Molino, Bergadano. Famiglie unite del Barolo
Possedere una terra è sempre stata una grande fortuna. Almeno per coloro che della terra e dalla terra ne ricavano i frutti così da viverci. Anche un piccolo pezzo di terra poteva essere di ausilio alla sopravvivenza. Piccolo o grande che fosse, prima o poi arrivava, inesorabile, il momento della successione. Solo che dividere tra i figli significava ridurre, di fatto, la superficie della terra. Riduzione che continuava ad ogni cambio di generazione.
Per ovviare a questo, il pater familas oltre a escludere a priori le figlie femmine dalla successione, trasmetteva il patrimonio terriero al solo primogenito. Con l’onere di assumere il ruolo di capo famiglia offrendo lavoro ed ospitalità anche agli altri componenti della famiglia. Primogenitura. Una pratica adottata sin da tempo degli antichi ebrei e per fortuna scomparsa ai giorni d’oggi (forse).
In questo contesto, i matrimoni di convenienza, ovvero con la scelta della consorte tenendo conto del patrimonio posseduto dalla famiglia, diventavano un metodo per incrementare la dotazione “familiare” delle terre.
Quando si parla di vini e non solo di vigne però, le cose cambiano. O meglio, cambiano se si è intelligenti e lungimiranti. Quando una famiglia produce vino e vino pregiato, in una zona altamente vocata a questo tipo di produzione, una divisione o una unione andrebbe sempre fatta con intelligenza e lungimiranza.
Tutto può sembrare facile in un territorio meraviglioso e unico come quello delle Langhe, in Piemonte. Avere per le mani un vino come il Barolo e ricavarlo da vigne situate in territori identitari, è una di quelle fortune che non si può e non si deve in nessun modo gettare al vento. Ma sempre intelligenza e lungimiranza ci vuole e non è che questa si trovi sotto i sassi.
Bergadano e Molino sono due famiglie che producono Barolo dall’inizio della storia di quest’ultimo. Piercarlo (Bergadano) e Silvana (Molino) si uniscono in matrimonio e fin qui nulla di strano, se non fosse che decidono che la loro unione non include i marchi, i vini, le vigne, le lavorazioni di cantina. Va bene l’amore, va bene la famiglia ma non certo la propria storia.
La nostra storia parte da cinque generazioni fa. Io sarei la quinta.
Michele Bergadano con la sorella Francesca rappresentano la quinta generazione di vignaioli. Siamo nella culla delle Langhe, a La Morra, in provincia di Cuneo. Qui sorge Cascina Rocca, punto di incontro tra le due famiglie.
Il fondatore non è sempre stato nel nostro territorio. Comprava e rivedeva le proprietà nel Piemonte. Nel 1800 acquistò l’attuale cascina con annessa una vigna. Li si decise di cambiare vita insediandosi nel territorio. Bisnonno e nonno lavoravano la terra. Nonno Dante iniziò a vinificare e nel 1965 produsse il primo Barolo.
A quel tempo non è che si vendevano le bottiglie come ora. Il Barolo lo si metteva nelle damigiane o si vendeva sfuso. Altri tempi. Altra cultura. Altro modo di vedere le cose. Un mondo dove la genuinità prevaleva su tutta l’infrastruttura di marketing creata successivamente su queste terre. Dire se le cose siano cambiate in meglio o in peggio, è complicato. Di certo oggi è arrivata la ricchezza come, sempre di certo, si è persa la genuinità di molte, non tutte, le persone. Si produce, forse, come una volta. Si vende il vino a prezzi maggiori rispetto ad una volta. Si accolgono le persone con tanta attenzione e professionalità ma non certamente (in molti casi) con lo stile di queste terre.
Nonno comprò altre vigne. Poi mamma e papà iniziarono a lavorare con l’export la Germania e l’America. Negli anni l’azienda 80 si è ingrandita puntando sulla qualità. Era il periodo in cui c’era la fuga dalla nostra zona. Chi comprava le vigne era un pazzo. Dagli ani 90 cambiò tutto. Chi investi all’epoca oggi vede i risultati
Michele anche se non ha vissuto quel tempo, sa di cosa si parla. I racconti dei genitori hanno fatto breccia nella sua anima. Le Langhe come le vediamo ora non sono sempre state così. Le stupende colline con i filari a fare da cornice, le cascine sistemate come alberghi di lusso con tanto di spa, i ristoranti con piatti gourmet, le cantine. Tutto questo prima degli anni 90, non c’era. Da qui, come da tutti i luoghi dove l’unica possibilità era fare il contadino, la gente scappava. La città, il lavoro in un ufficio o in fabbrica, le luci, le comodità. Perché mai rimanere in un luogo ameno, freddo e nebbioso?
Però, proprio le Langhe, sono la dimostrazione di come si possa valorizzare un territorio facendo sistema, investendo nella riqualificazione e non puntando solo per ad un prodotto. Per generare ricchezza. Per tutti.
Non siamo una azienda grande ma abbiamo le vigne nei vari comuni. 11 ettari con 50 mila bottiglie. Barolo e La morra. Poi Villero a Castiglione Falletto.
Ah però mi viene da esclamare. Le migliori zone per produrre Nebbiolo.
Ciò che serviva però era un punto di incontro tra le due realtà. Da un lato Bergadano, dall’altro Molino. Vigne sparse nelle Langhe. Prodotti diversi. Storie diverse. Ecco che nella lungimiranza e nella intelligenza nasce Cascina Rocca proprio come punto di incontro tra le due famiglie. Ristrutturata nel 1999 per farne qualcosa di valore.
Era quasi una stalla. La rifecero da zero preservando le parti essenziali. La cantina per la vinificazione in legno venne conservata. Rocca deriva dalla zona della rocca dove sorge la cantina. Negli ultimi cinque, sei anni mio papà si è occupato più della produzione, mamma delle vendite curando anche l’agriturismo. Non ce la faceva più ad andare in giro peri l mondo. Adesso l’agriturismo è migliorato tanto lasciando da parte la cantina. Io e mia sorella invece ci stiamo occupando più dalle cantina.
Un conto è Molino, un conto Bergadano. Non facciamo confusione.
Franco Molino è l’azienda portata da mamma Silvana e oggi gestita da Michele e Francesca. Bergadano, due ettari e mezzo con circa 10.000 bottiglie, portata e gestita da papà Piercarlo.
Nel 1999, insieme alla Cascina, si sono unite anche le aziende. Lasciando tutto separato per preservare l’identità e lo stile dei singoli vini. Intelligenza e lungimiranza.
L’idea non è avere due linee diverse ma due stili, due modi di vedere i vini del territorio. Franco Molino con base La morra e Rocca dell’Annunziata con Villero a Castiglione. Lo stile dei vini resta più floreale e c’è tanta freschezza. Barolo con botte grande. Passaggi non troppo concentrati. Bergadamo nel comune di Monforte e Barolo. Suoli più tenaci. Utilizzo di barrique. Legno, corpo, forza nei vini.
Insomma, due prodotti decisamente diversi. Due filosofie diverse che portano Molino ad identificarsi come azienda classica, Bergadamo come una piccola azienda di alto livello capace di produrre veri cru.
L’azienda rimane comunque a carattere familiare. Cosa non è di poco conto in una zona dove le grandi aziende si impossessano delle vigne.
C’è sempre stata la possibilità di stare in vigna con papà. Una vera fortuna. I miei compagni che non hanno avuto la fortuna di avere una cantina sono un pò indietro. Avere una idea di come funzionasse già il lavoro, la passione. Seguiamo tuto per voglia e no per costrizione. È una passione nata di conseguenza.
Michele è stato dietro al papà e al nonno dai quali ha assorbito l’arte della vigna e la passione per questo mestiere. La scuola enologica che frequenta sta aggiungendo le nozioni tecniche necessarie. Non diamo per scontato che un ragazzo e una ragazza vogliano rimanere a fare i vignaioli e a gestire una azienda agricola solo perché siamo nelle Langhe!
Sto valutando di fare l’università. Mia sorella è sempre stata più mirata all’aspetto commerciale. Ha fatto il linguistico con delle esperienze all’estero per migliorare le lingue.
Michele e Francesca sanno di avere per le mani qualcosa di importante. Con l’onere di non poter e non dover mettere in pericolo l’azienda. La passione, la loro passione, non è qualcosa che si acquisisce per potere divino o per usucapione. Devi averla e devi al contempo coltivarla. Con la fatica e con lo studio. Con la applicazione pratica e con gli errori. Rispettando le tradizioni e ascoltando chi ne sa più di loro.
In vigna non c’è un tecnico perché facciamo noi direttamente. Siamo noi 4 della famiglia più qualcuno che ci aiuta in vigna e cantina. Le scelte le facciamo noi. Esperienza e studio. In cantina abbiamo un cantiniere con un consulente esterno che poi è pure un parente. Si chiama Molino. Parenti e vicino di casa. Viene spesso in cantina quando c’è da fare delle scelte. Facciamo tutto a modo.
Una famiglia che sta insieme con la voglia di stare insieme uniti. Progetti e sogni per il futuro tanti e ben concreti a significare quanto ci si tenga a rimanere ben ancorati al territorio. Che è in parte anche loro.
Mi piacerebbe avere una vigna nel territorio di Serralunga per uno stile di Barolo che mi piace tanto. Faremo una cantina nuova perché la cantina che abbiamo adesso è divisa in tre parti cosa questa che ci obbliga a fare delle scelte sull’invecchiamento o imbottigliamento. Non forziamo alcun passaggio ma alle volte dobbiamo imbottigliare per forza. Sul mercato italiano non abbiamo molto poi. Lavorano tutti con i grandi nomi. Mi piacerebbe avere qualche sbocco.
Questo è un punto saliente delle due aziende Bergadano e Franco Molino. Andando sul web o cercando in giro, sembrano due brand che non esistono. Se non in qualche recensione estera. Eppure sono vini fantastici. Espressioni di Barolo, Barbera, Dolcetto, Nebbiolo a dir poco meravigliose. Uve provenienti dai templi delle Langhe e lavorate con metodi giusti. Quando Michele parla dei grandi nomi appare evidente come per un piccolo eccellente produttore sia difficile emergere nonostante la qualità eccelsa dei prodotti.
Che mondo strano.
I nostri Barolo non sono quelli da 100 punti che fanno tre anni di barrique. Sono Barolo, Nebbiolo e Barbera che rispecchiano le vigne di provenienza. Manteniamo la singola vigna. Lavoriamo su uno stile con l’invecchiamento mirato sulla zona. Il Villero fa un passaggio più strutturato perché non ne risente. Viene influenzato ma non stroncato. Il Nebbiolo fa un passaggio di 12 mesi in legno grande. Due barbera. Superiore e base. Superiore 18 mesi in barrique: ma non sa solo di barrique. Intensità ed equilibrio rispettando molto gli aromi. Mio papà è sempre stato contrario al legno. Ha sempre cercato di farne un uso corretto in tutti i vini tranne il dolcetto. Ha scelto legni e tostature giuste.
In effetti tutti vini Franco Molino sembrano vini vecchio stampo. A mio modo di vedere rappresentano il Piemonte a pieno. No sono artefatti. Non sono una bomba al naso nonostante abbiano anche sentori complessi.
Vediamoli i vini che ho assaggiato, partendo dai tre Barolo. Diversi, identitari, territoriali. Degustarli vuol dire viaggiare nei territori iconici delle Langhe e di Sua Maestà il Barolo.
Partiamo dal top di gamma. Il Barolo DOCG Villero Riserva 2012. Siamo nel territorio di Castiglione Falletto dunque, suolo Elveziano. Nonostante i 12 anni di invecchiamento tra barrique (24 mesi), acciaio (12 mesi) e bottiglia (24 mesi prima della messa in commercio poi il resto) per colorazione e naso sembra ancora un giovanotto. Io l’ho trovato rubino con riflessi granata! Sentori complessi con praticamente tutto dentro. Ogni cosa che si studia nei corsi da Sommelier, qui c’è. Niente prevale e tutto si bilancia. C’è un sapiente equilibrio di note dolci e pungenti. Più si rotea il bicchiere e più si scopre qualcosa.
In bocca è sublime specialmente per l’elegante chiusura di bocca e per i frutti che tornano prepotenti nel finale ad addolcire il sorso quando i tannini, certo ammorbiditi, rimangono belli attivi. Un vino intrigante e misterioso che quando pensi di aver capito, stupisce con nuove sensazioni. Una vera droga. Se non posso dare 100 punti, ci manca davvero poco.
Barolo Rocche dell’Annunziata 2017. Cambia il territorio e cambiano le caratteristiche. Da Castiglione ci si sposta nelle vigne di La Morra su suolo Tortoniano. L’affinamento è di 24 mesi in legno dividendo a metà le masse per sfruttare barrique e botte grande. Poi 12 mesi in acciaio e 6 in bottiglia. Il legno si fa sentire un pò di più ma manco tanto. La pulizia di questo vino è la medesima di tutti i vini della casa. C’è una finezza e trasparenza che abbagliano. I sentori si fanno più polposi, vivi, intensi, caldi. Prevale una bella balsamicità alcolica. La frutta è matura ed è data ai fiori il compito di mantenere freschezza e pungenza. Il sottobosco dona una piacevole nota verde. Le spezie sono rotonde, mai dolci. Se non per una punta che rende ammaliante i sentori. Il pellame è liscio; il tabacco trinciato.
Il sorso appare decisamente caldo, secco, molto avvolgente e con un perfetto bilanciamento che lascia in bocca una sensazione meravigliosa. Un vino armonioso, sinuoso, caldo che riesce comunque a mantenere inalterata la sua fresca austerità incontrando le esigenze di necessita finezza a quelli che amano la morbidezza.
Barolo Selezione Cascina Rocca 2018. Rimanendo nelle vigne de La Morra questo vino affina 24 mesi in botti grandi per poi passare ulteriori 12 mesi in acciaio. Incredibile come qui, rispetto al precedente, cambi tutto presentandosi come un Barolo pronto e fresco. Uno di quei vini che aprirei per la merenda sinoira. Certo, una merenda di classe. La caratteristica è la finezza dei sentori molto lineari e distinti. Non particolarmente complessi ma ben definiti. I frutti sono più di bosco con la parte acidula a prevalere. Quasi un pomodoro che si unisce alla cannella e al pellame. Il sottobosco ben definito. I fiori rossi omni presenti.
Il sorso è pieno con i tannini presenti e maturi ancorché non aggressivi. Grande avvolgenza, grande freschezza e un, consueto direi, ottimo bilanciamento. Un fine retrogusto di frutto che pian piano comincia a prendere forma grazie anche ad una lunga persistenza. Piacevolmente morbido, piacevolmente fresco. Nulla prevale e tutto si bilancia con una bocca che chiude in maniera elegante.
Barbera d’Alba Superiore 2019. Prodotto sempre a La Morra ha un lungo affinamento per essere una Barbera. 18 mesi in barrique, 12 in acciaio, 6 in bottiglia. I sentori sono i frutta cotta. Evidente e molto la ciliegia marasca e l’accenno di arancia. Evidente il sottobosco che sa quasi di muschio. Evidente la nota minerale che in maniera sfacciata tende ad essere preponderante. Evidenti i fiori rossi. Evidenti le note speziate di noce moscata, cardamomo, pepe e chiodi di garofano. Evidenti il pellame, il tabacco e la nota di cioccolata. Per essere un Barbera, è complesso e quasi aristocratico. In bocca torna ad essere il Barbera della tradizione che strizza comunque sempre l’occhio alla eleganza. Secco, fresco e caldo con i tannini che si sono già ammorbiditi conservando comunque un che di vegetale. Come se potessero ancora esprimersi nel tempo. Freschezza e basso alcol percepito sono i punti di forza. Bocca che chiude in maniera precisa, persistenza non particolarmente lunga, ottimo equilibrio. Questo Barbera non è, ed è bello che sia così, un vino ampio. Anzi, è un rosso quasi verticale, morbido e pungente in bocca, per certi versi civettuolo così da renderlo adatto a far avvicinare a questo fantastico vitigno, persone che cercano una maggiore rotondità. Ovviamente non piemontesi.
Barbera d’Alba 2019 dalle vigne del comune di Barolo. 12 mesi in botti grandi e un breve passaggio in acciaio per donare a questo Barbera l’aspetto di un vero Barbera. Brillante già nel calice. Questo per la merenda, dei piemontesi, va benissimo.
Langhe Nebbiolo 2020. Sempre a Barolo e stesso affinamento della Barbera per un vino che rispetto a quest’ultimo è più pungente. D’altronde se si vuole addomesticare il Nebbiolo occorre aspettarlo. Ma si otterrebbe un Barolo. Convincente perché quasi un vino, nobile, da tutti i giorni.
Dolcetto d’Alba 2022. Un mix di Barolo e La Morra che non può e non deve fare legno per preservare la peculiarità di un vino da bere subito e a tutto pasto. Gli odori di frutta fresca inebriano e invogliano a berlo. Vellutato in bocca pur mantenendo una bella freschezza. Occhio solo al finale che può essere leggermente amarognolo. Ma buono proprio per questo.
Magari quelli da 100 punti ne bevi un bicchiere poi non so. Queste bottiglie si finiscono. Non sono baroli impegnativi
Qui ritrovo tutta la filosofia piemontese. Quella che consente di sedersi intorno ad un tavolo a fare la merenda sinoira: mangiare un pò di salame e bere un bicchiere di vino. In compagnia. Oddio, un bicchiere proprio no. Magari qualcuno di più. Ma non nel calice. Proprio nel bicchiere. Aprire una bottiglia per finirla ma solo se sei in compagnia. Perché questa è la vera essenza del vino: bere in compagnia. In Piemonte si fa così. A Cascina Rocca si fa così. Il vino è fantastico, di grande livello, ma non lo si vuol dare a vedere. Non si vuol portare quello che è vino e condivisione ad un livello così alto da snaturarne l’essenza. In questo sta la forza di una famiglia. Anzi due. Mai come in questo caso, l’unione fa la forza. Ma solo grazie a intelligenza e lungimiranza.
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