13 Mag 2022
WineKult

Viaggio nel vino

The world is wine: un giro del mondo in oltre 300 vini dei 5 continenti, con tanto di diario di viaggio. Elemento Indigeno ricerca, importa e distribuisce vini da ogni regione vinicola del globo, purché abbiano una storia da raccontare. Per questo piace a Winetalesmagazine.

Elemento Indigeno è il progetto di ricerca dedicato al vino di Compagnia dei Caraibi, azienda che importa e distribuisce spirits da ogni parte del mondo, di fascia premium e superpremium. Si distingue per la chiave di lettura originale, un approccio indiscusso alla qualità e una forte identità d’immagine, anche grazie al graphic design d’autore, firmato Gianluca Cannizzo (le sue illustrazioni sono spesso e volentieri dedicate al mondo del vino).

Mi racconta il progetto Alessandro Salvano, enotecnico e sales wine manager di Compagnia dei Caraibi nonché langarolo ribelle, che dal 2019 produce il proprio vino dalla provocatoria etichetta Drink Wine Not Labels: “un po’ perché l’azienda di famiglia è la prima tagliata fuori geograficamente dai confini del Barolo, un po’ per sfatare i pregiudizi”. L’approccio giusto per girare il mondo alla ricerca delle realtà vitivinicole più autentiche, originali, eclettiche. “Con Elemento Indigeno vogliamo raccontare il vino da una nuova prospettiva. Il nostro viaggio è partito dal suo luogo d’origine, la Georgia, siamo poi passati in Armenia, Turchia, Libano, Marocco, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Sudamerica, Stati Uniti per terminare in Europa. Italia compresa, perché da noi c’è sempre da scoprire qualcosa di nuovo. Il focus della nostra ricerca non è solo interpretare il punto di incontro fra domanda e offerta, ma anche condividere la nostra idea di vino. La nostra selezione non vuole essere un insieme di categorie e di trend, piuttosto un racconto di storie dove il vino è il risultato del lavoro di persone appassionate, di custodi di cultura e pensatori rivoluzionari. Il nostro catalogo abbatte i confini – fisici e di pensiero – narrando il vino come connettore globale. Oggi abbiamo circa 400 etichette a catalogo, 27 Paesi rappresentati, 74 produttori che diventeranno a breve 85”.

C’è un po’ di tutto: vini ancestrali e rari, antichi e moderni, rivoluzionari ed eclettici, naturali e biodinamici. Ognuno con una sua storia, come il libanese Sangiovese (coltivato nella valle della Bekaa) dell’azienda biologica Adyar gestita da monaci maroniti o il Meskhuri del georgiano Natenadze, un vino dalla mineralità balsamica macerato in anfore interrate, da viti selvagge ultracentenarie. Si passa dalla paladina californiana delle vinificazioni naturali Martha Stoumen alla cantina giapponese Katsunuma che dagli anni Trenta vinifica il vitigno autoctono Koshu producendo oggi un bianco travestito da rosso.

Oltre che bevuti, questi vini vanno anche raccontati: “ecco perché per me è fondamentale riscoprire la figura dell’oste, colui che meglio può descrivere il nostro progetto e fare viaggiare narrando cosa c’è dietro un’etichetta. Un oste che presenta un vino instaura un’interazione dinamica, più efficace rispetto al semplice aprire una carta e finire sul solito nome già bevuto trenta volte” spiega Salvano.

La dimensione narrativa contribuisce a rendere unico un vino. Oppure un viaggio. Per questo motivo ogni viaggio che si rispetti deve avere il suo diario. Così è concepito il catalogo di Elemento Indigeno, dal graphic design in bilico tra memoria e accenti pop. “Il progetto grafico è stato ideato da Gianluca Cannizzo, con l’idea di creare un carnet de voyage, sia dal punto di vista concettuale sia estetico. Così è nato un album che riporta mappe, collage, offre la possibilità di creare inserti, annotare appunti accanto alle immagini delle bottiglie assaggiate. La copertina è in cuoio, invecchiando nel tempo acquisisce la bellezza di una patina vissuta e diventa quasi un feticcio”. Impresso sulla copertina, il logo. Un insieme di figure, sintesi grafica del viaggio di Elemento Indigeno: una testa (l’io) da cui fuoriesce una lingua (quasi animale, a significare la componente istintiva) verso cui punta una piramide rovesciata (simbolo archetipo della concentrazione) e una sfera che rappresenta il mondo, ma anche un acino.

A cura di Katrin Cosseta