18 Ago 2023
Suggestioni di Vino

Cantina del Vesuvio: un piccolo lembo di paradiso

Un piccolo lembo di paradiso.
Ah! Che bell’aria fresca…
Ch’addore ‘e malvarosa…
E tu durmenn staje,
‘ncopp’a sti ffronn ‘e rosa!

 

 

Quando penso al golfo di Napoli, mi risuonano in mente i versi di una meravigliosa canzone napoletana, “I’te vurrìa vasà”. Sarà la melodia struggente o il testo che narra della voglia di un uomo di baciare la sua donna che dorme profondamente ma che non vuole svegliare.

Come il Vesuvio che domina il golfo, il gigante buono che se ne sta lì, immobile, a dormire. Che tutti amano poiché giace su quel lembo di terra baciato da Dio. Così bello che Lucifero durante la discesa negli inferi, cacciato dal paradiso terrestre, se lo porta con sé. Così bello che il Cristo, addolorato nel riconoscere proprio quel pezzo di paradiso ormai perduto, piange lacrime divine. Le stesse lacrime che donano la vita alla pianta dalla quale si genera il vino vanto di questa zona, il Lacrima Christi.

I’ te vurria vasà…I’ te vurria vasà….

Ho scelto di andare a visitare la Cantina del Vesuvio in quel di Trecase. Muoversi per le vie dei paesi vesuviani non è agevole. Strette, a doppio senso e non proprio ben livellate. Occorre salire un po’ per trovare i vigneti. Occorre arrivare a ridosso del Parco del Vesuvio istituito per salvaguardare la montagna e ciò che rappresenta. Li da milioni di anni a donare la vita e la morte come se fosse un giudice implacabile.

Il caos delle stradine si dissolve proprio sul cancello della cantina oltrepassato il quale tutto è alle spalle. È come entrare in una bolla fatta di perfezione e attenzione ai dettagli. Non artefatti, non costruiti ma genuini e dettati dal voler fare le cose per bene.

L’accoglienza è di quelle che non ti aspetti. Un bottiglia di bollicine da Aglianico e due calici con Serafino che ci dà il benvenuto con una cordialità disarmante. È mattina ma sorseggiando questo vino non posso non pensare ad una pizza e a come ci starebbe bene come accoppiamento.

Serafino è un ragazzo impagabile. Con lui passeggiamo tra le vigne che crescono su un terreno tanto generoso quanto difficile. Ma vorrei essere io quelle piante per il panorama che riescono ad ammirare ogni giorno. Il golfo è proprio dinanzi a noi. La brezza marina si sente delicata, pura, salmastra. Il sole è su di noi e ci accarezza la pelle.

Serafino non si cura del paesaggio. È più interessato a narrare di quelle piante che conosce come se fossero suoi figli. Le cura con passione. Ogni tanto tira fuori i suoi arnesi e aggiusta un tralcio, toglie un’erba che non lo convince.

La passeggiata si conclude sulla terrazza della cantina, luogo di degustazioni estive al tramonto. Ne rimango estasiato. Sorseggiare un vino con quel paesaggio dinanzi e il sole che si fonde con il mare, non ha eguali al mondo.
Al piano immediatamente sotto la terrazza c’è la sala ristorante. Un piccolo angolo di paradiso nel paradiso. Qui si fanno le degustazioni invernali. Gli odori che escono dalla cucina sono paradisiaci. Qui incontro Maurizio Russo, figlio di quel Giovanni fondatore della cantina nel 1930. È una persona che ti mette subito a tuo agio e che quando ti parla mostra la sua passione, la passione per quel luogo. Non è un gioco ma è vita vissuta con le cicatrici sulla pelle. Anche se quando ne parla, proprio per la sua disarmante gioiosità, sembra un bambino nella sua stanza dei giochi.

Chiacchieriamo di vino, del Vesuvio, della terra, della sua terra che è un po’ anche la mia per via dei miei nonni che abitavano in un paesino non troppo lontano di qui. Maurizio ci tiene a che siamo suoi ospiti a pranzo. Lo dice con slancio, entusiasmo, spontaneità. Ma non possiamo e quando glielo dico, capisce ma si rammarica.

Assaggio un Lacrima Christi bianco da uve Caprettone. Semplice e immediato con quel suo bouquet di fiori e frutti bianchi. Fresco come il vento del Vesuvio, caldo come il sole che ci scalda, sapido come i venti del mare.

Segue un Lacrima Christi rosso da uve Piedirosso che qui chiamano “per’e palummo”, piede di piccione per il colore della vite. Un vino immediato, non impegnativo. Ma schietto come un vero partenopeo sa essere.

Non posso non assaggiare il Lacrima Christi superiore che, riposandosi in botte, restituisce sentori e sapori più importanti rendendo il vino meno immediato, più meditativo. Mi conquista anche perché mi immagino a sorseggiarlo su in terrazza.

Maurizio è presente ma discreto. Non cerca di influenzare le mie impressioni. Aspetta sornione che sia io a parlare. Lui, invece, ci tiene a raccontare la filosofia dell’azienda basata su una maniacale qualità in ogni fase del processo. In ogni persona. In ogni gesto. Questo fa sì che consideri ogni singola bottiglia prodotta come un pezzo di vita, un pezzo di sé. Che non può affidare al primo che passa.

Per scelta infatti non vende in zona. Non troverete una sola bottiglia della cantina nei ristoranti locali. Vuole affidare le sue bottiglie ai singoli consumatori finali: da uomo a uomo. Per mantenere il rispetto.

Così il suo modello di business si basa sulla vendita on line così come sulle visite in cantina. Da uomo a uomo snobbando la distribuzione. Come se volesse conoscere, uno ad uno, le persone che avranno cura delle sue bottiglie.

Maurizio è un fiume in piena. Ha rotto gli argini e non si accontenta di parlarne. Vuole farci vedere le vigne di altura. Quelle ancora più vicine alle fauci del vulcano. Così saliamo a bordo del suo fuoristrada per le strade sterrate andando lungo le pendici del vulcano dormiente. Si ferma a parlare delle sue vigne e di quanto sia difficile e eroico coltivarle su questo terreno fatto di cenere vulcanica. Difficile ma generoso.

Aglianico, Caprettone, Piedirosso. Poche varietà. Tutte campane. Tutte locali. Perché li territorio è cosa seria e che ne sai se coltivando qualcosa di non locale, il Vulcano se la prenda!

Maurizio come Serafino (adesso so da chi ha preso), non perde occasione per sistemare qualcosa. È presente e non si tira indietro. Non demanda. Fa.

Dobbiamo andare via da questo pezzo di paradiso e capisco davvero come possa generare una lacrima. Vedi Napoli e poi muori. Muori perché capisci, solo quando stai andando via, cosa lasci. Non solo il paesaggio, il cibo, il vino. Il calore della gente. La generosa spontaneità delle azioni. Il disincantato altruismo e la schiettezza del vivere la vita.

Sento stu core tujo
ca sbatte comm’a ll’onne!
Durmenno, angelo mio,
chisà tu a chi te suonne..
‘A gelusia turmenta
stu core mio malato:
Te suonne a me?….Dimmeléllo!
O pure suonne a n’ato?
I’ te vurrìa vasà…
I’ te vurriìa vasà…

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