09 Dic 2022
Suggestioni di Vino

Cantina La Stradina: da zero a cento, in cinque

Cosa possono avere in comune un elettricista, un Dirigente postale di filiale, un dipendente della Lavazza, un Amministratore Delegato di una azienda di imballaggi di cartone e un Fisico ricercatore universitario?

Magari appartenere ad una banda? Può essere. Di certo, l’amicizia, quella con la A maiuscola. Una amicizia che parte da quando si è bambini e che in un comune con poco più di 7000 abitanti come è Gattinara, si può fare. Perché si cresce insieme anche se poi si prendono strade diverse. Per quanto le radici, quelle, non si dimenticano. Sono quelle che ti fanno rimanere con l’anima ed il cuore legato alla tua terra. L’amicizia chiede di più: va coltivata. Come la terra, come le piante. Coltivata, accudita, gestita.

“Perché non ci compriamo un pezzo di terra e ci facciamo il vino?”. Nasce tutto così. Come un gioco. Una battuta, messa sul tavolo da Roberto quando, alla soglia dei 40 anni c’è ancora tanta voglia di stare insieme. Le serate, le cene, le bevute. In fondo siamo a Gattinara nel Vercellese, dove il vino è cosa seria. Sarà perché qui si beve il nebbiolo, anzi il Nebbiolo e perché l’interpretazione di questo ha dato vita nel 1990 alla DOCG. Cosa c’è oltre il Nebbiolo se non il Nebbiolo?

Invece di comprarcelo, ce lo facciamo noi. Come viene viene.

Un modo per stare insieme. Un modo per continuare ad unire cinque amici forse un po’ annoiati dalla monotonia di un piccolo paesino ma con l’animo dei ragazzini che erano e che in fondo sono ancora. Sempre pronti a divertirsi e far baldoria.

Siamo come Ancelotti e se va bene, si vince la Champion.

Comprano mezzo ettaro, si solo mezzo ettaro sul quale ci sono delle piante di nebbiolo.

“Non sapevamo come fare” mi dice Roberto. “io faccio l’operaio e di vino da uno a cento ci capisco venti. Gli altri anche meno”.

Insomma, nel 2004 la banda dei 5 fa la prima vendemmia senza sapere nulla di vino. Vendemmiano il misero mezzo ettaro e chiedono consigli in giro su come fare il vino. “Abbiamo fatto le media delle cose che ci dicevano”.  Svegli i ragazzi. Volenterosi e con la voglia di divertirsi.

Prendono in prestito tutto il materiale che serve per fare il vino. Fanno tutte le operazioni così come gli hanno detto di fare financo la macerazione per 12 giorni. Allo svinamento sentono buoni profumi ma non tutti sono convinti. È prima di mettere il tutto dentro una barrique (comprata usata ovviamente) che inizia la discussione sulla qualità del prodotto.

Ecco, vorrei fermarmi qui. Perché quando Roberto mi racconta questa cosa io scoppio a ridere. Ma tanto.

La scena che ho dinanzi agli occhi sembra uscita da un episodio del Muppet Show dove i personaggi litigano. Una sana litigata tra amici. Insulti nel dialetto locale. Improperi che vengono erogati come se piovesse e soprattutto pareri contrari tra chi dice che fa schifo e chi invece che è bevibile; tra chi che è meglio buttare via tutto tanto abbiamo scherzato e chi invece pensa che ormai la barrique c’è dunque va riempita.

Una parola però echeggia ad un certo punto nella discussione. Una parola che è diventata un intercalare piemontese (me ne sono accorto la prima volta che ero a Torino in tram diretto verso il primo giorno di lavoro in Fiat): minchia!

Ecco, minchia è la parola che Roberto pronuncia quando ha assaggia il vino. Quella parola è stata lo spartiacque della banda. Minchia quanto è buono.

Ecco, è buono. Non è spettacolare. Non si parla di sentori, percezioni, sensazioni. È buono. È semplicemente buono.

Tutto qui. Schietto. Preciso. Sincero. È buono e ce lo possiamo bere. Abbiamo raggiunto lo scopo.

Ah ovviamente i lieviti erano quelli in polvere e la malolattica era partita senza che lo volessero. ça va san dire.

L’anno dopo non è che gli venga così bene però. Ma chi se ne frega. Tanto hanno prodotto qualche centinaia di bottiglie nel 2004 che basteranno per un po’ di cene.

Scherza scherza che negli anni cominciano a comprare un po’ di barrique. Di seconda vita però. Basta che dentro sia passato il Nebbiolo. Quelle grandi non si possono prendere perché non entrerebbero in cantina. “Occorrerebbe costruirle dentro ma chi ha i soldi!”

Nel frattempo Giorgio, il fisico, quello che fa il ricercatore, si laurea (pure) in enologia così che l

a banda possa autogestirsi.

Almeno uno intelligente ci vuole nel gruppo no? Giorgio è uno che va al CERN di Ginevra. Una testa!

2000 bottiglie l’anno. Non di più. “All’inizio di agosto andiamo in vigna (quando abbiamo tempo) e tiriamo via un po’ di grappoli per aumentare la qualità”. Le piccole quantità consentono micro vinificaizoni. Quel fazzoletto di terra in realtà ha diverse esposizioni e diversi terreni così da far emergere le differenze. Quasi come se fossero dei mini cru. “però poi la vendemmi la dobbiamo fare nel fine settimana che noi lavoriamo”.

L’anno scorso ci hanno invitato ad un concorso. Ma noi ci andiamo solo se la degustazione è alla cieca

altrimenti chi ci crede a cinque come noi?

Tutta la meraviglia, la schiettezza di Roberto e della banda sta in queste parole. Nemmeno loro ci credevano e non so se, anche ora che uno dei vini ha preso 100, ci credono ancora. Per loro è come se fosse ancora tutto un gioco. Un passatempo. Un modo per autoprodursi il divertimento. Anche se hanno capito che qualcosa di diverso va fatto. A cominciare dalla cantina.

 

Perché prima la cantina era sotto casa di Giorgio, uno scantinato. Ora che con il mio lavoro ho fatto le cose per gli architetti, ce la siamo aggiustata bene

Non ci credono ancora. Perché ogni annata è diversa, perché ogni anno c’è qualcosa di nuovo. Non vogliono essere omologati. Loro, la banda dei 5, fa le cose come vengono. Come la natura concede. E va bene così. Perché tanto, dopo tanti anni, stanno ancora insieme. A divertirsi. A bere vino. A prendersi in giro l’un l’altro. Anche a Gattinara.

PS il vino è davvero notevole. In un mio post la recensione. Da non perdere!

Ivan Vellucci

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