24 Mag 2024
Suggestioni di Vino

Castello di Razzano. Il fascino nel Monferrato

La Gioconda di Leonardo è custodita al Louvre di Parigi. È in una grandissima sala, protetta dietro una spessa teca di vetro. Per vederla occorre fare la fila. Piccolo è il quadro, grande la ressa. 

Un quadro meraviglioso, un capolavoro senza tempo. Il sorriso di Monna Lisa è enigmatico (avete mai provato a dividere in due il quadro e ad osservare solo il lato destro o sinistro?). Lo sguardo ti segue da qualunque angolazione guardi il dipinto. I colori non sono vivi ma attraggono. Un quadro nel quale Leonardo ha posto attenzione maniacale. Insomma, una opera che merita senz’altro di essere vista e studiata. Eppure, una visita al Louvre non può e non deve essere rivolta solo a questa opera. Ve ne sono di stupende, a partire da quello posto nella medesima sala: Le nozze di Cana di Paolo Caliari detto il Veronese.

Quando si parla di Piemonte del vino, si parla di Langhe, meraviglioso e unico territorio con sua Maestà il Barolo a dominare la scena. Un territorio così esclusivo che rischia di mettere in ombra le altre perle della regione. Come ad esempio il Monferrato, un incredibile territorio incastonato nelle province di Asti ed Alessandria, dal nord del Pò fino quasi a ridosso dell’Appennino ligure. 

Dolci colline, vigneti, borghi, castelli che, al pari delle Langhe, sono Patrimonio dell’Unesco.

Alfiano Natta è un piccolo (poco meno di 700 abitanti) paese dell’Monferrato Casalese. Ancorché faccia parte della provincia di Alessandria è più vicino ad Asti. Siamo nell’Alto Monferrato dove Grignolino, Barbera, Dolcetto, Arneis, Ruchè, Freisa, Bonarda, Cortese sono solo alcuni dei vini che si producono. Un aereale molto vasto che gode di 4 DOCG (Barbera d’Asti, Ruchè di Castagnole Monferrato, Nizza, Terre d’Alfieri) e 9 DOC. La Barbera è trainante per tutti gli altri vini di queste zone. Un vitigno e un vino che caratterizza il Piemonte ancor prima del Nebbiolo. Il vino della gente, fresco e versatile. 

Qui si respira il vero Piemonte che fonde l’aristocrazia con il lavoro dei contadini, l’austerità Sabauda dei militari con la voglia delle persone del luogo, mai esuberante, di godersi la vita. Il vino al centro di una cultura fondata sul connubio cibo-vino.

È il vero Piemonte, non artefatto dalla necessità di mutarsi per piacere a qualcuno. Un pò chiuso tra le colline e fuori, ancora per poco, dalle rotte dei turisti e degli eno turisti.

Ernesto Olearo, agli inizi del secolo scorso, investe nelle terre e nella cantina per produrre vino. Piccole dimensioni, quasi ad uso familiare. Poco vino prodotto nella Tenuta Cà di Corte ovvero Casa Vinicola Olearo. Con Ernesto e la moglie Clementina Razzano, inizia l’avventura enoica di una famiglia.

La nostra è una azienda familiare alla quarta generazione di produttori di vino. Adesso siamo due fratelli. Io mi occupo più della parte amministrativa e ospitalità. Federico della vinificazione e della produzione in quanto enologo.

Incontro Riccardo Olearo che con suo fratello Federico, dal 2006 costituiscono la quarta generazione degli Olearo. 

Dopo Ernesto arriva Eugenio a fare crescere l’azienda. 

Mio nonno era un grande commerciante che comprava partite di uva e vino da tutta italia vendendoli sfusi o in damigiane.

Nonno Genio. Un diminutivo certo ma anche un appellativo. Negli anni del boom economico non sta fermo. È lungimirante. Vede lontano. Sa che quello è un momento di grande espansione. Occorre solo capire dove andare senza aver paura dei soldi. Tanto ci sono le banche.

Un giorno andò in banca. Non aveva grandi disponibilità economiche. Va dal direttore e gli chiede: di quanto è il conto oggi? Siamo (sparo una cifra a caso) ad un miliardo e mezzo in passivo. Lui rispose: Allora abbiamo troppi soldi. Dobbiamo spenderli. Era un carro armato. Doveva vedere cisterne piene in cantina.

Grandi persone queste. Grandi imprenditori dotati di quel fiuto che una volta trovavi in persone con il sacro fuoco che ardeva dentro. Volevano emergere. Certo, il business andava bene ma gli investimenti, quelli giusti, erano altra cosa. Riuscire a vedere l’evoluzione che verrà, è per pochi. Eletti, dotati, scaltri, intraprendenti. Ce ne fossero ancora oggi.

Poche volte capita che ad un grande padre succeda un grande figlio. Forse gli Olearo sono fortunati o bravi nel trasmettere il dna giusto. Fatto sta che ad Eugenio succede Augusto che da enologo modifica completamente (e ci vuole coraggio con un padre come Eugenio!) la filosofia aziendale iniziando a produrre, in proprio, il vino. Acquisisce nuove terre piantando nuovi vigneti fino a raggiungere gli attuali 30 ettari. Da commercianti a produttori. Un passo non proprio breve e facile ma utile per costituire l’azienda attuale Castello di Razzano.

Nel 2006 entriamo in azienda io e mio fratello portando avanti la filosofia di papà attualizzandola. Oltre alla parte di cantina infatti abbiamo aggiunto la parte di ospitalità. La cantina è suddivisa in tre diverse Tenute. Quella principale, il Castello di Razzano, è stata adibita a ospitalità con 13 camere e ristorazione. Oltre alla cantina dove facciamo l’invecchiamento dei vini. La nostra rimane una piccola attività familiare e non puntiamo ad ingrandirci tanto. Si cerca di curare sempre più il prodotto e la sua qualità. Non vogliamo ampliare vigneti e produzione. Il nostro mercato è, per scelta, a clienti privati. Cerchiamo di andare a dare il nostro vino direttamente a cliente finale. Produciamo vino e olio extra vergine. Questo è nato un pò per follia e passione. Alla fine degli anni 90 papà ha piantato gli olivi e oggi abbiamo circa 1200 piante in produzione, 300 che entreranno in produzione nei prossimi anni. Abbiamo installato un frantoio in azienda. Facciamo tutto internamente noi.  

Mi sa che pure con Riccardo e Federico gli Olearo sono riusciti a trasmettere il dna giusto….

Al Castello di Razzano si respira un’aria aristocratica. Un Castello, una tenuta di charme del 1600 acquistata dal Genio nel 1969 dalla famiglia Caligaris. 

La tenuta è una casa forte con una torre. Mio nonno aveva acquistato la tenuta dall’avvocato Valentino Caligaris, avvocato della Repubblica Italiana. Una famiglia molto importante. Era la tenuta di campagna della famiglia e veniva usata da loro in estate. Fino alla Seconda Guerra Mondiale quando la famiglia si rifugiò qui per evitare le rappresaglie del Duce che aveva chiesto a Valentino Caligaris di occuparsi della Repubblica di Salò.

Altre due tenute costituiscono l’azienda. Cà di Corte, quella di nonno Ernesto, dove si vinifica; Campasso per stoccaggio e affinamento delle bollicine metodo classico. Tutte nel comune di Alfiano Natta con i vigneti intorno.

Riccardo e Federico contribuiscono ad un ulteriore, saggio, passo per l’azienda: arrivare a vendere quasi il 70% delle 100.000 bottiglie prodotte, direttamente in cantina. 

Papà lavorava con distributori e vendita al dettaglio. Noi abbiamo stravolto il concetto portando il consumatore in azienda. Degustazioni e visite in cantina così che di ogni bottiglia possa esserne narrata la storia. 

Qui in effetti si respira la storia del nostro paese e di una famiglia. Non è un racconto però. Non c’è un disco che parla o una persona che recita la sua poesia, fa il suo compitino. Qui c’è una famiglia che si racconta. Ci mette non solo la faccia ma anche la propria anima. 

La nostra è una famiglia e il rapporto con il cliente è quasi a livello familiare. C’è un rapporto umano. Una scelta ponderata. 

L’ospitalità qui è sacra. Il vino, il cibo, i luoghi. Dietro ogni cosa, dietro una etichetta, ci sono delle persone. Una identità,  una storia. Quello che c’è qui, c’è per passione e amore.

Ci siamo nati. Ci viviamo. Vogliamo continuare a stare qui. I miei genitori non ci hanno mai ne chiesto ne imposto di rimanere in azienda. È stato naturale. Hanno visto in noi una passione che c’era già da bambini. A quattro anni andavo insieme ai cantinieri ad imbottigliare. Per me questo mondo è quello che voglio fare. Non immagino di poter fare altro. 

Non c’è solo un enologo qui. Ce ne sono due: papà Augusto e Federico. Non so dire se sia una fortuna o una sfortuna (per le eventuali liti!) ma a giudicare dai vini, è una fortuna. Il confronto serve! 

Tante etichette per andare incontro alle varie esigenze del mercato. Non può mancare la Barbera nelle versioni Barbera d’Asti e Barbera d’Asti Superiore.

La Barbera è quella che vogliono i nostri clienti. Un gusto che incontra quelli di tanti. È in cinque tipologie proprio per andare ad accontentare gusti diversi. Acciaio, botte di rovere da venti ettolitri, affinamento in barrique di diversa tostatura e passaggio con altre tre versioni. 

Nella prima versione, La Leona, è la Barbera che più Barbera non si può. Classicamente fresca, fruttata, di pronta beva. Ovviamente vinificata in acciaio.

Quattro le versioni Superiore.

Campasso (riposa 3 anni in botti di rovere da 20 ettolitri). Mantiene la freschezza della Barbera con un pizzico di complessità e rotondità in più. I sentori infatti parlano di una Barbera pronta e immediata: una frutta non ancora matura, una intensa parte floreale che si esalta per il meraviglioso bouquet di fiori rossi freschi. Il passaggio in botte ha riesco evidenti ma non eccessive le spezie e le tostature: tabacco e cacao si sentono senza stressare. Così come la vaniglia, il pepe e la cannella. Infine la nota di goudron. Ne deriva un naso interessante senza esser particolarmente complesso.
Il sorso è caldo per via dei 15 gradi. La meraviglia sono i tannini non aggressivi ancorché vivi e presenti e tali da rendere il vino determinato e fresco. Un perfetto bilanciamento per una chiusura di bocca anch’essa perfetta. È davvero meraviglioso come chiude la bocca e come la persistenza, non particolarmente lunga renda questo vino decisamente bevibile. Il retrogusto piacevolmente fruttato, ma di frutta fresca nella quale la vaniglia viene fuori insieme al sapore che mi ricorda l’odore di goudron, fanno di questo vino una vera, piacevole, scoperta (ho assaggiato la versione 2020).

Beneficio. L’uso di barrique a diversa tostatura e passaggio consentono l’ingresso, non aggressivo e non invasivo, di spezie e note fruttate più mature. 15 mesi vanno bene.

Eugenea ha sempre 15 mesi di barrique ma, in questo caso, tostature, spezie e rotondità, sono più evidenti. 

Valentino Caligaris infine è il vino con il maggior corpo e la maggior presenza di spezie. Le barrique nuove qui fanno il loro egregio lavoro per una alta espressione della Barbera. La frutta al naso è matura. Nera e matura. Ciliegia e mora spiccano insieme ad una nota erbacea che impreziosisce il naso. Sembra di essere in un rovo di more! Parecchie le note speziate e di tostature. Spezie di cardamomo, vaniglia, noce moscata, pepe, liquirizia. Le tostature del tabacco, del cacao, del pellame. Roteando il bicchiere è come se quel cespuglio fosse stato reciso per sigillarlo nella ceralacca di un sacchetto di gomma. Siamo ad una bella complessità con il plus dell’etereo.
Il sorso non si può che definirlo meraviglioso, ricco, pieno. Una Barbera perfettamente bilanciata che pur mantenendo la freschezza ammalia per morbidezza e avvolgenza così che la bocca rimane in un vero stato di grazia. C’è una sorta di marmellata di visciole che riempie e aggrazia pur essendo decisa. I tannini sono eleganti tanto da danzare silenziosi in bocca. Uno dei migliori Barbera io abbia mai bevuto che vorrei bere ancora tra qualche anno per capirne l’evoluzione (ho assaggiato il 2017)

Due le interpretazioni di Nebbiolo.

Serra del bosco, Monferrato Nebbiolo DOC. Solo acciaio per un vino fresco ed equilibrato ancorché quasi vegetale sul finale. 

Nero di Razzano, il Monferrato Nebbiolo Superiore DOC. Tre anni di barrique per un vino decisamente interessante. Uno di quei vini che si ricordano. Devo dire che difficilmente si trovano vini da Nebbiolo che escono fuori dal canone tradizionale che sa di austerità. Austero come solo un Barolo, il Re del Piemonte (forse d’Italia) può essere. In questo (versione 2020), ho trovato un vino leggiadro ancorché corposo dotato di pienezza e delizia. Mi ha entusiasmato già dal colore granata e dai sentori a matrice floreale e di frutta secca (datteri e fichi). Il resto della frutta appare polposa, ricca, piena. La cannella e la vaniglia sono insoliti per un Nebbiolo. Qui invece ammorbidiscono, ammaliano, stuzzicano. Così come la cioccolata, intensa, morbida e la liquirizia. Affascinante il goudron che è il filrouge dei vini rossi del Castello.
Anche in bocca è evidente la nota di continuità con gli altri vini. Tannini levigati, eleganti morbidi. I 15 gradi nona i fanno sentire per il grado alcolico quanto per la morbidezza. Il bilanciamento si muove protendendo verso le morbidezze Molto lunga la persistenza e la chiusura di bocca, impreziosita dalla frutta che si unisce a vaniglia e cannella, chiude in una sorta di stato di grazia. Avvolgente, ammaliante quasi civettuolo tanto che potrei berlo anche con un dolce. Da ribere tra qualche anno per vedere quanto si è ammorbidito ancora (ho assaggiato il 2020).

Poi il Ruchè DOCG Ruckè, bellissima interpretazione di un vino che amo. Pieno, ricco, unico. Mi ha intrigato. Mi ha stupito. Senza se e senza ma.

Abbiamo del Merlot in purezza e un taglio bordolese. Di famiglia siamo molto appassionati di merlot e taglio bordolese. Li abbiamo fatti più per noi anche se poi sono molto richieste.

Il taglio bordolese è il Pian dei Tigli (blend di Cabernet, Croatina e Merlot) con 5 anni di affinamento in barrique; Cuntrà, Merlot 100% con tre anni di barrique.   

Da sette otto anni produciamo spumante metodo classico. Era molto richiesto. Continuano a chiamarlo prosecco gli stranieri. È una battaglia persa.

Due metodo classico da Pinot Nero in purezza con 12 mesi sui lieviti: Lunadoro rosè, rosato; Lunadoro blanc de noir. Poi Chardonnay e Pinot Nero con 36 mesi sui lievi per Privilegio.

Infine i bianchi.

Sanspirit, Sauvignon blanc affinato in acciaio. Semplice e deciso. 

Costa del Sole, Chardonnay. Preciso, uno Chardonnay che fa il suo mestiere.

Desiderio, la versione francese del Sauvignon realizzato con affinamento in legno di acacia per 8 mesi. Sa di miele di acacia!

Non poteva mancare un rosato, Bellaria, da Pinot Nero. Semplice, razionale, giusto.

Colpisce il vedere così tanti vini con etichette tutte diverse. Non ce ne è una uguale!

Le etichette sono diverse una dall’altra. Fa parte un pò della vecchia generazione. Mio papà ha fatto le etichette che sono dei quadri di un artista locale. Giancarlo Ferraris. Ha disegnato etichette anche per altri produttori. È un discorso che stiamo affrontando. Sotto un punto di vista commerciale sappiamo che è una strategia sbagliata. 

Un artista del territorio che offre la sua arte alle etichette del vino. Per una azienda che vende gran parte delle propri bottiglie ai visitatori, ci sta. Ci starebbe meno per la distribuzione. Riccardo e Federico lo sanno. Così come sanno che sarà dura far retrocedere papà Augusto. Ma non dubito che è solo questione di tempo. Nemmeno poi così tanto. 

In fondo, siamo alla quarta generazione e di cose ne sono cambiate in questi oltre cento anni di vita dell’azienda. Cambierà pure questa. Con il giusto tempo piemontese. La giusta calma piemontese. La giusta austerità piemontese. 

Nonno Genio avrebbe voluto vedere i numeri, le quantità, il dinamismo. Forse andava bene per quei tempi, non per oggi. Chissà, forse vedendo questa realtà come è diventata oggi, storcerebbe il naso per poi però meravigliarsi subito dopo per il fascino che il Castello di Razzano oggi ha acquisito. Che prima non aveva. 

Fascino in cambio di volume. La scelta giusta per contribuire allo sviluppo di uno straordinario territorio. La scelta che fa del Castello di Razzano un punto di riferimento per il Monferrato.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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