botti di legno con il lievito madre che ogni famiglia custodisce. Rimangono poi in locali ben areati e soggetti agli sbalzi di temperatura stagionali per almeno tre anni. Solo pochi, al momento, i piccoli e piccolissimi produttori che portano avanti questa antica tradizione e che stanno cercando di introdurre una modifica del disciplinare della DOC dei Colli Altotiberini, al fine di creare una sottozona e di inserire il vino santo. Al momento il prodotto è riconosciuto come Bianco Passito IGT Umbria. Da assaggiare. NOT ONLY WINE MA ANCHE START UP Lo stand di Matteo all’entrata di Only Wine è colorato e allegro con magliette, cappellini, e gadget a tema vinicolo, ma a ben vedere non sono i soliti accessori. Incuriosita mi faccio raccontare da Matteo che questa startup fiorentina – Wine Pills – è nata durante il covid circa tre anni fa unendo le passioni di due amici, quella per i libri e quella per il vino. Lui e il socio Edoardo si sono prefissati di rivoluzionare il mondo della comunicazione nel mondo enoico applicando con creatività l’arte e il disegno, nello specifico il fumetto, per raccontare la storia del vignaiolo. Così si vogliono avvicinare le nuove generazioni, senza perdere di vista la tradizione, ed è così che da una classica brochure di 20 pagine sono arrivati a 4 utilizzando il fumetto per Tenuta La Novella. Nello specifico, offrono molti servizi come lo storytelling, la creazione contenuti, l’ideazione di etichette, la brochure aziendale o il menu della carta dei vini. Un fermento di idee questo Only Wine, dove sicuramente giocano un ruolo importante i criteri di ammissione: il produttore deve avere meno di 40 anni, meno di 15 anni di storia oppure la cantina può avere fino a 10 ettari. Ci vediamo alla prossima edizione! Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
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10 Aprile, 2024

Salviati, eccellenza italiana

Tra le belle esperienze vissute durante Wine in Venice, la visita esclusiva a Salviati è stata una tra le più interessanti. Mi vergogno a scriverlo, ma la prima e ultima volta che andai all’isola di Murano prima di questa credo risalga a una gita di scuola. Salviati, per il secondo anno, ha realizzato il premio che è stato consegnato alle 20 cantine vincitrici sulla base dei tre principi cardine della manifestazione, ovvero etica, sostenibilità ed innovazione. Il calice di una particolare sfumatura di rosso è un insieme di colore, potenza ed eleganza che mi ha lasciato senza fiato!  Il “viaggio” inizia con il trasferimento in barca dalla Scuola Grande della Misericordia, sede della manifestazione, all’Isola di Murano. E’ una fredda e soleggiata giornata di gennaio e veniamo accolti nella fornace. Questo è il cuore pulsante delle lavorazioni, dove tutto ci parla di una lunga storia iniziata più di 160 anni fa, precisamente nel 1859 sul Canal Grande, nel centro storico di Venezia. La storia della passione di un avvocato-chimico-archeologo vicentino di nome Antonio Salviati.  ORIGINI DEL VETRO  Probabilmente il vetro è noto all’uomo sin dalla preistoria. Nel 2000 a.C. il vetro era utilizzato in Egitto per produrre stoviglie e monili, come perle di vetro. Altri rinvenimenti archeologici di piccoli vasi ne dimostrano la diffusione anche in India e Cina, tra il 1000 e il 500 a.C.. E’ nell’area del Mediterraneo, però, che se ne sono maggiormente sviluppate diffusione e commercializzazione. L’ampia esportazione di questi oggetti favorì la nascita di fornaci in Campania, in Spagna e a Roma, tutte molto attive durante l’alto Medioevo. Generalizzando, mentre l’Occidente preferiva una produzione più ordinaria e utile, l’Oriente privilegiava la raffinatezza. Nel tempo, gli artigiani vetrai divennero sempre più abili fino a sviluppare, nel I secolo a.C., la tecnica del soffiaggio. Nel V-VII d.C., a Bisanzio, si iniziarono a produrre tessere di vetro per la creazione di mosaici a dire poco spettacolari come quelli presenti a Ravenna, i più belli del mondo (ma questa è un’altra storia). LA LAVORAZIONE DEL VETRO DI MURANO Semplifichiamo ancora parecchio… Il vetro è formato da silice, che ad elevate temperature diventa liquida (stiamo parlando di temperature che si aggirano tra gli 800 e i 1100 gradi). E’ nel momento del passaggio tra lo stato liquido e quello solido che il vetro diventa morbido e malleabile, permettendo così al vetraio di plasmarlo e creare opere uniche ed inimitabili.  L’esperienza acquisita nel tempo portò i mastri vetrai di Murano a fare un’importante scoperta. Essi realizzarono che l’uso di diversi materiali durante la lavorazione fa sì che il vetro modifichi il suo aspetto creando effetti visivi singolari e suggestivi. E’ il caso del sodio, ad esempio, che viene utilizzato dall’artigiano per rendere la superficie di vetro opaca, mentre i nitrati e l’arsenico vengono impiegati per eliminare le bolle. Colori, tecniche e materiali variano a seconda del risultato che il vetraio vuole creare e si declinano in un’infinita e affascinante varietà di forme e colori. NASCITA E CRISI DEL VETRO A MURANO L’avvincente storia del vetro di Murano nasce nel 1291, quando si decise che le vetrerie di Venezia fossero trasferite sull’omonima isola. Questa decisione, che si rivelò ben presto importante per i suoi abitanti, fu presa in quanto i forni dei laboratori a Venezia erano i principali responsabili di gravi incendi. Concentrare tutte le vetrerie a Murano fu inoltre utile a Venezia per controllare l’attività dei mastri vetrai e per custodire quell’arte che l’aveva resa famosa in tutto il mondo. Gelosa della fama acquisita, Venezia obbligò in seguito i mastri vetrai a vivere sull’isola, impedendo loro di lasciarla senza prima ottenere un permesso speciale. Nonostante queste restrizioni, tuttavia, molti riuscirono a fuggire. Con loro, portarono un bagaglio importante di esperienza e conoscenza artigianale ed esportarono, anche all’estero, le loro raffinate tecniche. SALVIATI: RISCOPERTA E RINASCITA  La crisi più significativa che il vetro di Murano dovette affrontare fu nel XV secolo, quando si cominciò la fabbricazione dei cristalli di Boemia. Murano perse sempre più posizioni rispetto alle nuove vetrerie in Europa. Si aprì così un periodo di decadenza dell’arte vetraria dalla quale Venezia, poco alla volta, riuscì ad uscire, grazie anche all’impiego del vetro di Murano per la realizzazione di lampadari. Questi sono, ancora oggi, le opere forse più note ed apprezzate tra quelle realizzate in questo materiale. In questa crisi si inserisce la figura di Antonio Salviati, amante dell’arte in generale ed in particolare di quella del vetro. Iniziando la produzione di mosaici e di oggetti in vetro di Murano, decise di risollevare le sorti di questa arte, avendo la lungimiranza di circondarsi di valenti collaboratori. Uno fu il sindaco dell’isola di Murano Antonio Colleoni, un altro l’Abate Vincenzo Zanetti, fondatore del Museo del Vetro e della prima scuola di disegno per vetrai. Insieme, attraverso un’instancabile ricerca e sperimentazione, riscoprirono l’arte delle antiche colorazioni, con quelle tecniche e quei saperi che con il tempo si erano quasi completamente perduti. Antonio Salviati si fece apprezzare in tutta Europa, dove la sua “consacrazione” avvenne in quel di Parigi nel 1867, quando partecipò all’Esposizione Universale. Qui propose i tipetti, calici da parata molto celebri nel ‘400, leggeri, coloratissimi e personalizzabili. Salviati operò infatti come un moderno agente, presentandosi presso le varie corti europee con una valigetta composta da 6 bevanti, 6 steli e 6 piedi separati. In questo modo, poteva consentire ai potenziali clienti di creare i propri tipetti su misura. Antesignano della personalizzazione, ebbe un enorme successo e la sua collezione si sviluppò sempre più negli anni, arricchendosi di oggetti decorativi, preziose coppette, calici e sistemi di illuminazione. SALVIATI OGGI Salviati oggi è un’azienda che rispetta e celebra ogni giorno la millenaria tradizione del vetro di Murano attraverso le proprie maestranze in fornace e con un management che si impegna quotidianamente a diffondere la cultura del vetro artistico soffiato a mano in tutto il mondo. L’azienda è oggi una moderna fornace, con una guida “giovane” (Stefano Schiavon, Presidente e Alberto Lago, Direttore Artistico) e quotati designers in grado di portare ottimizzazione e innovazione. Salviati affianca infatti alla produzione tradizionale un dipartimento di sperimentazione dove fare crescere idee e persone. Una curiosità tuta veneziana… sapevate che i primi occhiali con lenti di vetro nacquero proprio a Venezia intorno alla fine del XII secolo? Fonti https://www.mademuranoglass.com/it/lisola-di-murano-e-la-lavorazione-del-vetro/ La storia di Salviati è ricca e moderna e la potete trovare  qui https://www.salviati.com/storia/   Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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5 Marzo, 2024

Villa Trasqua: eccellenza italiana e precisione svizzera

Un’esperienza che rimarrà nel cuore, questa Blind Blogger Tasting a Villa Trasqua che ha ospitato il format dei due geniali Fabio Gobbi e Francesco Bonomi giunto ormai con successo alla sua 16° edizione. Se vuoi sapere come si svolge leggi qui la mia esperienza precedente. Sotto la guida attenta di Andrea Contarino, Direttore Tecnico, abbiamo trascorso 24 ore immersi nella realtà di questa azienda.   VILLA TRASQUA – IL TERRITORIO  Villa Trasqua si trova a Castellina in Chianti su di un antico altopiano da cui prende il nome, che pare derivi dal latino “intra aquas”, data la particolare posizione tra le acque dei torrenti Gena e Staggia. Le prime tracce di questo territorio provengono dall’epoca longobarda, intorno all’anno 1000. Da quel momento in poi il toponimo Trasqua appare in tutti i lasciti e atti notarili come “terra vignata”. Siamo infatti nel cuore del Chianti Classico DOCG “Gallo Nero”, la più antica DOCG d’Italia, tra dolci colline, uliveti e vigneti dove le terre rosse di Siena cominciano a colorare il paesaggio. La vista a trecentosessanta gradi è spettacolare e si perde tra vigneti e colline, arrivando alle vicine Siena e Monteriggioni. La proprietà si estende per oltre 120 ettari tra vigne, uliveti e aree boschive. Questa ricchezza paesaggistica, che viene meticolosamente curata e preservata secondo la regola della sostenibilità, fa si che il territorio sia ideale per coltivazioni in linea con la sostenibilità ambientale. Abbiamo potuto apprezzare durante il nostro giro in vigna la costante ventilazione mentre ci veniva spiegato che sono presenti nel sottosuolo falde acquifere e sorgenti d’acqua che garantiscono che il terreno non vada mai in sofferenza a causa della siccità. Le vigne, per un totale di circa 55 ettari, sono situate lungo dolci declivi che favoriscono il naturale defluire dell’acqua piovana, evitando fenomeni erosivi. I terreni sono fertili, ricchi di humus e di sostanze minerali e conservano una buona permeabilità, creando il giusto ambiente per la crescita delle uve di Villa Trasqua. Il suolo è eterogeneo, essendo composto da argille rosse e gialle, sabbia, limo e pietre di alberese e galestro. IL SUOLO La peculiarità del suolo è che a volte è diverso anche all’interno dello stesso vigneto. E’ questa la bellezza della UGA Castellina che si divide in 13 suoli diversi. La scelta di avere la cantina vicino alle vigne fa ulteriormente capire quanta cura si impiega nell’evitare che la materia prima sia sottoposta a stress. La lavorazione parte direttamente in vigna, dove la raccolta è quasi tutta manuale e si svolge in più fasi, raccogliendo a mano solo le uve già mature per una vinificazione dedicata per ciascun vigneto; per gli ‘entry level’ è stata invece introdotta la raccolta meccanizzata. La vinificazione avviene secondo i metodi tradizionali. Tuttavia, ci si avvale delle più moderne attrezzature, nel pieno rispetto delle uve ed esaltandone le caratteristiche proprie.  Disposta su più livelli, per sfruttare la gravità e stressare il meno possibile le uve, la cantina ha iniziato la conversione nel 2012 e dal 2016 è a conduzione biologica in seguito a una precisa scelta di sostenibilità integrale. Durante la visita in vigna con Andrea ci siamo soffermati sul Vigneto Fonterosi, dove è stata fatta la selezione clonale del Sangiovese aziendale. Da questo vigneto, nel 2021 è nato un nuovo progetto che per ora è top secret…Speriamo di saperne presto di più! Il simbolo dell’azienda è un antichissimo leccio, pare il più vecchio di Castellina, sotto il quale si trova una panchina da dove si può godere un panorama bellissimo. PROPRIETA’ SVIZZERA, ECCELLENZA ITALIANA Quando ho saputo che Villa Trasqua è di proprietà di imprenditori svizzeri, da Italiana mi sono dispiaciuta. Tuttavia, nel corso della giornata ho avuto modo di cambiare idea, avendo visto come la famosa precisione svizzera viene applicata in ogni azione finalizzata al rispetto della terra, del suo prodotto e della tradizione, con l’intento di tutelare e valorizzare l’eccellenza italiana. Gli investimenti importanti si toccano con mano, a cominciare dalla scelta di farsi seguire da uno dei più importanti enologi italiani, Franco Bernabei. Fondatore di Enoproject, il suo mantra è “prima il vitigno, poi il vino”. Insieme al suo team, Bernabei studia con precisione capillare i vigneti e gli impianti, per poi passare a monitorare le uve e i mostri, analizzando l’andamento di crescita dell’uva per determinare il miglior momento per la raccolta. Niente viene lasciato al caso! Anche la cantina e le case coloniche sono state ristrutturate e dotate di ogni comfort con estrema attenzione al dettaglio, completando il processo di valorizzazione nel suo insieme. Durante la nostra visita abbiamo avuto modo di conoscere Sven, il figlio di Hans Hulsbergen, che trovò qui il modo di realizzare il suo sogno nel cassetto, ovvero di produrre vino. Da sempre innamorato della Toscana, acquistò Villa Trasqua nel 2001. Da allora, insieme ai figli, non ha mai smesso di puntare all’eccellenza. Innamorato della storia e della tecnologia e grande appassionato di auto d’epoca, Hans ha gareggiato in diverse edizioni della Mille Miglia. Oltre a partecipare alla kermesse con una scuderia di oltre 40 auto, dal 2017 Villa Trasqua è l’Official Wine Sponsor della manifestazione, stabilendo anche il record storico della vittoria delle ultime 4 edizioni. BLIND BLOGGER TASTING: UN PICCOLO SPACCATO Divisi in due squadre, abbiamo quattro batterie da analizzare. Non si deve perdere troppo tempo…Che la “competizione” abbia inizio! Avviciniamo impazienti i nasi ai calici, iniziando così una degustazione in questo caso ancora più attenta del solito, dovendo individuare la tipologia del vino. Inspiriamo per qualche secondo e restiamo in attesa che la nostra mente unisca alla memoria le molecole rilevate dal nostro olfatto. È lì, in quel territorio indeterminato, che la percezione si espande come una nuvola, invisibile e calda, sempre sospesa tra lo studio e il piacere. Cerchiamo similitudini con esperienze pregresse, prima di passare all’assaggio. Come si può riconoscere quel determinato vino? La discussione anima il gruppo, mentre dobbiamo passare alla batteria successiva. Confrontiamo impressioni, esperienze e ricordi per tornare a ciò che non è espresso da un punto di vista soggettivo, ma emerge dalla sua genesi organolettica. Ipotizziamo il vitigno, il territorio, il clima e la coltivazione, e avanti con la prossima batteria. I PROTAGONISTI Per dovere di cronaca riporto i vini protagonisti della Blind Blogger Tasting con accanto il nome del blogger che lo ha presentato: Vini Vannelli, Brugnoli bio, Lazio igt Trebbiano giallo 2019, 100% Trebbiano giallo, alc 13% –  @sommelierzeta Tasca d’Almerita, Sicilia doc “Nozze d’Oro” 2016, 73% Inzolia 27% Sauvignon Tasca, alc 13% –  @federica_foodandwinelover Bossanova, Cerasuolo d’Abruzzo 2022, 100% Montepulciano, alc 13,5% –  @ciarita_ Antonella Pacchiarotti, Lazio igt rosato “Ramatico” 2016, 100% Aleatico, alc 13% – @winestreamer Azienda Agricola La Torre, Valtenesi doc “Huna” 2022, 100% Groppello di Mocasina, alc 13,5% –  @merati_wine Le piane, Boca doc 2017, 85% Nebbiolo 15% Vespolina, alc 14% –  @_theartofwine_ Convento S. Lorenzo, Valtellina sup. Sassella riserva “Clos Convento S. Lorenzo” 2018, 100% Chiavennasca, alc 15% –  @alby91mame Fattoria Zerbina, Romagna Sangiovese doc riserva “Monografia” 2017,100% Sangiovese, alc 14,5% –  @chiaracoma Sesta di sopra, Brunello di Montalcino “Magistra” 2018, 100% Sangiovese (clone bbs11), alc 14,5% –  @pilloledivino Villa Trasqua, Chianti classico 2016, Sangiovese 80%, Merlot 10%, Cabernet Sauvignon 10%, alc 14% –  @villatrasqua Alvaro Palacios, Priorat doq “Les Terrases” 2018, 55%, Garnacha 45%, Carinyena, alc 14,5% –  @mi.esquina.gastro Marco Antonelli, Olevano romano doc Cesanese riserva “Kosmos” 2016, 100% Cesanese di Affile, alc 14% – @robdelvino Cantine Paolo Leo, Primitivo di Manduria doc riserva “Giunonico” 2017, 100% Primitivo di Manduria, alc 15% –  @corcy4wine Frecciarossa, Pinot Nero Oltrepò pavese doc “Giorgio Odero” 2012, 100% Pinot Nero, alc 14% –  @notjustasommelier Casetta dei Frati, Romagna, Sangiovese Modigliana doc “Framonte” 2008, 100% Sangiovese, alc 13% –  @crivads Pagnoncelli Folcieri, Moscato di Scanzo docg Pagnoncelli 2018, 100% Moscato di Scanzo, alc 15,5% –  @tannina.it Fongaro, Lessini Durello vsq “Nera riserva” brut 2014, deg. 06/22, 100% Durella, alc 12,5% – @marcoandwine TUTTI UN PO’ VINCITORI Abbiamo quindi tutti avuto modo di assaggiare delle “chicche” enoiche in cui non è facile imbattersi. Ognuno di noi ha colto il guanto di sfida cercando di raccontare, attraverso il vino, il suo territorio. Un gruppo disomogeneo e vario in provenienza, età e formazione, che si è compattato per magia. Perchè come giustamente ha scritto Fabrizio, alias @winestreamer, “Il vino unisce oltre la terra e al di là del tempo”. Anche se alla fine degli assaggi si decreta un vino vincitore (e credo di parlare a nome di tutti), nessuno si sente perdente. Questo proprio perché ognuno di noi ha vinto una possibilità di creare nuove amicizie, rinforzare le vecchie e scoprire territori attraverso gli assaggi. SATURDAY NIGHT FEVER Per questa Blind Blogger Tasting a Villa Trasqua è stato richiesto espressamente un dress code elegante. Scendendo in cantina, siamo stati accolti e intrattenuti dai bravissimi ballerini di Tuttifrutti di Siena che hanno danzato per noi, emozionandoci con sensuali passi di musica latinoamericana. Ed è stato così che, circondati da musica, energia e dall’arte di Sara Cafarelli, e travolti dall’entusiasmo collettivo, è iniziata una serata che difficilmente dimenticheremo. La cena è stata servita in una diversa parte della cantina dove, in mezzo alle botti, troneggiava una meravigliosa tavola elegantemente preparata. Altra sorpresa è stata la presenza di Luca Grippo, che durante la cena ci ha allietato con alcuni racconti relativi alle referenze della cantina assaggiate in abbinamento.  BLIND BLOGGER TASTING – LA VERTICALE DI NERENTO La ciliegina sulla torta del 16° Blind Blogger Tasting a Villa Trasqua è stata la Verticale di Nerento guidata da Luca Grippo. Con una lunga esperienza in fatto di vini, giornalista esperto di vino e olio evo, dopo un passato nella redazione di Bibenda Editore è ora tra i giudici del Concorso Mondiale di Bruxelles. Un grande conoscitore del patrimonio enologico nazionale e non solo. Accanto a lui, Franco Bernabei, enologo dal 2014 della Cantina senza bisogno di tante presentazioni. E’ da oltre trent’anni uno dei professionisti più esperti del settore vitivinicolo ed è noto con il nickname di “Mister Sangiovese” per la sua familiarità e grande passione per questo vitigno.  UN PO’ DI STORYTELLING Luca Grippo ci ha fatto immergere nella bellezza del Chianti, un’area del nostro paese che può vantare grande ricchezza di paesaggi, complessità di territorio, cultura e storia. Partendo proprio dalla storia, ripercorriamo le guerre tra i Guelfi fiorentini, alleati del Papa, e i Ghibellini senesi, alleatisi con l’imperatore. Tante sono le leggende che si raccontano a proposito del simbolo del Gallo Nero. Quella che mi piace di più risale all’epoca medioevale quando Firenze e Siena, ormai stremate dalle continue e sanguinose lotte per il controllo del territorio chiantigiano, decisero di risolvere la questione con una sfida. Le due città avrebbero scelto come rappresentanti due cavalieri. Non appena questi avessero udito il canto del gallo, si sarebbero lanciati al galoppo l’uno verso l’altro e il nuovo confine tra i comuni sarebbe stato fissato nel punto del loro incontro. L’idea era quella di dividersi il territorio più o meno al 50%. Teoricamente, partendo circa alla stessa ora, i due fantini si sarebbero incontrati a metà strada. I senesi scelsero un gallo bianco, che nella giornata precedente fu ben nutrito al fine di farlo svegliare allegro, in forze e di buon mattino. I fiorentini invece scelsero un gallo nero che tennero a digiuno e che, a causa dei morsi della fame, cominciò a cantare molto prima dell’alba. Partendo molto prima, il cavaliere fiorentino arrivò quasi sotto le mura della città di Siena, motivo per il quale (secondo la leggenda) il confine è così “spostato” da quella parte. IL GALLO NERO E IL CONSORZIO DEL CHIANTI Nel 1384 Il gallo nero venne scelto come simbolo della Lega del Chianti, importante istituzione politico-militare della Repubblica Fiorentina. Inizialmente, esso simboleggiava soltanto la specifica zona del Chianti, ma ben presto divenne rappresentativo del territorio di produzione del vino omonimo. Nel 2005, il simbolo fu adottato anche dal Consorzio Chianti Classico, nato nel 1924 a Radda in Chianti in seguito a un decreto che voleva ‘punire’ il territorio negando il nesso tra denominazione e origine geografica. Il Consorzio si riunì con lo scopo di tutelare il prodotto e promuovere lo sviluppo del Chianti secondo i confini definiti già dal 1716, anno del cosiddetto “Bando Mediceo” di Cosimo III de’ Medici. Tale bando stabiliva infatti una severa normativa per la produzione ed il commercio dei vini realizzati nei suoi possedimenti e  i fissava confini delle quattro aree geografiche di appartenenza: il Chianti, il Pomino, il Carmignano e il Valdarno superiore. Queste quattro aree ricevettero così per la prima volta al mondo una sorta di denominazione di origine controllata. Da quel momento in poi questo territorio sarà il pioniere della storia del vino italiano. Nel 1932, un decreto ministeriale riconosce al vino prodotto nella zona originaria del Chianti, quella stabilita dal decreto dei Medici, la possibilità di utilizzare l’attributo “Classico”, differenziandosi così dal Chianti delle zone limitrofe. Nel 1967 nasce la DOC (Sangiovese tra il 50% e l’80%), mentre il 1984 vede apparire la DOCG (Sangiovese tra il 75% e il 90%). Da 1996 è stata autorizzato l’uso della sola uva Sangiovese al 100%, fino ad arrivare alla creazione delle UGA nel 2023. VILLA TRASQUA – LA VIGNA  La vigna da cui nasce il Nerento Villa Trasqua è un fazzoletto di terra situato tra un bosco e un oliveto ed è sempre stato considerato fin dall’antichità un territorio di produzione eccellente. Pare che il nome venga dalla tipologia del terreno a “sassi neri”. Il suolo è infatti composto da alberese e galestro, con la presenza di ciottoli e sabbia. Dal 1854, questo territorio acquisisce ancora più prestigio, in seguito al suo inserimento nelle mappe catastali con l’indicazione di una delle zone più produttive e vocate di quest’area. Questo avviene anche in virtù di importanti fattori come l’esposizione, che garantisce costante ventilazione, la luminosità, la già citata composizione dei terreni e la presenza di sorgenti acquifere, che mantengono i terreni ben idratati. La produzione di questa vigna è dedicata al Chianti Classico DOCG Gran Selezione Nerento, 100% Sangiovese, affinamento di 30 mesi in tonneaux di rovere francese da 500 litri e almeno 12 mesi in bottiglia. LE ANNATE E GLI APPUNTI 2013 – raccolta tardiva, tannini eleganti, sorso composto, intenso. 2014 – quest’annata, che è stata molto difficile, non è stata prodotta per la volontà di mantenere alta la qualità. 2015 – sorprendente ritrovare ancora una grande freschezza. 2016 – la mia preferita, di equilibrio ed eleganza assoluta.  2017 – produzione ridotta a causa di un’estate torrida e siccitosa. 2018 – in anteprima, promette benissimo! 2019 – in anteprima, scalpitante e giovane. Il fil rouge è rappresentato da una sapidità e un’eleganza che accompagnano ogni sorso. Felici e arricchiti di nuovi assaggi e scoperte ci confrontiamo tra di noi mentre l’orario di partenza si avvicina. Franco Bernabei, nel salutarci,ci dice: “Voi che comunicate il vino, fate capire che il vino italiano è buono!”.  Una frase che condivido. Facciamo conoscere e apprezzare la bellezza e la bontà che ci circonda, perchè evidentemente all’estero tutto questo è già chiaro! RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento speciale ad Andrea, che con passione e pazienza ci ha preso per mano e ci ha mostrato il territorio e la cantina, assecondando anche le strane richieste mie e di Anna (i risultati qui e qui). Andrea, siciliano d’origine, conquista con un calore che ha nel DNA e trasmette in modo inequivocabile l’amore per questa terra che lo ha accolto e saputo valorizzare. Tanto da portarlo a tatuarsi il simbolo del Chianti Classico sul braccio. Di questa blind tasting e della mia esperienza a Villa Trasqua ho molto apprezzato lo studio del dettaglio, la delicatezza del ghiaccio “fiorito” che abbelliva le glacettes, le camere curate dotate di tutto il necessario, i fiori di campo presenti ovunque e che hanno colorato le nostre ore. Un plauso doveroso ai ragazzi che per due giorni hanno lavorato duramente, sempre con il sorriso sulle labbra, affinché tutte le nostre attività si svolgessero al meglio: Francesco Salvestrini, Tommaso Mariotti, Niccolò Cinatti, Giulio Rabagli e Gabriele Agnelli (entrambi tirocinanti dell’Istituto Tecnico Agrario di Siena) e Adina Calin. Ancora una volta ho avuto prova che il luogo comune per cui i giovani non hanno voglia di fare è in bocca a chi non ha la curiosità e l’attenzione necessarie per vedere cosa fanno! Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads  
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7 Febbraio, 2024

Venissa, la Venezia che sorprende

Tutti noi siamo stati almeno una volta a Venezia ma Venissa è una realtà a parte tutta da scoprire. Si trova a Mazzorbo, isola che assieme a Torcello e Burano rappresentano la Venezia Nativa. Siamo in un arcipelago di natura, colori, sapori, storia ed arte. In poche parole, siamo a Venezia senza esserlo! Qui le folle di turisti, il rumore delle ruote delle pesanti valigie sui gradini dei ponti e il chiasso delle scolaresche nei piccoli e angusti vicoli del centro saranno solo un ricordo. A pochi minuti a piedi dalla fermata del vaporetto di Burano, appena al di là del ponte che connette le isole di Burano e Mazzorbo, si trova la Tenuta Venissa. Non resisto a tornarci, cogliendo al balzo l’occasione di un private tasting organizzato nell’ambito di Wine in Venice 2024. Vigne in città Scoprì poi, grazie ad un team di agronomi ed esperti conoscitori della laguna, la grande tradizione vitivinicola delle isole di Venezia. Queste isole hanno ospitato moltissimi vigneti fino al 1966, anno in cui l’acqua alta distrusse le vigne e sommergendo tutto fece perdere le tracce di questa tradizione millenaria. Le ricerche hanno portato alla scoperta di 88 piante sopravvissute. Il vitigno autoctono scoperto da Bisol corrispondeva al DNA della Dorona di Venezia, dichiarata estinta da tempo. La Dorona, Garganega lagunare La Dorona appartiene alla famiglia della Garganega e per secoli ha sfidato il sale e l’acqua alta, adattandosi alle condizioni tipiche della laguna. Si è partiti con la reintroduzione nel novero delle specie autoctone di questo vitigno e dopo un iter burocratico lungo e complicato la Dorona ha riconquistato la sua posizione a tutti gli  effetti. Insieme al vitigno gli studi hanno portato alla luce gli antichi metodi di produzione vinicola tipici della tradizione, che prevedevano lunghe macerazioni sulle bucce donando alla Dorona grande longevità oltre che il corpo di un vino rosso. Il sogno diventa realtà Gianluca Bisol è riuscito a concretizzare il suo sogno ovvero quello di far rinascere la tradizione vinicola veneziana. Ha individuato una Tenuta nell’isola Mazzorbo il suo “clos” per dirlo alla francese, circondato da mura medievali e con un campanile trecentesco all’interno della vigna. La proprietà, circondata dall’acqua su tre dei quattro lati, è attraversata da un canale e ospita una peschiera. Nonostante il rischio di possibili acque alte che potrebbero distruggere la vigna, Gianluca Bisol decise di ripiantare l’antico vitigno Dorona. Nel 2011 nasce anche il Rosso Venissa, prodotto da una vigna di Merlot e Cabernet Sauvignon nella vicina isola di Santa Cristina, dallo stesso vigneto con l’annata 2013 nasce anche il Rosso Venusa. Santa Cristina L’isola di Santa Cristina è attualmente di proprietà della famiglia Swarovski, quasi irraggiungibile se non dalle persone locali, esperte conoscitrici dei canali lagunari. Accessibile solamente in alcuni orari del giorno e in accordo con il ritmo delle maree per non rimanere incagliati, l’isola di Santa Cristina è selvaggia e immersa nella laguna nord. Ospita orti, frutteti e i vigneti di Merlot e Cabernet Sauvignon. Le piante hanno tra i quaranta e sessant’anni e vivono in un equilibrio e simbiosi unici in un posto incontaminato. Si tratta di poco meno di tre ettari con certi biotipi di queste uve rosse che negli anni si sono adattati alla vita in laguna e la produzione è sempre molto limitata, ridotta e orientata all’alta qualità anche in questo caso grazie al terroir lagunare estremo.
Una vera e propria viticoltura eroica, dove le uve vengono trasportate in barca in terraferma per raggiungere poi una cantina della famiglia Bisol nei Colli Euganei per essere vinificate. La produzione è limitatissima: poco più di tremila le bottiglie da mezzo litro per la linea Venissa e poche di più per la linea Venusa. Venissa, l’esperienza Sospesi nel tempo e nello spazio, avvolti da una leggera foschia e dal freddo pungente, circondati dall’acqua che attutisce i rumori, dopo aver doverosamente fatto un giro nella vigna per ascoltare le spiegazioni di questo ambizioso progetto, entriamo in un’accogliente e rustica sala con le vetrate di fronte alla vigna e al campanile trecentesco in restauro, dove ci immergiamo nei colori e nei sapori di questi vini particolari. Gli Assaggi Venusa 2020 Veneto IGT Venissa 2018 Veneto IGT Venissa 2015 Veneto IGT tutte da uva Dorona Generalizzando nei tre calici ho trovato caratteristiche comuni come sentori di frutta disidratata, erbe officinali, frutta secca, scorza d’agrume, miele, con una leggera spezia dolce. In bocca la mineralità e sapidità fanno da padrone con una buona freschezza ed una discreta acidità accompagnate da una delicata trama tannica e da una lunga persistenza. Venusa Rosso 2018 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) Venissa Rosso 2016 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) La Venissa e gli antichi mestieri Non sfugge allo sguardo la bellezza delle etichette studiate da Carlo Moretti (maestro vetraio di Murano) per non disperdere il patrimonio artigianale veneziano. Una foglia d’oro per Venusa Bianco e di rame per Venusa Rosso che sono prodotte e battute a mano una ad una dall’incredibile lavoro artigiano della famiglia Berta Battiloro, che batte ancora a mano le lamine rendendole appunto foglie impalpabili come secoli fa. La  famiglia di decoratori Albertini e Spizzamonte creano una diversa decorazione di anno in anno, che viene letteralmente inglobata nella bottiglia grazia alla ricottura nei forni di Murano. Ogni bottiglia è poi incisa con un numero consecutivo oltre a quello delle bottiglie prodotte nell’annata proprio come succede per le litografie rare. Se vi ho incuriosito e decidete di scappare dalla pazza folla fermatevi nel resort e prenotate il celebre ristorante Venissa. Una stella Michelin dal 2012 e una stella Verde, ora regno indiscusso di Francesco Brutto e Chiara Pavan, compagni di mestiere oltre che di vita e creatori amorevoli di una cucina dove mare e terra sono espresse al massimo. Esperienza indimenticabile. Ma questa è un’altra storia… Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads claudia.rivadisanseverino@winetalesmagazine.com The voice of blogger
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