05 Apr 2024
Suggestioni di Vino

Michele Petri. Tra i grandi Supertuscan, ci sarà il mio

Cosa facevo io a 25 anni? Ero a Torino a lavorare da mamma Fiat. Come ingegnere, ancorché aeronautico, lavorare per Fiat era un onore. Bellissimo periodo della mia vita. La prima esperienza lontano, l’addio a casa di mamma e papà, la grande città dove tutto è nuovo e bello, un lavoro fantastico, dei colleghi accomunati dagli stessi obiettivi. Insomma una vera figata. Anche perché andavo in giro a scoprire il mondo. Non solo Torino.
Il ragazzo che ero voleva conquistare il mondo. Aveva il carattere e la preparazione per farlo. Aveva l’energia e la voglia. Aveva soprattutto il tempo per farlo.

Michele Petri ha anche lui 25 anni e il suo obiettivo è quello di portare i suoi vini allo stesso livello di quelli più blasonati.

Vorrei arrivare che tra i grandi Supertuscan ci sia anche il mio. Per ora è un segreto. Non credo sia impossibile ma credo che la strada sia tanta. Guadagnare, vivere bene, avere una vita felice. Certo. Ma la soddisfazione lavorativa è pensare che c’è il Sassicaia, il Solaia, il Tignanello, l’Ornellaia e poi il mio. Questo mi scalda il cuore.

Sognare non costa nulla. Sognare è qualcosa che se manca rende la vita piatta e stanca. Il sogno invece arde dentro di noi e ci porta a lavorare per questo. In maniera forte e determinata. Senza patemi magari ma lottando per raggiungere un risultato. Senza questo cosa saremmo se non persone che affrontano l’oggi solo perché passi?

Michele ha solo 25 anni. Terzo di tre figli (Sofia e Pietro) è quello che si potrebbe definire figlio d’arte. Papà Alessandro è agronomo e prima di mettersi a fare il docente all’istituto agrario di Portoferraio è stato per oltre trent’anni il responsabile agronomo di Tenuta San Guido. Non “uno qualsiasi” insomma. Mamma Anna, agronoma pure lei, tiene in piedi la tenuta di famiglia, Azienda Agricola Lombardi Anna in quel di Suvereto (LI): 4 ettari e mezzo di vigna, 8 di uliveto, 4 di seminativo. Tanto per non farci mancare niente anche Sofia è agronoma e adesso cura l’uliveto.
Cosa può studiare uno che proviene da una famiglia del genere? Enologia ovvio!

La terra che lavoro io è di mia madre. Arrivata a lei dal nonno che l’aveva comprata ad un’asta giudiziaria. Nicolò Incisa della Rocchetta, il terzo genito di Mario chiese di impiantare dell’uva a casa nostra. “Abbiamo bisogno di uva per fare le difese. Te la pianteresti a casa tua?”
Mio padre era interessato. Più che del vino della vigna e della sua coltivazione. Si decise di piantarla. La vera colonna portante era mia madre che da sola coltivava tutto per tutto l’anno dedicato. Per me era una cosa eroica.

Con una famiglia così (solo Pietro ha scelto di fare altro, il musicista) non puoi che respirarla la vite ed il vino. Magari può non piacerti a tal punto che vuoi scappare. O puoi innamorartene perpetuamente così da far diventare l’amore, la tua stessa vita. E se fossero entrambe le cose?

Facevamo poca roba a livello di casa. 300/400 bottiglie. Mia zia ha 12 figli. A natale siamo in 50 e serviva il vino. Così mi sono appassionato alla vera enologia. Vedere l’uva nel tino, la fermentazione roboante che però da vita a qualcosa di elegante. Mi affascinò. In casa mia si è sempre parlato di vino e papà portava a casa anche vino dalla Francia. Anche se i princìpi a casa ci facevano stare sempre con i piedi per terra. I valori erano alti.

A 14 anni Michele non può che stare in cantina con il papà. Ve li immaginate padre e figlio a sperimentare, provare? Un modo per legare. Per creare un rapporto meraviglioso, quel legame padre-figlio che può diventare indissolubile. Michele, come tanti ragazzi nella sua stessa situazione, impara, si pervade di una cultura che diventa sua. E cresce.

Io spendo tanto in vino. Se trovo un Sassicaia me lo compro. Per fare un vino super devi assaggiare vini super altrimenti non hai in bocca il gusto di ciò che deve i creare.

L’intelligenza di Michele arriva a fargli capire che se vuole essere annoverato tra i grandi del vino deve prima conoscerli. Non si può e non si deve essere autoreferenziali. C’è bisogno di confrontarsi. Lavorando e lavorando tanto.

Il lavoro è un modo di unire le persone. Come toscani non andiamo sempre d’accordo ma la visione è la stessa. Fare un prodotto eccellente che rispetti le cose dette. Facciamo 6000 bottiglie e non vogliamo prendere in giro nessuno. Io mio occupo della parte di cantina e di commercializzazione. Faccio tutti i processi di cantina. Faccio le pubbliche relazioni. Poi manovalanza quando ce ne è bisogno. Siamo una cantina familiare. Bisogna fare le cose manuali. Forse non tutti capiscono cosa voglia dire lavorare in vigna ma quando entri in un vigneto e in fondo alla fila ti giri e vedi tutto sistemato pensi: questo l’ho fatto io. Ti stai prendendo cura di qualcosa. Questo è legato alle persone che usufruiranno del tuto prodotto. Questo è il bello.

Un ragazzo molto maturo per la sua età. Si racconta con un tono che sa di gioia nell’avere qualcuno cui poter raccontare di ciò che prova. Sa che quello che lo aspetta è un percorso lungo e faticoso. Ma ce la può fare. Ha il tempo e la voglia dalla sua.

Mamma ha 61 anni. È una vita che spero continui per poco. Se stai in ginocchio in vigna il fisico ti dice basta. Papà insegna all’agrario a Portoferraio. È un divulgatore per eccellenza. Non sa stare zitto. Deve cercare qualcosa dove la gente lo ascolta. Poi aiuta in cantina. La cosa che mi spaventa è che ha sempre dato molto spazio. Quando vado a chiedere un consiglio mi dice “fai te”. Questo fai te un pò me la fa fare sotto. Vuol dire sia “mi fido di te” sia “sei grande e la responsabilità” è tua. Ho fatto i miei errori, ho avuto le mie delusioni, ho detto basta questa cosa non la faccio più, rinuncio e punto a capo sono qui a combattere.

Michele fa il capo scout. Ha a che fare con ragazzi dagli undici ai sedici anni. Li, nella filosofia di di Robert Baden-Powel gli scout sono un posto dove non solo si può sbagliare, ma si deve. Perché nella vita in ogni luogo dove si sbaglia, c’è una conseguenza, cosa questa che non ti fa vivere serenamente. Come puoi imparare se c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti penalizza?

Negli scout ti si insegna a sbagliare. Anche se quando sbaglio mi lecco le ferite e riparto.

Michele ha imparato in poco tempo che in cantina il suo non deve essere una invasione ma una osservazione. Lasciar parlare il vino mettendosi da parte.

Quando c’è bisogno del mio intervento, intervengo. Se le barrique sono buone, i batonnage sono giusti, le proteine sono giuste, non c’è molto da fare. Aggiungere qualcosa vuol dire che non si è fatto un buon lavoro prima e non è il terroir che parla ma l’enologo.

Ammazza che maturità questo ragazzo di 25 anni. Non vuole scorciatoie ne le cerca. Perché non è con le scorciatoie che si arriva prima. Voler fare un vino di eccellenza non è una gara a tempo. È una competizione sulla lunga distanza. Più con se stessi che con il mondo intero. Anche se è questo che deve poi giudicarti.

Io ho filosofia di farmi da parte. Mi sento un dottore per il vino. Se il paziente sta bene non lo devo curare e lui va alla grande. Se sta male tocca intervenire perché stai facendo bene al vino e a le tue tasche. L’importante è che ci sia il terroir. Sono importanti le persone senza però che mettano la propria l’impronta. Dei custodi di ciò che ci è stato dato.

Alzo le mani dianzi ad un simile pensiero. Non è quello di un ragazzo di 25 anni. Non può essere. È davvero intenso. Intenso e incredibilmente vero. Ha in se quella consapevolezza che non è superbia. Il suo modo di parlare è di quelli entusiastici di un ragazzo di 25 anni. Modestia e tanta voglia di cimentarsi. Lavorando e sudando.
Michele capisce anche che lavorare solo nella sua azienda non gli fa bene. Ha bisogno di altro per crescere. Confrontarsi non basta. Deve e vuole imparare. Non fosse altro perché la teoria dell’Università necessita di un pò di sana pratica.

Mi sentivo un bambino sperso. L’unico modo che potevo fare era mettere le mani in pasta e capire come funziona. Mi sono così fatto sei mesi di esperienza alle Ripalte all’Elba. Uno dei soci è Piercarlo Meletti Cavallari che ha inventato il Grattamacco ed è uno dei fautori della doc Bolgheri. Poi sono andato da Casadei a Suvereto. Ho fatto il cantiniere. Stare accanto ad enologi importanti è stato importante perché mi sono reso conto che fare l’enologo professionista non è una cosa che mi interessa. Te pensa che nel mio anno eravamo in 70 e se ne sono laureati 30. Un enologo può tenere anche 60 cantine. Una jungla. È una vita che non mi appartiene. Non mi interessa risolvere i problemi alle cantine o mettere una mano per farli diventare buoni al pubblico. Io voglio fare buoni vini. Non oso dire grandi perché la strada è lunga.

Un padre importante nel mondo del vino. Una madre con tanta esperienza. Una sorella maggiore che potrebbe supportarlo. Invece Michele sceglie di andare a fare una esperienza fuori dall’azienda. Un misto di paura e voglia di crescere. Paura di non essere all’altezza della sua famiglia. Paura di fallire. Paura di non riuscire.
Andare all’Elba vuol dire lontano. L’isola mette il mare tra lui e casa. L’isola non consente di tornare quando si vuole.
Nonostante ciò, Michele deve tornare perché la responsabilità della cantina comunque è sua e solo sua.

Rientravo una volta a settimana dall’Elba e facevo i travasi. Ho cercato di stargli dietro il più possibile. Cosa è mancato? Il batonnage giornaliero. Piccole accortezze che forse danno una marcia in più. Non è stato particolarmente destabilizzante per il prodotto perché i miei genitori mi hanno dato una mano. Tenere mano ai travasi è complesso ma bello. Serve che sai le cose con cognizione di causa altrimenti devi seguire la scheda. Oppure puoi giocare sapendo le cose.

Un ragazzo come Michele è veramente da lodare. Ha fatto le sue scelte con uno scopo ben preciso in testa. La paura gli è rimasta e probabilmente gli rimarrà sempre. Ma ha dalla sua sani principi e dei genitori che hanno saputo instradarlo correttamente. Consentendogli di sbagliare e di decidere, da se, del proprio futuro.
Adesso è consapevole. Sa cosa succede. Ha capito che senza esperienza, ma anche senza studio, manca comunque qualcosa.

Adesso sono estremamente più pronto. Anche più sicuro di cosa devo fare. È stato un anno complesso perché lavorare dipendente vuol dire prendere pochi soldi. Sono ambizioso e voglio molto di più dalla mia vita. “Ma a me cosa piace?” mi sono iniziato a dire. Mettermi in gioco anche se sono un vero “cagasotto”. Ma ho voglia di sfidarmi. La risposta era a casa. Son fuggito da casa per sapere di più. Poi mi sono reso conto che il fallimento è solo una ripartenza. Me ne sono andato per paura. Ma anche per imparare. Se me ne fossi andato per imparare sarei andato vicino casa. All’Elba era più per scappare.

In questo la grande maturità di un ragazzo che di vendemmie dinanzi a se ne ha davvero tante da fare. Vendemmie così come tanto altro. Perché Michele sa che oltre a produrlo il vino, occorre anche venderlo. E li ha molto ma davvero molto da costruire.
Le idee comunque sul futuro sono chiare. Piccoli passi da compiere ma sicuramente chiari.

Il vigneto ha un anno meno di me, 24 anni. Andrebbe con calma espiantato e rifatto. La qualità che facciamo è ottima. Si potrebbe far di più ma abbiamo paura che non porti bene a maturazione l’uva. Ci sono poi altri 4 o cinque ettari da piantare. Che pianteremo alla grande. Piano piano. Siamo tutti molto bravi a livello tecnico ma a livello commerciale siamo disastrosi. Abbiamo ripiantato 2.5 ettari di Cabernet Sauvignon che entra in produzione quest’anno. Poi abbiamo un Syrah che ha bisogno di essere ripiantato. Facciamo il rosato al quale tengo particolarmente perché è stata la mia tesi di laurea. Il rosato è il vino nostro più bello poiché particolare.

Tre i vini in lista. Ancora magari pochi ma di assoluto spessore e identità.
Il rosato, La dama del lago da Syrah è assolutamente particolare forse anche grazie al suo periodo di immersione nel lago (dopo la fermentazione viene messo in damigiane sigillate e via, giù nel lago!).
Le gatte bigie è un blend Cabernet Sauvignon e Merlot con 18 mesi di affinamento. Potrebbe essere tranquillamente un DOCG Suvereto ma la caoticità di Michele si è un pò persa nelle questioni burocratiche (come non comprenderlo”).
Infine Le rotte del vento, un blend di Cabernet Sauvignon e Merlot che, insolito in Toscana, affina in anfora. Sul mio blog la recensione completa di questa chicca. Una scelta quella dell’anfora per puntare a rendere qualcosa dall’anima bordolese, più tagliente.

L’altra parte del nostro piano prevede che il terreno che abbiamo a Segalari, sopra Bolgheri. È in una delle zone più belle di Bolgheri con l’altitudine che Mario incisa aveva pensato. Uno dei miei sogni è di poter creare lavoro. Mi preme molto. Vediamo se arriverà. Nella mia idea futura vorrei aprire una enoteca di vini di pregio. È tosta ma voglio farlo.

Michele Petri. 25 anni. Vignaiolo. Segnatevi su un taccuino questo nome perché nel giro di dieci anni ne sentiremo parlare. I vini che ho avuto il piacere di assaggiare lasciano presagire uno sviluppo degno di nota.
Segnatevi questo nome, sentite a me.

Michele, capisco che hai tante cose che magari ogni tanto ti provocano affanno ma cerca sempre di pensare che occorre mettere proprio le cose da fare, una dietro l’altro. Come una fila di formichine che si aiutano reciprocamente. Una cosa dopo l’altra. In fila, fanno meno paura.

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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