04 Ago 2023
Suggestioni di Vino

Azienda Agricola Gian Piero Marrone. La vita, le storie, i ricordi, il vino

Azienda Agricola Gian Piero Marrone. La vita, le storie, i ricordi, il vino

Tutti noi abbiamo avuto o abbiamo un amico/a, un/una compagno/a di classe che quando attaccava a parlare non la finiva più. Carlo Verdone inserì un personaggio simile nel film “Compagni di scuola”: Postiglione (interpretato da Luigi Petrucci). Di lui non si ricorda mai il nome che era Ottavio. Come si poteva ricordare il nome di uno che si preferiva evitare? Postiglione era secchione e prolisso. Sapeva tutto e voleva raccontarti tutto. Era così insopportabile che, per farlo tacere, Bruno Ciardulli alias Christian De Sica gli versa nel bicchiere di vino delle gocce di sonnifero. Il dialogo della scena è meraviglioso.

Walter Finocchiaro (Angelo Bernabucci): ma quante gliene metti aho?
Bruno: qui c’è scritto “adulti fino a 25 gocce”
Walter: ma ch’è. Ma quello è un replicante. Che non lo vedi?
Bruno: allora gliene metto altre dieci.
Walter: ma si!
Bruno: ma gli farà male?
Walter: ma de che.
Bruno versa le gocce di sonnifero in un calice di vino e rivolto a Postiglione che sta leggendo: Postiglione? Tu ne capisci di vino?
Postiglione: caspita!
Bruno: allora dicci come è questo vino perché lui lo trova schifoso, io ottimo.
Postiglione osserva il bicchiere, lo rotea, lo annusa, lo assaggia.
Bruno: questo c’ha due palle cosi eh!
Walter: e che non lo so
Postiglione: è un passito secco. Con un retrogusto un pò amaro.
Walter: te lo dicevo
Postiglione: si, ma non è un difetto. È carattere. È un vino isolano e più che amaro è salino.
Bruno: lo vedi che avevo ragione io che è salino.
Walter: ma bevi ‘sto vino va.
Postiglione: è salino.
Bruno e Walter: e bevilo tutto!

 

Detta così, ci si aspetterebbe di leggere di un personaggio noioso. Invece ho volutamente utilizzato una antifrasi per descrivere e far risaltare al meglio la piacevolezza della chiacchierata avuta con Denise Marrone della Azienda Agricola Gian Piero Marrone.

Denise è una donna energica e vitale. Di quelle che hanno l’argento vivo addosso. Esuberante, sorridente, piena di vitalità. Non gesticola. Non ha bisogno di movimenti particolari. Parla a raffica come se avesse necessità di trasmetterti qualcosa. Lo fa con ardore e partecipazione interrompendo l’interlocuzione solo per sorridere. Eppure, se la guardi da lontano, con la sua aria minuta, gli occhiali, la compostezza tutta piemontese, non immagineresti mai che ti troverai a parlare con un vulcano in eruzione.

Siamo a La Morra (CN) nel cuore delle Langhe. Patria di quei vini che il mondo ci invidia. Ma soprattutto il luogo dove vino e cibo trovano uno dei migliori connubi

I vini piemontesi se bevuti mangiando sono meglio

Le Langhe. Già. Chiunque vi sia stato, chiunque voglia andarci, chiunque abbia assaggiato i vini qui prodotti, non può che parlarne bene. Così bene che ormai le Langhe sono diventate un pò snob (o per snob) visti i prezzi e le difficoltà nell’andarci. Eppure, chi ha buona memoria, sa che non era così. Uso le parole di Denise perché rappresentano anche il mio di pensiero.

Il Barolo ha una storia corta. Negli anni 50 qui c’era la povertà più nera. Mia nonna metteva i conigli nella cesta e andava a venderli al mercato per comprare i vestiti e tornava a casa. E noi stiamo qui a fare i barolisti snob. Siamo snob perché ci siamo fatti un culo così e abbiamo la possibilità di raccontarlo. Prima il Barolo era frizzante, era bianco e non piaceva a nessuno. Tralasciamo un bel pezzo di realtà

Ecco. Partiamo proprio da qui. Dal motivo per il quale Denise ha tutta la voglia di raccontare qualcosa. Raccontare la propria terra, la propria famiglia, il proprio vino. Ma soprattutto, la vita vissuta. Quello che ti rimane addosso

Quello che ti rimane attaccato alla pelle è quello che hai fatto tu. Ti rimane dentro ed è ciò che trovi nel vino. Abbiamo aperto il ristorante per raccontare queste cose. Se stai con noi e ti posso raccontare quello che sto raccontando a te, esci fuori con una diversa considerazione.

Raccontare pezzi di vita. Quello che c’era. Da dove arriviamo senza pensare a ciò che saremo. Ciò che diventeremo. Quello che siamo è perché nel passato, più o meno remoto, sono successe delle cose. Sono state fatte delle cose. Ci sono state persone. Tutto questo fa parte di un bagaglio di vita che, se raccontato, non può che fornire un sapore diverso alle cose. E chissenefrega di come sarà dopo. Il futuro, la sua evoluzione, avrà anch’esso un sapore diverso se affonderà le radici in un passato ricco di significato. Di vita vissuta.

Così, ciò che conta, è la semplicità delle cose. Nessun arzigogolo ma solo quella semplicità contadina scandita dal susseguirsi del giorno e della notte, del sole e della pioggia, dell’inverno, della primavera, dell’autunno, dell’estate.

Quando uno più uno fa due poi è facile da raccontare. Perché sono cose normali e facile da capire anche per uno che vende scarpe.

Non serve creare storie. Ci sono quelle di famiglia. Semplici. Fatti che neanche sono tradizioni. Avvenimenti. Consuetudini. Storie di cucina. Storie di terra. Storie di vite. Storie.

La storia della famiglia, le radici, la nascita, forse è la cosa meno importante. Ma per quello basta andare sul sito internet dell’azienda.

Quello che c’è sul sito internet è giusto e ufficiale perché l’ho scritto io.

Ciò che non c’è sono i racconti di vita. Di quelle storie che sonno ricordi che sono sensazioni che sono pezzi di vita e che, come dice Denise, ti rimangono incollati addosso.

E se pure sul sito internet c’è scritto che la quarta generazione è fatta di donne, Denise, Valentina, Serena, papà Gian Piero è sempre li. Perché alla fine

Non si muove foglia che Gian Piero non voglia.

Quella per Gian Piero non è venerazione né tantomeno insofferenza. È pieno rispetto per una persona che ha creduto tanto nell’azienda.

Non avremmo quello che c’è qui senza la sua follia. Ha sempre avuto il passo molto più lungo della gamba. Finché siamo riusciti a sostenerlo siamo andati avanti di dieci anni quando ne sarebbe bastato uno. Ben contenti perché è un visionario e ha sempre delle cose in testa. Mi ha avuto molto giovane a venti anni, dunque in qualche modo ci capiamo. Siamo mediamente vecchi tutte e due insieme. Lui a 70 anni sente la fatica e si spaventa. Ma per la visione aziendale siamo tutti insieme poiché ci interessa solo il risultato finale. Se ti metti a bisticciare è perché quel giorno hai voglia di bisticciare altrimenti, dagli ragione!

Tutto parte da una semplice cascina, sopra Alba, a Madonna di Como con il bisnonno Piero. Altro che vino a quei tempi (siamo poco prima dello scoccare del 1900). C’erano le bestie da pascolare, i campi, la frutta. La cascina contadina era ciò che bastava per vivere in un Piemonte non ricco se non per i nobili. Ma un pò di vino serviva sempre. Così che qualche filare si impianta. Nonno Carlo continua la vigna senza tralasciare mai il resto. Perché il vino si beve mica si vende.

Man mano che abbiamo ricordi più certi mio bisnonno ha sempre dato via via le bestie e piantato vigna. Ha tolto le pesche perché quando sono arrivati i trattori moderni con l’albero piantato, in vigna non passavi. Ancora io e mia nonna avevamo 120 conigli. Non ti parlo di un milione di anni fa. Io l’ultima pecora me la ricordo ancora. Mi ricordo mia zia che filava la lana con l’arcolaio come Biancaneve che faceva la canottiera a mio zio: fresca d’estate e calda in inverno.

Ricordi che non fanno in tempo ad emergere che Denise ne tira fuori altri. Uno dietro l’altro ad una velocità che potresti far fatica a starle dietro se non vedessi quanta passione lei ha. Quanta voglia di raccontarsi. Altro che Postiglione!

Poi mio nonno è stato il primo a pensare che la qualità pagava. Erano gli anni 50. È venuto in terra di Barolo e ha comprato i poco più di due ettari che ancora abbiamo. Già allora non si trovava nulla qui. Un pezzo in Bussia. Affittiamo un pezzo di Castelletto. Quindi per le MGA posizionate bene qualcosa c’è. Ha comprato questa cantina qui. Adesso abbiamo dieci km e mezzo frutto di un ragionamento, che ha fatto bene a fare, che qui era meglio di là. Là abbiamo i Nebbioli superiori, i Barbera superiori, le vigne più vecchie. Qui abbiamo Barolo e abbiamo affittato un terreno a Barbaresco perché a me piace

Ora immaginatevi che tutto questo (e il resto dopo) Denise lo dica con una velocità pazzesca insieme ad un sorriso che ti coinvolge e ad un modo di porsi di una persona che ha davvero la voglia di raccontarsi.

Quarta generazione adesso. Tre donne coinvolte nella gestione dell’azienda. Più papà Gian Piero.

Vorrei capire se e come il papà influisca la gestione aziendale. Ho un pò di timore, quasi vergogna. Non è che si possa chiedere ad una donna che ha faticato tanto per arrivare a dirigere, sempre insieme alle sorelle dunque sole donne, come il papà entri in azienda ecc ecc. Denise però continua a manifestare tutta il suo buon umore.

Andrò in pensione prima io di lui..non ti preoccupare…puoi star tranquillo

Ma che livello di delega c’è?

Siamo quasi intorno allo zero? È vero, quello che ti dico è la verità. Si è sempre occupato della campagna fino a quando l’abbiamo portata in bolla. C’è un agronomo che ci segue e che cerca di parlare alla pianta. Con la logica che se la pianta non sta bene l’uva buona non te la può dare. Papà è nato in campagna dunque ci capisce. Ha seguito L’agronomo fino a quando ha capito che ci capiva. Stessa cosa in cantina dove c’è mia sorella Valentina. Lei è la mamma dei vini, è l’enologa. Ha finito la scuola venti anni fa. Sono venti vendemmie. Ha sempre fatto i vini con lui. Lui ha sempre prodotto vini: che le annate sono diverse, che il clima è diverso quando ti trovi una cesta di uva in mano perlomeno sai cosa farne. Lui la ha aiutata, le ha insegnato. Adesso può anche considerarsi indipendente. Certo le telefona venti volte al giorno…

Valentina in cantina dunque. Serena in ufficio che, come la definisce Denise “è la donna dei numeri”. Denise che parla tedesco e segue dunque quei mercati che sono così importanti per l’Azienda, oltre a tutta l’accoglienza in cantina ma soprattutto al ristorante insieme a mamma Giovanna.

Ecco, il ristorante. Più che un luogo dove si mangia è un luogo utile per una esperienza. Culinaria, di abbinamento con i vini e soprattutto di vita.

130 coperti ed è sempre pieno perché la gente legge dietro l’etichetta l’indirizzo e gli viene la curiosità di capire da dove arriva la bottiglia. I primi sono i torinesi ma in estate arrivano da ovunque.

Un ristorante che c’è dal 2018. Prima luogo adibito a tappa enoturistica con la cucina di casa e un piatto di raviole.

Poi ci siamo spinti oltre perché ci piaceva perché sei a casa tua e hai l’orgoglio di fare meglio. Diamogli qualcosina da mangiare perché i vini piemontesi se bevuti mangiando sono meglio.

Anche in questo caso i ricordi di Denise si susseguono con un ritmo incessante. Sgorgano come può sgorgare acqua da una sorgente. Sempre fresca. Sempre dinamica e attiva.

Abbiamo cominciato una ventina di anni fa con un tavolo da 12 persone in ufficio e lei (mamma Giovanna) con la cucina di casa. Lei ha cucinato da quando abbiamo aperto il ristorante fino a una cinquantina di persone. Poi arrivano tutti insieme, le pretese aumentano, lei è invecchiata…si è spaventata così che abbiamo preso una cuoca. Ci siamo inventati le classi di cucina mettendo tutti insieme. Sono cose che completano e fanno star bene la gente. Nelle classi di cucina arrivano alle 4 di pomeriggio, cuciniamo insieme, facciamo festa, assaggiamo i vini, preparano cena. Ti rimane nel cuore. Ci divertiamo perfino noi.  Gli ingredienti rigorosamente a km 0. Gli faccio mettere le mani dentro. Gli faccio assaggiare carne cruda. Perché per noi qui la carne cruda è normale. Gli faccio assaggiare gli amaretti, gli faccio assaggiare il barolo chinato. Quando puoi mettere le mani da tutte le parti poi te lo ricordi. In stagione portiamo la gente al mercato. Gli facciamo comprare i funghi, facciamo la quiche. Tutto bello e divertente.

Così ti accorgi che è certo business, ma non solo. Ed è proprio quel “non solo” che rende una persona, le persone, una azienda, speciale. Te ne accorgi dalle piccole cose, dalle attenzioni, dai piccoli particolari non artefatti. Non gettati li come se fossero inutili sovrastrutture. Un ricordo, un aneddoto raccontato vuol dire aprirsi. Accoglierti ed invitarti a far parte della famiglia. Così che ognuno, ogni persona, si sente persona e non cliente.

Tutto è normale. Sei sempre o con uno della famiglia o con lo chef o con uno dei ragazzi che è come se fosse uno dei nostri fratelli. Quindi c’è sempre uno che la cantina la conosce da anni e ha tante storie da raccontare. È tutta gente che o è nata qui o ci vive. Ho una signora olandese che ha trasferito tutta la famiglia ad alba perché si è innamorata di Alba.

Tutto normale? Beh, direi di no. Perché nel frattempo il vino tocca farlo.

Quello che succede in cantina è la cosa più importante. Possiamo stare a chiacchierare fino a domani quando vuoi tu ed io ma se i vini non sono buoni

Una azienda diventata nel tempo poi nemmeno così piccola. 15 dipendenti, 17 ettari, 200 mila bottiglie.

Al momento 200mila bottiglia su 17 ettari. Divisi in tre pezzi: qui a Barolo, su a Madonna di Como e un pezzo che affittiamo a Barbaresco. Nell’arco di 20 e qualche km. I numeri sono quelli che possiamo gestire. Magari arriviamo a migliorare la qualità per poter aumentare prezzo e target ma a livello di numeri di bottiglie non è che ce ne servano più di tante. Anche perché in terra di Barolo non trovi nulla di terra. Quello che hai ben venga. C’è ancora qualche pezzetto di bosco intorno a quello che abbiamo di mio nonno che puoi ancora sistemare, c’è un pezzo che frana continuamente. Questo è.

Una azienda non piccola ma nemmeno tanto grande. Gestita a livello familiare. Senza particolari intoppi, litigi, screzi.

Io e mio papà bisticciamo ma poi siamo qui. Dove vuoi andare.

Quello che mi dà da pensare è la gamma di etichette. Ne ho contate 20 nonostante il sito ne riporti 19 (manca il Viognier). Solo a ricordarsele mi viene male. Quasi una etichetta per ettaro. Davvero strano. Eppure, quando le chiedo il perché, la sua risposta mi spiazza.

La gamma è frutto di curiosità interna nostra. Di Barbera superiore ne facciamo 3000 bottiglie. Di Nebbiolo superiore, 3500. Quindi è più il casino di farlo e di tenere una vasca impegnata. Però se non fai il top di gamma non puoi fare la seconda selezione. E se non selezioni le vigne giovani abbassi la qualità degli altri. I bianchi ci divertivano. Il rosato lo abbiamo fatto perché siamo tre sorelle e volevano un vino rosa. Di Viognier ne facciamo 1000 bottiglie. Ho piantato io dieci filari. Però ti diverti. Se no, è troppo facile. Con il cambiamento climatico hai uva sempre più bella. Il Viognier si produceva solo in Francia e noi lo abbiamo voluto perché ha la stessa radice del Nebbiolo. Poi ci è venuta la curiosità di vedere cosa capitava piantato nella nostra cascina.

Sono incuriosito dal rapporto tra le sorelle. Possibile che non si litighi mai in questa famiglia?

Ah, non ci vediamo mai. Ci vediamo il giorno di Natale. Una sta in cantina, io sto sempre qui nel mio antro, una sta in ufficio. Ci incontriamo, bisticciamo un pò e torniamo al nostro lavoro. Mia figlia mi ha sgridato che erano quattro settimane che non vedeva i cugini. E abitiamo a 20 km di distanza. Il mio letto è ad Alba ma sto sempre qua. Il letto di una mia sorella è a La Morra. Il letto dell’altra sorella è un paesucolo verso Asti che si chiama Govone. Papà e mamma abitano nella cascina.

La forza di una famiglia è rimanere unita. Sempre e comunque. C’è sicuramente il merito di Gian Piero e di Giovanna nell’aver tirato su tre figlie con quei principi contadini che volevano ognuno impegnato in qualcosa, tutti impegnati nell’azienda. Per farla andare avanti. non fosse altro perché è di tutti e serve alla famiglia. Senza dimenticare l’intelligenza di donne che sanno quale sia il vero bene: la famiglia e l’azienda.

Ci sono tante aziende qui intorno che sono arrivate ad un certo punto e poi per contrasti hanno venduto. A me sarebbe dispiaciuto tanto perché abbiamo lavorato tanto. Hai tanti ricordi e vendere solo perché non riesci a metterti d’accordo, è un peccato mortale.

Il futuro. Il futuro va ancora scritto. Ci sono le idee. Se ne parla. Ma senza fretta. Senza ansie. Perché quando c’è la passione, l’armonia ed il sorriso, perché preoccuparsi?

Il ristorante funziona molto bene. Quindi adesso c’è il passo successivo della degustazione. Abbiamo spazio per le persone. Per le esperienze. In famiglia fai piccoli passi. Pensi a breve.

C’è un commerciale nuovo che ci supporta con grande dinamicità. Abbiamo anche un consulente che ci fa una testa tanta purché non sappiamo cosa faremo tra cinque anni. Ma tra cinque anni non so nemmeno io cosa farò!

Nuovi vini?

L’idea sarebbe di toglierne qualcuno come il Dolcetto. Abbiamo due Dolcetto con le vigne del giovane che stanno diventando vecchie e se ne potrebbe fare uno solo di qualità più alta. Ma poi pensiamo che ci sono clienti affezionati che lo vogliono e lo seguono da tanto. Quando cerchi di togliere un vino è un casino. C’è sempre qualcuno che si lamenta.

Sorrido a queste parole. È come se volessi togliere loro un pezzo di storia. Ogni vino ha dietro qualcosa. Un ricordo. Un pezzo di vita. Toglierlo è come quando cancelli dalla posta eliminata i messaggi: sì forse puoi recuperarli, ma non li hai più dinanzi agli occhi ogni giorno.

Valentina, Serena, Denise. Sono loro la quarta generazione della famiglia Marrone con le basi per la quinta. Quasi tutta al femminile. Denise ha una figlia femmina.

Mia sorella, la seconda, ha un maschio e una femmina. Il maschio è l’unico di famiglia. L’altra, due femmine. Tutti troppo piccoli per entrare in azienda. Mia figlia che ha sedici anni mi ha detto che con me non lavorerà mai. Sta facendo il linguistico che è la mia stessa scuola. Lei si spaventa perché vede tutto quello che facciamo, tutto questo lavoro. Non si rende ancora conto che dietro c’è gente che si diverte. Gente che ritorna. Gente di tutto il mondo. Non hai neanche bisogno di viaggiare perché il mondo viene da te e ti raccontano la qualunque. C’è una apertura mentale che a 16 anni non hai.

Denise continua ad essere un fiume in piena e a spiazzarmi con i suoi ricordi che non si fermano.

Io ho viaggiato mezza vita. Fino al covid ho considerato di stare una settimana qui e una settimana fuori. Ho visto 4 volte Tokyo prima di vedere il Colosseo. Non lo dire a nessuno. In venti minuti faccio la valigia per star via una settimana.

Il tuo vino preferito?

Due. Il rosato e il Nebbiolo superiore. Entrambi figli di Nebbiolo. Nebbiolo tutta la vita con un accenno di Pinot Nero.

E tuo papà?

Lui ama tanto la Barbera superiore. Sarà per le vigne vecchie o perché è stato uno dei primi superiori importante che abbiamo fatto. Ricordo che era il ‘98 e avevo finito quinta superiore e dovevo iniziare l’università. Non avevo da studiare. Avevo le mani talmente nere perché l’ho aiutato tutta l’estate in vigna e cantina a lavare. Ho sempre e solo toccato l’acqua. Ricordo che c’era una premiazione e io non osavo andarci poiché avevo le mani brutte. Quella Barbera superiore era buonissima. Ne abbiamo poco fa trovato una bottiglia ed era buona da buttarsi per terra.

Ciò che più mi è piaciuto della chiaccherata con Denise è il suo rimanere con i piedi ben piantati per terra. Quella terra senza la quale la sua famiglia, la sua azienda, la sua passione, non avrebbe neanche avuto vita. Ricordarsi da dove si arriva. Questo serve ogni giorno. Denise lo fa attraverso i ricordi, ricordi che a loro volta non esisterebbero senza la sua famiglia.

Terra, famiglia, vita, vino. Non si inventano le storie. Si vivono. Giorno per giorno. Si sentono sulla pelle. Si scolpiscono nella mente. Per poi riaffiorare quando qualcosa scatta. Condividerle con le persone per il piacere di farlo. Per chi sa ascoltare. Per chi capisce che la vita è questa. Semplice. Contadina. Senza snobbismo. Così che la frase più bella che Denise mi ha donato è il giusto finale di questo articolo.

Siamo snob perché ci siamo fatti un culo così e abbiamo la possibilità di raccontarlo

PS non si può dimenticare i vini ovviamente. Ma la storia mi ha così preso che sono passati in secondo piano. Sono partito nel recensire il Barolo Pichemej, la vetta della produzione (già nel nome che vuol dire “più che meglio”!). Scelta insolita magari, ma volevo capire tutte le potenzialità dell’azienda. La recensione completa sul mio blog Instagram

Ivan Vellucci

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