29 Mar 2024
Suggestioni di Vino

Francesco De Angelis. L’ingegnere dell’Asprinio

Ci sono territori che rimangono dentro di noi per svariati motivi. Possono anche non essere eccelsi, ma, per qualche recondito motivo, sono in noi con un misto di nostalgia e felicità. 

La zona del casertano è nella mia mente e nel mio cuore perché li c’erano i miei nonni materni. Un piccolo paese, Camigliano: grande per un bambino piccolo, piccolo per un bambino grande. 

Li ho trascorso le estati, le feste, i fine settimana. Li nonno Antonio mi portava in campagna a sentire gli odori. 

Il dialetto, l’intercalare della parlata. I sorrisi e i discorsi delle meravigliose persone di quelle zone.

Ogni cosa è dentro di me. 

Sarà per questo, anche per questo che quando incontro Francesco De Angelis, ingegnere e vignaiolo, mi sembra di ripiombare indietro nel tempo. La sua parlata, dove vive, come si pone. Tutto sa del mio passato. Ne rimango affascinato ed è bello che sia così.

Siamo a Casal di Principe, un luogo che deve purtroppo la sua notorietà a questioni legate alla Camorra. Mio zio Pasquale, avvocato del Foro di Santa Maria Capua Vetere, mi portava qui narrandomi da un lato storie di Camorra, dall’altro di quanto le persone fossero in realtà persone per bene. Luoghi che sembrano non offrire nulla ma che in realtà hanno rappresentato negli anni la culla dell’agricoltura campana. 

Le persone che ho incontrato da piccolo e adesso, sono uniche e splendide. Tutte legate dalla grande capacità di amare questo territorio fin nel midollo.

Zio Pasquale studiava la storia. Andava a fondo animato da profonda curiosità. Cercava, proprio nella storia, le origini del territorio che viveva. La grande fertilità, i meravigliosi prodotti, avevano sicuramente fatto gola ai nobili di un tempo.

I terreni di Casal di Principe, fanno parte dell’Agro Aversano la cui enorme fertilità è il risultato delle attività vulcaniche di Rocca Monfina e dei Campi Flegrei. Il primo con la sua ultima attività oltre 50.000 anni fa, il secondo ancora attivo. Minerali e, appunto, tanta fertilità dovute anche all’essere state zone paludose bonificate durante durante il fascismo.

Fertili terre abbandonate per concentrarsi maggiormente sulla cantieristica e l’allevamento delle bufale (producendo tra l’altro una meravigliosa mozzarella!).

Il vitigno di questo luogo è un vitigno vigoroso. Così vigoroso che si sviluppa in altezza con le alberate che raggiungono i venti metri di altezza. L’Asprinio è così. Si sviluppa in altezza per la sua capacità di crescere e produrre. Gli anziani lo legavano ai pioppi o lo appoggiavano alle mure di cinta creando la “maritata”, lo sposalizio. 

Un tempo l’abbondanza era grande cosa. Una pianta che produce anche 100 kg di uva non poteva che risultare affascinante. Anche se poi arrampicarsi sulle scale di legno per portare giù quei grandi grappoli non era cosa per tutti. 

Il vino che se ne ricava, l’Asprinio è un vino secco. Così secco che Mario Soldati scriveva “Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno”. Secco e di grande impatto di abbinamento.

Troppo difficile però coltivare un vitigno come l’Asprinio nella sua accezione antica. Solo il doversi arrampicare come ragni su quelle pericolanti scale avrebbe scoraggiato chiunque. Anche il papà di Francesco che sulle terre di famiglia si accontentò di coltivare le mele Annurche, la pesca Puteolana, i pomodori. Ma non il vigneto. Troppo difficile. 

Francesco si trova anni fa a capire cosa farne dei tre ettari del terreno di famiglia. Ne parla con un amico, anzi, come dice lui, un parente, agronomo. 

Parlando con un parente agronomo mi disse “ma perché non metti un vigneto?” Mi ricordai di quando ero piccolo che avevo questo scalone per raccogliere le uve. L’Asprinio. Le scale le appoggiavamo al muro. Nonno poi mi facevo pigiare l’uva.

Francesco è per prima cosa un ingegnere e io, da ingegnere, so come ragiona un ingegnere. Per lui, fare una vigna come si faceva un tempo e produrre un vino come fanno tutti, non gli passa manco per la capa (come direbbero qui). Un ingegnere ha la testa che gli frulla come un mulino a vento e ha in mente solo due cose: innovazione e qualità. Non si scappa. Non si possono fare cose che non siano di qualità come non si possono fare cose vecchie o meglio, allo stesso modo di come si sono sempre fatte. Fino ad un certo punto o meglio coniugando le cose di un tempo con la tecnologia moderna. 

Lo faccio ma con il mio modo di vedere le cose. Tecnico tra virgolette. Faccio un impianto ex novo a spalliera e biologico. Anche prima era biologico perché i nonni utilizzavano solo zolfo e rame. In più come mio nonno non usava i concimi io non li uso. O sovescio o Bioma.

Asprinio con impianto a spalliera? Sembra, almeno per queste zone, una bestemmia. Ma vallo a contestare ad un ingegnere che prima di cominciare la sua attività di vignaiolo ha usato il metodo ingegneristico: studio, sperimentazione, documentazione, confronto. 

Studia tutto ciò che trova da studiare documentandosi senza limite. Si confronta con agronomi ed enologi. Sperimenta quanto sperimentabile!

Ho studiato. C’erano dei corsi della regione Campania. Chiedevo consigli ad un amico enologo ed agronomo appassionato di biologico. Le terre c’erano ma prima dovevo capire come partire. Da noi la spalliera non è un tipico impianto. C’è l’alberata ma è difficile. Mi sono studiato i sistemi a spalliera e ho individuato quale potesse andar bene. Ho impiantato la barbatelle scegliendo le gemme con una ricerca tra le varie tipologia di asprinio. Mi servivano i paletti in acciaio per la spalliera ma qui non ci sono nemmeno sistemi per impiantare i paletti. Ho dovuto prendere una impresa che impianta i paletti sull’autostrada. Insomma ho coniugato le capacità del territorio con quello che mi serviva. Insomma, ho fatto la scelta di tutto da ingegnere. Sono partito da solo con un agronomo che suggeriva. I primi anni con grande difficoltà perché senza esperienze. L’esperienza ce l’aveva il nonno. 

Un ingegnere si annoia a fare le cose allo stesso modo o le solite cose. Fare una cosa ex novo non era nelle sue corde. Impossibile solo a pensarlo. Ma anche insolito. 

Ora, immaginatevi la scena. Francesco che è nella sua vigna in costruzione con tanto di paletti in acciaio e le persone del luogo che passando non potevano che pensare quanto fosse insolita e insensata la sua idea. 

Ingegnè ma chi to fa fa. ..mi prendevano in giro. Però i consigli sono serviti e le piante sono cresciute con l’uva bellissima. Quelli che mi prendevano in giro si fermavano “ingegnè hai fatto una bella uva”. Una bella soddisfazione. 

Se anche gli anziani del luogo davano il proprio consenso, allora non si poteva che essere sulla strada giusta. 

La campagna, la vigna. Si per Francesco sono importanti. Salire sul trattore come saliva da bambino è per lui una felicità immensa. Uno svago, un modo per evadere. 

L’attività professionale è da libero professionista. Oggi cuba abbastanza ma le tempistiche mi permettono di muovermi. Le lavorazioni in campagna si fanno molto presto. La sera dopo le 20 nel periodo estivo o sabato e domenica. Ricordo da bambino quando giocavo sul trattore. Quando ci salgo sopra ritorno bambino. La manualità non è solo quella dei tasti del computer. È quella della vigna della etichetta.

Ma non è la campagna la vera passione di Francesco. Sentendolo parlare ci si accorge di quanto sia attento allo studio e alla sperimentazione vera e propria. Il suo mondo è la cantina. Qui può sperimentare e capire. Non con l’ambizione di “creare” qualcosa ma di modernizzare quello che si faceva un tempo. 

Volevo solo l’Asprinio. Non faccio solo il vino. O meglio faccio il vino fermo e frizzante, tre tipi di spumante, la grappa, sto cercando di fare un brandy. Ho ancora altre idee. Cerco di trasformarlo in tutti i modi che mi vengono in mente. A me piace molto la storia che c’è dietro. 

La storia appunto. Come quella che ha ispirato Terzo Farnese prendendo il nome da Papa Paolo III Farnese che nel 1585 si recò a Napoli per una delle sue visita. Ora, Paolo III era un cultore del buon cibo tanto da avere e portarsi dietro un cuoco, tale Bartolomeo Scappi. Allo stesso modo era un cultore del buon bere. Il suo bottigliere personale, Sante Lancerio aveva il compito di scegliere una bottiglia di vino per ogni ora del giorno, per ogni mese, per ogni anno. Portando delle motivazioni al Santo Padre. Non è dato sapere se fosse sempre lucido. Di certo, apprezzava e comprendeva il buon vino. Sante Lancerio, proprio nel viaggio a Napoli, gli propose una bottiglia di Asprinio proveniente da una fresca di grotta dell’Agro Aversano. 

Ora, se pensiamo che a quel tempo i vini potessero essere come quelli odierni, sbagliamo di grosso. Per forza doveva ad esempio essere non filtrato e per forza doveva essere frizzante: non potevano certo governare il processo di fermentazione. 

Così è quindi Terzo Farnese. Ha il sapore del vino con della storia dentro.

Sempre ricordando la storia ho fatto Nobir che è una piccola bottiglia con un prodotto frizzante non filtrato.

Nobir è un omaggio alla “foglietta” ovvero alla misura di mezzo litro introdotta da Papa Sisto V nel 1588: al fine di porre fine alle frodi degli osti romani, ordinò di sostituire le brocche in coccio (che finiranno tutte a generare il Monte dei Cocci a Testaccio) con quelle di vetro in misure determinate. Tra queste proprio la foglietta (in romanesco “fojetta”. 

A Napoli si beveva l’Asprinio e le signore bevevano la foglietta. 

Nobir è un mezzo litro di vino Asprinio.

Sono curioso perché leggo tanto. Mi chiedo se questa cosa si può fare, mi interfaccio con il cantiniere e l’enologo e chiedo se si può fare. Così faccio. L’enologo si diverte perché sperimentiamo. A me piace uscire dai canoni attuali. Volevo ad esempio avere uno spumante ancestrale come quello dei nostri nonni ovvero ottenuto da una unica fermentazione. Così ho bloccato la fermentazione mentre diventava vino. Ho travasato tutto in una bottiglia lasciando completare la fermentazione. Poi sboccato come se fosse un metodo classico al fine di togliere quasi tutte le fecce. Il risultato è un prodotto senza zuccheri aggiunti e senza solfiti aggiunti: ha una specificità e la storia. Senza cattivi odori.

I volumi sono pochi e non può che essere cosi. Tre ettari garantirebbero anche rese molto interessanti in un territorio del genere. Ma Francesco ha in mente solo la qualità. 

I tre ettari sono tutti vitati ma con Guyot c’è si qualità ma meno produzione. Questa pianta è forte perché da uva fino a 15 metri di altezza e ne può produrre anche un quintale per pianta. Io ne faccio fare circa 4 kg. Questo influenza molto la qualità del prodotto. I territori sono ricchi di sali minerali perché siamo in una ex pianura alluvionale con i vulcani di Rocca Monfina e del Vesuvio. L’alta concentrazione di sali minerali si concentrano nei pochi chicchi. È possibile che nelle bottiglie si trovino ad esempio cristalli di calcio e potassio. La concentrazione è talmente alta che per toglierli dovrei fare tante filtrazioni. La mia idea è di ottenere un prodotto che rispecchi l’Asprinio di una volta con la tecnologia che abbiamo adesso. 

7 sono i prodotti realizzati anche se Francesco ne ha in mente molti di più. 

  • Cisavolpe, metodo ancestrale (3000 bottiglie);
  • Terzo Farnese (3000 bottiglie)
  • Nobir (3000 bottiglie)
  • Primo, Asprinio fermo (1300 bottiglie)
  • DEA, Spumante Charmat (2300 bottiglie di uno spuntante non canonico già da colore); 
  • Metodo classico Mattia (dal nome del papà per 1000/1500 bottiglie).

Con questi volumi, fare l’investimento della cantina non sarebbe stato possibile. Ecco che Francesco si serve di una cantina limitrofa per vinificare. Cantina alla quale va tutta la mia comprensione per riuscire a star dietro un vulcanico pensatore come Francesco!

A 300 metri da casa mia c’è una cantina sociale che ha i mezzi e lavoro solo le mie uve. Faccio li tutti gli esperimenti. Faccio dei prodotti che sono in controtendenza. 

Per tutti i vini la pressatura è soffice a una atmosfera grazie ai macchinari. Questa è la tecnologia. Nel passato il torchio andava ben oltre le 100 atmosfere (anche 400!). Una bella differenza.

Il pressato diventa di un colore arancione. Sembra un orange, un macerato. Già li perdiamo prodotto. Prendiamo solo il fiore. Otteniamo pochissime bottiglie cosi che con la qualità posso competere. Il massimo della qualità. Così è il mio prodotto. In alcune bottiglie non c’è solfito. Nel Terzo Farnese siamo sotto i 10mg litro cosa che potremmo scrivere “senza solfiti”. Prodotto dal sapore riconoscibile. Quello è asprinio De Angelis. 

In effetti, avendo assaggiato anche altri Asprinio, la differenza è evidente proprio a partire dalla colorazione. Gli odori vengono fuori ancorché l’Asprinio non abbia particolari sentori. Quello di Francesco ha una sapidità spaziale. In bocca l’alcol sembra non esserci grazie alla sapidità. La tipologia di prodotti è cosi particolare ed identitaria che il primo sorso non è sufficiente per apprezzarli. Il secondo però comporta il non potersi più fermarsi per via di una pazzesca fruibilità . Sono vini da pasto poiché la grande freschezza necessita di un abbinamento che, qualora corretto (pesce in frittura, frittura in generale, formaggi freschi, mozzarella di bufala, pizza base bianca), fornisce una pulizia del palato unica nel suo genere. 

Mattia è una esperienza. Un Asprinio che non ti aspetti. Eppure la generosa spalla si presta benissimo alla spumantizzazione. Un metodo classico che mi ha stregato già da quel colore intenso e vivo come se fosse un macerato (ma il contatto con le bucce nemmeno lo ha visto). I sentori di albicocca, pesca e mandarino spiccano anche se ingannano per la loro freschezza e semplicità. In bocca infatti Mattia da il meglio di se e degli altri con una pazzesca mineralità dunque sapidità. Il gusto che ricorda la albicocca disidratata e mandarino si uniscono alla proverbiale freschezza dell’Asprinio ma con un perfetto bilanciamento. Perlage finissimo grazie ai 30 mesi di affinamento: in bottiglia!! Finale fantastico e persistenza lunga ne fanno un prodotto che ho sposato con vari tipi di pizza. Un vero matrimonio ben riuscito.

Dal punto di vista commerciale ho un amico, parlo sempre di amici, che mi cura l’etichetta e un pò di sponsorizzazioni su vari canali. Poi c’è il passaparola. Sono arrivato anche sulle Alpi. Un signore mi ha inviato una foto del mio primo spumante che non si chiamava DEA ma Francesco De Angelis del 2019 bevuta adesso. Mi ha chiamato perché gli era piaciuto tantissimo. Ne ha volute quattro casse. Ne era rimasto colpito. Vorrei piazzare i miei prodotti subito ma senza incrementare le bottiglie. Non voglio diventare industriale ma rimanere artigianale. 

Questo è Francesco De Angelis e la sua Asprinio De Angelis. Una persona schietta, divertente, viva. Una di quelle persone con le quali zio Pasquale si sarebbe messo a parlare di storia bevendo un bicchiere di Asprinio. È un pò quello che ho fatto io, con tutto il cuore, con Francesco.

Perché qui le persone sono come lui. Sembra che ci si conosca da sempre.

L’Asprinio di Francesco è come lui: vero e unico, ma non per tutti.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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