WineKult

A cura di Francesca Pagnoncelli Folceri

WineKult è e sarà il contenitore dedicato al mondo del vino ma visto con occhi di un architetto. Il vino è frutto di conoscenze multiple, sapienza contadina che si sposa con le tecnologie più moderne e sofisticate, stratificazioni geologiche e culturali legate ad un luogo, un paesaggio, un territorio, e il loro trasformarsi nel tempo in base all’evoluzione della conoscenza e delle condizioni al contorno.

Ma il vino di per sé non ha forma, eppure costruisce intorno a sé un mondo vastissimo di comunicazione, significati, costruzioni, manufatti. E’ proprio questo il mondo che la rubrica Wine Kult vuole indagare, scoprire, raccontare.

Il vino non ha forma, come si diceva poc’anzi. Il vino prende la forma del suo contenitore. E i contenitori del vino sono molto moltissimi.

Se analizziamo le fasi di produzione del vino dovremmo iniziare a parlare di contenitori di uva, in primis. Cassette, vasche, tini, ecc., un mondo più tecnico che altro, su cui non ha molto senso soffermarsi. E’ sicuramente il caso di farlo però pensando alle “case del vino”: le cantine.

Le architetture del vino, negli ultimi 30 anni, sono diventate protagoniste assolute di sperimentazione, ricerca, studi, la cui finalità è stata quella di trovare il giusto matrimonio tra forma e funzione.

Là dove sono intervenuti grandi firme dell’architettura le forme delle cantine, il loro aspetto estetico, il loro impatto, il loro calarsi in un processo produttivo sino ad allora concepito solo come tale, è stato dirompente. La cantina, da semplice luogo di lavoro e trasformazione delle uve, si è aperta al pubblico. Da qui la vera rivoluzione. Dover mostrare. Questa è la vera discriminante.

Quando le cantine divengono luogo di ospitalità, di cultura del processo produttivo, luogo di visita e, a volte, di pellegrinaggio, ecco che alla funzionalità si affianca la necessità di rendere luoghi di lavoro diversamente ospitali.

Il vino non ha forma, si diceva poc’anzi. Il vino prende la forma del suo contenitore. E i contenitori del vino sono molto moltissimi.

E il primo contenitore del vino, un volta uscito dai tini, è la bottiglia. E la bottiglia non è più spoglia, anonima, mero contenitore appunto.

La bottiglia diventa l’abito del vino, e come tale deve fare il monaco…nel senso che deve, proprio come un vestito, raccontare subito qualcosa di chi lo porta. Bottiglie tradizionali normalmente vestono i vini, soprattutto in Italia e in Francia, dove i disciplinari e la tradizione fanno sentire con forza il loro peso, riducendo al minimo i casi di sperimentazione. Ma se allarghiamo il campo ad altre tipologie di bevande e ad altre aree geografiche di produzione, che non hanno necessità di sottostare alla storia, vediamo che la bottiglia è davvero oggetto di sperimentazioni formali.

E ogni bottiglia, come si diceva, necessita di un vestito, di un’etichetta, e di un’altra serie di accessori “parlanti”. In questo ambito non c’è limite alla creatività, alla sperimentazione, alla voglia di stupire e di farsi notare.

Di questo si parlerà nella rubrica WineKult, ma anche di eventi legati al mondo del vino, del vino comunicato attraverso film, libri, personaggi, pubblicità, mostre, dibattiti.

Il vino è vita, il vino è vivo, e pare che ogni giorno abbia voglia di raccontarsi e di raccontarci frammenti di cultura locale e globale.

13 Maggio, 2022

Viaggio nel vino

The world is wine: un giro del mondo in oltre 300 vini dei 5 continenti, con tanto di diario di viaggio. Elemento Indigeno ricerca, importa e distribuisce vini da ogni regione vinicola del globo, purché abbiano una storia da raccontare. Per questo piace a Winetalesmagazine. Elemento Indigeno è il progetto di ricerca dedicato al vino di Compagnia dei Caraibi, azienda che importa e distribuisce spirits da ogni parte del mondo, di fascia premium e superpremium. Si distingue per la chiave di lettura originale, un approccio indiscusso alla qualità e una forte identità d’immagine, anche grazie al graphic design d’autore, firmato Gianluca Cannizzo (le sue illustrazioni sono spesso e volentieri dedicate al mondo del vino). Mi racconta il progetto Alessandro Salvano, enotecnico e sales wine manager di Compagnia dei Caraibi nonché langarolo ribelle, che dal 2019 produce il proprio vino dalla provocatoria etichetta Drink Wine Not Labels: “un po’ perché l’azienda di famiglia è la prima tagliata fuori geograficamente dai confini del Barolo, un po’ per sfatare i pregiudizi”. L’approccio giusto per girare il mondo alla ricerca delle realtà vitivinicole più autentiche, originali, eclettiche. “Con Elemento Indigeno vogliamo raccontare il vino da una nuova prospettiva. Il nostro viaggio è partito dal suo luogo d’origine, la Georgia, siamo poi passati in Armenia, Turchia, Libano, Marocco, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Sudamerica, Stati Uniti per terminare in Europa. Italia compresa, perché da noi c’è sempre da scoprire qualcosa di nuovo. Il focus della nostra ricerca non è solo interpretare il punto di incontro fra domanda e offerta, ma anche condividere la nostra idea di vino. La nostra selezione non vuole essere un insieme di categorie e di trend, piuttosto un racconto di storie dove il vino è il risultato del lavoro di persone appassionate, di custodi di cultura e pensatori rivoluzionari. Il nostro catalogo abbatte i confini – fisici e di pensiero – narrando il vino come connettore globale. Oggi abbiamo circa 400 etichette a catalogo, 27 Paesi rappresentati, 74 produttori che diventeranno a breve 85”. C’è un po’ di tutto: vini ancestrali e rari, antichi e moderni, rivoluzionari ed eclettici, naturali e biodinamici. Ognuno con una sua storia, come il libanese Sangiovese (coltivato nella valle della Bekaa) dell’azienda biologica Adyar gestita da monaci maroniti o il Meskhuri del georgiano Natenadze, un vino dalla mineralità balsamica macerato in anfore interrate, da viti selvagge ultracentenarie. Si passa dalla paladina californiana delle vinificazioni naturali Martha Stoumen alla cantina giapponese Katsunuma che dagli anni Trenta vinifica il vitigno autoctono Koshu producendo oggi un bianco travestito da rosso. Oltre che bevuti, questi vini vanno anche raccontati: “ecco perché per me è fondamentale riscoprire la figura dell’oste, colui che meglio può descrivere il nostro progetto e fare viaggiare narrando cosa c’è dietro un’etichetta. Un oste che presenta un vino instaura un’interazione dinamica, più efficace rispetto al semplice aprire una carta e finire sul solito nome già bevuto trenta volte” spiega Salvano. La dimensione narrativa contribuisce a rendere unico un vino. Oppure un viaggio. Per questo motivo ogni viaggio che si rispetti deve avere il suo diario. Così è concepito il catalogo di Elemento Indigeno, dal graphic design in bilico tra memoria e accenti pop. “Il progetto grafico è stato ideato da Gianluca Cannizzo, con l’idea di creare un carnet de voyage, sia dal punto di vista concettuale sia estetico. Così è nato un album che riporta mappe, collage, offre la possibilità di creare inserti, annotare appunti accanto alle immagini delle bottiglie assaggiate. La copertina è in cuoio, invecchiando nel tempo acquisisce la bellezza di una patina vissuta e diventa quasi un feticcio”. Impresso sulla copertina, il logo. Un insieme di figure, sintesi grafica del viaggio di Elemento Indigeno: una testa (l’io) da cui fuoriesce una lingua (quasi animale, a significare la componente istintiva) verso cui punta una piramide rovesciata (simbolo archetipo della concentrazione) e una sfera che rappresenta il mondo, ma anche un acino. A cura di Katrin Cosseta 
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5 Maggio, 2022

Nautilus Art Design: Il design estetico incontra il vino

Abbiamo raccontato molte volte come il mondo del vino sita velocemente contaminando altri mondi  e come, a sua volta, venga contaminato da diverse realtà apparentemente distanti da esso. Le commistioni tra vino, arte, design e architettura sono invece molte. Basti pensare ad alcuni elementi trasversali che mettono a fattore comune gesti, processi, ricerca ed esperienze. Concetti come innovazione, ricerca, manualità, tecnica, trasformazione, esposizione, accoglienza e creatività sono pilastri fondanti di questo meraviglioso mondo che vede vino e design sempre più connessi tra loro. WineKult, racconta il mondo del vino attraverso gli occhi di architetti, designers e artisti.  Abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda ai Sig.ri Giò Dal Piva e Diego De Crescenzo. Scultori, designers e fondatori di Nautilus Art Design. Cosa c’è dietro a Nautilus Art Design, qual è il concept che ha dato il via al progetto? siamo due scultori che hanno dedicato con passione e professionalità l’intera vita all’arte in percorsi differenti, in particolare alla scultura unendo le loro esperienze per creare emozioni in nuove soluzioni di design. Nautilus Art Design è la conseguenza del nostro percorso che ha evidenziato i nostri stili, coniugando estetica e praticità attraverso una intensa ricerca che ha prodotto diversi componenti d’arredo dedicati al nostro pubblico. A chi si rivolge Nautilus Art Design. Chi è il vostro target?  ad un target molto ampio dal privato al pubblico, creando elementi d’arredo unici e riproducibili sia per ambienti interni che esterni, personalizzabili ed aperti a soluzioni in accordo con il fruitore, siamo sempre disponibili a confrontarci per captare le esigenze del committente, e per questo siamo aperti a nuovi stimoli, utilizzando nei migliori dei modi l’estetica e la praticità. Sempre più spesso arte, design e vino camminano insieme. Come interpretate questo connubio?  il vino fa parte della nostra vita, ha raggiunto attraverso la continua sperimentazione livelli di altissima eccellenza, il design in questi anni ha rivoluzionato la quotidianità attraverso prodotti sempre più innovativi, l’arte è stata la guida per raggiungere l’estetica della forma e dell’eleganza. Come il design può trasferire valore al mondo del vino?  il nostro vino ha una tradizione e una qualità riconosciuta in tutto il mondo che va di pari passo con l’originalità del design italiano, questo connubio rende inevitabili le svariate possibilità di attuazione. Il design può trasferire valore al vino e viceversa. Basti pensare ai numerosi oggetti, anche di uso quotidiano, che ci permettono di godere del prodotto vino: calici, decanter e arredi di design che trasferiscono valore all’esperienza di degustazione mixando eleganza e praticità. Un modello di sistema in cui tutti vincono e che ci rende ambasciatori dell’ Italian Way of Life nel Mondo. Parlando di design funzionale al vino, recentemente avete presentato “Vivace” un tavolo da degustazione dedicato agli appassionati. Diteci qualcosa di più  l’idea è nata cercando di offrire un tavolo che fosse esteticamente efficace e per le sue dimensioni potesse arredare un ‘ambiente. “VIVACE” coniuga l’estetica e la praticità in soluzioni di differente adattabilità agli spazi ad esso dedicati. E’ un tavolo che arreda e offre la possibilità di servire il vino a temperatura fresca particolarmente adeguato in un ambiente esterno come in mezzo ad una vigna durante un evento o all’interno di una grande sala accompagnando rinfreschi e cerimonie. Le vasche in acciaio inserite nel tavolo possono contenere un certo numero di bottiglie mantenute in fresco tramite mattonelle refrigeranti intercambiabili. Avete dei nuovi progetti in cantiere? Volete dare ai nostri lettori qualche appuntamento speciale? In questo periodo pandemico abbiamo realizzato diversi progetti tra i quali uno sgabello dedicato alla degustazione in collaborazione con la ditta MyProject in provincia di Como. Siamo stati invitati a presentare il nostro tavolo presso l’ Azienda Francesco Maggi nel Comune di Canneto Pavese. Il titolare, Marco Maggi ,ha recentemente vinto il premio Angelo Betti (Video Intervista su Wine Tales Magazine)  come miglior produttore di vino in Lombardia, siamo lieti di questo invito. Siamo a disposizione per fornire qualsiasi ulteriore informazione. Ecco i nostri riferimenti:info@nautilusartdesign.com A cura di: WineKult
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14 Aprile, 2022

Degustazioni d'Arte

Il migliore abbinamento con l’Arte è un buon vino, afferma convinto Giorgio Fipaldini, autore di Degustazioni d’Arte, un libro “che si pone come intento quello di distillare piacere”. E se il lettore è un wine lover, e per giunta amante dell’arte – classica o contemporanea, non importa – l’alchimia è assicurata. Racconta Fipaldini: “Fin dai tempi in cui ero studente dell’Accademia di Brera avevo un desiderio: sedermi comodamente di fronte al Guernica di Pablo Picasso con un calice di vino. Immaginavo di provare quella sinestesia, invocata da molti artisti, nel degustare un’opera d’Arte; come si fa con il vino: osservando, sentendo e assaporando”. Il volume, edito da Tapook, realizza su carta questo desiderio: a dieci opere d’arte – trasversali per epoca, genere e corrente – vengono abbinati dalla sommelier Marta Curtarello altrettanti vini, cercando le affinità tra opera e vino, o tra artista e viticoltore. Il tutto raccontando l’opera in modo originale e non accademico (anche grazie alle illustrazioni di Andy Pen) e presentando il vino con linguaggio ben lontano dai tecnicismi delle schede di degustazione. Perché quello che emergono, e uniscono, sono le Storie. Guernica di Picasso (1937), il quadro simbolo degli orrori della guerra, scaturito da tre giorni di disegno furioso e ininterrotto, viene abbinato a una vicenda di viticultura eroica in senso lato, nel contemporaneo scenario di conflitti in Medio-Oriente. Il Bargylus Rouge, del Domaine Bargylus, è un Grand Vin de Syrie, blend di syrah, cabernet sauvignon e merlot; le uve provengono da vigneti spesso bombardati, che nei momenti più drammatici del conflitto dalla Siria dovevano essere portate (anche in taxi!) in Libano per la vinificazione, dopo rischiosissime vendemmie gestite via telefono da Beirut. Di tutt’altro tenore le suggestioni che portano ad abbinare l’Autoritratto nella Bugatti verde di Tamara de Lempicka (1929) a una bottiglia di Bollinger R.D.: due icone di eleganza, bellezza e audacia, al femminile. “Lo Champagne lo bevo quando sono contenta e quando sono triste. Talvolta lo bevo quando sono sola. Quando ho compagnia lo considero obbligatorio. Lo sorseggio quando non ho fame e lo bevo quando ne ho. Altrimenti non lo tocco, a meno che non abbia sete”. Così parlava Madame Lily Bollinger, donna indipendente e moderna quanto la pittrice di origini polacche, anche lei portatrice di una sana passione per lo champagne. Altro esempio della eno-divagazione di Fipaldini nella storia dell’Arte, è un abbinamento nel segno della provocazione. Nel 1917 Marcel Duchamp elevava un prosaico orinatoio a opera d’arte: la Fontaine era un oggetto ready-made, ovvero una “scultura già fatta” che sovvertiva come gesto concettuale l’idea stessa di genesi artistica. Con un gioco di parole post dadaista, Benoit Delorme produce in Borgogna un pinot nero biologico etichettato come Orga(ni)sme Cult(ur)e(l) concepito secondo un ideale di naturalezza senza compromessi, come un organismo vivo, sociale e culturale. Evitando di spoilerare i successivi abbinamenti, lascio al lettore la curiosità di scoprire quali suggestioni enoiche scaturiscano da artisti, loro sì inabbinabili tra loro, come Banksy, Artemisia Gentileschi, Van Gogh, Amedeo Modigliani o Marina Abramović. Degustazioni d’Arte è una lettura godibilissima, intrigante, inconsciamente sfidante perché stimola il lettore-wine lover a immaginare il proprio abbinamento ideale. Non è questione di cultura o di talento, ma di risonanze, di libere associazioni emotive, memorie uniche e personali. Motivo per cui ognuno può, in base al proprio sentire individuale, generare infiniti abbinamenti, per contrasto o concordanza, sempre plausibili: Guernica può chiamare l’irruenza di un sagrantino esattamente come la carezza consolatoria di un picolit. Questo libro ha il pregio di svelare l’esistenza di una nuova categoria di analisi sensoriale, vero terreno comune tra vino e arte: la persistenza emotiva. E visto che un calice tira l’altro, e un quadro, in un museo, spinge alla vista del successivo, anche questo libro reclama un seguito: è di prossima uscita il secondo volume. A cura di Katrin Cosseta 
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10 Marzo, 2022

Si scrive вино si legge Vino...sia in Russo sia in Ucraino

Si scrive вино, si legge Vino. Sia in russo sia in ucraino. Il vino è unione, costruzione, fratellanza. Come insegna il Vino della Pace: una bella storia di pacifismo enoico. Philippe Daverio diceva che il vino è il vero elemento unificatore dell’Europa, dal momento che l’unica parola con radice linguistica comune tra i vari Paesi è proprio VINO: Wine, Wein, Vin, Vinho, Wijn e, appunto вино. Ecco perché è giusto e bello affidare a una bottiglia di vino un messaggio di pace, in un momento tragico in cui assurdi venti di guerra soffiano da est verso Europa. A dire il vero è un messaggio universale, valido a qualsiasi latitudine, perché il vino è una delle migliori espressioni dello spirito e dell’abilità del genere umano: è sforzo collettivo, cura, sacrificio, armonia, piacere, cultura. L’esatto opposto della guerra, insomma. Lo sanno bene in Friuli, nel goriziano non a caso terra di confine, dove nel 1983 nasce la Vigna del Mondo. Si tratta di un progetto di fratellanza umana, amorevolmente custodito dai soci della Cantina Produttori Cormòns, che hanno messo a dimora centinaia e centinaia di vitigni provenienti da ogni continente: oggi è una delle più belle collezioni varietali del mondo intero, (comprensiva di oltre 800 varietà da 60 Paesi). Nel 1985 la prima vendemmia, da cui origina il Vino della Pace, un bianco che definire multivarietale è a dir poco riduttivo. L’etichetta recita: “Un vino simbolo e portatore di Pace. Lo compongono, con armonia, i vitigni dei cinque Continenti pazientemente raccolti in un vigneto che, unico al Mondo, rappresenta non solo la fiducia, ma unisce, nel vino, tutte le esperienze e conferma la solidarietà di questa epoca”. Le prime bottiglie il 9 aprile del 1986 vengono inviate come messaggio di pace a numerosi Capi di Stato civili e religiosi. Il messaggio è potenziato dall’immediatezza e dalla forza comunicativa dell’arte, visto che le tre etichette d’esordio sono firmate da nomi di fama internazionale quali Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Zoran Music. Da quel momento, ogni anno il miracolo di unire pace, arte e vino ai massimi livelli si arricchisce di testimonial (e destinatari, papi compresi) d’eccezione. Le etichette delle annate successive sono create da artisti di assoluto rilievo, tra cui Minguzzi, Fiume, Consagra, Manzù, Sassu, Fini, Vedova, Botero, Rauschenberg, Pistoletto, Spoerri, Treccani, Isgrò, Mitoraj, Nespolo, Tadini, Ceroli. Anche Dario Fo e Yoko Ono illustrano il loro messaggio di pace, contribuendo ad arricchire una galleria d’arte sui generis in cui le bottiglie-opere diventano presto oggetti da collezionismo. Forse anche per non disperdere lo spirito simbolico iniziale, la produzione subisce una battuta d’arresto, per riprendere nel 2017 (l’etichetta è dello stilista Roberto Capucci) con un assemblaggio di varietà autoctone e il supporto a progetti solidali di prossimità territoriale. Non si può definire il Vino della Pace un vino di moda, anche se è assurto negli anni passati a fenomeno quasi di costume, ma certamente il messaggio di cui è portatore permane di una perenne attualità. Vorremmo che la pace, quella sì, fosse di moda, sempre e ovunque. Verrebbe da parafrasare il celebre invito pronunciato da Ronald Reagan a Berlino nel 1987 “Mr. Gorbachev, tear down this wall!”: Mr. Putin, drink this wine! A cura di Katrin Cosseta 
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24 Febbraio, 2022

Anche i calici hanno un carattere

Chiamarsi Fiaschi di cognome è già un’ottima premessa per parlare di progetti intorno al vino. Laura Fiaschi e Gabriele Pardi compongono il duo creativo Gumdesign, autore di una collezione di calici di grande successo. Forse perché ha un che di umano, visto che i designer la definiscono “una metafora del carattere umano in un oggetto di cristallo, fragile ed etereo, perfetto e imperfetto”. Non è sbagliato parlare di design delle emozioni nel caso di un semplice bicchiere da vino che, attraverso la reinterpretazione concettuale e formale, riesce ad assume sette personalità diverse. I Calici Caratteriali sono dunque oggetti narrativi, non a caso nati diversi anni fa per una mostra culturale. Subito richiesti da collezionisti e design addicted, entrano nel catalogo di Colle Vilca, tra i brand storici del “bel design italiano” attivi nel distretto della vetreria artistica di Colle di Val d’Elsa. Oggi figurano nelle collezioni permanenti di importanti musei internazionali come la Triennale di Milano, il MoMa di San Francisco, il Museum of Glass a Shanghai. Per Gumdesign il calice non si limita al ruolo di medium necessario per accedere ai piaceri del vino, perché è un “oggetto funzionale che richiede un contatto diretto, una vicinanza e una complicità per innescare processi sociali indotti. In questa logica piccole trasformazioni conducono il semplice calice da degustazione a oggetto comunicativo, con invenzioni minime per suggerire nuovi usi e nuove tipologie di prodotto”. Ciascuno dei Calici Caratteriali è un piccolo virtuosismo in cristallo soffiato: basta un leggero intervento sulla base o sul bordo, un cambio di inclinazione, una voluta imperfezione, per rappresentare un tratto fisiognomico o suggerire un comportamento, per trasformare un bicchiere in un “tipo”. Ed eccoli, allora, questi “sette personaggi in cerca di degustatore”. “L’altruista” è predisposto alla condivisione, grazie al bordo superiore a beccuccio che agevola il travaso del vino nel bicchiere del commensale accanto evitando di sporcare la tovaglia. “L’ambiguo” ha una forma indefinita, cangiante, dall’appeal decorativo, ma non funzionale.”Il conservatore” è un tipo attento, che cerca di preservare il vino anche quando avanza nel calice (sic!), proteggendolo con un grosso tappo in sughero. “L’estroverso” ha un’indole Swing, dinamica: la sua base basculante cerca un contatto diretto, giocoso e coinvolgente con il consumatore. Al contrario, “L’introverso” si nasconde. È un oggetto ibrido: il calice, capovolto, entra in simbiosi con una caraffa nella quale sembra rifugiarsi. “Il passionale” è composto da due calici che si attraggono grazie all’inclinazione delle loro coppe: pronti già per il brindisi, aperti alla conoscenza e alla condivisione.
“Il rilassato” è un calice disteso, che si protende verso il degustatore; la coppa si inclina leggermente, decanta il vino e si allunga verso la bocca. Per la cronaca, il vino preferito di Laura e Gabriele è l’Amarone della Valpolicella. Quale sarà il Calice Caratteriale più adatto per degustarlo? A cura di Katrin Cosseta 
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11 Novembre, 2021

Uno sguardo al futuro immersi nella terra e nel vino

Basta aprire il computer e cercare castello di Solfagnano per iniziare a sognare. Una terra ritmata dai filari di vite, un Castello che domina una valle scandita da dolci movimenti del terreno, una famiglia che si è dedicata al vino e alla valorizzazione di un territorio. Siamo in provincia di Perugia, e l’azienda produce vini e olio extra vergine su una proprietà di 60 ettari circa. In un contesto che pare già perfetto si insinuerà, con grazia e con molta personalità, l’opera dell’architetto toscano Simone Micheli. Il progetto, che possiamo qui vedere in ANTEPRIMA, richiama in tutto e per tutto la filosofia coraggiosa del progettista, improntata a colpire immediatamente l’attenzione con segni formali decisi, ma sempre finalizzata al comfort e al benessere psicofisico di chi abita le sue architetture Un approccio, come dichiara lo stesso architetto, “non invasivo, fortemente contemporaneo, che sappia condensare la complessità in un gesto architettonico semplice”. E quindi ecco apparire un corpo poliedrico che pare adagiato tra i vigneti, quasi frammento di corpo celeste smaterializzato dalle lastre di acciaio. L’acciaio è pensato come rivestimento mimetico, dove riflette il contesto, ed è al contempo materiale in grado di illuminarsi se visto da altre angolazioni. Così, semplicemente, l’architettura/porta al mondo sotterraneo del vino diventa un faro attrattivo per chi attraversa questa landa. Ma è solo un richiamo appunto, un invito ad arrivare, avvicinarsi ed entrare nel cuore della terra e dell’opera, sostanzialmente ipogea. Come l’occhio vigile della Terra madre e matrigna, un lembo di collina si piega, si curva, palpebra che si solleva e si apre appena sul contesto. Parte dell’edificio è destinata alla produzione, parte all’ospitalità e ad un percorso di avvicinamento e conoscenza dei vini che vuole essere un’esperienza immersiva. E, a sentirlo raccontare, quello che ci aspetterà sarà una progressiva discesa, con ascensore, nel ventre accogliente della cantina vera e propria, a cui si accede da una fessura appena accennata, come fosse l’ingresso nascosto al Paese delle Meraviglie. Forme pulite, semplici, ieratiche all’esterno, coinvolgimento sensoriale totale all’interno, per dare vita ad una realizzazione dalla forte personalità, che sappia impressionare chi la percorre e la vive. Non ci è dato sapere troppo, se non che il materiale principe per la parte sotterranea sarà il cemento, materiale stato scelto anche per poter dare vita ad una sorta di manifesto aziendale, visto che la famiglia proprietaria è anche titolare dell’azienda Colacem, leader nella produzione di cementi, appunto, e leganti idraulici. E’ anche un materiale che con il vino va a braccetto da sempre, ed è ideale per dare libero sfogo alla creatività dell’architetto, la cui cifra stilistica, dedita allo sviluppo di forme sinuose e morbide può, così, trovare la sua massima espressione. Il cantiere, che si estende su un’area di 5000 mq., è in progress, e prevede anche un intervento, in continuità concettuale con la cantina, che coinvolgerà il Castello, con il ripensamento delle stanze dell’albergo e dell’area spa e benessere. Un Benessere totale quello che dovrà avvolgere l’ospite, sia che si trattenga il breve tempo di una degustazione, sia che si fermi più giorni, che non dimentica i giardini del Castello e le colline tutt’intorno. Anche negli spazi aperti infatti proseguirà l’esperienza sensoriale che darà forza, forma e protagonismo agli elementi, dalla terra al cielo, dal profumo del vino al gorgogliare dell’acqua, affinché ogni angolo di questa tenuta diventi contenitore di vita e ancestrale locus amoenus dove l’IO ospitato sia valorizzato, coccolato, rinfrancato, umanizzato. Se la felicità è propria delle piccole cose il comfort arriva silenzioso da spazi e oggetti che spesso agiscono su di noi in modo impercettibile e inconscio. L’architettura di Simone Micheli vuole sempre dare nuova forma a una storia, guardare al passato e al presente con rispetto, abbandonando tutti gli stereotipi che spesso condizionano in modo inconsapevole ma sostanzioso il nostro modo di abitare gli spazi, di stare in un luogo. I lavori inizieranno con tutta probabilità nel 2024. Speriamo di poter presto vivere e abitare questa nuova realtà. Simone Micheli fonda lo Studio d’Architettura nel 1990 e nel 2003, con Roberta Colla, la società di progettazione Simone Micheli Architectural Hero con sede a Firenze, Milano, Puntaldìa, Dubai, Rabat e Busan. La sua attività professionale si articola in plurime direzioni: dai master plan all’architettura e interior, dal design al visual passando per la grafica, la comunicazione e l’organizzazione di eventi. Le sue creazioni, sostenibili e sempre attente all’ambiente, sono connotate da una forte identità e unicità. Numerose sono le sue realizzazioni per le pubbliche amministrazioni e per importanti committenze private connesse al mondo residenziale e della collettività. È curatore di mostre tematiche – contract e non solo – nell’ambito delle più importanti fiere internazionali di settore. In collaborazione con Roberta Colla ed il suo team di professionisti, tiene master, conferenze, workshop e lecture presso università, istituti di cultura, enti ed istituzioni di molte città del mondo. I suoi lavori sono stati presentati nell’ambito delle più importanti rassegne espositive internazionali. Molte sono le pubblicazioni su riviste, magazine, quotidiani italiani ed internazionali. A cura di Francesca Pagnoncelli Folceri
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22 Luglio, 2021

Le alchimie in bottiglia di Karim Rashid

Design di bottiglie, bottiglie di design. Un ambito molto difficile in cui esprimere creatività e stravaganza perché certi oggetti ci appaiono codificati, necessariamente confinati dentro una forma che la lunga, lunghissima tradizione fa coincidere, anche se declinata in molte varianti, con una funzione. Il mondo del vino, come da tempo ripetiamo, fatica a prendere le distanze da un immaginario e da stereotipi che il tempo ha contribuito a fissare, rendendo stalattitico un universo di forme e di codici di comunicazione che, oggi ancora più di prima, è necessario aggiornare. Questo non per puro gusto di rivoluzione, ma semplicemente per seguire l’onda del tempo, per non restare indietro. A dare una vera e propria scossa è stato, anche in questo ambito, un designer che nel nostro settore tutti conoscono, perché ha fatto dell’eccentricità, intesa come distanza dal centro, dal dato di fatto, dallo scontato, il suo credo creativo. Non tocca a me presentarne la luminosa carriera e il ricco operato, sta a me parlarvi delle SUE creazioni legate al mondo vino. Ne ha disegnate diverse negli ultimi anni: la bottiglia di Vodka Anestasia del 2012; la bottiglia per l’azienda vitivinicola canadese Stratus, che contiene un Cabernet Francy del 2014; le incredibili Single Serve Wine Bottles per un concorso del 2018. Ha progettato anche accessori per il mondo vino: bicchieri, caraffe. Si è spinto oltre nel dare forma nuova alla sciabola da champagne, realizzata con un unico pezzo di acciaio inossidabile lucido e che assomiglia più ad un’elegante e moderna clava, per il brand scandinavo MENU. Per Veuve Cliquot nel 2006 ha disegnato Globalight un porta champagne refrigerato per rendere ancora più preziosa la bottiglia dell’iconico champagne. Fu prodotto in tiratura limitata di soli 500 pezzi, prometteva 4 ore di refrigerazione, e di illuminazione con una luce led d’atmosfera. Per la maison poi Rashid ha progettato anche un meraviglioso divano per la degustazione di coppia: Loveseat, un nome che è tutto un programma (in fondo il video) Karim Rashid porta la sua cifra progettuale a tutti i livelli, ha un marchio di fabbrica. Nella sua Wine Collection è passato dalle forme frammentate o destrutturate, da bottiglie come esplose e poi ricomposte, a bicchieri dalle curve morbide o nette, forme e colori cangianti e capaci di catturare l’attenzione…sono oggetti che ci parlano, che ci invitano ad avvicinarci e toccare, a conservarli, a farli entrare nel nostro mondo. Oggetti del desiderio al di là del contenuto, molti dei quali ormai difficili da reperire sul mercato, quindi anche rari. Le bottiglie oggetto di questo articolo sono però realizzate per una realtà italiana, per una mente imprenditoriale fuori da ogni schema, di cui parleremo in un altro articolo perché merita tutta la nostra e la vostra attenzione. Due bottiglie uniche, create per Athanor, Creative Brand (https://athanor.it/) nelle sapienti mani di Enrico Sorrentino, italiano dallo spirito e dalla vita internazionale, che approccia e interpreta il vino come prodotto alchemico. Voglio svelare il meno possibile, ma con le parole del committente raccontiamo questo incontro. “Il progetto nasce dalla volontà di legare in modo più stretto due mondi apparentemente lontani ovvero vino e design, nonché di stravolgere il concetto-forma bottiglia, fossilizzato da secoli. Il vino-bottiglia inteso come nuova sintesi tra contenuto e contenente, riproposto in un legame nuovo ed originale, distaccato finalmente dal passato e anzi proiettato verso il futuro, riproposto in chiave appunto futuristica nella visione di uno dei più noti design del mondo. Questo, in sintesi, il progetto che stiamo realizzando con Karim Rashid, un azzardo cosciente nel mondo del vino, un mondo stagnante di bottiglie e di etichette dove la collezione Karim Wine sembra appunto presentare un cambiamento di scenario, quindi una svolta forse epocale. Un progetto quindi originale, un atto di coraggio forse, che certamente non sarà capito dai più.” Il mondo del vino italiano è in effetti un po’ ingessato, eppur si muove grazie a slanci coraggiosi come questo. Coraggiosi si, perché anche da un punto di vista economico ogni percorso creativo ha costi aggiuntivi che le soluzioni standard non presentano. Coraggioso perché il mondo del vino italiano è normato da regole che, nei disciplinari di produzione, stabiliscono anche la forma e i volumi massimi delle bottiglie. Facile quindi che si storcano i nasi, che si alzino gli occhi al cielo, che ci si chieda il perché di due bottiglie così originali. Basterebbe una semplice risposta: perché no? Perché non deliziarsi doppiamente con il portare in casa un oggetto contenitore che ci piaccia guardare e mostrare e il cui contenuto possa deliziare una serata speciale? Si chiamano Man & Women, le bottiglie, dal nome di per sé conturbante e riassuntivo di tanti concetti e parole, (e che quindi invitano alla filosofia del più fatti e meno parole) e conterranno rispettivamente un Chardonnay e un Pinot Noir entrambi organici. Due forme che, nel nostro immaginario disneyano, potrebbero animarsi e iniziare a danzare insieme. Men, la bottiglia-uomo con la forma più rigida, l’abito scuro, ma con la capsula fucsia, alla Rashid, come segno di distinzione necessario per un dandy del terzo millennio. Woman, in abito giallo tenue, impeccabile ma con una silhouette che facilita la presa, con capsula tra arancio melone e il rosa salmone. Bottiglie e bicchieri di servizio studiati insieme, ed anche questo aspetto ha un sapore di eleganze di altri tempi, di servizi coordinati ed elegantissimi, di gusto e attenzione per i piccoli dettagli capaci da soli di creare la giusta atmosfera per approcciarsi al vino… Alchimia è una strana via, affascinante e intrigante per menti curiose. Approfondiremo…intanto non ci resta che attendere per degustare. Tutto il resto ci ha già conquistato, perché Karim Rashid, con la sua creatività ci ha già spinto a guardare all’oggetto bottiglia con occhi diversi, più gioiosi, leggeri, fanciulleschi. A cura di Francesca Pagnoncelli Folceri
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12 Giugno, 2021

TOSCANA WINE ARCHITECTURE

IN PRINCIPIO FU ANTINORI Correva l’anno 2000 quando, colta al volo una ghiotta occasione, come giovane architetto mi hanno offerto di lavorare per le riviste Area e Materia, all’epoca realizzate presso lo studio Archea a Firenze.
Ricordo che ho avuto solo 4 giorni per decidere se trasferirmi e cambiare vita, e, accettato sull’onda dell’entusiasmo per un sogno che stava per realizzarsi, ricordo che il primo giorno di lavoro fu il 1 di novembre. Già allora, se la mente non mi tradisce, nello studio Archea si sentiva parlare del progetto per la cantina Antinori. L’opera fu realizzata, dopo diversi anni di studi, nel 2012 e fece ovviamente scalpore. In Italia all’epoca le cantine di design non erano molte: mi vengono alla mente la Cantina Mezzocorona dello Studio Cecchetto, del 1995; la cantina di vinificazione di Badia a Coltibuono, nel Chianti, firmata dallo studio Sartogo, realizzata tra il 1995 e il 1999; la cantina Petra a Suvereto di Mario Botta, progettata dal 1999 e realizzata tra il 2001 e il 2003… Il fenomeno della cantina firmata e caratterizzata da forme moderne si stava comunque affermando a gran voce, e negli anni seguenti se ne sono realizzate molte in tutta Italia. Realizzare una nuova cantina facendone un manifesto architettonico è una scelta che ha diverse finalità: attrattive ovviamente, perché la scelta colpisce e invita alla visita anche chi non è particolarmente vicino al mondo del vino; di prestigio per la committente che vuole così affermarsi come illuminata da spirito mecenatismo; funzionale spesso, perché realizzando da zero un complesso produttivo se ne possono programmare e progettare le varie fasi operative. Le cantine Antinori, legate ad una famiglia potente e dalla storia infinita nel mondo della produzione vitivinicola, con radici profonde e profondamente storiche nel territorio toscano, fece scuola anche e sopratutto per la sua capacità di inserirsi in un contesto paesaggistico di alto pregio con delicatezza e rispetto, senza rinunciare alle forme più moderne. Oggi questa cantina fa parte di un circuito di realtà chiamato Toscana Wine Architecture: nato grazie a Regione Toscana, è una rete d’imprese costituita nel 2017 che riunisce 14 cantine di design. Nel link di seguito le trovate tutte: https://www.winearchitecture.it/it/page/cantine. Nella rubrica WineKult avremo modo di parlare di queste e altre realtà, italiane e non, ma quello che mi preme sottolineare in questo primo articolo è  il valore della scelta di unirsi con l’intento di creare un “gruppo di grandi imprese che si unisce perché crede in un’impresa ancora più grande: promuovere una visione della Toscana contemporanea che sia all’altezza di quanto gli antenati hanno saputo lasciarci in dono”. Ogni cantina ha grande forza e personalità, sia dei vini che produce che dei principi costruttivi scelti per realizzare le nuove cantine. Non era necessario fare rete, fare gruppo. Ma questa scelta di unirsi sotto un unico lei motivo dell’architettura e ha consentito di portare avanti progetti che, facendo eco da una cantina all’altra, hanno assunto più forza comunicativa e di immagine. Una cantina tira l’altra, potremmo dire, e chi ne scopre una scopre un tesoro ricco di esperienze, filosofie progettuali, vini preziosi.
“Alcune Cantine sono firmate da grandi maestri dell’architettura del XX secolo (tra cui Mario Botta e Renzo Piano), altri sono espressione di scelte progettuali che favoriscono la bioarchitettura, sperimentano modalità di integrazione innovative tra le nuove tecnologie nel campo dell’energia, riducendo l’impatto ambientale”. Insieme si realizzano progetti spesso più ambiziosi e di ampio respiro. Alcuni esempi.“Architetto in cantina” è stata una giornata realizzata nel novembre 2018, dove a condurre le visite guidate delle cantine vi erano proprio gli architetti progettisti ( e se pensate che alcune firme sono importanti come Renzo Piano, Tobia Scarpa e Mario Botta…che per ogni giovane o attempato architetto l’attrazione per un evento di questo tipo non può che essere fatale). Altra iniziativa meravigliosa del 2019 è stata “IN WINE THE TRUTH”: CINEMA D’AUTORE, RACCONTI DI ARCHITETTURA E VINO, una rassegna di pellicole dedicate all’architettura proiettati nelle varie cantine del gruppo, durata da luglio a ottobre.
A dimostrazione dell’importanza culturale di questa rete e della sua attrattivi per il mondo dell’enoturismo, a febbraio 2020, quindi in tempi davvero recenti, si è tenuto a Firenze il convegno “L’architettura del vino nell’era dell’enoturismo”, sotto l’importante regia della storica rivista di architettura Casabella.
Tutti attenti quindi a cogliere al volo le opportunità che il futuro offrirà a noi architetti amanti del buon vino per unire utile e dilettevole. Francesca 
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12 Giugno, 2021

7 punti di Perlage - IL DESIGN NEL BICCHIERE

Può un bicchiere cambiare il mondo? Può un oggetto di uso quotidiano modificare abitudini entrate a fare parte della routine di tutti i giorni?
Il design è questo, è dare nuova forma ad oggetti di uso comune, oggetti talmente presenti nelle nostre vite che ormai non li notiamo più, ci passiamo davanti e li usiamo dandoli per scontati.
E la vera magia è quando dalle nuove forme poi si insinuano dei cambiamenti anche nelle nostre abitudini. Non ci credete? Pensiamo al sofà d’altri tempi…e a come lentamente si sia trasformato in divano; da forma rigida, sontuosa, ricca, si sia passati a forme morbide, sinuose, colorate. Gli anni ’70 hanno fatto scuola, hanno sconvolto il mondo degli oggetti.
Ma a volte basta poco per ridare energia ad un oggetto tradizionale, per tornare a farlo interagire con noi, per ridargli dignità e magia. Perché gli oggetti devono essere anzitutto funzionali al loro scopo, ma se si guarda a loro con uno sguardo complice rendono i nostri spazi e le nostre azioni anche più piacevoli.
Tutto questa intro per raccontarvi di un BICCHIERE.
Un bicchiere che è davvero magico. E’ magico perché rende spettacolare il suo contenuto esaltandone le qualità.
Si tratta di Etoilé Sparkle, bicchiere disegnato da Luca Bini per Italesse qualche anno fa.
Lo avete mai visto? Lo avete preso in mano? Avete bevuto da questo calice qualche ottimo vino spumantizzato o spumante da metodo classico? Trento Doc, Franciacorta, Champagne…
Se non lo avete fatto, cercate di rimediare al più presto: vi fa tornare bambini. Con i suoi 7 punti di Perlage incisi a laser sul fondo completamente piatto, ruberà la vostra attenzione anche se sarete accomodati a tavola con la migliore compagnia.
Sette colonne sottili, eleganti, di bollicine che si muovono danzando nel bicchiere tutte nella stesa direzione, a conquistare le stelle, vi ipnotizzeranno, vi trasporteranno in un attimo in una dimensione tutta infantile, vi susciteranno una sorpresa primordiale, uno stupore fanciullesco.
Vorrete tuffarvi in quel bicchiere e farvi cullare, solleticare da tutte quelle bollicine ordinate. Osservate e bevete, e quasi non potete fare a meno di continuare a guardare quel bicchiere in cui ballano le bollicine.
E quando il bicchiere è vuoto…è quasi impossibile resistere: si vuole guardare dentro per capire come si genere tale magia, semplice ma magnetica.
Così appaiono sul fondo, mimetizzati, 7 punti di Perlage disposti in modo perfetto, un cerchio magico: un punto centrale e 6 punti disposti tutt’intorno… fossero di più penseremmo ai cavalieri della tavola rotonda, ma questa disposizione è anch’essa ancestrale, come le pietre disposte a cerchio in luoghi lontani e mitici, come stonehenge.
La mente creativa da cui Etoilé Sparkle è nato è quella di Luca Bini, ospitality ambassador alla Casa del Vino della Vallagarina. E anche qui la magia non manca. Non perdetevi una sosta in questo edificio storico dove è il cibo che accompagna il vino e non viceversa. ( vd articolo Cristina)
Luca ci ha lavorato per 3 anni insieme a designer, ingegneri e maestri vetrai. Ne sono stati fatti tantissimi prototipi al fine di riuscire a creare un bicchiere che riuscisse a esprime il perlage in modo perfetto e definito. La nuova versione della coppa da champagne…ci voleva…mancava!
Non voglio farne una descrizione tecnica, la trovate online.
Gli oggetti sono compagni di vita quotidiana, volevo raccontarvi la poesia che può scaturire da un semplice ma complesso bicchiere.
Reinventare ciò che è ovvio e dato per scontato è, forse la sfida più grande per la creatività umana. Il “ si è sempre fatto così”, a molti, non basta.
“Un calice per spumante dalle proporzioni perfettamente studiate e bilanciate, caratterizzato da una coppa che richiama quella da Champagne e da un’altezza del corpo del calice ispirata al flûte.
L’ampiezza della bocca e la linearità delle pareti del bicchiere per spumante Sparkle permettono agli aromi ed al perlage di essere convogliati verso l’alto e direttamente nella bocca, enfatizzando al massimo tutte le qualità del vino.
La presenza di 7 punti perlage incisi al laser (su una delle due versioni del calice), di cui uno posto centralmente e altri 6 posizionati su una corona circolare equidistante dal centro, consente a questo innovativo bicchiere per spumante di favorire eccezionalmente il perlage.
Calice ideato appositamente per esaltare le doti organolettiche ed olfattive degli spumanti ottenuti con metodo champenoise ed ideale per degustare il Trento Doc.”
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