22 Mar 2024
Suggestioni di Vino

Massimiliano De Juliis. I filari, l’amore

Quando è che siamo tutti uguali? Antonio De Curtis in arte Totò diceva che avveniva solo dinanzi alla morte. Nella sua meravigliosa ‘a livella riportava il dialogo tra Esposito Gennaro, netturbino e il nobile Marchese

Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;
Ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale”

Si, difronte alla morte siamo tutti uguali. Ma non solo. 

Per essere meno macabri si potrebbe affermare che dinanzi alla giustizia dovremmo esserlo. Ma caliamo un velo pietoso. Meglio soprassedere.

Di certo quando siamo nudi poiché nulla di più del nostro corpo abbiamo. Si potrebbe obiettare, non sbagliando, che il corpo di un nobile o di un ricco sia più curato di quello di un povero.

In campagna. In campagna, con una zappa in mano sotto il sole. Li si è uguali. Il sudore è lo stesso, i calli alle mani sono gli stessi: la natura non fa distinzione di sesso, età, religione, stato sociale.

È la dura vita del contadino. Sia che lo si interpreti per vivere sia per gestire un hobby. L’unica vera differenza può essere il livello di callosità nelle mani o i solchi lungo in viso (come una specie si sorriso cantava De Andrè).

Non c’è in questa storia un nobile ne tantomeno una persona ricca. C’è però Massimiliano De Juliis che nella vita ha due passioni, la vigna e la politica. 

Ora, per qualunque schieramento politico si possa fare il tifo (e uso di proposito la parola “tifo” perché in Italia non c’è mai un serio ragionamento politico quanto un semplice schieramento nemmeno fossimo al tempo dei Guelfi e dei Ghibellini), l’impegno politico è una vera passione. Specialmente se la fai in Regione o, come Massimiliano, nel Comune di Roma, al IX Municipio dove Massimiliano è Consigliere dal 2008. 

Parlando con Massimiliano, Max, mi è venuta in mente questa cosa dell’uguaglianza perché spesso si fa confusione tra l’aspetto pubblico di una persona con quello privato. Anche un Consigliere comunale così come un Presidente della Repubblica, possono avere delle passioni che li portano ad essere persone come tutti gli altri. Anche se non te lo aspetti. 

Si, certo, qualcuno mi dirà che un Consigliere di Circoscrizione non è che sia una carica importante. Vero ma l’impegno politico non si misura con le cariche, semmai con la passione, dunque il tempo che dedichi. Come in tutte le cose. Come nella vigna.

È la prima volta che mi racconto. Quando parlo di me e di questa cosa, lo faccio con una certa emozione perché è diventato un sogno dunque mi rendo conto che è realtà.

Ho conosciuto Max per caso durante una mia degustazione. Ci ha tenuto a farmi assaggiare due suoi vini. Due creature che produce dalla sua vigna sulla via Ardeatina nel bel mezzo della campagna romana. Il luogo dove Max è vissuto. Dietro la sua casa, il vigneto è nato insieme a lui. Impiantato da papà Antonio, morto purtroppo troppo presto.

Papà morì prematuramente e mi sono trovato con quattro ettari e mezzo di vigneto. Non avevo capito di aver acquisito quel pò di conoscenza nel portare avanti la vigna. Io faccio tutt’altro per una grande azienda nel campo dell’energia.

Ora Max non me lo dice ma potrei giurarci che la vita lavorativa prima, politica dopo, lo abbia portato lontano da quel vigneto per parecchi anni. È successo anche a me con le terre di papà. Quando lui era in vita, pensava a tutto. Io, come i miei fratelli, andavamo per altri lidi. Poi però ti ritrovi drammaticamente e istantaneamente dinanzi ad una scelta: vendere o continuare. 

Max sceglie di continuare. I ricordi di lui con il papà tra quei filari non solo sono vivi, gli infondono coraggio. Ne serve tanto per rimettere a posto una vigna ormai stanca. 

Adesso sono in produzione mezzo ettaro del vigneto originario. Ne avevamo quattro e mezzo. Sono stati espiantati e il prossimo anno entrerà in produzione un altro ettaro tra Malvasia del Lazio e Ciliegiolo. Sono cresciuto insieme alle vigne anche se mio padre non ha mai spinto più di tanto per farmici avvicinare. Gli anni 70 andavano bene poi l’agricoltura nel Lazio non ha avuto un buon momento. Fatica e tanto lavoro non davano alcuna remunerazione. Anche papà faceva altro. 

Come in molte altre situazioni che ho incontrato nel mio percorso, quei meravigliosi ma crudeli mesi del lockdown hanno generato rinascite. Accanto alle tante morti di persone inermi, molte altre, chiuse nel noioso sicuro delle mura domestiche, hanno avuto la forza di inventarsi, reinventarsi, scoprirsi. 

Così Max che riprendendo i libri di agronomia ed enologia capisce che, alla fine, non è solo un hobby quello che ha per le mani. Semmai un vero e proprio amore. 

Quando sei in un vigneto e assisti, giorno dopo giorno, alla magia del susseguirsi del tempo fino ad arrivare alla vendemmia dunque alla cantina, non puoi non rimanerne fulgorato. 

La vigna è come la passione per le moto. Quando arriva aprile c’è la voglia di mettere il casco anche se la moto te la sei venduta.

Per quanto possa sembrare semplice, il paragone di Max è meravigliosamente vero. È una perla di saggezza che sembra uscita dalla voce di Oscar alias Carlo Verdone nel film Troppo forte. Lo dico davvero perché sono quelle frasi meravigliosamente semplici e schiette che ti aprono gli occhi verso qualcosa che è così. È dannatamente così.

L’azienda adesso è un lavori in corso. Ho fatto i nuovi impianti tra i quali il Ciliegiolo. Ce ne saranno ancora creando una diversificazione. In produzione mezzo ettaro. L’anno prossimo due e mezzo. Per mia scelta non supereremo i due ettari e mezzo vitati. Malvasia del Lazio con un pizzico di Vermentino. Adoro il Vermentino che ho scelto per cercare di dare una nota diversa e anche ovviare alle estati caldi. Volevo uno spunto in più. Ho scelto un clone che da acidità.

C’era poi un vecchio vigneto che per capire di cosa si trattasse ho fatto fare le analisi del dna in Friuli: cinque analisi su cinque hanno confermato essere il Ciliegiolo. Atipico perché creava molto colore. Macchiava il bicchiere. Ho reimpiantato lo stesso clone. In cantina ho delle bottiglie di 15 anni che hanno retto. Riparto da li e non vedo l’ora di cominciare a fare il rosso. Nelle annate migliori usavo una barrique. Tutto artigianale. Era un vino naturale vero.

D’altronde, se hai poca terra, sei solo e vuoi fare le cose per hobby, non è che vai ad utilizzare cose strane in vigna no? Max segue tutti i dettami dell’agricoltura biologica anche senza certificazione. Troppa burocrazia da seguire quando sei solo. 

Già, la burocrazia. Sembra quasi un contrappasso per uno che, con la politica, ci va a braccetto con la burocrazia. Contrappasso ancor più marcato per quello che concerne la realizzazione della cantina. 

Non voglio accedere a certi contributi. La cantina andava ristrutturata ma ci sono delle problematiche burocratiche. Nel giro di quattro cinque anni dovrei iniziare a fare la produzione artigianale solo nella mia cantina. Con giare di terracotta o cemento.

Quattro o cinque anni quando il tempo di realizzazione potrebbe essere materialmente di pochi mesi. Ecco, questa è l’Italia mi viene da pensare. Grande plauso a Max per non aver “sfruttato” nulla della sua posizione. Davvero encomiabile. Ma Max è così. Una persona seria. 

La vinificazione non può dunque, per il momento, che avvenire conto terzi. Anche se c’è sempre e solo Max a fare le cose. 

Non imbottigliavo. Da tre anni a questa parte invece imbottiglio. Vinifico conto terzi dove ho i miei recipienti e la mia botte. Questo finche non avrò finito la ristrutturazione. Faccio tutto io in cantina comunque. L’anfora me la assaggio ogni settimana. Adesso produco 1300 bottiglie di Castrum Leonis e 300 di Antonio. Ne ho comprato un’altra. Ora ne ho due una da 500 e una da 300 litri. L’annata non mi ha permesso di riempirle entrambe. 

Max mi ha donato la bottiglia 267 di Antonio e la 181 di Castrum Leonis.

Singolare la scelta dei nomi. Perché se è vero che Castrum Leonis è il nome di una torre sulla via Ardeatina in prossimità del Santuario del Divino Amore, Antonio, nome del papà di Max, nasce per caso. Non è proprio per caso che nascono le migliori cose?

Un omaggio al papà non può che essere meraviglioso.

“Stavo pensando di farmi aiutare per trovare un nome rappresentativo del territorio e l’artigianalità della produzione. Però parlando con un mio amico mentre ci bevevamo del vino mi sono detto: le viti le ha piantate lui, lui vinificava in cemento e affinava in cemento vetrificato, faceva macerazione delle bucce. Allora lo chiamo Antonio. Almeno rappresenta un territorio e lui.

Per Antonio Max ha scelto l’affinamento in anfora di terracotta. Macerazione per un mese, fermentazione spontanea, nessuna filtrazione. Una scelta davvero interessante per uve provenienti da vigne di oltre cinquanta anni, Scelta che ho particolarmente apprezzato. Sentori di mela cotogna, pesca, fiori di camomilla, miele, scorza di arancia, mandarino e alloro. Grande mineralità con la grafite (in fondo siamo ai piedi di un vulcano spento). In bocca si nota la spiccata mineralità e sapidità con la presenza del tannino che impone un abbinamento con qualcosa di consistente tipo una carne bianca (anche per la bassa persistenza). Un vino sul quale Max dovrà lavorarci ancora su ma è già buono cosi.

Le vigne ovviamente sono quelle di un tempo quando ci si metteva un pò quello che si trovava. Malvasia del Lazio, Malvasia Puntinata e Trebbiano. Tipici del Lazio in bianco. Oltre quel clone del Ciliegiolo che Max arriverà a produrre. 

Mi vedo sicuramente con i due bianchi. L’esperimento con l’Antonio lo sto migliorando perché avrebbe bisogno di una macerazione inferiore o un affinamento maggiore. Ma a me piace molto.

Poi un rosso o due. Se il vigneto torna ad produrre l’uva di prima, una parte la vorrò fare con un affinamento. Ma non legno piccolo perché altrimenti andrebbe a sovrastare i sentori primari tipici del Ciliegiolo. Una tipologia magari fuori moda. Ma quello mi piaceva. Ho un agronomo che mi è servito per partire che lavorava con Ruggero Mazzilli in toscana. Non voglio fare errori in vigna. Mi da una mano anche per leggere i dati. 

 
Arrivare a due ettari e mezzo non sarà semplice per Max. Specialmente se il tempo da dedicarci è oggettivamente poco. Diviso tra il suo lavoro e la politica. Oltre che la famiglia con la moglie e i due bambini. Gli amori sono quelli che non ti fanno stancare e che ti danno la carica per affrontare sempre le difficoltà. In politica si vince e si perde ma si continua imperterriti sopratutto se hai qualcosa da dire e voglia di fare. Un pò come nel vigneto dove una annata può devastarti ma occorre sempre essere pronti per la successiva. 

Nel vigneto, quando passeggio tra questi filari, trovo la pace che altrove non trovo. Sei tu, le piante, i vigneti che ti circondano dove riconosci la pianta che ha più difficoltà, quella che cresce più vigorosa. Sembra un racconto, ma quando nel vigneto ci stai tanto, specialmente se fai il biologico, ti accorgi di certe cose che con una agricoltura diversa o un maggior numero di ettari non ti accorgeresti. La trasformazione avviene dopo ma tutta la parte che implica l’ingresso nel vigneto indica che la nuova annata è cominciata. Tutto l’anno che ti porta alla vendemmia è qualcosa che impegna e ti meraviglia.

È la prima volta che Max si racconta e racconta la sua esperienza. Per quanto possa essere un politico abituato magari a parlare, è palese la sua emozione. Quella emozione che solo un amore riesce a darti. Stando da solo nel vigneto non puoi che pensare a tante cose ma, soprattutto, a curare ogni singola pianta perché possa stare bene. Quel che produrrà dipende anche, non solo, da questo amore. 

Già amore. Così visto che Max di amori ne ha due (oltre quelli per la sua famiglia), vigna e politica, quando gli chiedo se lascerebbe la vigna se dovesse arrivare ad avere cariche importanti, la sua risposta è di quelle vere ed emotive. 

La vigna assolutamente sta con me. La vigna e il vino con produzioni così piccole non le fai per guadagnare ma solo per amore. Se hai un amore non lo puoi lasciare. Dovrò trovare assolutamente il tempo eventualmente con l’aiuto di qualcuno professionalmente preparato e che condivida l’amore. Come Mario, la persone che fa il potatore e lo fa per passione. Quando sta in vigna, alle volte rimango con lui per ammirare la gestualità e la velocità. Sarebbe inimmaginabile per me lasciare la vigna. Una volta un mio amico mi ha visto tutto sporco dopo i rimontaggi e mi ha detto che sembrava che stessi facendo una pozione magica. È una pozione magica che nutre lo spirito ho risposto. 

Intanto Max continua a lavorare la sua vigna in attesa che possa mettere nella botte (grande) il Ciliegiolo oltre che a lavorare ancora su Antonio. Poi si vedrà.

Come si vedrà se ci sarà qualcuno dopo di lui che gli dedicherà un vino. Per adesso non è un problema e non ci si pensa. 

L’importante è aver messo (o rimesso) le radici. L’importante è esser riuscito a non gettare via la vigna di papà. 

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

Mi trovi su Instagram come @ivan_1969