22 Dic 2022
L’eredità dei legami con la propria Terra
L’eredità dei legami con la propria Terra
Masterclass “Eroica Campania”
Il coraggio della resilienza
Vini Buoni d ‘Italia 2022
Nei primi giorni di dicembre abbiamo avuto il piacere di presenziare ad un grande Tasting Event all’evento “Vini Buoni d’Italia” che ha visto la premiazione delle Corone e delle Golden Stars di oltre 850 vini di tutta Italia e la partecipazione di molti Consorzi tra cui il Consorzio Barbera D’Asti e vini del Monferrato, Consorzio per la tutela dell’Asti e del Moscato D’Asti Docg, Consorzio Tutela Vini d’Acqui e Consorzio Tutela Prosecco Doc.
Nell’occasione abbiamo scelto di dedicare maggiormente la nostra attenzione alla Masterclass tenutasi in una delle sale dell’Auditorium della Tecnica di Confindustria a Roma.
Ha aperto l’incontro il Presidente del Consorzio Tutela Vini del Vesuvio, Ciro Giordano, con i ringraziamenti a vini Buoni d’Italia per l’opportunità di parlare della Regione Campania, presentando poi tutti i relatori presenti: Pasquale Carlo giornalista, referente per la guida vini buoni d’Italia del Touring Club per Campania, Basilicata e Calabria, Chiara Giorleo Critica Enogastronomica, Prof. G. Ferdinando De Simone Archeologo e i Presidenti degli altri Consorzi: Teresa Bruno del Consorzio Tutela vini d’Irpinia, Cesare Avenia di VITICA ~ Consorzio di Tutela Vini di Caserta, Andrea Ferraioli del Consorzio Tutela Vini di Salerno, Libero Rillo del Consorzio Tutela Vini del Sannio non presente.
L’eredità dei legami con la propria Terra : Masterclass “Eroica Campania”
Il coraggio della resilienza Vini Buoni d ‘Italia 2022
Relatori da sx: Prof. G. Ferdinando De Simone, Chiara Giorleo, Pasquale Carlo
È una Masterclass particolare, diversa, dove non si racconta solo il vino, ma un percorso sull’intera Regione e sulla sua produzione.
Pasquale Carlo afferma: “Berremo dei vini che secondo noi suscitano alcune emozioni, perché questo è l’aspetto più importante, in una formula diversa per far capire che la Campania oltre ad avere un patrimonio di biodiversità ha anche un patrimonio culturale e storico pieno di tradizioni”.
LA STORIA FORGIA I TERRITORI
Interviene Ferdinando De Simone: “la storia del vino in Italia è abbastanza recente, il modo di produrre vino oggi è un qualcosa che è avvenuto dopo la fillossera, dopo l’industrializzazione. Questi sono dei territori che hanno avuto una grande presenza legata all’occupazione del vino che ha caratterizzato il territorio per dei millenni e che vede una continuità culturale tra le popolazioni. Ad oggi ci sono molti rituali, riti dionisiaci che sono stati tramandati, ma che in verità hanno perso un po’ il contenuto”.
Siamo consapevoli che bisogna guardare al passato per capire meglio l’importanza del vino legata alla cultura del bere che sicuramente in Campania è nata con i greci, a differenza della produzione che si deve ai romani. I vini della Campania arrivavano in tutto l’impero fino alla Bretagna, alla Gallia e alla Spagna e quelli del Vesuvio sono stati trovati addirittura in India.
UN DISEGNO CHE SI VA DELINEANDO
Strabone, geografo e storico greco, parla della Campania dell’età romana con confini più limitati rispetto ad oggi, partendo sempre dal Monte Massico descritto come un teatro con gli spalti a rappresentare gli Appennini e con questa grande piana alluvionale di fronte all’area del Casertano con Roccamonfina da un lato e la Penisola Sorrentina dall’altro. Come un bellissimo teatro sul mare.
Comprendiamo gradualmente l’eterogeneità del territorio campano: c’è il sole, il vento che viene dal mare che spazza via le nuvole, le montagne che proteggono dai venti freddi del Nord, l’acqua dei fiumi, la ricchezza del suolo dovuta alle aree vulcaniche. Ci sono tre aree vulcaniche importanti: quella del Somma-Vesuvio, quella di Roccamonfina, quella dei Campi Flegrei. Poi ci sono le colline con i terreni calcarei e la piana alluvionale.
A completare il quadro un mosaico variegato di eccellenze tra Doc e Docg, 23.300 ettari vitati che in realtà sono pochi se pensiamo che dal 1906 al 1932 la Campania era la Regione più coltivata in Italia grazie alla natura dei suoli vulcanici dove la fillossera non è riuscita a distruggere totalmente il patrimonio vitivinicolo.
L’eredità dei legami con la propria Terra : Masterclass “Eroica Campania”
Il coraggio della resilienza Vini Buoni d ‘Italia 2022
Territorio campano e Denominazioni
La maggior parte della produzione viene da vitigni a bacca nera; a Napoli si beve esclusivamente vino rosso o “vino nero”. Oggi fortunatamente la moda del mercato si sta orientando verso i bianchi, verso anche la capacità di evoluzione dei bianchi campani. C’è l’Aglianico (28%) che storicamente è il vitigno più presente in Campania, anche se sta perdendo un po’ lo scenario a causa della Falanghina (13%) che negli ultimi 10 anni ha avuto un boom ed è diventata la Doc più importante per il Sannio e, dal punto di vista economico, per la Regione; la Barbera (6%) che non ha nulla a che vedere con quella piemontese; poi ci sono un’infinità di vitigni autoctoni e il Sangiovese (6%).
UN VIGNETO DAL TIRRENO ALL’APPENNINO
In passato, la provincia di Benevento produceva meno vino rispetto a tutte le province campane; oggi invece rappresenta circa la metà della produzione. Poi viene Salerno, Avellino, Napoli e Caserta. La viticoltura è prettamente di collina e di montagna, resistono bene le vigne antiche e per ora i consorzi stanno pensando alla moltiplicazione dei vitigni a bacca bianca resistenti ai cambiamenti climatici.
UN CALICE PER 5 TERRITORI
IL SOMMA-VESUVIO
Il monte Somma è una montagna che abbraccia il Vesuvio e rappresenta l’antico cono vulcanico. C’è stata un’evoluzione nei millenni e la forma attuale è data dall’ultima eruzione risalente al 1944. È leggermente arretrato rispetto al Vesuvio, esposto sì alle brezze marine, perché siamo a Napoli sulla costa, ma soprattutto a quelle appenniniche essendo verso l’interno con un clima più fresco che porta ad una rigogliosa vegetazione verde. È Il lato nord, quello più antico, dove si coltivano le castagne, i pomodori, le albicocche, ricco non solo di materiale piroclastico ma anche di argilla.
Al contrario il Vesuvio è molto sabbioso, più esposto al mare, con ceneri non molto acide utilizzate come fertilizzante per i terreni. Il Somma è l’areale produttivo esclusivo della Catalanesca del Monte Somma, un vitigno a bacca bianca che storicamente arrivò qui per un dono d’amore. Fu portata a Napoli dalla Catalogna da Alfonso I d’Aragona, che conquistò tutto il sud Italia, perché si era innamorato, perdendo la testa, di una giovane ragazza del luogo. Inizialmente era utilizzata come uva da tavola nel periodo in cui c’era poca frutta ed era un privilegio mangiarla. Venne poi coltivata e mantenuta nel tempo grazie alla caparbietà di alcuni produttori che la utilizzarono per produrre il “lambiccato” che veniva poi portato in dono a Dottori, Notai, Avvocati. Fino a che nel 2006, dopo attenti studi, venne inserita nel Registro delle uve da vino e nel 2011 arrivò un disciplinare di produzione dedicato alla Catalanesca del Monte Somma IGP.
Il Monte Somma-Vesuvio e la sua Catalanesca
Primo calice: CANTINE OLIVELLA “KATÀ” Catalanesca del Monte Somma IGP 2021
È un’uva con una buccia spessa e resistente quindi si può raccogliere anche tardivamente quando le condizioni metereologiche lo consentono. È un vino che ha una sua complessità, una sua ricchezza e un corpo più sostenuto rispetto agli altri vini del Vesuvio, incentrati più sulla verticalità e sulla tensione salina.
La Catalanesca ha un altro passo – dice Chiara Giorleo – e noi la troviamo con una ricchezza concentrata subito al naso, con un soffio vegetale, spaziando dall’agrume leggermente candito, tipo lime forse un cedro più maturo, alla mela fuji più dolce, più matura, con un leggero tocco tropicale di ananas sciroppata, una sensazione di miele pure essendo un vino giovane. Stessa ricchezza la riscontriamo al palato per concentrazione e per sensazione tattile, di velluto, supportata dalla lavorazione sulle bucce fini. Freschezza e sapidità che non tradiscono il territorio. L’Azienda ha i suoi vigneti tra i 300 e i 650 MT slm, con importanti pendenze, a piede franco e il 90% hanno più di settanta anni di vita.
TECNICHE ANTICHE TRAMANDATE NEL TEMPO
Troviamo curiosa la particolare tecnica, usata in questa zona, della “propaggine” che consiste nel far passare un ramo della pianta madre nel terreno in modo che possa radicare e in un futuro staccarsi dalla principale. In questo modo non vengono estirpate le viti che hanno terminato il loro ciclo produttivo e impiantate quelle a piede americano. È una tecnica tramandata di generazione in generazione che assicura il mantenimento dell’impianto genetico del vitigno inalterato. Infatti, ci racconta l’azienda presente all’incontro che, quando vanno a generare le vigne nuove, scavando trovano in profondità altri tronchi delle viti più vecchie proprio perché i nonni avevano già utilizzato questo tipo di operazione.
Inoltre sul Monte Somma vengono utilizzate ancora oggi opere di ingegneria idraulica costruite dai Borboni, vasche che permettono all’acqua di defluire su questi forti pendii. A suo tempo vennero fatte anche diverse leggi per tutelare questi grandi canali di età vulcanica con pene severe per chi ostruiva il loro corso e con l’obbligo, per chi coltivava le terre lì intorno, di liberarli da qualsiasi ostruzione.
In effetti oggi, grazie a chi vive e coltiva la terra in queste zone, si riesce a contrastare, pulendo e coinvolgendo le amministrazioni a rifare le strade e a sistemare gli alberi, il continuo mutamento dei versanti del Vesuvio, perché geologicamente il materiale vulcanico è antico, poco stabile e a rischio frane.
La Provincia di CASERTA
Tre le zone importanti del Casertano c’è sicuramente Aversa, dove molti produttori hanno ripreso la coltivazione della vite in zone abbandonate durante l’industrializzazione. L’esempio più vivo è l’Asprinio con i suoi alberi alti più di dieci metri; l’alto Casertano, diventata la zona in cui i romani iniziarono a capire che, più che affidarsi ai greci e ai sanniti che stavano intorno al Vesuvio, potevano coltivare i terreni nella zona alta di Roccamonfina, simile a quella del Vesuvio. La terza è la zona che si trova al limite verso est, Monte Maggiore, denominata “il balcone sulla Campania Felix”, un territorio ricchissimo sia per la fertilità del terreno dovuta alla presenza del Fiume Volturno e all’attività vulcanica, sia per le tante testimonianze sannitico-romane.
La Vigna del Ventaglio
A Caserta ancora oggi c’è una fortissima impronta borbonica e la Reggia ne è la testimonianza.
Nella II metà del settecento, Ferdinando IV di Borbone chiese a Luigi Vanvitelli di creare, nell’area retrostante la Reggia, una vigna, “la Vigna del Ventaglio” nel territorio di San Leucio, formata da dieci spicchi di vigneto, appunto a forma di ventaglio, con a dimora le dieci migliori uve tra cui Piedimonte bianco e rosso, i progenitori del Pallagrello. Nei diari di corte si evince che i vini Piedimonte del Ventaglio venivano serviti nelle grandi occasioni insieme ai Bordeaux e ai Grand Cru. Oggigiorno i vitigni autoctoni della zona, come il Pallagrello bianco e nero, il Casavecchia e la Coda di Pecora vengono vinificati in purezza.
Secondo calice: IL VERRO “SHEEP” Coda di Pecora Terre del Volturno IGP 2021
Chiamata così per la forma del grappolo che ricorda la coda di una pecora, è un’uva a bacca bianca a maturazione tardiva, diversa dalla Coda di Volpe o dal Juhfark vitigno ungherese di cui è stato oggetto di discussione, originaria della Magna Grecia e vinificata in purezza da questa Cantina. Unico produttore.
Cesare Avenia, Presidente del Consorzio Tutela Vini di Caserta e proprietario della Cantina “Il Verro”, nel 2003, in seguito all’acquisto di un terreno si accorge e incuriosisce di questo vitigno presente tra i filari abbandonati. Al ché avvia esami sul DNA e studi ampelografici per classificare la sua unicità ed essere così inserita nel Registro Nazionale delle varietà, ancora in fase di completamento.
Per noi che siamo nel clou di questo viaggio sensoriale, riscontriamo immediatamente una ricchezza aromatica olfattiva dovuta proprio alla maturazione tardiva di questa varietà, dalla mela cotogna, alle sensazioni rinfrescanti di erbette, sbuffi di macchia mediterranea, e sul finale una sensazione di cenere annunciando il suo sorso più austero. Al palato è più imponente con una nota astringente non dovuta alla macerazione sulle bucce, ma alle caratteristiche proprie del vitigno. Grandissima sapidità sul finale che rende il vino gastronomico e beverino.
La Vigna del Ventaglio e la Code di Pecora
La Provincia è un territorio variegato, con mare, montagna e vulcano, con una produzione limitata in termini di bottiglie, di circa 2.000.000 all’anno su sei denominazioni (4 Doc e 2 IGP). Troviamo il Falerno del Massico, l’Asprinio di Aversa, il Galluccio, la Casavecchia di Pontelatone, Terre del Volturno e Roccamonfina.
Cesare Avenia interviene: “Quando mi è stato chiesto di vinificare la coda di Pecora non ci ho pensato due volte visto che è il mio vino preferito. Provengo da un’altra esperienza professionale, ma questo non mi ha fermato e impedito di creare la mia Azienda perché amavo il territorio e volevo nel modo migliore rappresentarlo e anche riscattarlo. Il destino dei vitigni autoctoni è delicato, se non trovano uno sponsor fanno una brutta fine. E poi questo bianco matura tardi, ed è un problema per il produttore, a meno che non arrivi uno sponsor che se ne occupa e questo diventa una tipicità e una ricchezza”.
La Cantina ha una produzione di meno di due ettari in regime biologico e si avvale della collaborazione dell’Enologo Consulente Vincenzo Mercurio e del Prof. Moschetti Biologo che si occupa di fermentazioni e di lieviti utilizzati. È una continua ricerca che porta se tutto va bene a produrre 5000 bottiglie all’anno.
“Vi assicuro che, se venite dalle mie parti a trovarmi, apriamo una bottiglia di Coda di Pecora del 2011 e vi renderete conto che ancora è in perfetta forma”
L’ IRPINIA IN TUTTE LE SUE FORME
E’ un territorio multiforme, punteggiato da rilievi, inciso da valli con notevoli valenze ambientali e paesaggistiche. Due sono i racconti storici importanti di questa zona menzionati da De Simone.
Il primo riguarda i Colli di Abellinum: Avellino era un’antica città sannitica divenuta in seguito colonia romana e sorgeva dove oggi si trova la città di Atripalda e dove il Cristianesimo è riuscito a legarsi alla fine dell’impero romano. Il problema è che c’erano ancora nella campagna, per quanto perseguitate, persone pagane. Personaggi significativi dell’epoca furono: San Felice di Nola, imprigionato e torturato nel corso delle persecuzioni cristiane, purgatore dei veneratori delle Chiese che distruggevano le statue delle divinità pagane; San Paolino di Nola che, chiudendo un occhio, ha fatto in modo che si mantenessero i riti pagani sulle tombe dei martiri cristiani, conciliando il Paganesimo con il Cristianesimo. In questo periodo molti pellegrini dall’area dell’Irpinia andavano a Nola sulla tomba di San Felice e San Paolino a pregare e compravano il vino lì prodotto.
L’Irpinia e il suo Greco di Tufo
Una leggenda racconta che nel 1648 Scipione di Marzo scappa da San Paolo Belsito, vicino Nola, per allontanarsi da un’epidemia di peste e si rifugia a Tufo. Porta con sé le uve Greco e da qui nasce la coltivazione di quest’uva antica e pregiata in questo areale.
Nell’800, ad affiancare la grande produzione di vino, ci fu il ritrovamento di un ricco giacimento di zolfo che portò ad un insediamento industriale molto importante nella zona. Lo zolfo fu impiegato anche nella coltivazione della vite che ebbe un’esplosione in tutta l’Irpinia, dando origine alla “zolfatura”, ossia alla tecnica di protezione usata contro le malattie della vite. Da Tufo è partito lo zolfo che ha salvato i vigneti di tutta Italia.
Terzo calice: “Quattro Venti” PETILIA Altavilla Irpina Greco di Tufo DOCG Riserva 2020
È una DOCG ristretta comprendente otto micro comuni siti in un prestigioso territorio produttivo in provincia di Avellino. Lo scenario verso l’interno cambia completamente rispetto al Vesuvio, con un territorio prettamente montuoso, con inverni nevosi.
Dalle parole di Chiara Giorleo: “il Greco di Tufo e il Fiano di Avellino sono esempi importanti in tutta Italia di vini bianchi da invecchiamento e da vitigni autoctoni. In Italia ce ne sono molto pochi”.
Questo Greco di Tufo è di grande personalità, è un rosso travestito da bianco. Per noi la sua imponenza e sferzata acida sapida donano una finezza in grado di esprimersi al meglio nonostante le difficoltà di questo vitigno, poco produttivo, sensibile alle muffe e all’ossidazione. Ma se poi si sa lavorare esce un vino estremamente complesso, con note di zagara, pesca non troppo matura, sensazione di mela annurca e macchia mediterranea. Un finale sulfureo che è molto territoriale e che lo ravviva moltissimo con note sorprendenti di pietra focaia. È un’uva che proviene da viticoltura eroica, da una parcella specifica che si trova a 600 MT slm con rese tra i 50/60 q/ha ed è una vigna molto piccola di un ettaro. È una grandissima forza in Irpinia insieme al Fiano di Avellino e al Taurasi che è la DOCG più antica del sud Italia.
SALERNO – PENISOLA SORRENTINA
Nella provincia di Salerno, la più estesa d’Italia, la cultura del vino è una tra le più antiche con testimonianze lasciate nell’insediamento di Pontecagnano, nell’ultimo sito più a sud, da genti indigene e dagli Etruschi. Ci sono molte citazioni nella storia salernitana dove si parla delle proprietà benefiche del vino. C’era già una grande cultura del bere.
Quando si parla della penisola sorrentina ci si riferisce ad una zona originariamente molto selvaggia abitata da popolazioni locali e verso le quali i greci, molto prima dei romani, avevano un certo interesse e anche un po’ un rapporto conflittuale. Per il Greco, l’indigeno non era realmente un uomo, non era civilizzato perché non viveva in città con le leggi in comune, e viveva da solo in campagna, pascolava le greggi, produceva già il vino però non aveva la cultura del bere perché non ancora legata a quel rito della convivialità e del simposio.
Quello che hanno fatto i greci è usare quindi il vino come veicolo di acculturazione, di integrazione, di un modo di bere e anche di vivere, aumentando la platea dei possibili bevitori e migliorando di conseguenza anche il suo commercio.
Raffaele Ferraioli e suo Furore
Quarto calice: Furore “COSTA D’AMALFI” Fiorduva Doc di Marisa Cuomo 2020
È doveroso citare Raffaele Ferraioli, scomparso un anno fa e ricordato, come ci racconta Pasquale Carlo, “non come Sindaco di Furore ma come colui che ha creato Furore e inventato la parola Costa d’Amalfi, fondatore delle Città del Vino in Campania”. Un poeta e un visionario, definito uno dei padri della viticoltura moderna in Costiera Amalfitana insieme a Peppino Apicella di Tramonti. Non produceva vino ma ospitalità in tutti i sensi anche come ristoratore.
Ricordata per i vini bianchi, con la Costiera Amalfitana entriamo in un micromondo con le sue caratteristiche uniche, in un mosaico di territori, di microclimi, di sottosuoli e di vitigni autoctoni particolari.
Entusiaste beviamo Rivoli, Fenile e Ginestra, vitigni autoctoni in blend con una bella complessità, spaziando dai fiori d’arancio, alla nespola, al melone bianco, ad una sensazione speziata non pungente, rinfrescante come il cardamomo. Un vino salmastro, iodato che ci ricorda un po’ il territorio. Grandissima ricchezza e stratificazione che ritroviamo anche al palato, rotondità grazie alla maturità del frutto e alla concentrazione ben bilanciata con una freschezza non tagliente ma perfettamente integrata al succo. Finale sapido che non rende pesante la beva.
Siamo sulla costa a 300 MT slm, con pendenze sopra il 50%, su terrazzamenti stretti e rocce a picco che denotano un certo fascino. Un paesaggio caratteristico di questa zona, dove non si utilizzano sistemi meccanizzati e per il trasporto delle uve vengono impiegati gli animali da soma.
Parla il Presidente del Consorzio Tutela Vini di Salerno, Andrea Ferraioli:
“Nel 1995, a Furore, parallelamente all’ottenimento della Doc, io e mia moglie attivammo un campo catalogo di circa 3000 metri dove mettemmo a dimora 42 varietà di uva di cui 28 a bacca bianca e 14 a bacca rossa. Contestualmente iniziammo a fare uno studio per la classificazione clonale, con microvinificazioni sperimentali e da qui uscì il protocollo per il Fiorduva con i tre vitigni in blend. Da rese molto basse, con questi tre vitigni insieme, siamo riusciti a produrre un numero di bottiglie congruo e soprattutto il segreto è che insieme si completano. Vinificati in purezza non sarebbero stati bevibili e il vino sarebbe stato squilibrato. Sono ceppi prefillossera disposti a pergola che hanno minimo 60 anni, impiantati su muretti a secco con il sostegno di pali di castagno. Oggi questi vitigni non sono miei ma della Costiera Amalfitana e sono identitari di un territorio squisito. È importante oggi curare la storia di un territorio.”
Leonardo Mustilli e la Falanghina del Sannio
SANNIO
Il Sannio è storicamente conosciuto per la Regina delle vie, la Via Appia che passava per Benevento e per le tante testimonianze dall’Egitto dovute alla presenza dei mercanti provenienti da Alessandria d’Egitto. È un territorio vastissimo e il Monte Taburno rappresenta uno dei luoghi più significativi dal punto di vista geografico poiché a difesa della Longobardia. Dopo la caduta dell’impero romano, Benevento fu il più importante feudo longobardo del Sud.
IL CREATORE DELLA FALANGHINA
Un altro personaggio che ha fatto la storia del vino è Leonardo Mustilli, Ingegnere appartenente ad una famiglia di stirpe nobile che nel ‘500 si trasferì da Ravello verso l’interno. Dopo aver creato un’azienda agricola, negli anni ’70, comincia a studiare e operare microvinificazioni su vitigni antichi tra cui la Falanghina che è sempre esistita nella provincia di Benevento. Però all’epoca veniva conferita alle fabbriche di Vermouth nel nord Italia, perché essendo un’uva con molta acidità raggiungeva un grado alcolico elevato. Tutto finì poi con lo scandalo del metanolo.
Leonardo riscopre un vitigno sul Taburno e inizia a vinificarlo con molte problematiche finché alla fine riesce a strutturare un vino che va bene per il mercato e da qui farà fortuna. Nel 1979 imbottiglia la prima Falanghina del mondo. Da allora ad oggi gli ettari vitati a Falanghina sono diventati circa 3000 con una produzione di 12.000.000 di bottiglie l’anno.
L’eredità dei legami con la propria Terra : Masterclass “Eroica Campania”
Il coraggio della resilienza Vini Buoni d ‘Italia 2022
Degustazione 5 calici per 5 territori
Quinto calice: “KYDONIA” di Ca’ Stelle Viticultori in Castelvenere, Falanghina del Sannio DOP Vendemmia Tardiva 2017 affina per il 50% in legno
Questa bottiglia è appena uscita sul mercato e premiata da Vini Buoni d’Italia.
Per noi questo calice di vendemmia tardiva rappresenta un cammino sensoriale stimolante che, nonostante i suoi 5 anni, si mostra giovanissimo alla vista, ha un naso molto complesso, frutta gialla matura, mele, noci, fiori bianchi. Mostra un palato vivace e concentrato con note citriche evidenti. Freschezza, acidità e grande longevità sono le sue migliori doti.
Cantine degustate: Cantine Olivella, Cantina Il Verro, Cantina Petilia Altavilla Irpinia, Cantina Marisa Cuomo e Ca’ Stelle Viticultori in Castelvenere
Pasquale Carlo:
“Mi fa piacere che siamo stati insieme quasi due ore, sono stati bravi anche i produttori che ci hanno permesso di degustare i loro vini”
Ciro Giordano:
“Ringrazio i relatori e voi per la partecipazione, da domani gireremo il mondo con questo Format. Quando parliamo del nostro territorio abbiniamo la parte storica, archeologica al valore della produzione vitivinicola in Campania. Sottolineo la grande unione che oggi hanno i cinque consorzi di tutela, la grande sinergia che c’è tra i cinque presidenti come vedete, per la promozione delle piccole e grandi attività. L’obiettivo è tirare fuori il valore di questa Regione, il mondo vitivinicolo campano e tutte le eccellenze dei territori che oggi avete potuto ben vedere”.
L’eredità dei legami con la propria Terra : Masterclass “Eroica Campania”
Il coraggio della resilienza Vini Buoni d ‘Italia 2022
Line up: Cinque Consorzi a braccetto
Chiudiamo la nostra esperienza con delle personali considerazioni:
La Campania è stata per noi davvero una piacevole scoperta; lei è sinonimo di mare, sole, sapori e profumi che infondono energia ed allegria.
È la Terra del fermento, della storia, dell’arte, delle tradizioni e della cultura che, come avete letto, viene da lontano, si respira tra la gente, i monumenti e il suo paesaggio e ci parla dei miti della storia romana e greca. E’ il Territorio che custodisce antichi e pregiati vitigni, ceppi centenari che da soli ci raccontano decine di affascinanti e antiche storie piene di sacrifici, amore e caparbietà.
E’ tanto e spesso troppe cose insieme, ma che travolge con una valanga di emozioni chi la vive in tutte le sue sfaccettature.
Questa è la Terra della gente che ama.
Ilaria Castagna e Cristina Santini
Partners in Wine
https://www.youtube.com/watch?v=RakajXgmc-E
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