12 Apr 2024
Suggestioni di Vino

Daniele Rota: io sto bene al mondo

C’è chi l’amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di rosa né l’uno né l’altro
Lei lo faceva per passione

Fabrizio De Andrè così cantava Bocca di Rosa. Non era una prostituta ma una donna alla quale piaceva far l’amore. Per passione. Perché era felice in questo modo. Perché quello era il suo equilibrio. Perché, semplicemente, stava bene al mondo.
La leggerezza nella vita. Il sorriso. Il sapere di essere su questa terra per poco tempo le dava la voglia e la gioia di vivere. Non ambiva a possedere un uomo ma solo a volerlo per il tempo necessario a provare gioia e piacere. Una visione di vita che ai più può sembrare scriteriata. Ai più come alle donne del paese di Sant’Ilario che alla fine

E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare

“
Quella schifosa ha già troppi clienti
Più di un consorzio alimentare

Cosa diavolo ora c’entra Bocca di Rosa con il vino?
Quando incontro Daniele Rota, incontro una persona che non solo sembra in pace con se stessa, ma che lo è realmente e riesce a divertirsi con ció che fa. Non che sia una persona poco competente. Al contrario è una delle persone con maggiore esperienza che io abbia mai incontrato nel mondo del vino. Solo che affronta le cose con leggerezza.
Finta leggerezza che cela grande rigorosità. Con se stesso prima, con gli altri poi.
Anche perché l’azienda che gestisce non è che sia propriamente piccolina.
Poco importa. Lui, nella sua casa immersa in undici ettari di vigneto, ci vive da scapolone. Entrando nel suo salone potrebbe risultare finanche un tipo eccentrico. Magari perché non si può fare a meno di notare le moto e il sidecar parcheggiate accanto ai divani. Si avete letto bene: parcheggiate li tra i divani. Vi assicuro che non è per nulla eccentrico. È solo fatto così e fa quello che gli passa per la testa. In questo caso, probabilmente, voleva solo circondarsi delle cose che ama e lo fanno stare bene.
Magnifica leggerezza di una persona che sta bene al mondo.

Io ho sempre avuto la passione del vino e di far il vino. A 14 anni volevo fare l’enologo. Ho sempre avuto la possibilità di farlo mentre studiavo così come di scegliermi la strada senza che nessuno mi rompesse le scatole. Il che non ha funzionato benissimo. Perché è poi diventata anche la mia dannazione e malattia. Mio nonno aveva una cantina e si faceva lo sfuso.
Siamo grandi produttori ma mai stati grandi imbottigliatori. Da ragazzino mentre facevo l’università ci ho pure lavorato nella cantina di nonno. Sono stato un grandissimo paraculo. Facile fare l’università e lavorare per quello che studi. Era pesante certo però non studi. Impari.

Daniele si esprime in un simpaticissimo e goliardico romagnolo. Non per altro, siamo a Reggio Emilia, più precisamente a Sabbione. Terra di Lambrusco. Terra anzi, terre di grandi produzioni. Perché qui se non hai almeno cento ettari non sei nessuno.
Il nonno di Daniele di ettari ne aveva comprati 300. Direttamente dal Commendator Davoli, un ricco commerciante di ferro degli anni 30. Sua la tenuta insieme alle stalle, alla cantina, al mulino, al caseificio, alle stalle per tori, i maiali si era fatto costruire anche la casa padronale dall’architetto Bottoni, uno dei maggiori interpreti del Razionalismo italiano. Villa Davoli. Che diventa poi il nome della azienda di Daniele.

Questa era la sua tenuta. La casa di campagna. Un mezzo latifondo. C’erano 300 persone che lavoravano per lui che non c’era mai.

Il nonno di Daniele prima compra 40 ettari della tenuta poi la rileva totalmente pur non essendo ricco di famiglia. Aveva però il fiuto per gli affari.
Siamo nella terra dei motori e lui acquistava in Italia le auto sportive che uscivano di produzione per rivenderle in Sud America con un sicuro guadagno. Ci sapeva fare il nonno!

Nonno l’ha comprata tutta nel 74. Poi venne divisa tra i cinque fratelli. Si era sposato con mia nonna che era nobile. I genitori non volevano che si sposasse perché non aveva una lira. Erano dunque scappati…Mio papà era del 48, nonno del 17. Si sono sposati a 21/22 anni. Erano tempi diversi.

Non so perché ma ho idea che in famiglia si ridesse un sacco. Gente determinata e ben decisa ma con il sorriso che non poteva mancare. Mai. In Emilia si può essere scanzonati e goliardici, con la voglia di divertirsi e far baldoria e ogni occasione è buona, ma certo mai poco attenti o senza capacità. Perché senza capacità non vai da nessuna parte. Qui maggiormente. Qui dove i volumi sono alti e con questi le responsabilità.

Daniele è uno che si diverte e si sa divertire ma non è certo uno sprovveduto. Già da giovane si rende conto e sa che se vuole gestire l’azienda, di strada da fare e cose da imparare ne ha. È per questo, ma anche per divertirsi altrove secondo me, che se ne va in giro per il mondo.

Nel 2002 sono andato a lavorare in una cantina in Sicilia che non esiste più. Calatrasi. Facevano prodottini bianchi e rossi molto interessanti. I Catarratti erano molto buoni. Erano venduti in Inghilterra dunque erano molto influenzati dal legno. La cantina aveva una filiale in Puglia dove sono finito due anni dopo. Manduria. Nel frattempo era cambiato proprietà. Poi in Cile dove sono stato sei mesi. Non mi lasciavano mai andare. Mi sono trovato bene io e si sono trovati bene loro. Mi avevano offerto di restare e mannaggia a me che non ci sono restato.

Eccolo Daniele. Buontempone, guascone, spaccone. Ma c’è poco da fare. Mi sta simpatico a pelle. Ti guarda, ti sorride e ti dice le cose. Quando pensi che ti stia prendendo in giro, eccolo che ti frega perché ti sta dicendo proprio la verità.

Dal Cile mi avevano offerto una cosa in Francia ma non ho avuto cuore di andare ad imparare il francese. Italiani e francesi più di tanto non possono lavorare insieme sullo stesso vino. Allora sono andato a lavorare in Toscana. Anche li non esiste più. Vicino Certaldo. Posto spettacolare.
Nel frattempo spippolavo nella azienda agricola ma non in cantina. L’azienda era gestita da mio papà perché nel frattempo nonno era venuto a mancare. La sua cantina è andata in mano a mio zio che sta trasformando buona parte della cantina in un agriturismo con successo. Vitivinicola Rota è di mio zio.

Dalla Toscana Daniele ritorna in Puglia mettendo le mani in pasta nel Primitivo che cominciava a decollare proprio in quel periodo. Poi in Veneto dove lavora per Cielo e Terra. Un salto importante che da solo fa capire quanto Daniele avesse già acquisito, o implementato, il suo bagaglio culturale e di capacità nel mondo vitivinicolo. Cielo e Terra è una azienda grande e con Daniele cresce ancora di più.

Quando sono arrivato io erano a 7/8 milioni di bottiglie. 5 erano di vino Freschello che è un prodotto da supermercato e poi 20 milioni di brick. Con questi era davvero dura. Mi sono rotto i coglioni li e sono andato a lavorare per la Contri Spumanti dove ho fatto un bel progetto. Mi hanno dato dieci milioni di euro e gli ho costruito la cantina a Campogalliano: dal pavimento alle prime dieci milioni di bottiglie. Ero il direttore di stabilimento. Per far funzionare un impianto da 18 mila bottiglie ora devi sapere anche dove passano i cavi. Dicevo alla gente cosa fare per farlo funzionare. Sono soddisfazioni. Non sono tante le aziende che fanno cantine ex novo. Loro avevano scelto le macchine per imbottigliare e le ho installate tutte. Sono portato a far funzionare le macchine. Rimpiango gli stipendi.

Darsi le arie non è tra le caratteristiche di Daniele. Non è di quelli spacconi che dicono le cose tanto per vantarsi. Lui è uno di quelli che dice la metà di quello che è o ha fatto. Timidezza? Ma no. Ci mancherebbe altro. Riservatezza? Giammai. Parla anzitutto con i fatti e poi, cosa più importante, fa le cose perché gli piace farle. Certo, il tornaconto è importante, ma lui se non si diverte nemmeno si alza la mattina.

Finisce le esperienze nell’Oltrepò Pavese prima di decidersi ad occuparsi della sua azienda che, a causa delle varie divisioni ereditarie, era arrivata a contare 36 ettari di terreno con 26 di vigneto. Le uve? Conferite ovviamente. Mica aveva il tempo di stare dietro a qualcosa di diverso lui.
Finire le esperienze e smettere di andare in giro non è propriamente uno smettere di bighellonare come lo è per molti. Per Daniele è quasi un segnale a se stesso per cercare di far qualcosa di diverso, di personale. Nessuna voglia di emergere. Nessuna voglia di fare qualcosa per qualche altro. Per se stesso. Per mettere a frutto ciò che ha imparato. Magari per smettere di conferire le sue uve e fare finalmente una sua bottiglia.

La mia azienda intanto andava avanti. Il prodotto lo conferivo in cantina sociale. Era già un miracolo riuscire a fare questo. Bazzicando parecchio il veronese per lavoro, per amicizia e anche per donne, vedevo che c’era la necessità di alcuni prodotti che nessuno si prendeva mai la briga di fare. Non ho mai capito se non volevano farli perché c’era da sbattersi, perché non erano capaci o perché non valesse la pena farli.

Il mondo del vino è davvero particolare e variopinto. Trasmissioni come Report hanno avuto il grande merito di portare alla luce dei riflettori (quella che si spegne appena qualcos’altro viene illuminato) ciò che qualcuno fa (o non fa). Il racconto di Daniele è sferzante, vero. Nessuno più di lui sa cosa accade. Lui che conferisce l’uva e non una uva qualsiasi ma l’Ancelotta, generalmente utilizzata come taglio.

L’Ancellotta è come un diamante grezzo: è chi taglia il diamante che crea una opera d’arte. Quando tu la tagli con la forma giusta diventa un diamante o un brillante. Ma qui sono abituati a lavorare con il badile. Così ho cominciato a far appassire un pò l’uva. Esperimenti sulle mie spalle. Con il biologico è complicato.

Daniele, grazie anche alla sua esperienza, capisce che l’uva che lui e il padre hanno sempre coltivato, potrebbe essere trasformata e gestita in maniera diversa. Vinificarla “normalmente” non avrebbe portato a nulla, ma messa, ad esempio, in appassimento, così come tradizione del veronese, forse forse qualcosa di speciale avrebbe potuto dare.

Ho cominciato a far appassire le uve.. Il primo anno nel mio ufficio con il ventilatore. Il secondo anno ne ho fatto 40 quintali. L’anno dopo 100. Questa roba che sembrava una follia, follia non era. Mi ha creato delle uve di qualità. Allora mi sono detto: perché non provo a buttarci sopra un Lambrusco e vediamo cosa viene fuori? Al massimo se va male lo vendo come sfuso.
L’anno prima l’avevo fatto 100 litri con un rosato. Poi l’ho fatto con il Lambrusco. Dopo l’esperienza ho indiziato a venderli in giro. Una volta spiegato ai clienti, questi tornano. Ho fatto dei mercatini e la gente tornava a comprare. Tutti contenti.

Un mito Daniele! Capisce cosa ha in mano e capisce che nessuno prima di lui ci aveva ne pensato ne tantomeno provato. La sua è zona di grandi vigneti i cui proprietari preferiscono conferire piuttosto che vinificare. Soldi facili e soprattutto sicuri. Che senso ha vinificare? Già. Ma se sei uno come Daniele, eclettico, dinamica, persino stravagante, di quelli che non se ne stanno stare ferme e che ambisce a far si che la sua azienda rappresenti pur qualcosa di diverso, ecco che la vinificazione assume significato profondamente diverso.

Intuizione, conoscenza, spirito di iniziativa. Senza elementi come questo sarebbe stato solo una autocelebrazione. Invece Daniele fa le cose per bene. Con rigorosità. Anche se l’aver messo le uve ad appassire con un ventilatore nel suo ufficio fanno venir fuori il suo carattere.

Ho piantato un pò di bianco. La Spergola con un pò di Malvasia. Tipicamente reggiano. Non sono amante del Lambrusco anche se mi piace il Sorbara. Vorrei farne una bollicina ma ci sto studiando. Con l’Ancellotta faccio anche l’aceto. Sia il balsamico sia l’aceto. Per il balsamico di Modena ci vogliono sessanta giorni. Il disciplinare è una fregatura. Perché basta miscelare i prodotto e metterli sessanta giorni in contenitori di legno. Non botti. Contenitori.

Anche sui disciplinari Daniele non he ha per nessuno. Parlare con lui vuol dire scoperchiare di tutto e di più magari fornendo altro materiale per le chiacchiere. Forse è meglio tenermelo come bagaglio culturale senza essere troppo espliciti. Anche se sono sicuro che lui lo direbbe pure con il megafono. Travolgente!

Tre le etichette che Daniele produce e i cui nomi sembrano usciti da un cartone animato. A pensarci bene, osservando Daniele, anche lui sembra uscito da un cartone animato: grande stazza, viso tondo e sorriso che coinvolge.  Me lo immagino con la sua moto disegnato!
Ti fa simpatia a pelle per poi continuare a volergli bene ogni volta che parla.

I tre vini dicevamo: Indelebile, Impossibile, Infinito.
Indelebile (che ho recensito sul mio blog) è prodotto con appassimento dell’Ancellotta. Un vino che ti segna in tutti i sensi. Lo bevi e sai già che la lingua ti si sarà colorata. Sa di scuro. Di profondità, di potenza e vigore. Il passaggio in botte lo rende morbido ma è un inganno. Se non lo bevi non sai cosa ti perdi. Se lo bevi ti coinvolge e ti convince. Ma occhio alla gradazione (15°) perché traditore!

Impossibile è il ripasso in salsa reggiana. Stesso procedimento del Ripasso veronese ma sulle vinacce esauste dell’Ancellotta. La follia della follia che però restituisce grande forza. Molto più forte del Ripasso originale e non poteva essere altrimenti. Il passaggio in botte tenta di domarlo e di ingentilirlo. Ma la sua anima resiste. Determinato, pieno, deciso. Folle.

Infine Infinito, un vino ancora deciso, stavolta preciso e che si lascia bere come pochi. Sarà per quella sua sapidità in bocca o per il bouquet di frutta fresca a pasta gialla. Da bere e da bere all’infinito.

Vini fatti per stare in compagnia. Per accompagnarli con i prodotti tipici del territorio. Quelli grassi e corposi. Quelli che servono per mangiare e mangiare bene. Senza fronzoli.

Indelebile si chiama cosi perché il vino è fatto con Ancellotta che colora in maniera indelebile. Lo puoi usare per scrivere con la carta. Impossibile anche se il labirinto è possibile perché non si può fare un ripasso con il Lambrusco. Infinito perché mi piaceva. Piaceva a mia mamma che era malata e in ospedale. “Dammi un nome che suoni bene anche in inglese” le dissi.. Ne ho degli altri in mente. La bollicina si chiamerà Incredibile oppure Sciampo. Perché in gergo è lo Champagne.

Non serve aggiungere altro alle parole di Daniele. La scelta dei nomi la dice lunga sul suo modo di pensare. Sul suo credo. Sulla sua vita.
L’allusione al labirinto però va spiegata però. Per comprenderla occorre vedere l’etichetta dell’Impossibile: c’è un labirinto che conduce ad una casa, quella progettata nel ’32 dal grande architetto Bottoni. La scelta voleva essere un simbolo senza essere un simbolo. La capacità di produrre un vino insolito, anomalo, folle. Impossibile uscirne a meno che non si osi, non si sperimenti.

La casa, simbolo del Razionalismo con intorno 11 ettari di vigneto, non poteva che essere il giusto sigillo. Eppoi è anche la casa di Daniele.

Insieme ad un pazzo grafico che si chiama Rinaldo Maria Chiesa e che abita in una chiesa in toscana (è più fuori di me) abbiamo preso i disegna della casa ed adattarli per le etichette. Da li i nomi dei vini sono venuti in mente a me. La mia azienda si chiama AgriRota però non volevo portare il mio cognome sulle bottiglie perché ci sono i miei parenti che fanno qualcosa ma anche perché doveva essere qualcosa di non personale. Nella mia testa devono rimanere di nicchia.

In ogni parola di Daniele emerge sempre la nota goliardica mista a leggerezza tale da ingannare i più ingenui. Daniele ci gioca, si diverte. Lui che è competente e attento capisce chi può prendere in giro, chi no; con chi può confrontarsi, con chi no. La spensieratezza insieme alla goliardia è quella che vuole trasmettere tramite i suoi prodotti. Senza fronzoli, pienamente studiati. Frutto di sperimentazioni e capacità.
Uno dei casi nei quali i vini rappresentano a pieno il produttore.
Spensieratezza? Provate a chiedergli cosa vorrebbe fare tra vent’anni e vi sentirete rispondere

Mi vedo in Thailandia a non fare un cazzo.

Per poi aggiungere (qui il Daniele vero e concreto)

Mi piacerebbe far funzionare la vendita delle bottiglie e non vendere più l’uva sfusa. Sempre che sia la bottiglia la confezione del futuro. Sto lavorando come consulente sul vino senza alcol. Mi piacerebbe trovare una alternativa più ecologica delle bottiglie. Ho fatto uno studio sulle lattine.
Iniziamo una discussione sui tappi e dimostra tutta la sua conoscenza.

Daniele miscela le sue personalità con l’amore e la passione per questo mondo; la sua vita e il suo essere. Prendere o lasciare. Non ci sono mezze misure. Non si fanno prigionieri. La sua vita è fatta di concretezze e frivolezze. Devono convivere e se non convivessero ci penserebbe lui a far si che accada. Scegliere? Perché mai. Se voi voleste scegliere, diventerebbe solo affar vostro. Non suo. Sarà sempre e solo nelle vostre mani. Lui, Daniele è e rimane una di quelle, poche persone, che può permettersi di dire, senza fronzoli e senza tentennamenti: io sto bene al mondo!

 

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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