03 Feb 2023
Suggestioni di Vino

Coos, raccontare la famiglia mettendoci la faccia

Coos, raccontare la famiglia mettendoci la faccia

Quando si produce vino, quando si deve gestire una azienda e se ne deve promuovere lo sviluppo, può capitare che proprio lo sviluppo non rientri più nelle filosofie che ne hanno dettato la nascita. Capita. Lo sviluppo è un po’ come far crescere una pianta. Serve cura. Serve amore. In un mondo come il nostro servono anche i mezzi economici. Tutto fila liscio fino a quando proprio quella filosofia che ne ha dettato la nascita, viene meno. Almeno nell’animo di chi l’ha fondata.

Coos. Coos è una delle famiglie storiche del Ramandolo, vino storico dei Colli Orientali del Friuli. Una famiglia che da sei generazione produce vino in quel di Nimis (Udine). Dario è la quinta generazione. Alessandro la sesta. Padre e figlio dal 2018 sono ripartiti con la loro nuova azienda: AD Coos. Un acronimo che ha le iniziali dei nomi che rappresentano le ultime due generazioni.

Perché “ripartire” se si è alla sesta generazione?

Dario Coos è figura importante per il Ramandolo. È lui che nel 1982 fu artefice, insieme alla cooperativa di Ramandolo (fondata dal bisnonno), del primo disciplinare. È lui che 1990 va a Roma per la creazione della DOC. Ed è sempre Dario a perorare la nascita della DOCG. Una famiglia che si trasferisce a Nimis nell’800 e inizia a produrre vino. Poi capita. Capita che l’azienda che prende il nome dalla quinta generazione dei Coos ha uno sviluppo non più compatibile con la filosofia di artigianalità che era la base del fare il vino e non c’è altra scelta che lasciar tutto. E ricominciare.

Ricominciare per voler raccontare la storia della propria famiglia. Mettendoci la faccia.

AD Coos dunque. Un nuovo inizio. Nell’anno domini 2018. AD. Anno domini.

In fondo mio papà ed io abbiamo fatto il liceo classico.

Volevamo scollegare le singole persone e raccontare la storia di famiglia.

Alessandro parla dell’esperienza passata come una ferita aperta. Ancora troppo aperta per poterne parlare in maniera distaccata. Forse perché il papà ne ha risentito davvero. Ma è un friulano. Di quelli testardi e pragmatici. Di quelli che non guardano al passato per piangersi addosso ma solo al futuro verso cui andare.

Avendo vissuto guerre, terremoti, perdite di figli l’insegnamento che abbiamo ricevuto è sempre stato quello di non piangersi addosso ma di guardare alle cose che portano la passione.

Quanta verità in questa frase. Ma qui siamo in Friuli. Terra pesantemente devastata dalla Grande Guerra prima, dalla Seconda Guerra Mondiale poi, dal terremoto del 1976 infine. Eppure sempre risorto. Sempre con lo sguardo al futuro senza mai perdersi d’animo. Perché il domani sia sempre meglio del passato. Grazie al lavoro.

Certo che c’è amarezza verso una avventura che deve aver causato al papà in primis e a lui di riflesso, tanti dispiaceri. Il nome della propria famiglia che non è più rappresentativo della propria famiglia. Ma dove non c’è tradizione, non c’è passione. Non c’è famiglia.

Passione, cuore. Ci metti la faccia. Tutti gli aspetti economici passano in secondo piano.

Come non credere ad Alessandro che parla con il cuore in mano. Tutto per soddisfare l’esigenza di ra

ccontare la storia della sua famiglia. Di interpretarla attraverso i propri vini. Le radici che affondano nel passato non possono non essere evidenziate.

Parla con tristezza del nonno Albino che non c’è più, terza generazione dei Coos. Memoria storica e ultimo vero assaggiatore di famiglia. Ora c’è solo lui, sesta generazione e il papà, quinta. Ecco perché la voglia di continuare.

Pragmatismo friulano. Sincerità friulana. Onestà friulana. Umiltà friulana. Ci si sente ospiti nel vigneto e non proprietari. Alessandro ricorda sempre di più il nonno e i suoi insegnamenti: mai intervenire in vigna se questa non ne ha bisogno; le viti vecchie vanno curate e seguite; piuttosto si fanno riposare ma occorre dare continuità ai vigneti.

Una filosofia che porta a sentirsi gestori della materia prima intervenendo il meno possibile al fine di mantenere gli aspetti varietali dei singoli vitigni caratterizzando l’annata. Anche prendendosi il diritto di rinunciare ad una vendemmia.

La passione è quella cosa che ti fa dire a fine giornata che nonostante tutto è andata bene. Divertirsi ed essere appagati.

Quanta dolcezza nelle parole di Alessandro.

Due ettari e mezzo di pura passione. Una dimensione che consente di avere il controllo diretto dando continuità alla qualità e ciò che proponi. Una gestione in famiglia con l’obiettivo di non ricommettere più gli errori del passato.

È bello notare che la gente assaggiando i vini si ricorda della famiglia.

Vuol dire che il nome dei Coos vale ancora qualcosa. Vale la memoria. Vale il futuro.

Pochi vini ma pienamente identitari del territorio. Anche se con qualche eccezione tipo il Sauvignon Blanc e il Pinot Grigio.

Assaggiamo proprio il Sauvignon. Prodotto per ricercare eleganza rispetto alla ruvidità friulana. Mi piace perché al naso ritrovo semplicità ed eleganza. Semplice nei sentori di frutta e fiori. Ben definito e vino. Il sorso è coerente con il naso. Grande equilibrio e pochi contrasti. Lineare, preciso, finanche civettuolo. Fresco, sapido con finale lievemente ammandorlato a perfetto contrasto la una sensazione di morbidezza iniziale. È un vino con persistenza non elevata che abbini facilmente finendo con altrettanto facilità la bottiglia.

Ci sono ovviamente gli bianchi friulani come il Friulano (che non si può ma si chiama qui Tocai) e la Ribolla Gialla e Pinot Nero. Poi ovviamente il Ramandolo e Refosco. Proprio quest’ultimo è da sempre il cavallo di battaglia di papà Dario che ne intuì il potenziale girando in lungo e largo l’Italia per capire come gestirlo al meglio.

Il Refosco in queste zone matura un mese dopo arrivando dunque a surmaturazione naturale. Veniva pestato con i piedi in grandi tini chiusi poi con la ponca per la macerazione. Macerazione piuttosto lunga.

È rappresentativo ripartendo dalla tradizione diventando un marchio di fabbrica.

Surmaturazione in pianta con vendemmia a fine ottobre e un 20% appassito in cassettine. Struttura e corpo senza fare legno per mantenere l’acidità fondamentale per il refosco. Nonché per le tradizioni friulane.

Si sente subito la frutta matura, la marasca tipica della surmaturazione. La mancanza di barrique fa emergere proprio il vitigno. Al sorso è evidente la parte surmatura che si sposa con il tannino e la freschezza rendendolo simile ad un Ripasso. Ma comunque differente. Identitario del territorio. La nota amabile utile proprio per evitare che sia troppo vegetale e spinto come i vecchi vini friulani. Ruvidità viene alleviata dalla morbidezza. Un vino che puoi bere tutti i giorni abbinandolo con facilità. Lo sorseggerei tutto. Bella continuità con la bevibilità del bianco.

 

Il Ramandolo (ottenuto con vendemmia tardiva che permette di contrastare perfettamente la freschezza e il tannino del Verduzzo) lo assaggio a casa seguendo il consiglio di Alessandro: ci vuole un formaggio vicino. Qualcosa di consistente.

Decido di sperimentare un estremo nord contro estremo sud con un caciocavallo podolico. Dico solo che ciò che ottengo è un tripudio di sapori. Non posso che dire: stupendo. Con un tonnarello cacio&pepe? La recensione completa cliccando qui @ivan_1969. Quando il cibo e vino unisce!

Parlare con Alessandro è rilassante. Lo ascolto con passione ed attenzione perché mi narra a cuore aperto della sua famiglia. Colgo una serenità di animo e una passione che raramente ho trovato. Non c’è voglia di riscatto, acredine, risentimento. L’unica forza motrice è la passione e la voglia di raccontare la storia di una famiglia. La sua. Mettendoci la faccia come continua a dire.

Bellissimo davvero.

 

Ivan Vellucci

Mi trovi su instagram : @ivan_1969