16 Giu 2023
Suggestioni di Vino

Cesidio Di Ciacca, uno scozzese in Ciociaria

Cesidio Di Ciacca, uno scozzese in Ciociaria

La vita è fatta di speranza e sofferenza. Di gioie, di dolori. Di lavoro, di fatica. Di litigi e riappacificazioni. DI viaggi, di scoperte. Di luoghi. Di ambizioni e sperimentazioni. Di figli, nipoti. Di nonni e genitori. Di famiglia. Di ricordi.

Ogni pezzo della nostra vita produce ricordi. Che poi, prima o poi, riaffiorano. Possono esserci ricordi di vita vissuta o di narrazioni. Se così e se la curiosità è in noi, se c’è la voglia di capire le proprie origini, allora, si scava. Non solo dentro la propria memoria per trovare agganci, ma nelle carte, nei documenti, nelle foto. Perché? Perché le proprie origini sono le fondamenta della propria vita. Si può fuggire a tutto ma non alle origini. Da dove nasce tutto e dove tutto ha una spiegazione.

Picinisco e Cockenzie.

Picinisco è un piccolo paese in provincia di Frosinone: una terra di mezzo tra Lazio, Abruzzo e Molise. Immerso nel verde del Parco Nazionale d’Abruzzo. Oggi conta circa 1200 abitanti che erano tre volte tanto nel 1921. Fermiamoci ora proprio qui e cerchiamo di ritornare a quei tempi. Siamo alla fine della Grande Guerra. L’Italia ne usciva devastata e la povertà imperversava ovunque. Figuriamoci in un piccolo paesino del frusinate dove l’unica fonte di reddito poteva essere l’agricoltura e la pastorizia. Di uomini ne erano rimasti pochi. Decimati dalla Grande Guerra prima, dalla Spagnola poi. A Picinisco così come nei paesi limitrofi. Unico possibile modo di sopravvivere era andare via, emigrare verso lidi migliori. Verso luoghi mai sentiti ma che potevano offrire speranza.

Fu così qualcuno prese l’iniziativa andando in luoghi più o meno lontani e, si sa come è nel paese, parte uno, poi parte la famiglia, poi qualche parente si accoda, poi qualche amico. Si creano le cordate di persone che da quel paese vanno nello stesso stato, paesino lontano di chi ha avuto il coraggio di partire per prima. Alle volte si perde anche la cognizione di chi sia stato il primo.

Da Atina partirono alla volta della Francia; da Casalvieri per l’Irlanda; da Alvito e San Donato per l’America; da Settefrati per il Canada; da San Biagio per la Svezia. Da Picinisco partirono invece per la Scozia.

Ecco, così iniziano i ricordi di Cesidio Di Ciacca. Un omone che è tanto alto quanto tenero (ed è molto alto Cesidio!) che ti conquista con quel suo accento misto tra britannico e italiano. Cesidio non è nato in Italia ma a Cokenzie, in Scozia. Nella vita è stato un importante avvocato, consulente e consigliere per varie società private impegnate in ambito alberghiero, finanziario, commerciale. Un personaggio che sembrerebbe lontano anni luce dal mondo del vino. Ma non dalle sue origini.

Siamo tornati a Picisnisco per le vacanze ogni anno. I miei genitori dopo il matrimonio non sono tornati spesso perché avevano 8 figli e una gelateria. In Italia non c’era nessuno.

I nonni materni nati a Picinisco, il nonno paterno in un paesino vicino, la nonna paterna nata a Londra e poi riportata a Picinisco a 6 anni. Dopo sposati, entrambe le famiglie seguirono la cordata di Picinisco verso la Scozia.

Tante delle famiglie di Picinisco sono andate in Scozia. Quasi tutti i paesi della valle sono emigrati. La catena è iniziata con qualche persona.

I ricordi di Cesidio sono come un fiume in piena. Ricordi frutto della memoria certo ma anche dell’attento studio della propria storia tramite l’analisi delle carte, delle foto, dei documenti. Così come della narrazione dei parenti. Quando ne parla c’è un misto tra orgoglio e tristezza: i fatti possono essere tragici ma rappresentano comunque il passato. Che non si può cambiare.

All’inizio della seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra. Lo stesso giorno ogni maschio civile italiano presente sul territorio della Gran Bretagna viene arrestato. Nonno Cesidio è tra questi. Arrestato e deportato tramite una nave, l’Arandora Star, verso il Canada. È il primo luglio 1940. Il due luglio, dopo un solo giorno di navigazione, la nave affonda. Muoiono 800 persone, 446 dei quali, italiani. Circa 100 provenivano dalle valli del frusinate. 23 da Picinisco.

Una tragedia come questa, per quanto grave, potrebbe non avere influenze sui flussi della storia. Li ha su un paesino piccolo come Picinisco. Decimato dalle guerre e dai flussi migratori, 23 persone, con tutti i parenti che si sono portati dietro, fanno un discreto numero. Un numero tale da comportare il mancato ritorno di tutti a Picinisco. Anche perché la guerra qui fu veramente dura. La linea Gustav a difesa di Cassino passava proprio per queste parti così che i bombardamenti non fecero altro che alimentare la fuga di chi poteva.

Eppure, prima delle tragedie, qui si tornava ogni tanto. Alle origini si torna sempre.

Dalle foto che ho trovato, quasi ogni anno, i miei nonni Di Ciacca tornavano per la vendemmia. Non venivano tutti ma a turno.

I Di Ciacca abitavano a Picinisco, in un piccolo borgo chiamato proprio “I Ciacca”. Li c’era la casa di famiglia dove la nonna di Cesidio, continuava a venire ogni tanto con qualche nipote. Prima che il borgo si svuotasse. Era il 1969 quando l’ultima abitante del borgo, una prozia di Cesidio, morì. Anche gli ultimi cugini di Picinisco da lì a pochi anni morirono portando così il borgo alla desolazione.

Un borgo lasciato all’abbandono, disabitato e senza nessuno che se ne prendesse cura. Così stupisce che il comune di Picinisco, a seguito del terremoto del 1984, ricostruì parte del borgo in cemento.

Il comune rifece i tetti in cemento rovinando tutto. Le case del borgo non erano danneggiate perché costruite sulla roccia che a sua volta poggiava su terreno argilloso.

Le radici di Cesidio sembrano cancellarsi da una vita che scorre in direzioni diverse. Proprio quella apparente cancellazione indica a Cesidio la necessità di ritrovarle. Ritornando lì dove tutto era iniziato. Dove lui andava l’estate con la nonna. Dove i Di Ciacca avevano il proprio borgo oramai devastato. Disabitato. Inesistente.

Ogni anno tornavamo in Italia per le vacanze. Quando la casa di nonna era in vendita, verso il 2000, decisi di non acquistarla per via di litigi in famiglia. Comprammo invece casa ad Ischia per dimostrare che non avevamo interessi a Picinisco. Tornammo a Picinisco in occasione di un matrimonio e chiesi a mia moglie di poter comprare una casa al borgo. Volevo fare un bed and breakfast di livello. Non solo per noi ma anche per permettere alla famiglia di utilizzarlo. Nessuno vuole andare in vacanza per stare peggio. Abbiamo così creato piccoli appartamenti per noi e per affittarli. Da lì l’idea di recuperare il borgo con l’albergo che sarebbe servito per accogliere e dimostrare al territorio che siamo una famiglia seria con l’interesse del paese.

Nelle parole di Cesidio c’è tanto rispetto per la sua terra. Per Picinisco, per la Ciociaria, per il borgo dove i suoi nonni nacquero. Rispetto ma anche sensibilità per non essere visto come colui che arriva dalla Scozia per comprarsi tutto. Lo fa in punta di piedi, quasi sussurrando. Perché le persone in queste zone ci sono rimaste invece di partire. Qui hanno trascorso la loro esistenza e vedere qualcuno che arriva da lontano per comprare credendo di poter risollevare le sorti del paese, di rimettere tutto a posto in poco tempo e solo grazie ai soldi, non può che generare critiche. Quello che Cesidio non vuole. Per rispetto.

Quando ho venduto le quote delle società con le quali ho lavorato, decisi di dividere gli investimenti in Gran Bretagna e in Italia. Ho lavorato con le borse e con il found management e capii che sarebbe stato meglio gestire i nostri fondi direttamente trovando qualcosa in Italia economicamente sostenibile. Fare il vino sembrava una buona opportunità. Anche se trovare il mercato si è rivelato più difficile di quanto mi aspettassi.

Cesidio che porta il nome del nonno paterno. Di quel nonno mai conosciuto e tragicamente morto per colpe che non aveva. Cesidio che decider di trascorrere qui i suoi giorni dopo aver lavorato tanto tempo in Scozia. Cesidio che torna alle origini. Cesidio che vuole qualcosa da lasciare ai suoi figli. Come il vino che rappresenta le radici di questa terra.

Ho bevuto vino. Ho sempre bevuto vino. Forse per conoscere mio nonno e la sua vita. Non sono riuscito a conoscerlo perché morto 15 anni prima della mia nascita. Mamma decise di battezzarmi con il nome di nonno. In Gran Bretagna gli italiani erano battezzati con i nomi inglesi. Per integrarsi o forse per confondersi. Infatti il mio secondo nome è Martin. Mamma però, all’ultimo momento e per rispetto del padre mi battezzò con il nome di Cesidio. Insolito per la Gran Bretagna (anche per l’Italia). Sono andato a scuola negli anni 60 e c’era risentimento verso gli italiani ma ero alto e abbastanza grande così da difendermi. Posso però dire che il nome ha avuto un impatto nella decisione di fare vino.

Finito il bed and breakfast generando un vero albero diffuso, Cesidio inizia a comprare i terreni attorno al borgo ormai parcellizzati dalle eredità, diffusi tra parenti litigiosi. Tutti intorno al borgo Di Ciacca, dove la sua famiglia ha avuto origine. In punta di piedi e senza voler arrecare danno alla comunità. Anzi dimostrando che l’albergo diffuso potesse essere di aiuto all’economia locale e che le terre potevano dare qualcosa utile a valorizzare il territorio.

C’erano 140 persone che avevano le loro particelle. Pezzi di terra abbandonati da persone emigrate. Una casa, un pezzo di pascolo, un pezzo di bosco, divisi per dividere l’eredità della famiglia. Un puzzle di proprietà e tanti litigi. Era tutto abbandonato. Un deserto.

Cosa impiantare? Vitigni internazionali come fanno in molti da queste parti? Perché no? Buona resa, guadagno meno complicato. Già. Ma non identitario.

Cesidio studia e dallo studio apprende come in queste zone si sia celebrato dall’antichità il vitigno Maturano. Un vitigno della collettività.

Non c’era nulla. Il borgo non c’era. Le vigne non c’erano. Ho preso tralci dai contadini a un km da qui. La scelta del vitigno Maturano fu semplice perché volevo riprodurre ciò che c’era prima. Se le cose stanno bene prima deve esserci un motivo per cambiarle. Volevo fare Cabernet o Sangiovese come tutti gli altri. Il Sangiovese mi piace perché il Chianti Rufina era l’unico vino che si poteva comprare in Scozia. Mio cognato che aveva un negozio di vino, mi disse che era meglio qualcosa di autoctono. Il Maturano era un vitigno celebrato in paese come vino di una certa importanza con un legame forte con il territorio. C’erano in giro piccoli vigneti con filari di Maturano e ho fatto una ricerca per identificarli. C’erano in ogni parte del paese mentre fuori c’erano produttori ad Alvito, Pescosolido, Arce. I Presi i tralci dai vicini per evitare chiacchere e chiesi al vivaio del paese i consigli su come utilizzarli.

Il paese è piccolo e la gente mormora” diceva Giorgio Faletti a “Drive in”. Come dargli torto. Dover fare le cose, per il paese, ma senza attirarsi le di queste malelingue. Lo “straniero” che arriva chissà che vuole

Acquistare i terreni può sembrare un’opera di speculazione. Ma qui, a Picinisco, le terre che acquista Cesidio, sono lembi di terra incolti da anni. Luoghi dove neanche un pascolo verrebbe bene. Eppure deve stare attento. Le acquista e le rimette a posto. Come si deve. Pezzo dopo pezzo. Centimetro dopo centimetro. Facendo i drenaggi. Estirpando l’erba che aveva ormai invaso tutto.

Cesidio ha il sogno di impiantare le viti di Maturano, solo quelle. Perché quelle rappresentano il territorio. Solo quelle. Niente altro. Ma non ha esperienza per quanto sia uno che studia e si documenta. Allora non gli rimane altro da fare che rivolgersi ad un enologo. Ma viene dalla Scozia e non ha armi se non quelle date dalle sue capacità di documentarsi, chiedere.

Lo scozzese cerca e trova Alberto Antonini. Uno di quelli che si è guadagnato la stima di grandi brand e che lavora con i più importanti produttori. Un personaggio celebrato. Ciò nonostante non sa nulla del Lazio. Figuriamoci del Maturana.

Ha assaggiato il suolo e mi ha detto che era pulitissimo e riposato. Ci ha consigliato di non fare irrigazione. Bisognava sistemare tutte le fosse. Abbiamo impiantato tutto a mano perché le piccole radici con terra friabile potevano entrare bene e vivere di più nel tempo. Volevamo replicare i sistemi di una volta mettendo i pali di castagno invece che di cemento.

Dopo anni di fatiche il 2016 sembra l’anno buono per far sì che il vigneto desse i primi frutti. Siamo nel bel mezzo di un parco e i cinghiali entrano rovinando tutto. Era necessaria una recinsione.

Ho trovato un fornitore in Gran Bretagna che faceva recinsioni per gli zoo e l’ho chiamato per chiedere consiglio sull’altezza della recinsione ecc. Mi ha risposto “Cosa c’è in quella zona? Cinghiali, lupi, istrici, cervi, camosci, orsi. Orsi? Ma dove vivi in uno zoo?

Messa la recinsione il 2017 è l’anno della prima vendemmia. Finalmente.

L’anno comunque si è sfruttato per imparare dell’altro. Come sulla muffa nera presente in cantina. Si capisce che non è muffa ma i batteri amici, lieviti. Vivono sulla pietra. Quella pietra che è la montagna. Non certo sull’acciaio o sul legno. Magari sulla terracotta ma questa non è tradizione di questi luoghi. Il cemento allora sembra la soluzione ideale ma per fare ciò che ha in mente Cesidio serve qualcosa di particolare: delle vasche ovali. Anche qui ricerca e studio (ricordiamoci che Cesidio è sempre uno scozzese in Italia) per approdare alla Nico Velo di Padova specializzata nella produzione innovativa di tini.

Abbiamo comprato varie tipologie di botti perché nessuno sapeva il protocollo per realizzare il Maturano. Dovevamo sperimentare.

Il primo anno 2017 la cantina non era pronta. Abbiamo fatto la fermentazione nella cantina di un’altra persona nella valle. Metà solo pressatura, metà macerato per quattro giorni. La fermentazione si bloccò a dicembre per poi riprendere a marzo. Decidemmo di non aggiungere nulla per capire l’evoluzione. I due vini che preparammo non erano piacevole. Ma decidemmo di fare un blend nominato “Matrimonio” servito al matrimonio di mia figlia. Nessuno era molto convinto del vino durante il matrimonio dove c’erano anche produttori di vino. L’anno scorso tutti cambiarono idea perché il vino si è arrotondato e ammorbidito.

Evoluzione. Questa è la parola chiave. C’è l’evoluzione di una storia. Quella della vita. Quella di tante altre cose. Anche quella del vino, materia viva. Il Maturano è uno di quei vitigni che evolve, si trasforma, assume forme e significati diversi grazie al tempo e alla conservazione. Quando lo si mette nel calice si capisce il perché venisse celebrato almeno in queste zone (forse anche così custodito da non essere portato fuori): il colore è d’oro!

Oggi Cesidio produce tre tipologie di vini (in realtà c’è anche un Cabernet di Atina, Riserva) oltre ad un passito. Sempre ed esclusivamente da Maturano.

Ho trovato alcune ricette di nonna che usava l’uva passa e ho pensato che un passito ci stesse bene!

Nostalgia, con macerazione dei grappoli interi per tre giorni. Poi, senza lieviti, fermentazione del mosto pressato a temperatura controllata (18°) per 20 giorni. Sulle fecce fini per 9 mesi in cemento e in bottiglia per 12.

Matrimonio, due masse diverse unite poi in matrimonio. La prima pigiata sofficemente a bassa temperatura, la seconda diraspate e lasciate a macerare sulle bucce. Affinamento in cemento e infine in bottiglia per 24 mesi.

Sotto le stelle, prima macerazione a grappoli interi a 3° per 3 giorni. Pressatura soffice con stabilizzazione per 3 giorni, fermentazione per 25 giorni senza lieviti aggiunti. 12 mesi sulle fecce e 36 mesi in bottiglia.

Preparazioni complicate. Tanto per non farsi mancare nulla ma utili a raggiungere le 30.000 bottiglie. Qualche ragionamento per il futuro con il nuovo enologo Andrea Barbato che dovrà vedersela con Cesidio se vorrà innovare e utilizzare il legno.

Non sono convinto porti il sapore giusto per ricordare il passato”

Anche perché Cesidio sa che ora deve iniziare a vendere con continuità prodotti meravigliosi ma poco noti.

Ora abbiamo la possibilità di distribuzione in Scozia, Canada, Cina, india. In Italia è più difficile perché dicono che il prezzo è troppo alto: non c’è l’esperienza di pagare per la qualità.

Cesidio non è solo in questa avventura. A casa, la moglie Selina. Anche lei di origini italiane. Poi i due figli Giovanni e Sofia (per ora in Scozia con la sua famiglia, gestendo a distanza già molte cose, ma presto in Italia a supportare fattivamente Cesidio).

Una famiglia, quella dei Di Ciacca, che grazie all’impegno di Cesidio ha trovato le proprie origini costruendo da queste una vera ripartenza. Cercata, voluta, agognata. Soprattutto realizzata con un progetto ampio e ben delineato che richiede ora lo slancio finale. C’è tutto per avere successo. Vai Cesidio!

Ivan Vellucci

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