12 Lug 2024
Pertinace. Al buon senso degno di lode
Al buon senso degno di lode
È una frase scritta su un Sesterzio, antica moneta romana. Difficile trovarne una. È dedicata all’Imperatore romano Publius Helvius Pertinax morto esattamente il 28 marzo 193. Assassinato dai pretoriani. Quegli stessi pretoriani che lui aveva comandato per anni nelle battaglie in giro per il mondo conosciuto. Assassinato tre mesi dopo essere stato nominato da Senato romano, Imperatore.
Pertinace era il soprannome di Publio Elvio attribuitogli dal padre che lo vedeva eclettico, determinato, abile nel seguire le proprie orme nella vendita di legna e lana. L’essere di umili origini non gli impedì di riscattarsi diventando insegnante di grammatica prima, coraggioso ufficiale dell’esercito poi. La sua integrità morale ed il rispetto che i suoi uomini mostravano verso il Generale Pertinace gli valsero la nomina a Senatore da parte dell’Imperatore Marco Aurelio. Alla morte di quest’ultimo l’Impero Romano iniziò con il suo successore, il figlio Commodo, un periodo di decadenza. Quando Commodo fu ucciso dal suo istruttore di combattimento a seguito di una congiura toccò al Senato scegliere il nuovo Cesare. Scelse colui che era il migliore e che forse Marco Aurelio stesso avrebbe dovuto nominare alla guida dell’Impero: Pertinace.
Pertinace iniziò un certosino lavoro dedicato a rendere l’Impero un luogo più giusto e, forse, proprio per questo venne ucciso. Tre mesi di governo furono pochi per risollevare, con la sua rettitudine, un Regno che non si risolleverà più.
Riscatto nella integrità. Riscatto nel rispetto delle regole. Riscatto con il buon senso. Non serve riscattarsi venendo meno ai propri principi morali. Non serve riscattarsi per guadagnare inutili soldi. Ogni Sesterzio onestamente guadagnano potrà essere speso solo con un buon senso, esso stesso degno di lode.
Spesso la storia di una persona influisce su tanti. In altri casi, su pochi. Perché pochi sono quelli che lo hanno conosciuto o ne hanno letto. Altrettanto spesso, le persone integerrime non hanno alcuna velleità di insegnare qualcosa e l’importanza che danno all’essere ricordati è pari a zero.
Le coincidenze della vita però alle volte sono strane. Ci si sforza spesso di trovare un senso, un significato alle cose, ai fatti, agli avvenimenti. Ma non sempre c’è. Oppure c’è ed è così evidente che non ce ne facciamo una ragione.
Publio Elvio Pertinace nacque in un paesino vicino ad Alba, Treiso. Tres come lo chiamavano i romani che lo fondarono. Pertinace è proprio il nome di una frazione di Treiso dove gli storici collocano la nascita di Publio Elvio il primo agosto 126.
Essere sindaco di un paesino come Treiso negli anni ‘70, che oggi di abitanti ne conta 765, non era una di quelle cose che necessitasse tanto impegno. Abnegazione, rettitudine ed impegno, si. Mario Barbero oltre ad essere sindaco di Treiso continuava a fare il suo mestiere di informatore medico scientifico. Su e giù per i paesini ad incontrare i medici di famiglia e poi, nel tempo libero ovvero il fine settimana, a lavorare nelle vigne di famiglia.
Coltivare si ma non produrre vino. Non c’era il tempo. Non c’era la cantina. Non c’era la capacità commerciale. Le uve dunque era meglio venderle.
A quei tempi (in parte anche ora!) per vendere le uve ci si rivolgeva ai mediatori. Loschi figuri che facevano attendere i conferitori fino alla fine. Far stare i contadini sulle spine era un modo efficace per spuntare prezzi migliori. Al ribasso ovviamente.
A Mario la cosa non andava giù. Anche perché Treiso insieme a Barbaresco (comune dal quale aveva ottenuto “l’indipendenza” nel 1957) e Neive faceva parte, già dal 1966 della DOCG Barbaresco. Le uve non potevano essere pagate sempre a prezzi ridicoli.
Mario capisce che l’unico modo per cambiare le cose è insieme. Insieme a qualcun altro. L’unione fa la forza insomma. Quale miglior cosa se non la cooperativa sociale?
Con 12 amici trovarono a Treiso una cantina piccolina che veniva dismessa. L’hanno acquistata iniziando. 12 amici e lui 13. Al tempo per poter fondare una cooperativa occorreva essere minimo in 9. Oggi è 3. Hanno preso vicini di casa, contadini, ecc. C’erano fratelli e cugini. Insomma il gioco delle parentele per aumentare il numero dei fondatori.
Cesare Barbero, figlio di Mario, è l’attuale Direttore della Cantina Vignaioli Elvio Pertinace. Un nome che venne in realtà abbreviato nel 2005 semplicemente in Pertinace.
All’estero ci chiamavano solo più Pertinace. Alcuni non riuscivano nemmeno a dirlo tutto. Abbiamo deciso di abbreviarlo in Pertinace. Poi la storia di Pertinace è molto bella e i soci si sono immedesimati. Il figlio di uno schiavo che diventa imperatore. Una storia di riscatto. I contadini che hanno cercato il loro riscatto nell’unione. Pertinace poi è conosciuto per essere una persona corretta. Quando vado all’estero e devo spiegare la parola “pertinace” ne spiego il significato. Una persona pertinace è una persona che non molla e cosi sono stati i soci.
Già non mollano. 13 persone che si riuniscono in una cooperativa portando in dote circa 30 ettari di vigne. Tutti conferitori che si impegnano per diventare produttori. 13 famiglie che cominciano una strada insieme e che fanno ritrovare insieme le loro seconde e terze generazioni dopo 51 anni. 13 soci oggi sono diventati 20 aggiungendo altri ettari per un totale di 110. Niente male davvero.
All’inizio si vinificava solo uve per il Barbaresco e via via negli anni si sono aggiunte altre uve. Quando comprarono la cantina c’era già del vino dentro e solo la vendita di quel vino servì per pagare l’investimento. La prima vendemmia è del 1973 ma la prima etichetta è del 1969. Da bambino venivo qui con mio padre e mi ricordo le liti che facevano per pigiare. Tutto portato con delle ceste di plastica e pesato sulla basacula ovvero la bilancia a bascula. Salami, formaggi. Durante la pigiatura si faceva questo. Era una cooperativa goliardica, tra amici.
Amici, parenti, compaesani. Mettetela come vi pare ma erano persone. Persone che volevano riscattarsi e dire la loro nel mondo. Senza prevaricare nessuno. Senza essere di intralcio. Rispettando il proprio ruolo e soprattutto gli altri.
Gli anni ‘80 segnano l’inizio dei primi investimenti strutturali. Aumento soci e aumento delle superfici grazie agli stessi soci che si ingrandiscono acquisendo nuovi terreni. A dimostrazione di come la cooperazione possa davvero funzionare.
Le prime fiere. I primi investimenti commerciali. I Clienti nuovi, anche stranieri. Ma soprattutto l’imbottigliamento. Anche perché fino ad allora si andava in giro a vendere lo sfuso.
Mio papà vendeva molto ai medici che andava a visitare. I nostri più grossi clienti erano i medici di paesi. Vendeva mentre era li a promuovere la medicina. Si era innescato un circolo virtuoso. All’inizio erano investimenti per vasche e serbatoi poi di terreni dei singoli soci e la cantina. Adesso produciamo oltre 8000 quintali di uve, ovvero 5000 ettolitri di vino, 750.000 bottiglie. Quegli inizi me li ricordo anche se abbiamo pochi documenti. Nessuno veniva a fare foto. Anche noi siamo stati poco accorti. Nemmeno si pensava di arrivare a questi volumi. C’era un pò di visione certo ma non tanto. Mia mamma dice che lei ogni volta che è uscito un articolo lo conserva. Magari lei ha qualcosa.
Cesare ne parla con negli occhi la nostalgia di un bambino ormai cresciuto e un grande rispetto per quelle persone, papà Mario in testa, in grado di creare tutto ciò. Una azienda. Una prospettiva di vita. Una rinascita per quelle tredici famiglie, diventante venti oggi.
Iniziarono a fare il Barbaresco perché c’erano le botti. Poi il Dolcetto e noi siamo una cantina conosciuta per questo. Poi viva via gli altri. Un tempo si faceva il Dolcetto Langhe e qualche vino di fantasia come “il vin che bevi” che era fatto con uve di seconda scelta. Un vinello con l’etichetta scritta a mano. O il farinel ovvero nebbiolo vinificato in bianco. Questo nome lo ha registrato un’altra cantina qui. Vuol dire bimbo allegro, bimbo giocoso e pazzerello. Il primo cliente straniero è negli anni 70. Uno svizzero che è stato nostro cliente per 40 anni. Adesso ha chiuso. Ha comprato un terreno adesso e fa del vino a Calosso. Ogni tanto ci sentiamo ancora.
Grandi sacrifici, grandi sforzi. Ma anche grandi unioni. I soci, la parte fondante della cooperativa. Il loro affetto verso una azienda che è la loro. Ne supportano lo sviluppo. Ne promuovono la crescita. Ne condividono gli investimenti. Prima i 13, oggi i 20 soci, sono la vera e unica forza di Pertinace. La percezione della proprietà del socio è la chiave di tutto. Essere in grado di far sentire che tutto ciò che si fa per la cooperativa. Lo si fa per se stessi. Perché la cooperativa è di tutti i soci.
Un concetto semplice. Così semplice che in Italia le cooperative ci sono dal 1854 e oggi ne contiamo oltre 41.000 in grado di generare un fatturato di circa 1.2 miliardi di € (fonte rapporto Euricse). La Costituzione italiana, ne sancisce, con l’art. 45 l’importanza sociale
La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione
a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei
e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità
Ci è capitato che qualcuno si è staccato nel tempo. Ma chi è uscito non è mai uscito completamente. Un socio aveva due figli e solo uno dei due è uscito per mettersi in proprio. Tutti l’anno vista crescere e sanno che fa parte della loro vita. Gli investimenti per fare una nuova cantina sono importanti e chi lo fa deve partire piano piano con molti rischi. Non è un periodo cosi roseo. L’avere la sicurezza di avere un posto dove portare le uve e vedersele pagate bene è molto. Paghiamo sopra il 20/30% del prezzo medio di mercato. Nessuno ha il coraggio di togliersi. Ma è anche una questione affettiva.
La forza di una grande cooperativa come Pertinace è avere una grande varietà di terroir in grado di assicurare una importante ed interessante diversificazione. Le vinificazioni separate consentono di esaltare i cru del Barbaresco regolati dal disciplinare. MGA Castellizzano, Marcarini e Nervo per tre vini identitari del territorio.
Papà iniziò con i cru. Ne facevamo anche di più ma ora abbiamo ridotto a tre. Riusciamo a farla perché non c’è gelosia tra i soci. I cru vengono liquidati allo stesso modo per equità. Non c’è scontro, non c’è gelosia. Non c’è paura che uno prenda di più perché ha la vigna nel cru.
La liquidazione dei soci come elemento necessario per la retribuzione. Certamente non il più importante per l’unione. Un elemento messo a punto in maniera democratica e che riesce a non creare gelosie.
Si parte dalla base di mercato e sale. È raro che scenda. Devono essere uve che hanno avuto problemi. Sale secondo dei coefficienti che abbiamo deciso. Qualità visiva, qualità chimica. Più l’uva di qualità più il prezzo si alza in maniera più che proporzionale. Ci sono diversi punti percentuali.
La certificazione SGQ è arrivata nel 2018. Con essa un agronomo che si occupa che tutto venga rispettato per la certificazione. Trasmette il calendario del trattamenti, i materiali consentiti. Ma rimane sempre il principio che le singole aziende si autogestiscono e per dubbi chiedono.
Il conferimento è qui in cantina. Tutti i soci sono a conferimento totale per le uve rosse. Per le uve bianche noi non abbiamo un grande mercato quindi vinifichiamo quelle che ci servono e le altre le portiamo alle altre cantine collegate a noi. Abbiamo il moscato ma viene tutto conferito a chi interessa. Magari nel futuro.
I vini di Pertinace sono decisamente rappresentativi del territorio. Io personalmente li ho trovati essenziali, puliti, vivi. Ecco, la parola migliore è vivi. Mi hanno ricordato e ricondotto in quella parte di Piemonte dove l’allegria sta nel vivere con gli amici a tavola. Quelle tavole dove magari c’era poco cibo. Non certo poco vino. Solo che doveva essere un vino da bere mica con pietanze complesse. Al contrario. Cose semplici.
I nostri vini sono molto tradizionali. Sono molto simili a quelli di papà per tempistica di lavorazione. Cappello sommerso. Lunghe macerazioni e invecchiamento in botte grande. In continuità ma abbiamo limato i difetti anche con la tecnologia.
Partiamo dal classico Barbaresco 2020. 18 mesi in grandi botti di rovere donano al Nebbiolo una pulizia e limpidezza invidiabili. Questo, come tutti gli altri vini di Pertinace sono contraddistinti dall’essere limpidi e puliti. Scarichi di colore tanto che la mano sotto il calice si vede, sempre, chiaramente, Scarichi di colore ma non certamente di altre sensazioni sensoriali.
Di questo Barbaresco ne ho apprezzato la qualità estremamente fine dei sentori. Un bouquet talmente raffinato da non volerne sentire altri. La piccola frutta rossa e nera quasi in confettura si mescola ai rigogliosi fiori rossi. Poi è un altalenanza di preziose note erbacee e spezie dolci. L’arancia rossa calda e succosa si unisce al cardamomo, alla cannella, ai chiodi di garofano, al pepe inebriando anche grazie al velo di balsamico. Un bouquet che si esala con il tempo. Un Barbaresco ha bisogno di aria e tempo per esprimersi ma quando lo fa, consente di respirare meraviglie. Il balsamico si accentua così che sembra di respirare una caramella alla frutta. Di quelle balsamiche ovviamente. Un accenno di ematite fa comunella con salvia e timo.
La bocca raggiunta dal sorso accoglie finezza e raffinatezza. Fresco e soave, caldo ma non troppo nonostante i suoi 14 gradi. Sapido ma non eccessivamente come si conviene ad un nobile. Secco ma non troppo per preservare il gusto. Persistenza giusta e una bocca che si inebria ed impreziosisce dei piccoli frutti rossi e neri. I tannini sono rimasti in disparte. Presenti ma non invadenti a dirigere le operazioni dalle retrovie. Bilanciamento eccellente e chiusura di bocca che definirei unica. Un vino che avvolgente e coinvolgente che, alla fine non è impegnato e al contrario risulta immediato tanto che con un pezzo di Parmigiano l’ho trovato sublime.
Barbaresco Marcarini 2020. Il colore granata già evidenzia che qualcosa di diverso c’è nel calice. La frutta è polposa e decisamente cotta mantenendo una punta di acidità che induce il naso ad attendersi altro. Prugna, ciliegia, ribes, arancia. Il balsamico arriva ad aprirmi le vie aeree ed apprezzare il tabacco, la noce moscata, il pepe, il pellame, il goutron. Un lieve sentore di sottobosco e ferroso donano struttura. Il sentore di mela cotta mi fa venire alla mente quella che mi preparava la nonna: un infuso zuccherino con una parte acida a donare finezza.
Il sorso è immediatamente meraviglioso. Fresco, secco, caldo, decisamente sapido. La percezione di frutta arriva all’istante per poi essere sovrastata dai tannini: decisi, importanti, prorompenti. Il bilanciamento è insolito e interessante. Non arrivano prima le durezze ma al contrario le dolcezze creando la necessità e l’aspettativa di un nuovo sorso. Ecco che se il sorso viene accompagnato da un intrigante cibo, la sensazione che se ne ricava è eccellente. Chiusura di bocca meravigliosa e persistenza lunga. Potrei berlo anche da solo.
Barbaresco Nervo 2020. Anche qui colore granata e assoluta finezza sono il biglietto da visita. La frutta cotta c’è. Il balsamico c’è. Tabacco, note ferrosa e sottobosco, ci sono. Qui c’è del pellame e i fiori che sono in potpurri insieme al melograno e alla viola. La complessità e la varietà olfattiva differenzia il cru. Incantando ancora.
Il sorso si evidenzia per i tannini setosi e rotondi che bilanciano la decisa freschezza aumentando la persistenza. La frutta rossa diventa più viva e polposa, stupendo per come si differenzia rispetto alle sensazioni olfattive. Bilanciamento perfetto con un equilibrio fuori dal comune. Questo è uno di quei vini che si iniziano a bere senza volere un accompagnamento. Perché è buono. Tanto buono che non si vuol mischiare con niente. Il calore c’è ma non si percepisce. E non so se questo è un bene o un male visto che la bottiglia si può tranquillamente finire. Ci si abbina un pezzo di salame e formaggio e il gioco è fatto.
Veramente ma veramente convincente per la sua dinamicità e immediatezza. Davvero unica per un Barbaresco. Davvero unica.
Nebbiolo 2021. Qui siamo nel Piemonte godereccio. Quando oltre alla Barbera e al Dolcetto occorreva bere il Nebbiolo perché quello c’era. Ma mica si poteva aspettare tanto. Andava bevuto in fretta e in grandi quantità. Si un pò in botte ci deve andare perché sempre Nebbiolo è.
Il colore è rubino e la trasparenza è quella dei vini di Pertinace. Top.
Al naso c’è subito la percezione di una bella alcolicità che la balsamicità amplifica copiosamente. I fiori e i frutti rossi appaiono senza far aspettare. Sono i fiori a prevalere. Arancia e lamponi iniziano poi a virare verso il mirtillo. Il sottobosco non può mancare ad impreziosire. Così come il tabacco e il cioccolato, il pepe rosa e la rosa canina.
In bocca i tannini i presentanTipo una tagliatella al ragù. Ci vuole poco per arricchire il pranzo della domenica.
Barbera d’Alba 2021. Barbera appunto. Non poteva certamente mancare. Il bellissimo colore rubino nel calice è un vero e proprio invito a berlo senza passare per i sentori. Non lasciamoci tentare perché ci perderemmo il cesto di lamponi e fragole. Di quei cesti che poi si espongono direttamente sulla tavola. Frutta fresca e croccante appena cotta dal sole ma bagnata dalla rugiada mattutina. Respirare queste sensazioni è inebriante. Una rosa e una peonia arrivano grazie alla consueta balsamicità. Così come l’arancia sanguinella e la prugna. Vivaci e genuini.
Il sorso me lo aspetto di importante freschezza e in effetti non mi delude. I tannini sono anche morbidi e la sapidità è spiccata, cosa questa che mi fa apprezzare maggiormente la frutta croccante che ho in bocca. La sensazione è quella di bere un succo di arancia con i frutti di bosco. Non c’è grande corpo ma la avvolgenza è comunque sì curata. Mi viene voglia di bere questo vino e berlo ancora, con semplicità, senza infrastrutture e senza la necessità di stare con il naso dentro al calice per cogliere chissà quali sfumature. Non voglio studiarlo. Voglio solo berlo. Datemi un piatto di pasta con del ragù semplice o una fetta di salame. Sto bene cosi. L’equilibrio questo Barbera lo raggiunge alla fine, quando le dolcezze sovrastano le durezze. La chiusura di bocca è fantastica e la persistenza non particolarmente lunga. La bottiglia si finisce!
Se i 13 soci bevessero i vini attuali li apprezzerebbero anche perché per dirla tutta quel concetto di diradamento che è ben consolidato in quei tempi non era cosi scontato. La qualità del prodotto è dovuto alla qualità dell’uva. Il clima ci ha anche dato una mano. Negli anni 70 c’era grande alternanza qualitativa. 74 buonissima, 78 buonissima. 82 buonissima. 72 declassata. Uno dei motivi perché è stata fondata la cantina. Non è stato fatto ne Barolo ne Barbaresco.
Un bel segno di serietà anche per quei tempi. Qualità e serietà ben radicata sul territorio.
I nostri vini seguono le annate però non c’è più quel divario che c’era in quegli anni li. Sono più annate simili adesso. Si possono andare a ricercare le differenze che ci sono ma non sono più quelle di quei tempi li.
La forza e la bravura di una azienda è essere costante nella qualità. Pertinace da 51 anni è un riferimento nel territorio e non solo. Sono riusciti a produrre grandi quantità di vino ad una qualità mostruosa.
Se siamo conosciuti per un certo livello qualitativo dobbiamo mantenerlo. In quel senso li c’è una standardizzazione verso l’alto. I nostri clienti delle Langhe capiscono che le annate sono diverse. Non vogliamo nasconderle. Non devono essere nascoste perché è una storia in più per ogni annata da raccontare. Valutiamo la qualità del prodotto che abbiamo in casa e decidiamo la destinazione. La forza della cooperazione è che è proprietaria dal vigneto alla bottiglia. Tutta la filiera. Pochi privati possono fare le selezioni che può fare una cantina. Possiamo tenere i nostri vigneti migliori e fare volumi importanti abbiamo la possibilità di selezionare tantissimo.
Qualità e quantità si possono fare senza essere necessariamente in contrasto. Pertinace ne è la dimostrazione. La cooperativa e la cooperazione è sempre stata vista di basso livello. Si, magari con un buon rapporto qualità prezzo, ma niente di più. In realtà, il costare meno è, banalmente, una conseguenza che parte dalla possibilità di gestire masse più grandi e prezzi più bassi. Così le cooperative che lavorano bene riescono ad ottenere qualità ben superiore a ciò che si pensa.
Siamo sette dipendenti. Io sono uno dei soci e il direttore. C’è un consiglio di amministrazione con presidente e vice presidente. Venti soci. Ci troviamo abbastanza spesso. Siamo una grande azienda o meglio una azienda per lo più familiare. Siamo tutti di Treiso e ci conosciamo da sempre. I confronti sono continui e non abbiamo mai avuto scontri tra fazioni. Non c’è mai stato in cinquantuno anni della cantina. Tutto diventa più facile da gestire.
Qualche screzio ci sarà pure stato come è normale che sia. Ma è come litigare tra moglie e marito. L’amore non è bello se non è litigarello. Perché solo così si possono risolvere le cose. Parlando e parlando chiaro. Senza che nessuno si offenda perché non è mai una offesa verso la persona. Si parla, si discute anche animatamente. Ma poi l’azienda è di tutti e la si deve portare avanti. Senza personalismi. Senza la velleità di essere la prima donna. Il bene è per il bene di tutti non del singolo.
La particolarità di Pertinace come azienda è la stessa di Publio Elvio Pertinace: si arriva da umili origini e solo la rettitudine può portare risultati. Non ci sono castelli. Non ci sono storie millenarie o nobili. Non ci sono tunnel con barrique lasciate dai bisnonni. Niente di tutto questo.
Siamo dinamici e non vogliamo presentarci in maniera storica. Non abbiamo il castello o i tunnel. Abbiamo i vigneti e noi stessi. Questa cosa dei castelli mio papà lì aveva già messa nella prima etichetta. Una frase del tipo “non siamo proprietari di castelli o antiche tenute. Questo vino è frutto esclusivamente del nostro lavoro”. Una frase che riassumeva il pensiero di quei tredici che si sono trovati. Non siamo per i fronzoli. Siamo cosi. La nostra cantina non è vendibile. Quello che vendiamo non è che il vino.
I toc. Quando ero in Fiat Auto a Torino i “toc” era chiodo di fisso di tutti. I pezzi. Bisognava fare i toc. Ogni minuto usciva dalla linea di montaggio una vettura. Un pezzo. Un toc. Ogni volta che la linea di produzione si fermava per qualche motivo, era un toc in meno. Un problema. Il piemontese somatizza il problema fino a che è in fabbrica. Poi a casa, un bicchiere di vino e ci si penserà, ai toc, l’indomani. Ma i toc devono uscire. Si pensa ad essere pragmatici sulla linea di montaggio e si pensa ad essere pragmatici a casa: perché tanto una volta andati a casa non è che si possa fare niente per la linea di montaggio.
Cose, se uno il castello non lo ha, si basa, pragmaticamente, sui propri prodotti ovvero sui propri vini.
Noi dobbiamo ancora ringraziarli questi fondatori. Sono loro che hanno consentito di dare lavoro a venti famiglie. Per questo siamo molto attivi sul territorio e quando l’amministrazione comunale ha bisogno noi, noi ci siamo. Abbiamo in mente di fare un ampliamento della cantina e poi, quando realizzato, magari qualche nuovo socio. Non è semplice trovare soci in queste aree. Quando tutto va bene nessuno viene. Quando le cose vanno male, qualcuno viene a fare domande.
Siamo nelle Langhe e anche chi ha un piccolo pezzo di terra ha il pensiero di mettersi in proprio. Una cantina. Una etichetta. Una attività. Normale in questo angolo di paradiso dove le terre ormai costano un patrimonio. Così come però è assolutamente normale che molti vignaioli continuino ancora a produrre e conferire l’uva. Molto meno stressante. Molto più immediato. In questo contesto cooperative come Pertinace, proprio per il rispetto che ha per i propri soci, paga più del prezzo di mercato attraverso un meccanismo in grado di pagare in funzione della qualità dell’uva conferita. Solo in questo modo si paga seriamente il lavoro svolto in vigna e si ottengono prodotti di eccellenza.
Abbiamo bisogno dell’ampliamento per crescere perché siamo a tappo per la trasformazione. Abbiamo lasciato che i nostri soci crescessero e abbiamo cercato di crescere in proporzione. Però sono finite le stanze e allora abbiamo bisogno.
La struttura della Pertinace è ai piedi della collina e si è ampliata fino al torrente. Aldilà del torrente stesso è stato acquisito un altro immobile per ampliarsi.
Dove potevamo ampliarci lo abbiamo fatto. Abbiamo acquisito un immobile perché chi abitava li ha deciso di trasferirsi altrimenti non avremmo avuto modo.
Oggi, cinquantuno anni dopo, i 13 di Terso, fondatori della Cantina Vignaioli Elvio Pertinace o più semplicemente Pertinace, troverebbero tanto di quello che hanno creato. Non già nelle strutture quanto nelle persone. Unite più che mai. Cresciute di numero. Cresciute nella voglia di fare, insieme, impresa per riscattarsi. Sempre che questo riscatto non sia già avvenuto. Cresciute nella rettitudine e nel merito. L’unica differenza con l’Imperatore Pertinace è l’avere avuto il tempo per costruire qualcosa che potrebbe tranquillamente essere riassunta con “Al buon senso degno di lode”.
Mi piace terminare questo articolo con la frase posta a chiusura dell’atto costitutivo del 1973: “L’amore per la nostra terra, ci spinge ad affrontare insieme, con amicizia, fiducia e collaborazione, le difficoltà e i successi per il bene di ciascuno e di tutti”
Ivan Vellucci
ivan.vellucci@winetalesmagazine.com
Mi trovi su Instagram come @ivan_1969
Ps nel mio dialogo con Cesare Barbero ho chiesto del perché non fossero citati da nessuna parte tutti i fondatori e tutti quelli che oggi portano avanti l’eredità di quest’ultimi. “Non ci avevo mai pensato” mi ha risposto. Però mi ha inviato questa lista che sento il dovere di pubblicare.
I soci fondatori:
Barbero Mario, Vola Luigi, Rosso Luigi, Rapalino Michele, Stella Pasquale, Bongioanni Carlo, Perno Giancarlo, Flori Aldo, Fedele Carlo, Nada Fiorenzo, Dotta Eugenio. Sono 11 perché pochi mesi dopo si sono aggiunti Vola Rita e Ferrero Annibale.
Le aziende attuali:
AZ. AGR. CORINO (CORINO DOMENICO)
AZ. AGR. BRICCO MARCARINI (VOLA ALDO E GABRIELE)
BARBERO CESARE
BIOAGRI
BONGIOANNI ANNA
BONGIOANNI ROBERTO
DACOMO GIULIANO
DELLAFERRERA PAOLO
DOTTA PAOLO
DRAGO ALBERTO
FERRERO PAOLO
FLORA MARINA
FLORI ERNESTINO
FLORI ROBERTO
PERNO GIOVANNA
PORTA SERGIO
RAPALINO FLAVIO
TERZOLO MAURIZIO
VOLA FRATELLI
VOLA ROBERTO
ZUNINO SILVANA
Leggi