07 Apr 2023
Suggestioni di Vino

Azienda Agricola Mattè. Semplicemente Bruno e Michele

Azienda Agricola Mattè Semplicemente Bruno e Michele

Nella favola di Lev Tolstoj “i due fratelli”, il fratello maggiore è quello che si pone obiettivi ambiziosi, sfidanti e rischiosi; il fratello minore colui che tende a non perdere di vista i piccoli piaceri della vita e rimanere attaccato alle tradizioni.

Bruno e Michele di cognome fanno Mattè. Hanno 36 e 33 anni. Una famiglia alle spalle che ha sempre lavorato la terra in quel di Volano a poco più di 20 km da Trento.

Quando si ritrovano a dover gestire i pochi ettari che papà Marco aveva ricevuto dal nonno (pochi perché quando hai dieci figli devi dare un po’ ciascuno) e che non erano sufficienti per produrre vino in quantità utile per campare (negli anni 80 la quantità era l’unica unità di misura disponibile per il vino) si comportano come non ti aspetteresti da due ragazzi.

Nelle tante storie di cantine che si tramandano di padre in figlio (o figli) infatti si vede spesso uno stanco proseguire dell’attività in un mercato sempre più difficile.

Invece no. In questa storia, tutto è profondamente diverso. Siamo dinanzi a due ragazzi, Bruno e Michele che non solo sanno il fatto loro, ma hanno bene in testa il loro futuro.

La lunga chiaccherata con Bruno e Michele la sintetizzo così:

  • Il fondo coltivato consta di quattro ettari di proprietà e sei in affitto;
  • Sul fondo gravitano tre aziende tutte riconducibili a loro e sui quali si lavora insieme;
  • Un solo ettaro, composto dalle particelle migliori, è vitato per la cantina;
  • Vitigni coltivati: Marzemino, Carbernet Sauvignon, Carmenere, Nosiola per le linee base (anche se di base non si può parlare); Pinot Nero, Grigio e Chardonnay per le linee top che dovranno uscire (maggiori affinamenti ed anni alterni)
  • Metodi di vinificazione ricercati e non banali

Sì certo, raccontarla in questo modo è facile. Due ragazzi nati nei campi, tra le vigne del trentino che non avevano mai visto una cantina prima di entrarci da soli. Per necessità o forse solo per poter credere nelle loro idee, nel progetto, nel sogno. La voglia di creare qualcosa di diverso.

Negli anni impari, assorbi e cerchi di riportarlo nella nostra realtà. Abbiam cercato in questi tre anni di trovare una identità aziendale.

Bruno e Michele non è che non abbiano faticato per arrivare sin qui (e sin qui per loro stessa ammissione è solo l’inizio perché di strada da fare ce ne è e molta).

Anzitutto lo studio. L’istituto Agrario di San Michele all’Adige non è tanto lontano ed entrambi diventano periti agrari per poi darsi dei compiti in azienda: Bruno in vigna, Michele in cantina.

Poi la sperimentazione.  È il 2007 quando iniziano a fare micro vinificazioni. Piccoli esperimenti su come si può produrre del vino in modalità diverse dal solito. Con le diverse particelle. Con diverse tecniche in cantina che vanno ad imparare curiosando in giro.

Quindi l’intuizione, il pensare che se vogliono differenziarsi in quel del Trentino ma ancor più in Italia devono offrire qualcosa di diverso. In queste terre, nelle terre che furono del nonno prima e del padre poi ci sono varietà che rappresentano il territorio, il Trentino. C’è la Nosiola e il Marzemino ad esempio. Due vitigni complicati ma unici. Poco conosciuti ma proprio per questo ancor più difficili. Occorre qualcosa di diverso sia per vincere le ostilità dei vitigni sia per farli affermare. Andare controcorrente.

Quando siam partiti ci prendevano per pazzi perché volevamo lavorare con Marzemino, Carmenere e Nosiola

Infine investono. Puoi avere anche le migliori idee del mondo ma devi investire se vuoi emergere.

Abbiamo ristrutturata la cantina, le attrezzature, la barricaia, la sala degustazione. Il 14 di agosto sono arrivati i serbatori e al 21 abbiamo iniziato la vinificazione.

Come nella favola di Tolstoj, Bruno è il fratello maggiore e forse è quello che si pone obiettivi ambiziosi. È anche l’anima commerciale dell’azienda. Michele, da fratello minore è forse quello più pacato. Che pensa a come fare il vino in una maniera innovativa. Ma sono una bella coppia e soprattutto una vera squadra.

Bruno ci tiene a dirmi che loro sono una azienda artigianale

Siamo una azienda artigiana dall’inizio alla fine. Un artigiano puro. Tutta la gestione aziendale. Non abbiamo nemmeno un agente perché giriamo noi con la macchina. Abbiamo una etichettatrice semi automatica e una imbottigliatrice manuale.

Che la famiglia Mattè sappia vinificare in zona era cosa nota. Già il papà Marco produceva bollicine con metodo classico che poi conservava in un rifugio anti areo ma, arrivare ai livelli di Bruno e Michele, proprio no!

Quando Michele mi spiega le tecniche di vinificazione (perché è lui l’enologo al quale piace lavorare da solo in cantina!) rimango esterrefatto. Celle frigorifere per la vendemmi per preservare le ossidazioni. Vasche refrigerata. Saturazione azotata e argon. Fermentazione dei rossi in tini aperti. Bianchi con fine fermentazione parte in legno e acciaio. Acini interi. Macerazioni carboniche. Tre anni di barrique. Tostature lievi.

Affiniamo tutta la nostra massa in legno. Anche la Nosiola e il rosato da Cabernet.

Ogni anno fanno prove come se la cantina fosse un laboratorio. Ogni anno è diverso e occorre provare.

Perdonate il francesismo ma l’unica parola che mi viene da dire è: minchia!

L’impressione che ho parlando con Bruno e Michele è che questi due ragazzi non solo sono preparati ma abbiano talmente bene in mente il loro percorso, sappiano perfettamente i loro punti di forza e le debolezze che quasi quasi penso mi stiano facendo una candid camera: non starò parlando con qualcuno che mi mette alla prova?

Scavando nelle persone si coglie davvero il loro spirito. La voglia di vivere la terra e la famiglia

Una famiglia che lavora. Io e mio fratello. Mia madre, mio padre. Alla vendemmia si parte al mattino. Una bella colazione alle 9. Un aperitivo prima di pranzo. Una merenda nel pomeriggio.

Una vendemmia tutta manuale ovviamente. Perché qui si crede ancora al valore dell’uomo e all’apporto che può dare alla terra. Ma anche perché il terreno è tutto marne e calcare. Se poi piove è ancora peggio.

Però poi te lo ritrovi nel prodotto finale. Il grappolo di uva che lo prendi con le mani e fai la cernita così da trovartelo in cantina sano. Questo dà ai vini grande pulizia.

Preparazione. Visione. Idee. Famiglia. Ma piedi ben piantati nel terreno dal quale nasce la vite.

Siam partiti con l’aspettativa di aumentare le bottiglie. Sono poi arrivati due anni di Covid e la vendita è iniziata nel 2022. Passi piccoli, graduali con l’idea di arrivare al massimo a 15.000 bottiglie con nicchie di produzione.

Produzioni calate per migliorare la produzione. Numeri piccoli per ricercare la qualità. Consci delle proprie possibilità, delle attrezzature, delle proprie forze utili solo per raggiungere la qualità. Il Covid è stato per loro quasi una fortuna perché con i vini in bottiglia hanno potuto osservarne l’evoluzione e il loro miglioramento.

Ora siamo fuori con la line giusta.

Quasi non vogliono venderli per l’evoluzione. Ma anche su questo sanno quanto sia importante farsi conoscere e avere il giusto riconoscimento.

Abbiamo anche un Trento doc con il quale potevamo già essere fuori ma vorremmo portarlo a 60/120 mesi.

Come se non bastasse!

Cominciamo ad assaggiare e partiamo da una vera chicca. Stoll, la Nosiola metodo Classico stabulata in legno. Il nome, un omaggio al rifugio anti areo dove papà Marco metteva il suo di metodo classico

“Sono anni difficili, bisogna tener duro. Ogni anno impariamo per migliorare. La Nosiola spumante metodo classico siamo solo noi a farla. Cerchiamo strade diverse per evitare la concorrenza.

15 mesi di lievito: non si deve eccedere perché la Nosiola può diventare semi aromatico e loro sanno che non troverebbe mercato. È una bolla che esula completamente da qualsiasi altra bolla trentina. Gli odori sono quelli freschissimi di nocciola caratteristica della Nosiola. Una nocciola i cui aromi partono dal verde della buccia (come faccio a spiegare a mio figlio l’odore della buccia della nocciola adesso? È tanto che la vede con il guscio. Lasciamo perdere che è meglio) per poi evolversi e diventare frutto. C’è una bella freschezza data dagli agrumi che spiccano. Una mineralità da pietra focaia ma, soprattutto un meraviglioso sentore di che mi ricorda la “torta della nonna” nella versione con la crema al limone.

Quando assaggio noto subito una bolla molto fine e la delicata spalla acida per nulla invasiva ottenuta grazie all’affinamento in legno e al controllo delle temperature in post fermentazione. Va quasi a chiudere sull’amarognolo. La persistenza è buona con ottimo retro olfatto che fa riemergere la frutta e, soprattutto la voglia di un altro calice. Insomma, si lascia bere volentieri. Lo abbinerei ad una pizza base mozzarella di bufala bianca o a del riso zucca e speck. Bolla convincente

La Nosiola è un vitigno molto esile da un punto di vista strutturale. Si mantiene di più nel tempo. Assaggiamo delle Nosiole di venti anni fa.

Facciamo due vendemmie sulla stessa superficie. I grappoli più verdi per la spumantizzazione; i più spargoli per la surmaturazione in vigna (almeno 15 giorni in più).

Già questo lascia intravedere una lavorazione in più per un vino bianco da Nosiola.

Quella che assaggiamo è la Nosiola Avel 2019 con un 30% di appassimento unita a fine fermentazione. Questo procedimento le dona un bel colore carico di oro. La surmaturazione si sente dai fiori di camomilla che virano verso il miele di acacia. C’è il balsamico e si sente la mentuccia. La particolarità di questo vino è data dalla frutta che qui vira sul tropicale o a pasta gialla.

In bocca c’è una secchezza importante. La spalla non è eccessiva grazie all’affinamento in legno per un 40% cosa questa che regala anche una certa rotondità e un accenno di tannino. Il finale è ancora verso l’amarognolo, caratteristica varietale che si mantiene. Bel vino anche se l’abbinamento risulta un po’ complesso. C’è bisogno di un pesce grasso come scorfano o rana pescatrice. Una anguilla, un capitone. Vino non banale non è facile. Bravi

È un vino che da quando lo abbiamo imbottigliato ad oggi è in continua evoluzione. Siam partiti con note di gelsomino esagerato e ci siamo accorti che per caratteristiche genetiche, tende a complessarsi. A distanza di sei mesi il vino è completamente diverso. Siamo usciti dopo due anni di bottiglia

Questo denota sempre di più una grande visione.

Apriamo il Rosato Fiorir de Soreie da uve Cabernet 2020.

Qui abbiamo azzardato. È un cabernet vinificato in bianco dove abbiamo una macerazione in cella frigo per una settimana con estrazione del colore. Poi in vasca per una settimana di stabulazione per far emergere i sentori e una fermentazione lunga anche due settimane. Poi in legno per 8 mesi per poi andare in bottiglia.

Scusate se è poco!

Si sentono le note semi ossidative che richiamano uno champagne anche di un certo affinamento. È un rosato fresco e complesso.

Qui abbiamo rischiato con un metodo provenzale avendo degli amici che vinificano li. Seguito la Grenache provenzale con un Cabernet proveniente da vigne esposte a nord est

Quando metto il naso nel bicchiere, mi piace molto per i sentori freschi e vivi. C’è del mirtillo, del fico, del melograno. Ricorda le caramelle balsamiche fatte con le erbe. Complessità interessante di composti di mele cotte, vaniglia. C’è la mela annurca che mia nonna ci tagliava a fettine in estate. Sono fermo all’olfazione perché è i sentori mi suscitano ricordi meravigliosi. La dimensione è così dolce e rotonda che quasi non ce la faccio a berlo.

In bocca le note ossidative emergono preponderanti. Il sentore di mela annurca me lo ritrovo in bocca ancorché molto sapido. La rotondità arriva comunque aprendosi completamente in bocca. Si sente il legno e torna quella caramella balsamica colta dal naso. La scelta di legni poco o per nulla tostati sono utili per non rendere stucchevole quello che risulta un grande vino.

Poi è il turno dei rossi.

Krea, il Marzemino. Vitigno particolarmente difficile perché germoglia precocemente e con le gelate tardive è soggetto a perdite di produzione. In cantina, se non trattato bene, tende ad andare in riduzione.

I sentori molto chiusi lo rendono di difficile impatto commerciale. Con uno studio certosino abbiamo deciso di stravolgere il marzemino. Nasce da un vigneto di 63 anni nella zona classica dello Ziresi.

Bruno ne parla con un po’ di delusione.

Ce lo hanno declassato dalla doc perché non rispetta il disciplinare. Per aspetti legati al prodotto perché non richiama la tipicità.

Già, perché quando vuoi fare qualcosa di diverso, di significativo ed unico, c’è sempre da combattere.

È un 2019, prima vendemmia. Porta in sé un 30% di uva appassita in arellario. Lavorata ad acini interi con una macerazione quasi carbonica in tini aperti. Fermentazione sulla prima massa di 15/20 giorni poi in acciaio. Dopo 45 giorni di appassimento delle altre uve si diraspano ad acini interi e fermentati. Poi tutta la massa viene ripassato sulla massa appassita lasciando il cappello sommerso. Va poi in botti extra fine di rovere leggermente tostato per avere una struttura più importante ed evitare che abbia un finale vero l’amarognolo. Va spesso travasato per evitare che vada in riduzione. Vanno anche tolti tutti i vinaccioli per evitare la nota amara.

Già così si può capire la complessità che questi due ragazzi portano in un vino. Quanto studio, quanta passione, quanto tempo ci vuole per creare qualcosa del genere. La recensione sul mio blog @ivan_1969

Colore rubino estremamente compatto. Lievi riflessi viranti verso il granato. La dolcezza si sente già al naso con note di amarena sotto spirito, fiori in potpurri. La viola è molto evidente e si amalgama molto con nel potpurri. C’è tabacco, vaniglia, chiodi di garofano. Tutte note piacevolmente dolci. La complessità olfattiva non è elevata perché il vitigno quello può offrire ma se lo si tenesse in bottiglia potrebbe esprimere ancora di più.

In bocca tannino e freschezza prevalgono. La sapidità è presente. Ti aspetteresti una maggiore rotondità che ci sarà solo tra qualche tempo. È un vino che offre una diversità tra naso e bocca meravigliando per la freschezza. Il finale ha ancora un pelino di amarognolo comunque levigatissima. Persistenza non lung. Il retro olfatto richiama gli odori del calice.

Un vino con cui pasteggiare. Non è un Marzemino croccante ma quasi masticabile che si abbina bene con carni o una tagliatella al ragù. Io lo proporrei con un pizzocchero.

Posso dire che hanno preso un marzemino e ne hanno fatto un grande vino.

Finiamo con i Cabernet Mener. Stesso vigneto del rosato vendemmiato 15 giorni dopo. 65% di Cabernet Sauvignon, 5% di Cabernet Franc e 30% di Carmenere appassito con lo stesso procedimento del Marzemino. Insomma, la lavorazione è la stessa del Krea cambiando solo un po’ la tostatura delle botti per il Carmenere.

Nel bicchiere bel rubino con colore similare al Marzemino. I sentori cambiano poiché non propriamente morbidi. Semmai più ruvidi.

Volevamo un taglio bordolese come si facevano prima in trentino senza il merlot.

Sono evidenti le note di liquirizia e cacao. Il Carmenere in surmaturazione porta il pepe verde. C’è la balsamicità che è come un marchio di fabbrica dell’azienda. Sento sottobosco e aghi di pino che richiamano le foreste. La complessità è simile al Marzemino. Interessante per la sua freschezza. Nonostante procedimenti analoghi i sentori passano dalla rotondità alla freschezza.

Il sorso evidenza coerenza tra olfatto e gusto. Grande freschezza e sapidità. Secco e caldo. Meno masticabile del Marzemino. Persistenza che si allunga rendendo l’abbinamento necessario con qualcosa di consistente tipo capriolo e cervo. Lo vedo benissimo con una polenta funghi e formaggio fuso.

Abbiamo cercato di stare in linea con il nostro territorio offrendo bassa alcolicità. Più sulla freschezza e sapidità che sul corpo.

Ecco, siamo alla fine ma vorrei non finisse mai. Perché parlare con Bruno e Michele fa solo capire quanta preparazione ci sia in persone come loro. Quanto studio. Quanta passiona. Quanta voglia di emergere.

Bravi!

Ivan Vellucci

Mi trovi su instagram : @ivan_1969