07 Ott 2022
Suggestioni di Vino

Inama: identità e sperimentazione. La nuova faccia del Soave

Sono reduce da una serata in una cantina sfarzosa del Soave. Di quelle molto sbrilluccicanti con il caveu fatto da barrique esposte in bella vista. C’è stata la visita guidata (ero ad una riunione di lavoro) e mi è sembrato di essere in un documentario. Ogni cosa a suo posto. Così troppo a posto tanto che quando ho assaggiato il vino ho capito. Meglio non aver capito mi dico.

Inama vingeti soave
Ecco, con questo spirito la mattina mi reco in una cantina di Soave trovata per caso. Inama. “Se mi portano a fare un giro nel caveau, giuro che me ne vado” dico a me stesso. Per fortuna, quando arrivo con la mia auto, capisco subito che sono in un posto diverso. Vero.

 Mi accoglie Luca Inama, terzo figlio della terza generazione di vignaioli in quel di Soave. È un po’ diffidente o semplicemente è veneto e per sciogliersi deve sapere chi ha dinanzi. Comprensibile. Ciò che mi piace è che è in abiti da lavoro. Sono nel posto giusto!

La prima cosa che fa è prendere una specie di opuscolo della cantina: non il solito opuscolo con i vini e le loro caratteristiche, ma una cartina geografica dove ci sono tutte le vigne Inama dislocate nel territorio.

Davvero interessante e particolare. Ciò che balza più agli occhi è che Soave non è il centro del loro mondo. Si, certo, Luca ci tiene a ricordare che tutto è partito da li. Da quei colli di natura vulcanica che videro suo nonno Giuseppe, partito dalla Val di Non con una specializzazione in enologia, impegnarsi nelle cantine della zona fino poi a mettersi in proprio. Prima il nonno, poi il papà Stefano, poi il fratello Matteo, infine lui e il fratello Alessio.

famiglia Inama

Luca è orgoglioso della sua famiglia. È orgoglioso della sua terra. È orgoglioso di ciò che fa. E di come lo fa. Di come la cantina, che un po’ è anche sua, lavora e interpreta i vini.

Ecco, interpreta. Perché se c’è una cosa che contraddistingue Inama è proprio il modo di interpretare e sperimentare. Un modo che non accetta compromessi. Ne sconti. Rigore e capacità. Con un po’ di sana testardaggine tipica dei veneti.

La cartina che Luca mi mostra reca macchie rossiccie. Sono le vigne che lavorano. Certo c’è il Soave con il monte Foscarino. Ma ci soprattutto i monti Berici dove Carmenere e Merlot la fanno da padrone. Per Inama ovviamente perché i colli Berici hanno radici antiche e sono patria del Tai (anche se nella DOC è comunque previsto il Carmenere e il Merlot).

Noto come Luca abbia più propensione per i colli Berici. Mi racconta di come suo nonno sia rimasto stupito proprio dal Carmenere che sui colli Berici ha trovato il modo per sprigionare le note speziate. Un vitigno generalmente comprimario, mai solitario che però, se trattato bene e se ben impiantato, riesce a stupire. In fondo, penso io, il Carmenere ha dovuto difendersi dall’estinzione visto che i francesi di Bordeaux decisero di abbandonarlo per la sua scarsa produttività. Certo, forse Bordeaux non era il l’ideale. Bastava saperlo. O bastava portarlo sui colli Berici.

Inama

Luca e tutta la cantina credono molto in questo vitigno e non posso certo dargli torto! 

Facciamo il giro di rito. Non vedo, perché non ci sono strutture architettoniche predominanti: meno male!

C’è sostanza e la si vede da ogni macchinario presente. Da come il processo viene seguito passo dopo passo. Da come le rigide regole dettate dall’amore per la vite e dal rispetto di chi dovrà poi bere il vino sono applicate. La manualità si unisce alla meccanizzazione in un mix ponderato, ricercato, utile. Mai banale.

Luca ne parla con consapevolezza. Non sta recitando una parte. È lui stesso la parte. Ha solo trenta anni ma è come se stesse lì da sempre. Come se quella fosse stata la sua stanza dei giochi. Conosce ogni minimo dettaglio e vuole trasmetterlo. La passione si vede da come tocca i macchinari, le botti, i tini. Gli occhi gli brillano e il sorriso, ogni tanto, fa capolino. Quello è il suo di mondo.

Finiamo il giro e ci tiene a farmi assaggiare quelli che secondo lui sono i vini rappresentativi della cantina: Carbonare, Foscarino, Vulcaia, Bradisismo. Bei nomi penso.

 

vini Inama

 

 I primi tre sono bianchi: Carbonare e Foscarino da uve Garganega, Vulcaia da Sauvignon blanc. Prodotti sulle colline del Foscarino, sono davvero delle meravigliose interpretazioni del Soave: si va dalla semplicità del Carbonare al Foscarino che passa in botte; sperimentazione anticonvenzionale (per queste zone) del Sauvignon per il Vulcaia. 

 Ciò che mi piace di più del Carbonare è la freschezza e sapidità non banale. Molto verticale, diretto. Una lama che ti conquista. Foscarino invece è più ampio, complesso, aristocratico con la frutta tropicale e i fior con il finale mandorlato ma mai invasivo e fastidioso. Occorre aspettarlo ed abbinarlo bene perché impegnativo. Vulcaia ti conquista ancor di più per la sapidità spinta e la complessità dei sentori tropicali, la lunga persistenza. La mineralità dei colli del Soave c’è tutta, esaltata, spinta. 

Bel biglietto da visita davvero.

Bradisismo è il finale. Un rosso da Carmenere e Cabernet Franc coltivato in quel di Lonigo, sui colli Berici. Intenso, profumato di spezie. Croccante e voluminoso senza stancare. Ampio e di gran respiro. Ma diretto. Preciso. Un gran vino che deriva da vera sperimentazione del territorio con le contaminazioni bordolesi tanto amate dalla cantina. Identitario ma soprattutto pieno di voglia di innovare.

 Penso sia ora di prendere del vino per portarlo con me ma Luca mi dice che dobbiamo necessariamente andare alla botte. Ormai è lanciatissimo e ci tiene farmi assaggiare quello che sarà il futuro dell’azienda. Non è un vino ancora pronto ma quando lo spilliamo ne capisco tutta la potenzialità. Il Carmenere qui si sente tutto. Gli aromi escono ancor di più e la verticalità di questo vino mi conquista. Non è piacione. Non è civettuolo. È sostanza. Quella sostanza che i veneti sanno dare senza vantarsene. Almeno con noi!

botte InamaMi è piaciuta Inama. Mi sono piaciuti i vini e la maniacalità delle scelte che parte dall’esposizione dei terreni, dagli impianti, dalle barbatelle per poi continuare in cantina. Nel rispetto del singolo acino. C’è amore qui e c’è tanta consapevolezza. Quasi arroganza tutta tipica dei veneti. Ma una arroganza positiva perché mai ostentata, mai portata sugli scudi. C’è sostanza in questa arroganza. C’è consapevolezza di quanto e di come si fa. C’è la voglia di confrontarsi con la modernità, con le migliori esperienza francesi. Me lo conferma Luca quando ci tiene a dirmi che non gli interessano le denominazioni, le etichette. Ma ciò che riescono a produrre.

Inama sperimenta e realizza prodotti che hanno una fisionomia ben precisa. Una identità che non rinnega le origini ma porta la sperimentazione e la contaminazione bordolese a distinguersi in un territorio che, spesso, non ha avuto la capacità di rendersi visibile al mondo. In un territorio dove i sacri mostri limitrofi in termini di qualità e storia (Amarone) e quantità (Prosecco) schiacciano tutto ciò che incontrano, distinguersi e sperimentare in maniera identitaria, forse, è davvero l’unica possibilità di crescere. 

Bravi!

Ivan Vellucci

@ivan_1969