29 Dic 2023
Suggestioni di Vino

Baron Longo. Anton, le montagne, casa

Cosa non si fa per un figlio? Nulla. Nel senso che si farebbe tutto e di tutto. “E figli so piezz’ ‘e core” in fondo. Ci si prodiga, si fanno sacrifici, si fornisce supporto. Tutto davvero tutto.
Ora, immaginatevi di avere un figlio che sta studiando all’estero per portare nella azienda di famiglia qualcosa. Ma fosse anche per inseguire un sogno come è giusto che un ragazzo faccia. Non fosse altro perché la vita è sua e deve poter fare ciò che più gli piace.
Vi verrebbe mai in mente di richiamarlo a casa? Forse in un’altra epoca. Forse in presenza di difficoltà familiari. Forse anche in funzione della vostra provenienza geografica.
In che senso?
Se si potesse fare un sondaggio sono certo che che un genitore del sud volerebbe sulle nuvole avendo un figlio che studia all’estero. Figuriamoci a richiamarlo a casa.
In questa storia noi siamo al nord. All’estremo nord dell’Italia. Più precisamente in Alto Adige o Sud Tirolo che dir si voglia. Egna, comune poco sotto Bolzano. Non è che adesso, al nord, i figli non siano figli e che il comportamento sia diverso da quello del sud, ma qui spesso conta la praticità. Il lavoro, ce ne è tanto ed è forse la prima cosa. Specialmente se hai da gestire una azienda con decine e decine di ettari.
Chi incontro è Anton Baron Longo. Un sorridente e pacato ragazzo dall’accento tipico di chi, in queste zone, è bilingue. Una di quelle persone delle quali percepisci la serenità anche in presenza di problemi. Non a scacciarli o a non occuparsene (o preoccuparsene) ma a gestire l’ineluttabilità delle cose. Sbagliando si impara diceva Cimabue nella nota pubblicità

Sono partito nel 2011. Mio padre mi ha chiamato e mi ha detto. Senti figliolo, hai studiato abbastanza, torna a casa.

Anton era a Montpellier a studiare enologia. Certo, 27 anni sono un pò tanti per studiare ancora ma i figli so piezz’ ‘e core anche a Egna. Fino ad un certo punto però. Fino a quando arriva quel momento nel quale capisci che devi renderti utile per l’azienda di famiglia. O che qualcuno te lo fa notare….

Sono ritornato e mi ha dato in mano l’azienda. Come è tipico in Alto Adige, abbiamo frutteti, vigneti, bosco. Pian pianino ho detto che a me piaceva far il vino.

Alle volte penso che la legge di gravitazione universale che Newton iniziò a formulare vedendo cadere una mela dall’albero (e qui di mele ce ne sono quante ne volete) si possa applicare anche ad alcune persone. La terra, la propria terra; la casa, la propria casa hanno un potere attrattivo che va ben oltre l’enunciato Due corpi dotati di massa si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa”.

Anton. Due sorelle. Una famiglia che è da sempre impegnata nel conservare le tradizioni dell’Alto Adige. Il territorio. Il rispetto per questo. La biodiversità. Un grande bosco di circa 70 ettari. I cavalli. Il meleto di dieci ettari (le mele più buone si fanno qui!). La vigna di circa 20 ettari. Davvero molto grande per i numeri dell’Alto Adige dove la media è di poco più di un ettaro di proprietà. Solo che da sempre a casa Baron Longo l’uva si conferisce. Produrre il vino è complicato ed il conferimento fornisce il, quasi, certo contante utile per far girare tutta l’azienda.

Nel 2014 ho detto a mio padre che volevo fare un vino a modo mio. Abbiamo quasi 20 ettari E lui ha detto “no, non lo fai”. In passato mio nonno era sindaco di Egna e aveva già fatto vino in passato. Se ne andò durante il fascismo e suo figlio è tornato fondando la cooperativa di Egna e poi di Termeno. Da li abbiamo sempre conferito.

Ora qualcuno penserà che Anton abbia voluto far qualcosa “tanto per”. Far qualcosa di più divertente che coltivare e raccogliere l’uva per poi conferirla. Una cantina è sempre di maggior prestigio rispetto al solo semplice (manco tanto) lavoro nei campi. Non è cosi. Infatti Anton racconta questa cosa senza astio o voglia di riscatto. La pacatezza del suo discorso non è di facciata. Forse sa che al posto del papà, con la responsabilità di portare avanti una azienda grande per tutta la famiglia, avrebbe detto che imbarcarsi in un progetto che avrebbe drenato per anni risorse, non sarebbe stata la scelta più saggia.
I ragazzi hanno bisogno di sognare, sperimentare e anche sbagliare. Solo così crescono e diventano persone. Anche a 27 anni. Perché no?

Io volevo partire con il progetto di una cantina che portasse il nome di Baron Longo. Così sono comunque partito facendo uno Chardonnay, un Lagrein e anche un Pinot Bianco. Dopo la fermentazione mi sono accorto che avevamo un aceto di quelli belli grandi.

Qui e solo qui si vede la grandezza delle persone. Sbagliare si può e per certi versi si deve. Quando accade ci si può scoraggiare e si può scoraggiare nel proseguire. Oppure essere pragmatici, capendo e metabolizzando l’errore come parte del processo di apprendimento.

Ho detto a mio padre che il progetto stava andando male. Lui ha detto: facciamo così: Ti do tre ettari cosi puoi andare in banca e li possono darti un mutuo cosi che puoi farti il tuo progetto.

La grandezza del papà di Anton è qui. In questa frase. Responsabilizzazione del proprio figlio ma anche supporto. Non importano gli errori che tutti hanno fatto e fanno. Conta ciò che impari e le responsabilità che ti prendi. Per crescere. Così come anche Anton ha fatto la sua parte capendo che quello era il momento, il vero momento della scelta. Da li in poi non si sarebbe più scherzato.

Nel 2015 ho ristrutturato la cantina al centro di Egna nel palazzo Longo, la cantina storica. Così ero pronto per la vendemmia. Non andò bene perché abbiamo comunque dovuto fare tutto in un garage: Chardonnay, Pinot Bianco e Cabernet. Utilizzo di legno. Il primo vino era il Libenstein.
Erano poche bottiglie cosi che l’imbottigliatore mi disse che non veniva per mille bottiglie. Così ho fatto dei blend (il Liebnstein è un blend di Chardonnay e Pinot Bianco). E da li sono nate

Anton inizia a produrre vino sul serio prendendo la decisione, piano piano di voler fare solo quello nella sua vita. Non gli interessava altro. Produrre vino da queste splendide montagne ricche di calcare e con un clima adatto alla produzione di grandi bianchi. Un ragazzo che sradicato da Montpellier scopre di essere innamorato dell’Alto Adige e della sua vigna.

Ho iniziato a capire bene il terroir. Così ho incaricato un geologo per scavare le vigne e capire cosa c’era sotto dunque il potenziale.

Ciò che trovano nelle terre, anzi sotto, è tanto calcare che non si può che pensare ad un vitigno come lo Chardonnay che predilige proprio questo tipo di terreni. Oltretutto con le montagne che forniscono un clima ideale.

A Egna siamo a 290 metri e abbiamo un maso a 1050 metri. Li abbiamo quasi 4 di ettari dove non è mai stato fatto vino perché troppo alto. Così nel 2011 abbiamo impiantato delle vigne mentre tre anni fa Chardonnay, Pinot Nero e Sauvignon.

Solo che avere le vigne (anche) oltre i 1000 metri sarà pure bello e suggestivo ma poi devi fare i conti con la natura.

Già l’anno scorso abbiamo perso un ettaro per le gelate. Se decidi di andare su in alta quota devi capire che c’è il rischio di perdere qualcosa. Però se il progetto andrà bene avremo qualcosa che ci differenzia in Alto Adige.

Perdere un ettaro di uva può essere un dramma. Ciò che mi colpisce è come Anton ne parla. Il rispetto per la natura è così alto che è come dire “è successo e va bene cosi”.
Anton ci crede e ci crede tanto. Non fa che ripetere la parola “progetto”. È il suo! Tutto ciò che vuole è realizzare qualcosa di unico. Qualcosa che sia unico al mondo. Ambizioso? No. Assolutamente no. È un ragazzo in gamba che sa cosa vuole e si impegna al massimo per realizzarlo. Ogni cosa è per lui motivo di studio e di attenzioni.

Per conferire papà voleva tante varietà diverse cosi da coprire tutte le esigenze del mercato. Un anno il Gewurztraminer, un anno il Lagrein. La mia idea era di ridurre le varietà per averne al massimo 4. Così da fare un pò di focus.

 

Ecco una cosa meravigliosa. Un ragionamento che Anton ripete più volte. Oggi la sua azienda produce 80.000 bottiglie con otto etichette e vari vitigni. Troppi nella sua idea perché capisce che se vuole competere deve avere più bottiglie per etichetta.. Vuole che la sua azienda si identifichi per i bianchi e su questi vuole concentrarsi. Sa di essere parte della storia. Della sua famiglia certamente. Del territorio anche. Ma conferendo l’uva per tanti anni, nessuno li conosce. Ecco perché diventa cruciale concentrarsi su qualcosa che possa portare notorietà.

Devo puntare su poche varietà. Siamo una piccola realtà che punta sulla qualità. Perché non faccio vini tipici della zona come Lagrein e Schiava? Ci ho pensato tanto ma ho detto che voglio essere in competizione con il mondo. Voglio che bevendo la mia bottiglia ci sia la leggibilità come chardonnay. Non ho idea di fare gli autoctoni. Io sono più nei bianchi perché credo nel potenziale e perché i miei terreni sono adatti per i bianchi. Se fossi sulla Mosella farei un Riesling. Non sono amante dei Gewurztraminer. Forse non vado bene per l’Italia perché sarei più richiesto come Pinot Nero.

Pochi vini e grande rispetto della natura.

La cosa che per me era anche importante era il biologico. Papà era già su quella direzione. Quando io sono nato la mamma ha ricevuto come regalo una pecora. Io ora ho 11 maiali dalla Nuova Zelanda (kunekune). Mangiano solo erba e dunque li lasciamo liberi nel vigneto perché sono cosi piccoli che non riescono a mangiare l’uva. Così non dobbiamo più andare cosi spesso con il trattore.

Per Anton è tutto spontaneo e meraviglioso. Non ci sono filtri ne tantomeno retro pensieri. Lui è così.

Se lo facciamo vorrei anche essere certificato. Nel passato non era richiesto. Ma tutti i vini dal 2020 sono certificati bio e dal prossimo anno saranno biodinamici.

Accanto al Liebenstein c’è Urgestein uno vino stupendo da Sauvignon Blanc con affinamento in legno e acciaio che ho recensito sul mio blog Instagram.
Certo, i nomi tedeschi, così complessi non aiutano. Almeno in Italia. Ma Anton ha le idee chiare anche su questo.

La scelta di nomi tedeschi è stata fatta da me perché in Alto Adige è partita la discussione per dare ad ogni particella un nome come Mazzon. Li ho pensato se volevo entrare in quel mondo o andare per la mia strada. Come quella della famiglia. Ho scelto questa strada. Liebenstein è il il mio secondo cognome. Urgestein è stato scelto perché nel terreno dove cresce il Sauvignon abbiamo roccia madre.

Se qualcuno adesso sta pensando che Anton abbia dalla sua un padre che gli ha dato le possibilità, sbaglia di grosso. Ciò che gli ha donato sono solo i tre ettari e mezzo che ha utilizzato per partire. Tutti gli altri, per un totale di venti, sedici dei quali in produzione, li ha in affitto.
Che grande papà. Per Anton è tutto normale. Sa che probabilmente avrebbe fatto anche lui così. È stupendo come risponde quando gli chiedo “ma come, te li affitta? Li affitta a suo figlio?”

Si certo

Anton si sta guadagnando ogni cosa. Passo dopo passo. Vendemmia dopo vendemmia. Gli errori? Non sono stati vani anzi, hanno portato i loro frutti.

Nel 2014 ho capito che mi serviva un aiuto. Ho chiesto ai miei amici enologi dell’Alto Adige una mano. Ho trovato un enologo che mi ha seguito fino al 2020 quando ho avuto la fortuna di un contatto di un enologo di Angelo Gaja. È un francese e mi aiuta tanto. Mi segue sul quando vendemmiare, quale legno scegliere. Il vino si fa una volta all’anno. Non è come la birra. Iniziò con la potatura poi vendemmi poi in cantina. Basta. Se non va bene hai perso un anno.

Grande umiltà nel capire gli errori cosi come circa la necessita di un supporto. Fosse solo per avere qualcuno che ti dice se stai facendo bene o male e con un papà al quale, alla fine, il progetto piace.

Il progetto gli piace e dice che un domani dovrebbe essere che funziona anche in maniera economica nel senso che facciamo soldi invece che metterli dentro. Ma con il vino ci vuole tempo.

Un progetto che dovrà ancora evolversi. Il biologico che si trasforma (da subito praticamente) in biodinamico. Alcuni vini come il Gewurztraminer non più in gamma. Due bianchi da Chardonnay, Pinot Bianco e Sauvingon e un solo rosso con Cabernet e Merlot.

Chardonnay come entrata poi i premier cru e i grand cru. Così avremo una certa quantità di bottiglie.

Forte il ragazzo! Forte la sua propensione al biodinamico.

Abbiamo basse rese per ettaro. 60 quintali per ettaro. Lavoriamo con la luna. Abbiamo la nostra acqua. Abbiamo i maiali. Tutte cose importati per avere i terreni vitali. Dobbiamo cercare di attivare i terreni perché ci sia equilibrio e vita. Le vigne più vecchie sono di un Cabernet che hanno circa 80 anni. Sono a pergola. Nel passato coltivavano sotto patate, ortaggi. È duro fare vino in Alto Adige.

Questa la vita di Anton. Queste le sue ambizioni. La vigna e niente altro. Affitto da pagare al papà, mutuo alle banche. Deve pure finire gli studi di enologia e, tra l’altro, gli manca ancora un pò. Cosa questa che mi lascia pensare di quanto si sia divertito prima. Prima. Non ora. Ora è in equilibrio con se stesso e ciò che lo circonda. Equilibrio perfetto. Anche se è sempre lui a dirigere la vigna e se stesso.

Mia sorella mi porta i cavalli in vigna ma quello che sto facendo è un pò un one man band. Faccio tutto da solo tranne la vendemmia. Non sento la solitudine. A me piace stare con le persone e anche da solo. Per fortuna. Ho la mia ragazza, la mia famiglia e pian pianino si cresce in azienda. Ho trovato un ragazzo che mi aiuta in vigna. Il prossimo anno ne verrà un altro. Poi cerco qualcuno che prenda in mano il tema biodinamico.

Insomma, alla fine gli rimane solo da convincere definitivamente il papà a cui continua a piacere come vino quello prodotto dal Solaris (precoce nel germogliamento, precoce nella fioritura…adatto per la montagna perché poco rischioso) tanto che Anton un vino ancora glielo produce, lo Sichlburg.

Siamo un pò diversi per il vino. Lui ha un altro approccio sul vino. Io ogni giorno assaggio. Assaggio altri vini per migliorare. Se vai a mangiare inizi al McDonald’s ma poi cambi così da capire.

Anton Baron Longo. Da Egna a Montpellier e ritorno. Alla propria terra. Alle proprie origini. Con le idee chiare da chi sa cosa vuole. Da chi ci crede. Da chi non accetta compromessi. Da chi sa aspettare che il tempo maturi le cose. Da chi non si arrende. Da chi guarda a ciò che lo circonda rimanendone affascinato ogni giorno.
I suoi vini? Sono una vera scoperta così che quando li assaggi ti viene da pensare: ma dove è stato Anton fino ad adesso?

Ivan Vellucci

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