12 Mag 2023
Suggestioni di Vino

Giovannino Pusceddu e la sua Sardegna

Giovannino Pusceddu e la sua Sardegna

Cannonau e Vermentino. Vermentino e Cannonau. Non è che si va molto più lontano di così se si vuole identificare la Sardegna nel mondo del vino. Almeno per i più.

Parlare di altri vitigni della Sardegna è come dire ad un turista che in Sardegna c’è altro oltre il mare. Se non ci si ferma alla superficie, si può trovare molto di più in Sardegna. Anche oltre le spiagge.

Bosa ad esempio. È un paese in provincia di Oristano. Qui, i più esperti, sapranno citare la Malvasia. Di Bosa appunto.

Certo, c’è pure il Cannonau. Come privarsene in fondo. Se arriva un turista e gli proponi la Malvasia, probabilmente non la prende. Se non hai nemmeno il Cannonau, cosa vendi? Il Vermentino….

Bosa è sul mare ma a stretto ridosso delle colline che cadono proprio nel mare. Nell’entroterra ci sono pascoli e boschi. È in altura che si trovano erbette che forniscono al latte, dunque ai formaggi e alle carni, un sapore del tutto particolare.

Negli anni 50 la Granarolo mandava i camion in Sardegna e acquistava il latte da mio nonno. Poi i latifondi si sono frammentati, il prezzo del latte è crollato e il sistema si è sgretolato

Il nonno di Giovannino Pusceddu aveva parecchia terra destinata all’allevamento di bovini e ovini. Oliveti e qualche vigneto con produzione per consumo familiare. C’era il frantoio ma non la cantina. Così che il vino che eccedeva si vendeva sfuso. Come l’olio ovviamente. Non è che si poteva imbottigliare. Tanto il vino si beveva per quello che era.

Si coltivava il Pascale perché dava rese altissime grazie anche ai contadini che lo piantavano in zone prossime al fiume.

È un vitigno che fa 10 kg a pianta.

Peccato che dopo la produzione il vino non arrivasse a primavera inacidendosi precocemente senza che questo impedisse ai contadini di berselo lo stesso.

Era un alimento. Ad un cristiano gli davi una bottiglia di questo vino spunto, una cipolla, un panino e quello stava a zappare tutto il giorno.

Giovannino da sempre è affascinato dal vino. Così affascinato da aver conseguito una laurea in viticultura ed enologia. Una passione trasmessa dal nonno che, resosi conto che il settore dell’allevamento stava andando in declino, ebbe la pensata di piantare una vigna di 9 ettari di Malvasia e farsi una cantina. Peccato che alla sua morte il padre si sia occupato di altro e la vigna venisse divisa in famiglia.

Finiti gli studi Giovannino non rimane in Sardegna. Vuole, ha bisogno, di fare esperienza. Di toccare con mano. Di mettere in pratica gli studi. Visto però che è uno che non ha tanta voglia di aspettare ha una pensata.

Ho iniziato con l’idea di fare due vendemmie all’anno, una nell’emisfero nord, una in quello sud.

Si dice in genere siano necessarie 14 vendemmie per definirsi enologo.

Invece di metterci 14 anni ce ne metto 7

Come fai a non voler già bene ad una persona così?

Giovannino va Svizzera per poi tornare e continuare a studiare per diventare sommelier. Visto che deve continuare a fare le vendemmie altrimenti non si può definire enologo, parte per la Nuova Zelanda e l’Australia. Siamo nel 2016 e qui lavora come operaio in una grande cantina. Solo che il metro per definire “grande” in Australia è diverso da quello nostro.

In Australia si ragiona a tonnellate.

Quando Giovannino racconta dell’Australia ha gli occhi che gli brillano così che si capisce quanto sia appassionato e fiero. Fiero di una esperienza del genere. Unico italiano nella cantina, così l’inglese lo ha imparato bene. Ha anche imparato la pragmaticità degli australiani (che in fatto di vini sono decisamente ad un buon livello).

Nella worksheet la mattina leggo “aggiungere 3000 litri di acqua al tank n.18”. Era un modo per portare un vino da 18 gradi a 14: si aggiunge acqua. Per loro è normale. Una cosa che non fa male si fa e basta

Stava bene in Australia Giovannino. Imparava l’inglese. Guadagnava il giusto. Faceva il mestiere che gli piaceva fare. Imparava a diventare enologo. Insomma di tornare non è che gli andasse molto. Anche se poi arriva il momento nel quale uno un po’ di nostalgia per la sua terra la sente. Siamo nel 2016 e un pensiero nella testa di Giovannino inizia a frullare.

Se ritorno è per fare qualcosa.

Così parla con la sua famiglia.

Se valorizziamo il terreno, torno, apriamo una cantina e lavoriamo seriamente. Oppure rimango in giro per il mondo.

Alla fine apre la cantina Azienda Agricola Fratelli Pusceddu insieme alla sorella Ottavia. Per ripartire subito dopo. Perché le 14 (o 7 per due) vendemmie, le doveva pur completare.

Siamo io e mia sorella. Io ho fatto enologia lei tecnologia agroalimentari. Per il momento si è occupata di burocrazia perché stava studiando. Avevamo un operaio che tralasciamo ci ha creato tanti problemi e se ne è andato. Per adesso faccio tutto da solo.

Imbottigliano il primo vino nel 2017. Non avendo tutte le attrezzature, porta l’uva nella azienda di Sassari dove lavora Giovannino. Nel 2018, gli investimenti e finalmente la prima annata viene imbottigliata in proprio. Due soli vini. Particolari. Ma solo due.

Ecco, qui c’è tutta l’intelligenza e il pragmatismo di Giovannino. Se hai pochi ettari, tra l’altro con rese davvero basse (la Malvasia qui arriva a 30/40 quintali per ettaro) e vuoi in qualche modo affermarti, devi avere la quantità oltre che la qualità. Fare più di due etichette vuol dire disperdere.

L’etichetta del rosso Temo è identificativa del territorio ma ha dello strano: c’è un fossile di conchiglia stilizzato. Il terreno intorno a Bosa è calcareo anche se c’è un po’ di argilla. Un calcareo ricchissimo di fossili.

I fossili vengono fuori dal terreno. Mi creano problemi perché sono come dei sassi. Li usiamo per i muri a secco dei terrazzamenti. Non durevoli nel tempo perché sono si sgretolano.

La disgregazione non è solo dei fossili ma anche dei terreni del nonno. Non rimane molto di quello che era. C’è un mezzo ettaro in campagna dove vivono i genitori. C’è un ulteriore ettaro ereditato dalla nonna.

Ho ereditato dalla nonna materna un ettaro di Malvasia di Bosa in una zona che può essere considerata la grand cru della Malvasia.

Peccato che la vigna, con meravigliose piante di 40 anni, produceva a mezzo servizio. Troppo poco per essere sostenibile. A malincuore, non rimase che buttare giù tutte le piante e reimpiantare le barbatelle.

Infine un ulteriore ettaro e mezzo, piantato a uve a bacca rossa, derivato dalle terre del padre usate come uliveto e bosco. Un totale di 3 ettari e mezzo. In tre luoghi diversi.

Tre zone distanti pochi minuti di macchina che con il trattore diventano 25. Tre terreni che cambiano donando ricchezza e diversità alle varie cultivar.

Cannonau e Vermentino. Ricordate? Questo si produce in Sardegna. Ma qui siamo a Bosa. Dunque c’è la Malvasia. Poi c’è la vigna di rosso. Ma che rosso?

Sembra arzigogolato, ma ricordiamoci che Giovannino è pragmatico. Oltre che enologo (le ha fatte alla fine le 14 (o 7 per due vendemmie).

Un enologo pragmatico nonché proprietario (insieme alla sorella Ottavia) di una azienda, sa che poi il vino lo deve vendere. Oltre ad essere buono, il vino deve essere vendibile.

Le pensa tutte Giovannino. Così che gli vengono in mente due vini interessanti.

Un bianco come blend tra Vermentino e Malvasia. Un rosso che lui non ha timore nel definire “taglio bordolese sardo” poiché blend di Cannonau, Sangiovese e Cabernet Sauvignon.

Se qualcuno pensa che ciò sia frutto di un vezzo, si sbaglia di grosso. Giovannino ha fatto sua l’esperienza certo ma ha perfettamente capito come la distinzione passi per qualcosa di identitario e speciale.

Creare un blend di Malvasia e Vermentino vuol dire offrire a questo, stra noto in Sardegna, una nota insolita. Oltre che massimizzare la bassa produzione di Malvasia.

Dove ci sono le viti di Malvasia è sì calcareo ma molto argilloso. Va gestito in base alle piagge. La Malvasia si raccoglie ad ottobre ma dipende dal tempo con il risultato che è quasi un passito.

Per il rosso, inserire Sangiovese e Cabernet nel Cannonau, vuol dire arricchire il vino sardo fornendo struttura e longevità. Oltre che colore.

Giovannino sa il fatto suo. Ama la sua terra e ama parlarne. Così come è meraviglioso quando parla delle sue piante. Delle sue terre. Essere sardo per Giovannino è esistenziale analogamente all’essere enologo. Le due cose si fondono perfettamente quando parliamo della potatura che lui dice di fare tardivamente perché evita le gelate (così non la stimoli e rimane dormiente il più possibile).

C’è un detto in Sardegna. Te lo dico prima in sardo poi in italiano. Arbili at mortu sa mama a fritu. Aprile ha ucciso la madre con il freddo. Ogni anno qui succede qualcosa. Sono arrivate anche le cavallette. Ora ci manca Mosè

Che mito Giovannino. Fa tutto da solo. In vigna e in cantina. Fa il vignaiolo e l’enologo. Fa il contadino e il cantiniere. Non si abbatte mai Giovannino. Tanto che per non farsi mancare nulla ha pure aperto un ristornate con un amico.

Ho preso in gestione un ristorante con un altro socio. Piuttosto che avere una piccola enoteca prendo un ristorante e faccio conoscere i miei vini. Bosa è turistica. Così le persone che lo assaggiano mi contattano. Si è passato ad un bere di qualità e io voglio spostare il consumatore dalle classiche due taniche da cinque litri ad una cassa di bottiglia. Un po’ di sfuso lo vendo per il cash. Fa pagare le bollette

Insomma, Giovannino è uno che ci sa fare. Scelte ben precise con uno scopo ben preciso. Senza poi tralasciare una nota di tenerezza.

Se non ci fosse la mia compagna mi sentirei da solo in campagna.

Assaggiamo per prima il bianco Alvu, con Malvasia (10%) in blend con il Vermentino (90%) con solo acciaio. Il pulitissimo giallo paglierino che ho nel calice sta virando verso il dorato. Colore già proprio del riflesso.

Volevo fare qualcosa di diverso. A fare il Vermentino di Gallura sono buoni tutti. Volevo dare una firma locale e ho aggiunto la Malvasia.

È un naso da Malvasia con sentori salini. Sapidità. Iodio. Viene bene La frutta viene fuori bene.

Ho cercato di lavorare con una peristaltica riuscendo a trattare con i guanti il vino. È una cosa viva e va trattato come una donna. Ho acquistato una candeletta e qualunque movimento è fatto con azoto. Fare un lavaggio con azoto lo pulisce evitando di usare rame.

Ecco, questo è Giovannino. Si certo, sta parlando con una persona che ne capisce. Ma la sua naturalezza nel dire queste cose, nell’affrontare la tecnica del vino, è meravigliosa. È padrone della materia e ne parla come se stesse al bar. Un grande!

I sentori comunque di questo Alvu sono pulitissimi. La pera, i fiori bianchi di camomilla emergono in maniera distinta. Semplici, puliti, identificativi.

In bocca torna a pieno la pera sentita prima al naso. È una pera Smith. C’è la sapidità oltre alla dolcezza della pera con un finale lievemente amarognolo dato dalla Malvasia. È una coda che arriva con la deglutizione scomparendo immediatamente a causa della sapidità. La sensazione che ne deriva è piacevole perché quando l’amaro sta per arrivare, scompare in un gioco che c’è piacere a ripetere. Persistente, secco e caldo. Un calore però che non si percepisce nel pieno dei suoi 14 gradi

Non riesco a fare di meno però non li senti. Sono riuscito a bilanciare tutto.

È un vino un corposo. Sì sottile ma che poi si allarga grazie alla dolcezza della pera. Quest’ultima, unita alla secchezza, limitano la sensazione di calore. È un vino beverino che rischi di sentire dopo. Da abbinare con un pesce al sale. Per la pasta userei solo crostacei.

Poi ecco Temo (nome che deriva dal fiume, navigabile, che attraversa Bosa), il rosso del 2021 per il 70% Cannonau dunque già pronto di suo. Grazie al Cabernet il colore è un rosso rubino acceso. 6 mesi di barrique di secondo/terzo passaggio, acciaio e vetro (la recensione sul mio blog Instagram)

Mi sono trovato costretto a fargli fare la barrique perché Sangiovese e Cabernet vanno domati. Il cannonau va in bottiglia perché te lo bevi tranquillamente. Gli altri hanno tannini verdi che devono polimerizzare.

Bella pulizia, indicativa di un ottimo lavoro in cantina. Le note che emergono al naso sono dolci di frutta matura, spezie come chiodi di garofano, vaniglia, tabacco dolce, fiori quasi in potpurry. Non può mancare la violetta del Sangiovese. Sottobosco ed ematico chiudono un bel bouquet che avrà tempo per evolversi in bottiglia. È infatti un vino giovane nonostante la rotondità dei sentori merito del legno.

Tra alcolicità e acidità, dieci anni di bottiglia gli fanno un baffo.

È vero che deve evolversi ma in bocca tornano i frutti. È caldo, secco, sapido. La freschezza ed il tannino ci sono. Così come la importante persistenza. Avrà sicuramente una evoluzione ma è pronto adesso tanto che risulta molto piacevole da bere, meglio se accompagnato. Sarebbe utile prendere più bottiglie per apprezzare le diverse per le annate e la loro evoluzione.

Quando ti trovi dinanzi una persona giovane come Giovannino Pusceddu, non puoi che avere speranza per il futuro. Passione, forza, determinazione, voglia di emergere. Unita all’amore per la propria terra e per il proprio duro lavoro. Una durezza che non spaventa anzi appaga. Così come appagano tutti i singoli risultati che ottiene insieme ad Ottavia.

Se si dice che per diventare enologi servano 14 vendemmie (7 anni per Giovannino tra i vari continenti) allora io auguro a Giovannino cento di queste vendemmie. Te, le meriti. Ve le meritate tutte.

Ivan Vellucci

Mi trovi su instagram : @ivan_1969