05 Gen 2024
Suggestioni di Vino

Aurete. Una storia di amicizia

I sogni dei ragazzi sono quelli che maturano seduti sul muretto, sotto l’ombrellone, al tavolino del bar. Qualunque posto è buono per creare e immaginarsi il futuro. Fare voli pindarici, guardare avanti con l’entusiasmo di chi ha tutta la vita davanti.
C’è una canzone di Antonello Venditti che parla degli amori, quelli che non finiscono, che “fanno dei giri immensi, e poi ritornano. Amori indivisibili. Indissolubili inseparabili. Ma amici mai” (Amici mai).

Alcune amicizie sono più dell’amore. O semplicemente sono amore in forma diversa. Proprio tra amici si condividono i sogno di vita, la speranza di qualcosa insieme. Anche se poi la stessa vita ti porta in altre direzioni a fare altre cose. Per poi ritrovarsi un giorno e tornare ad essere indissolubili inseparabili.
Paolo, Giovanni, Eugenio. Tre amici che costruiscono la loro amicizia sui banchi di scuola. Anzi, Paolo e Giovanni la costruiscono già in culla

Siamo nati insieme. Eravamo vicini di culletta. 29 gennaio 1983. Lo abbiamo scoperto al liceo. Al quarto ginnasio. Mia madre si ricordò che alla nascita Giovanni ebbe un pò di problemi, ma niente di grave. Il padre fuori cominciò a fare casino per vedere la moglie e mio padre lo calmava. Mamma era disperata perché nessuno si filava me. Tutti andavano da Giovanni.
14 anni dopo, in quarto ginnasio scoprimmo questa cosa perché mamma mi disse “quel ragazzo…”. Da li Siamo diventati amici. Una persona sola.

Giovanni già da piccolo cucina. Gli piace. Una di quelle cose che ti ritrovi a fare senza neanche sapere di farlo.

È un fenomeno. Così ha aperto due ristoranti con Eugenio. Che abbiamo conosciuto al liceo. Siamo stati sempre insieme. Io però volevo fare l’università perché non mi andava di buttarmi subito nella ristorazione. Loro pure hanno studiato lettere ed economia. Nel frattempo hanno aperto un pub. Di quelli con la carne buona, la birra artigianale. Nel 2021 hanno pure una smoke house, Rub, con le cotture slow, affumicatoi con legni particolari.

Paolo se ne va a studiare a Roma. Il classico studente fuori sede che, mosso da grandi ideali, ha grandi idee per il futuro. Si laurea in Scienze Politiche con tanto di tesi sulla cooperazione internazionale e i diritti dei rifugiati e la speranza di proprio in questo campo. Ma quanta è amara la vita vera!

Ho lavorato alla Caritas per i rifugiati e i senza tetto. Ho lavorato nel sociale per cinque anni occupandomi di diritti umani. Volevo fare qualcosa di più alto a livello di cooperazione internazionale. Avevo una laurea in fondo e una tesi sviluppata con personaggi influenti a livello internazionale. Però in Italia è cosi. Sono finito a fare l’operatore che pulisce i cessi e fa mangiare questi poveri disgraziati. Vittima delle cooperative senza scrupolo a cui è affidato il servizio. Non a Roma perché ci sono cooperative serie e la Caritas che è del Vaticano.

Quanto è amara la vita che ti mette dinanzi alle cose più nere. Al crudo realismo di chi fa le cose per soldi. Soldi che mancano ad un ragazzo che vuole salvare il mondo.

Dopo 12 anni sono tornato a Cassino più per un motivo di case. A Roma stavo ovviamente in affitto e in 12 anni ho cambiato 6 case. Andavo sempre più fuori. Dalla Prenestina alla Casilina a Centocelle. Andavo sempre più fuori. L’ultima casa era dopo il Raccordo perché i prezzi erano esagerati. Dovevamo sempre smezzarci la casa e una cosa a 18 anni un’altra a 28/30. A sto punto torno a Cassino mi sono detto. Mi sono fidanzato con la mia attuale moglie e sono tornato a Cassino.

Non si possono spegnere però gli ideali quando sono forti. Così Paolo continua a lavorare nel sociale facendo anche un secondo lavoro come spallone delle pompe funebri per arrivare a fine mese.

Sono finito in balia di certe cooperative che trattavano minori e minori stranieri non accompagnati sui quali c’è un vero business. Dopo cinque anni di sociale sono uscito distrutto. Ho capito che se vuoi fare sociale non devi percepire soldi altrimenti finisci in mano alle cooperative che lavorano per soldi.

Paolo, Giovanni e Eugenio non si sono mai lasciati. Da liceali, da studenti, da laureati. Non è andata proprio bene a Paolo. Un pò meglio a Giovanni e Eugenio con i loro ristoranti.
Si ritrovano la sera per continuare a parlare dei propri sogni. Da appassionati di birre artigianali volevano anche aprire un micro birrificio. L’idea c’era tutta: produrre e vendere birra nei locali.

È passata un po’ la moda della birra. Un pò mancava la magia. Anche quando ero a Roma avevo sempre in mente la vigna. Così ho detto a loro: investiamo. E siamo passati da bere birra a veri vini naturali.

Già. Perché i ragazzi saranno anche degli idealisti ma mica sono scemi. Leggono, si informano, provano. Capiscono cosa per loro è meglio e cosa posa davvero garantirgli un futuro. Quantomeno una passione da condividere insieme. Per continuare a stare insieme.
Eugenio e Giovanni da imprenditori e amanti del vino naturale conducono Paolo a scoprire questa tipologia di prodotti.

Ero arrivato ad un punto dove non bevevo più vini convenzionali. Non bevevo più. Giovanni mi fece scoprire i vini naturali di aziende come Emidio Pepe, La Torretta, La Distesa, Sete. “Questo non è il vino che compro io”! Così iniziammo tutti a bere solo vino naturale.

Una sorta di illuminazione. Si certo, del prodotto, della scelta del bere, della filosofia. Soprattutto però di un progetto che, finalmente, prendeva forma nella mente dei tre.
Bisognava partire da zero poiché non c’erano i terreni, non c’era la cantina, non c’erano le viti. Niente di niente.

Avevo già la terra vicino Cassino. La campagna era un mio pallino. Volevo pure avviare un allevamento di lumache, le ciammaruche. Mi piaceva l’idea. Era 15 anni fa. Adesso ho 40 anni. Eravamo dei precursori. Con un ettaro ci fai miliardi di lumache.

Insomma occorreva trovarli i terreni. Giovanni e Paolo iniziano a girare le valli intorno Cassino, città in cui vivono. La valle di Comino ad esempio che nella zona va per la maggiore per il Cabernet e il Maturana.

Le terre costavano troppo, il Cabernet non mi convinceva. Capitò poi che con uno nostro amico ricordavamo di quando andavamo ad Esperia ed era pieno di vigne. Ci siamo andati e abbiamo visto un cartello vendesi su una terra: quel giorno stesso ce la siamo comprata.

Esperia è un piccolo paese con poco meno di 4000 anime posto a metà strada tra Cassino e il mare di Formia. Una andirivieni di vallate sopraelevate formatesi dall’emersione dal mare delle terre in epoche antiche. Mare che con la sua brezza, ogni tanto si fa sentire.
Non proprio una zona rinomata per il vino: pochi contadini e molti pastori da queste parti. Anche se al tempo dei romani era un pò di verso. Il monte Cècubo, proprio quello che separa Esperia dal mare diede il nome all’omonimo prezioso vino Cècubo. Così prezioso da essere tenuto sotto chiave e utilizzato dagli antichi romani per i grandi avvenimenti
Prima d’ora per noi non era lecito dalle cantine avite tirare fuori il Cècubo pregiato, finché quella regina dissennata preparava rovine al Campidoglio e lutti e distruzioni al nostro impero.
Cosi cantava Orazio nelle sue Odi riferendosi probabilmente al dover festeggiare la morte di Cleopatra. Cècubo era il vino che si produceva con il vitigno Serpe nella zona tra Terracina e Sperlonga.
Leggenda vuole che Cicerone, transitando per Esperia nei suoi spostamenti tra Arpino e Formia, si fermasse qui per acquistare il suo vino favorito.
Pare, si mormora, ed è bene che rimanga leggenda, che qualche contadino abbia pure trovato delle anfore e alcuni resti di una strada romana ma le abbia prontamente occultate per non ricadere sotto le grinfie di qualche burocrate. Solo un sentito dire….
In ogni modo Esperia oggi è uno di quei paesini dove il tempo sembra essersi fermato. Persone meravigliose, aperte e soprattutto accoglienti.

Ci siamo fatti un giro e qui non ci vuole niente a sapere le cose: in venti minuti sapevamo tutto di tutti. Qui i contadini pensavano che fossimo imprenditori con i soldi.

I ragazzi hanno le idee chiare in fatto di vino. O meglio, sanno cosa vogliono ottenere ma sanno anche che non è così semplice ottenerlo. Occorre partire dalla terra e dalle piante.

Siamo andati a cercare vitigni così che i contadini ci facevano assaggiare il vino. Abbiamo trovato il vitigno Reale che però facevano dolce. Abbiamo chiesto aiuto a Michele Lorenzetti e Anselmo Cioffi. I vitigni erano buoni e si potevano fare i vini naturali. Qui basta guardarsi intorno e si vede che si fa olio e vino da duemila anni. Una specie di conca accarezzata dalla brezza marina.

Ci si innamora di un sogno. Ci si innamora di una donna o di un uomo. Ma ci si innamora di una terra, la natia o quella che si scopre per la magia del caso. Proprio come è successo a Paolo, Giovanni ed Eugenio che trovano in quel di Esperia il luogo perfetto per la loro avventura. Gente meravigliosa, terreni millenari ricchi di storia e mineralità, due vitigni autoctoni interessantissimi come Reale e Raspato. Un mix incredibile che non può non destare meraviglia e far nascere l’azienda che si deve necessariamente chiamare Aurete che, oltre a venire da aureo è proprio il nome di questa zona..

Nel 2016 abbiamo aperto l’azienda. Due anni per rimettere a posto i terreni con i prodotti di Carlo Noro. Da subito approccio biologico e biodinamico. Nel 2018 abbiamo piantato le barbatelle aspettando la burocrazia. Nel 2020 la prima vendemmia con 2500 bottiglie.

Un ettaro e mezzo vitato più altre tre ettari con due ettari vitati. Quattro ettari in totale con una vigna pre fillossera a piede franco di circa 150 anni di età. Come si fa a non innamorarsene?

Ci siamo insomma innamorati ma non siamo folli e abbiamo visto che qui poteva venire un Syrah buonissimo stanchi dei Syrah laziali.

Le terre qui sono rosse, ricche di minerali come ferro e magnesio. Ricordano un pò quelle del Rodano e della Jura. Il vigneto sotto le montagne sorge sul letto di un fiume: pietra e roccia che si scontrano e si fondono. Le impronte dei dinosauri ritrovate sulle montagne indicano l’età di questi luoghi sopravvissuti al mare del golfo di Gaeta.

Siamo partiti per fare il vino naturale. Avendolo bevuto con le aziende che prendeva Giovanni (già dieci anni fa aveva una carta dei vini con solo vini naturali) siamo diventati prima bevitori, poi appassionati, poi produttori. Abbiamo la certificazione biologica. Quella biodinamico è un pò controversa, ma ci arriveremo.

L’idea precisa di fare vino con zero chimica in vigna e minimo intervento in cantina. Per quanto si può non facendo andar a male i vini e tenendo presente la tecnica.
Che meraviglia questi ragazzi. Non c’è la voglia di arrivare e spaccare il mondo fregandosene dei valori. Ciò che conta è il rispetto della natura, della tradizione, della cultura. Il resto può andare in secondo piano.

Abbiamo fatto selezione massale del Raspato e del Reale e investito in terreni di proprietà. Abbiamo investito un sacco di soldi in questo e non ci siamo concentrati sulla cantina. Conosciamo bene Marco Basco di Cacciagalli e ci siamo innamorati dei suoi vini in anfora: andiamo il a vinificare. Abbiamo il nostro agronomo che è anche insegnante di enologia. Non abbiamo mai avuto un enologo perché ci piace fare il vino di testa nostra, vedendo l’annata dell’uva e come si evolve in cantina. Si, c’è una idea ma devi pure vedere come segue: la fermentazione, la malolattica.

Raspato Nero e Reale sono da poco entrati nel Registro Nazionale (Marzo 2021). Un percorso lungo cinque anni ma fondamentale per evitare l’oblio a due vitigni abbandonati nelle vigne di qualche contadino che nemmeno sapeva di averli. Complicati in vigna e non semplici in cantina.

Nel 2020 abbiamo prodotto 2500 bottiglie. Nel 2021 tra gelate e siccità, 2000. Nel 2022 siamo arrivati a 8000 bottiglie e abbiamo fatto una linea di vini, Gonzo, fatti in cemento. Vini di beva facilissima, da glu glu. Uno base Reale con Trebbiano e Moscato; l’altro base Raspato con Ciliegiolo, Montepulciano e Sangiovese, uve che provengono da una vigna che abbiamo preso in gestione.

Cambiano le stagioni, si modifica il clima. Le temperature non sono mai le stesse. Piogge, gelate e chi più ne ha più ne metta comporta un sempre più stretto contatto con la natura.

Il Syrah lo raccogliamo tutti gli anni a fine agosto a 19 gradi Babo. Il Raspato e il Reale a fine settembre anche se storicamente qui lo raccoglievano ad ottobre, a San Francesco. Però il clima è cambiato. Arrivano le piogge. Ad ottobre non ci arriva.

Cinque i vini di Aurete. Thero da Reale, macerato e affinato in anfora; Raptor da Raspato Nero prodotto nella vigna a piede franco, macerato e affinato in anfora; Sauro lo Syrah fermentato sulle bucce in anfora e affinato in Clayver di grès; i due Gonzo (bianco da Reale e rosso da Raspato) vinificati in cemento. Gonzo è anche recensito sul mio blog Instagram.

Syrah e Raspato devono ancora affinare e abbiamo pensato a come usare l’uva del 2022 creando così Gonzo ovvero vini più immediati che i locali ci chiedevano.

Tre ragazzi e i loro sogni. Arrivati dove volevano? Macchè, sono appena partiti. Tanta strada da fare e tante difficoltà ancora da superare. Eppure

Con Giovanni ci diciamo che siamo un pò sfortunati di nostro. Qui si dice che “se ti metti a fare i cappelli nascono i bambini senza testa” nel senso che abbiamo vissuto il covid, la siccità, la guerra con la crisi dei materiali. Siamo riusciti comunque a pagare tutti e tutto. Abbiamo speso tantissimo. Entro dicembre finisco di piantare tutto. Finisco di pagare i debiti e stiamo fermi. Anche se ci serve la cantina. Nell’altro terreno ex letto di un fiume verrà un vino della madonna.
Voglio portare il secondo vigneto a produzione e poi ci concentriamo sulla cantina.
Abbiamo appena iniziato. Siamo alla quarta vendemmia in questo mondo dove ce ne vogliono almeno dieci per aver fatto qualcosa. Si dice che il breakeven si raggiunge al dodicesimo anno. Ma noi non ci stiamo nemmeno a pensare a queste cose.

La vigna magari sarà anche il buon ritiro dei tre amici, ma non ora. Per ora non è possibile. Giovanni ed Eugenio devono necessariamente continuare la loro attività di ristoratori. Paolo come impiegato in un ufficio a supporto delle amministrazioni comunali per la gestione degli autovelox e le infrazioni del codice della strada. Doveva rimanerci un anno. Poi è arrivato il covid….
Che storia quella di Paolo. Dalla laurea in scienze politiche, alla cooperazione internazionale, al volontariato alla Caritas, alle cooperative per i minori; lo spallone per le pompe funebri; infine impiegato e vignaiolo. Vaglielo a dire a quelli che se ne stanno a casa, sul divano, aspettando la chiamata di qualcuno!

Siamo al settimo anno. Non abbiamo debiti e lo facciamo per passione. Sarà il nostro buon ritiro. Magari potevamo stare al bar a bere vino ma non ci andava di fare questa fine. Avevo la campagna e comunque sarei andato li. Ogni tanto ci diciamo che ci potevamo fare i cazzi nostri e comprarci gli appartamenti. In realtà sono soldi che escono mano mano. Abbiamo investito in terreni di proprietà che è quello che volevamo. Abbiamo vinto un bando come prima idea progetto giovani. Ci hanno prestato cinquanta mila euro e abbiamo comprato i terreni. Prestato mica regalato. Col senno di poi potevamo fare tante cose ma l’agricoltura è cosi.

Una passione con l’obiettivo del buon ritiro non vuol dire essere non folli. Quello che hanno creato dal nulla è frutto di studio, di cantine visitate, di vini assaggiati.

Abbiamo un gruppo, Ciociaria Naturale, siamo dieci aziende. Io stacco dall’ufficio e vengo qui perché è  l’ufficio più bello del mondo. Nonostante le difficolta. Vengo anche con mia figlia che ha cinque anni e ha già fatto tre vendemmie. Batterà il record delle vendemmie fatte. Ho piantato la prima vigna ad aprile 2018 e lei è nata a maggio. Nel 2020 c’era lei con il secchiello del mare. Le ho fatto misurare il grado Babo.

Giovanni si occupa della cantina e insieme ad Eugenio del commerciale: nomi, siti internet, clienti.

Poi però veniamo tutti insieme in campagna. Insieme a zio Luigi che è un operaio che ci aiuta. Facciamo tutti tutto. Siamo così noi.

Ecco, non so perché ma arrivati a questo punto, in questa storia di amicizia vera che dura da oltre vent’anni e ne durerà ancor di più; questa storia fatta di passione, sofferenza, sogni spezzati, sogni realizzati, amore, studio, e chi più ne ha più ne metta, mi suonano in testa le parole di una canzone che parla d’amore. Perché l’amicizia in fondo non è amore?

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Non so se Aurete sarà il buon ritiro di Giovanni, Eugenio e Paolo. So però che sentiremo parlare dei loro vini nei prossimi anni. In fondo, se ad Esperia hanno trovato le orme di dinosauri, vuol dire che qualche cosa di buono c’è in queste zone. Qualcosa di antico e prezioso. Come può esserlo una vigna vecchia a piede franco, dei vitigni autoctoni, un metodo naturale, una amicizia indissolubile. Aurete, una storia di amicizia.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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