23 Giu 2023
Suggestioni di Vino

Pomario, la nobiltà per il vino

Pomario, la nobiltà per il vino

La nobiltà e il vino. Antico connubio poi nemmeno tanto diffuso. Sarà che un tempo i nobili non prestavano tanto attenzione a queste cose. Il vino era uno dei tanti prodotti delle proprie terre. Uno di più, uno di meno, faceva poca differenza. Abituati a tutt’altro piuttosto che andar per campi a lavorare o a trasformare i prodotti della terra. C’era chi si occupava di questo. Le cose, mondane, da fare erano altre. La terra? Si certo c’era perché dalla terra nasce tutto e il valore di un nobile si calcolava anche in funzione della vastità delle sue proprietà. Ma se quel nobile producesse un vino buono o meno, forse, all’epoca, non interessava a nessuno. Contava il titolo, le proprietà, la rendita. Solo da relativamente pochi anni (quando si parla di nobiltà il “poco” ha una accezione di parecchie decine di anni) alcune casate nobiliari hanno prestato il proprio nome all’etichetta di un vino. C’è chi l’ha fatto per necessità (anche i ricchi piangono mi verrebbe da dire), chi per estro, chi per noia. Tutti, comunque, accomunati da un comune denominatore: le terre di proprietà. Vigne vecchie, tramandate di generazione in generazione. Nessun problema di disponibilità economica (anche se non sempre è così) utile per far decollare il business. Tanto marketing utile a scrivere storie, piò o meno vere, sull’interesse nel vino dei propri avi. Insomma, pochi, davvero pochi, i nobili che hanno inoculato nel vino un po’ di passione e cuore (interessante l’articolo della celebre rivista Forbes).

Certo, a dissertar di vino e nobiltà non può non venirmi in mente Alberto Sordi ne “Il Marchese del Grillo” e le sue vigne del Mascherone. Tralascio ovviamente una delle battute, da nobile, che ha reso celebre quel film ma ne cito solo l’inizio “Mi dispiace, ma io so io….”.

Comunque sia, si può nascere nobili così come si può esserlo di animo. Difficilmente si posseggono entrambe le doti (e qui la battuta di Alberto Sordi ci starebbe tutta). Quando però, in rarissimi casi, vi è una convivenza di nobiltà di sangue e d’animo, anzi quando quest’ultima prevale nettamente sulla prima, allora il risultato è senza pari. Il titolo nobiliare è importante. Non fosse altro perché se un merito va dato alla nobiltà è la storia “trasportata” tra i secoli anche attraverso le proprie dimore e quanto in esse contenuto. La nobiltà d’animo include la classe (non quella sociale) e le buone maniere, spesso proprie di quelle persone che non solo sorridono, ma lo fanno con naturalezza. Senza ostentare. Senza far pesare la storia, il casato, il titolo. Le buone maniere delle quali si circondano e a volte, non sempre, si trasmettono anche ai propri figli.

Incontro Giangiacomo Spalletti Trivelli ed il figlio Andrea. Ci conosciamo per caso ad una degustazione. Di entrambi mi conquista il sorriso e la loro sfrenata passione per il vino.

Giangiacomo ha un volto sorridente, non certo austero né tantomeno annoiato. Ha il sorriso e l’animo di un ragazzo che vede il suo futuro ancora da essere scritto e costruito. L’entusiasmo nel suo sguardo, nel tono di voce, nelle movenze, nei modi di fare. Solare lo definirei. Sarà che la sua azienda, la Pomario, non è solo il suo e della sua famiglia, angolo di mondo lontano dal mondo, ma rappresenta una creazione nata senza volerlo. Non solo da lui ma anche dalla moglie Susanna e dai figli Andrea e Raimonda.

L’attività principale di Giangiacomo e della famiglia intera è sempre stata all’insegna della ospitalità esercitata anche attraverso Villa Spalletti Trivelli, un gioiello dei primi del novecento, a due passi dal Quirinale, oggi annoverata tra le Dimore Storiche Italiane: un boutique hotel, un angolo nascosto di Roma, che vale la pena di visitare. L’ospitalità si fa anche nei modi con cui ci si pone. Nell’atteggiamento. Nelle movenze. Come quelle di Giangiacomo ed Andrea: si capisce immediatamente l’inclinazione verso la sacralità dell’ospite.

Comunque sia, la storia di Pomario, dunque della azienda vinicola, nasce per puro caso nel 2004. Vivere al centro di Roma può sembrare fantastico ma per certi versi devastante vista la caoticità che porta con sé. È per questo che Giangiacomo e sua moglie Susanna cercano uno sfogo in campagna ad una distanza da Roma accettabile: non più di un’ora e mezza. Cercano qualcosa che sia loro. Niente di preconfezionato. Hanno bisogno di una casa in campagna. Magari da rimettere a posto.

Le agenzie immobiliari fanno varie proposte ma nessuna di queste soddisfa le loro esigenze. Bei posti ma tutte case restaurate non proprio con buon gusto. Da rimetterci mano insomma.

Ma un bel rudere da rimettere a posto?”

L’agenzia propone una cosa vicino a Monteleone di Orvieto.

Ecco, prima di andare avanti vado direttamente alla fine ovvero ad un aneddoto che Giangiacomo, in chiusura della nostra chiaccherata ha ricordato. Parto dalla fine perché quell’aneddoto esprime esattamente tutta la storia di Pomario. Dell’amore e della passione di persone che, pur non avendo mai avuto a che fare con la campagna, dunque con la vite ed il vino, hanno profuso per oltre 17 anni. Senza la benché minima intenzione di smettere. Anzi.

Susanna ed io siamo andati una domenica ospiti da un amico di vecchia data che aveva acquistato una proprietà vicino Todi. Abbiamo mangiato e poi ci ha fatto visitare la proprietà. Era così bella che con mia moglie ci siamo guardati e lei ha detto “se quel giorno Fabio (l’agente immobiliare), ci avesse fatto vedere questa cosa, Pomario non sarebbe nata.

Eh già. Sarebbe stato difficile acquistare una proprietà come quella di Pomario che di bello, all’apparenza, non aveva nulla per un’altra pronta e vivibile.

Quello che infatti trovano Giangiacomo e Susanna è il nulla. Già, il nulla. Abbandonato da tempo. Lasciato alla mercè del tempo

Siamo arrivati qui in una giornata orrenda. Nebbia spaventosa. Non si vedeva nulla. Siamo entrati in un bosco avvolto nel surreale silenzio. Si vedeva solo una vigna e degli olivi fino a quando è emersa la casa che sembrava un po’ la casa che si disegna da bambini.

Insomma, non una bella impressione. Come la racconta, sembra una scena di un film horror. Fabio, l’agente immobiliare non sembrava avesse avuto una buona idea a portarli lì, in quel giorno. O forse no. Perché Giangiacomo e Susanna decidono di tornarci. Con il sole. Chissà, forse una scintilla era già scoccata senza saperlo. Vai a capire se il cuore riesce a vedere più degli occhi e oltre la nebbia. Fatto sta che il compromesso viene firmato subito dopo essere ritornati. Con il sole. Al cuor non si comanda. Anche se poi si arriva a comprendere come i lavori necessari per rendere abitabile una casa, senza neanche acqua e luce, con tutto da rifare, con le terre incolte, non siano proprio banali. Ma al cuor non si comanda. Punto.

Abbiamo anche conosciuto una persona che ha vissuto qui per pochi anni e fino agli anni 50. Dopo di che c’è stato l’abbandono. Il proprietario non curava né gli olivi né la vigna. Quando la abbiamo acquistata era in vendita da alcuni anni. Aveva anche il problema di far rivivere il posto poiché mancava l’acqua, la luce.

Casa a parte, che a chiunque darebbe dei grattacapi non dà sottovalutare, occorreva anche dar conto di una bella pertinenza di 50 ettari: quaranta di bosco (quello fitto dal quale emerse la casa disegnata) e il resto diviso tra ulivi, terreno seminativo e un misero ettaro di vigna vecchia.

Trebbiano, Sangiovese, l’uva era tutta mischiata come erano quelle dei contadini di un tempo.

Insomma, qui non può non intervenire il Marchese Onofrio del Grillo quando porta il francese Blanchard nella sua tenuta e questo gli chiede “Sono tue queste terre?”. “E qui è tutto mio” fa il Marchese. “Fino a dove?” rincalza Branchard. “Ma non lo so. Fino al mare”.

50 ettari sono tanti. Specialmente se non hai in mente nessuna intenzione di fare qualcosa di agricolo e l’idea di metter su una azienda. Il rischio è lasciarli incolti.

La terra c’era. Era bella così. Già ristrutturare la casa era cosa difficile. Così che l’uva raccolta si conferiva alla cantina sociale.

Giangiacomo non è uno che se ne sta con le mani in mano. Sogna. Perché il suo animo lo porta a questo. Immaginare il futuro come gli piacerebbe che fosse.

Un giorno dissi all’agronoma Federica De Santis “Ma se provassimo a fare una vinificazione qui con la vecchia vigna”?

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È qui che si apre l’atto enoico (non eroico!) di Pomario con attori che entrano in scena a costituire, da qui in poi, una parte fondamentale della storia. Una qualunque struttura, grande o piccola che sia, si basa sulle persone. Persone che, certo, lavorano e devono percepire il loro stipendio. Ma che quando riescono a costituire l’anima dell’azienda, diventano di questa parte integrante.

Federica non può che rivolgersi alla sua amica enologa Mery Ferrara, la quale coglie immediatamente le potenzialità del terreno, dell’esposizione, dell’influenza del bosco. Un unicum al quale non può non dedicare la sua attenzione.

Compriamo una pigiaderaspatrice usata, una pompa (entrambe stanno ancora lavorando), una barrique, un tonneau e partiamo.

Siamo nel 2009 e l’unica vigna è quella trovata e rimessa a posto col poco tempo a disposizione. Si ricava a malapena il quantitativo di uva atta a riempire un tonneau di rosso e una barrique di bianco.

È venuto un vino che ha risentito del tonneau e della barrique nuova. Già l’anno dopo era meglio. Ogni tanto apriamo una bottiglia ed ancora strepitoso.

È buona norma offrire del vino ai propri ospiti. Anche perché se lo produci a qualcuno lo devi pur far bere. Fatto sta che qualche ospite suggerisce a Giangiacomo di mandare alla rivista Decanter a Londra una bottiglia di Satriano, il rosso da Sangiovese in purezza.

Abbiamo vinto la medaglia d’argento! Così che abbiamo subito clonato le vecchie varietà di Sangiovese, Trebbiano e Malvasia coprendo le fallanze della vecchia vigna.

Fortuna del principiante? Ottime vigne? Brave enologa e agronoma? Sarà un mix magari, ma a fronte del risultato non si può non impiantare le nuove vigne. Il progetto del vino è ufficialmente avviato.

Eh già direte voi. Facile partire con un progetto del vino quando sei nobile e disponi di finanze necessarie all’opera.

Calcoli e business plan, non sono stati fatti all’inizio. Era solo passione e cuore. I calcoli cominciamo a farli adesso perché siamo alla conclusione del progetto. Ci stiamo arrivando. Tutto è stato fatto senza calcoli e con i mezzi per poterli fare. Un consulente ci ha fatto avere i fondi europei per fare le cose al meglio. Il 40% a fondo perduto ha aiutato.

Giangiacomo non si nasconde perché non ne ha bisogno. Ciò che traspare è il vero amore per questa avventura. Amore e passione che vanno aldilà dell’aspetto economico. In fondo, l’avventura, senza l’anima, il sorriso e l’amore per queste terre, avrebbe portato solo alla rovina. O neanche sarebbe iniziata.

E poi abbiamo, per colpa o per fortuna, mia moglie chiese a Mery: “ma un vino come il Calcaia, potremmo farlo qui”?

Sarà una coincidenza ma la cantina Barberani che produce il Calcaia, vino muffato da Grechetto e Trebbiano toscano, era (ed è) seguita da Maurizio Castelli con il quale Mery collaborava. Si individua subito un terrazzamento che degradava verso il bosco, lì dove le nebbioline possono consentire all’uva di vivere in simbiosi con i ceppi di Botrytis Cinerea. Solo 8000 mq sui quali vengono impiantati Sauvignon Blanc e Riesling. Et voilà il “Muffato delle streghe” è servito.

È un nome che ho voluto dare perché derivato dalle donne di Pomario. Lo ha voluto mia moglie, con una enologa, una agronoma, una cantiniera. E dire che mia moglie disse a Maurizio “Io non bevo vino perché sono astemia”. Maurizio le rispose “Signora lei è una potenziale alcolista”!

Sicuramente una scommessa vinta per un vino che ha dato grandi soddisfazioni all’azienda e che la connota in maniera identitaria nel panorama vinicolo. Ho avuto modo di assaggiarlo e non posso che dirne bene.

Completate e rimesse a posto le vigne con 4 ettari in totale, nel 2015 viene inaugurata la cantina per le degustazioni e l’enoturismo. Attività cardine per la famiglia vista la sua vocazione alla ospitalità.

In zona l’enoturismo sta crescendo molto e cantine come la nostra non ce ne sono.

Nel 2016 si coglie l’opportunità di rilevare dalle banche l’azienda vicina dell’allora Presidente della AS Roma Sensi. 170 ettari di cui 25 coltivabili.

Lì abbiamo piantato 5 ettari di vigna ed oliveto.

Ma a quel punto la cantina non bastava più e di nuovo giù a lavorare per l’ampliamento aggiungendo anche barricaia e bottaia.

Pensare a come sia nato tutto questo riporta Giangiacomo al passato. La filosofia che guida i vini, il perché siano nati in un certo modo. Cosa ha contraddistinto i prodotti di Pomario.

L’input credo di averlo dato io perché quando nemmeno si pensava che questa attività commerciale potesse diventare di un certo rilievo dissi a Mery Ferrara durante il primo incontro “a me interessa fare un vino di questo posto non qualcosa è più facile da vendere”.

Il legame con questo posto è viscerale ed è tangibile parlando con Giangiacomo ed Andrea. Sembra strano quando qualcosa la si acquista. Le impressioni che mi hanno trasmesso parlano invece di un luogo ricostruito mantenendone l’atmosfera primordiale. Come quando si lucida l’argenteria ormai ossidata.

Oggi è quasi difficile trovare un vino cattivo però si somigliano quasi tutti senza avere una identità precisa. L’identità invece rende un vino speciale. I nostri hanno una personalità che può piacere o meno ma ce l’hanno.

Mery Ferrara ha sicuramente dato gli indirizzi enologici ma poi solo il tempo e la sperimentazione hanno dato il corso giusto ai vini.

Sperimentando si è capito ad esempio sul Sariano quale potesse essere la botte migliore così che oggi ce le facciamo fare in Francia. Per l’Arale prima si faceva la fermentazione in acciaio, ora in barrique con le macerazioni in funzione dell’annata.

Da un punto di vista di gamma delle etichette?

Una lo abbiamo aggiunta da poco: il Ciliegiolo. Piccola produzione sperimentale. Ma penso che possa essere un buon prodotto perché proprio del territorio. Proviene da un nuovo vigneto. 900 bottiglie. Nel 2022 saranno 1500. Poi c’è un cru che vorremmo fare da una nuova vigna di due ettari e mezzo da un clone di Sangiovese, poi la Malvasia Nera, la Fogliatonda, l’Aleatico (Gamay). L’enologa ha decretato che è un vino da ceramica e abbiamo comprato un’anfora da dieci ettolitri. Il prossimo anno imbottiglieremo la prima annata. Da vendere prevalentemente in cantina. Probabilmente ad un prezzo più elevato.

Gli altri vini sono abbastanza collaudati.

Batticoda che è il bianco di ingresso da uve Grechetto.

Sta avendo tanto successo e migliora di anno in anno

Rubicola, un rosso che non fa legno realizzato con 70% Sangiovese e 30% Merlot.

L’annata 2021 ha fatto un altro bel salto di qualità

Rondirose, Sangiovese, Ciliegiolo e Merlot

Il rosé piace e ha un suo spazio

Arale, blend di Trebbiano e Malvasia in macerazione e affinamento in barrique.

Sariano, il meraviglioso Sangiovese in purezza realizzato con lieviti autoctoni ed affinamento in botte.

Sariano e Arale hanno il loro pubblico che si divide come accade tra tifosi. Chi ama Arale non ama Sariano e viceversa

Infine il Muffato delle Streghe da Riesliing e Sauvignon Blanc.

Non siamo partiti dall’idea che i nostri vini fossero i migliori al mondo e potevano dunque essere venduti ad un prezzo più alto. Abbiamo sempre cercato di essere onesti. La differenza di prezzo del muffato è dovuta alla lavorazione in biologico veramente difficile. Vendevamo una bottiglia di muffato ogni sei di Sariano. Ne avevamo davvero poche. Adesso abbiamo liberalizzato la vendita

E una Bollicina?

Il dibattito c’è. Le bollicine è bene farle nei posti più vocati anche se potremmo fare bollicine buonissime. Ma non credo ne valga la pena

Andrea sembra avere idee diverse. Almeno riguardo la bollicina. Sa però riconoscere i meriti. Del papà.

Dal punto di vista tecnico non mi posso ancora lanciare più di tanto perché il limite di gestire Villa Spalletti a Roma è non poter gestire la quotidianità della cantina. Magari con il tempo potrò presenziare quantomeno alle fasi più importanti della cantina. Creare una azienda come Pomario dove il vino non si era mai fatto, in una regione dove il vino si fa ma non ad altissimi livelli, e vedere i risultati raggiunti in 17 anni che per il vino sono niente, è fantastico. Pomario ha certamente qualcosa su cui si può lavorare. Come le etichette che mi piacciono da morire ma andrebbero aggiornate. La bollicina è uno degli argomenti dibattuti. Sono un appassionato di bollicine e come mamma per il muffato mi piacerebbe avere la nostra. Rischierei l’alcolismo con la bollicina a casa perché sarebbe difficile non berla. A livello commerciale avrebbe una cassa di risonanza e visibilità alla cantina. È comunque una moda che non passerà, dunque abbiamo il tempo di realizzarla.

Insomma, onore al merito da parte di Andrea. Grande passione per il vino ma poco tempo per fare il vignaiolo. Per il momento!

Mi è molto piaciuta l’idea della riserva/cru che servirà a far conoscere la cantina che oggi piace per il numero limitato di bottiglia e una famiglia che ci lavora. Si vede che non siamo vignaioli di tradizione ma una famiglia vocata all’ospitalità alla quale piace far sentire chi viene a visitare Pomario come parte di Pomario. Su questo credo di aver dato un mio minimo contributo e su questa linea vorrei continuare. Insomma, che dire, purtroppo so stati bravi!

Ecco che mi torna alla mente ancora li marchese Onofrio Del Grillo dinanzi al quale si presenta Aronne Piperno per essere pagato. “Aronne, tu lavori bene, bello l’armadio, bella ‘a cassapanca, bello tutto, bravo! grazie, adesso te ne poi annà!”. Non è questo il caso di Andrea. Sa riconoscere il merito e non saprebbe nemmeno cosa cambiare.

Onestamente non saprei cosa cambiare. Per la conoscenza che ho di questo mondo, si sono mossi bene. Abbiamo un team veramente speciale. Ad esempio, Stefania che nulla aveva a che fare con il vino, a sentirla parlare oggi sembra sia nata in mezzo alle vigne. È impressionante in un mondo dove “l’attaccamento alla maglia” sta sparendo, il senso di appartenenza del team. A Pomario, dall’ultimo arrivato a chi ci sta dal 2006, c’è un grande attaccamento. La settimana scorsa ho portato quattro albergatori per vedere il posto. È bastata una mezzora di Stefania per fargli acquistare 14 cartoni di vino. La squadra è fantastica. Unica. Da tutte le parti del mondo mi dicono che abbiamo delle persone incredibili che lavorano per voi.

È proprio vero che sono le persone a fare la differenza. Senza il tocco umano, possono essere posti bellissimi ma rimangono cose. Scatole vuote.

.Ho vissuto la storia di Pomario da ragazzino prima e vedendola a distanza, perché vivevo a Singapore, poi. Solo la passione può portare a creare una cosa così dal nulla nonostante non si avesse esperienza. Ricordo la preoccupazione di mia sorella per le finanze familiari.

Andrea sembra avere tutta la voglia di essere parte dell’evoluzione di Pomario. Quasi come se volesse essere li invece che a Roma. Non lo nasconde poi nemmeno più di tanto.

(Andrea) La mamma ha preteso per fortuna il muffato..

(Giangiacomo) Se fosse stato per me il muffato non ci sarebbe stato. Magari ci sarà la firma di Andrea sulle bollicine

(Andrea) 100 mesi sui lieviti perché o si fa bene o non si fa

Manca all’appello Raimonda in tutta questa storia.

Mia figlia ha un marito che ha un naso e un palato notevole. Assaggiare i vini con il marito è una esperienza notevole

(Andrea) Faceva i complimenti anche quando erano imbevibili. Ma lo faceva bene.

Raimonda ha meno passione di Andrea per il vino per quanto la diverta e le piaccia venire a Pomario. A modo suo con amici, conoscenti, ecc, qualche mano nelle vendite ce l’ha data. Avendo avuto tre figli in tre anni e dovendosi occupare anche della Villa ha meno possibilità di incidere. Magari in futuro troverà un ruolo in Pomario.

Cosa contraddistingue la Pomario?

Andrea risponde di impulso “la genuinità”.

In un mondo dove la qualità sta scomparendo

Giangiacomo gli fa eco con la naturalità dei prodotti.

Utilizzando anche un termine del quale non se ne può più, sostenibilità. Siamo partiti con l’idea che questo vino ce lo saremmo bevuti solo noi. L’idea della certificazione biologica è venuta dopo. Dovevamo fare il vino senza usare niente che potesse farci male. È stata molto importante la presenza di Federica, agronoma molto brava e incline.

Pomario non poteva non trasformarsi per Giangiacomo e Susanna, da residenza di campagna a casa. Lasciate le redini di Villa Spalletti Trivelli ad Andrea e Raimonda (mi sa che non vedevano l’ora di lasciale…), che fai, ti fai scappare l’opportunità di vivere lontano da Roma, in campagna, in una stupenda tenuta come quella di Pomario?

Mia moglie ed io siamo più a Pomario che a Roma perché Andrea e Raimonda hanno preso le redini della villa. Federica De Santis dirige le attività della terra e della cantina interfacciandosi con Mery. Abbiamo poi un gruppo di ragazzi fantastici. I ragazzi hanno sposato la filosofia di Pomario e il nostro amore per questo posto. Ciò che apprezzo di più è la loro versatilità.

Chi preferirebbe stare al posto dell’altro?

Io sto bene dove sto (Giangiacomo)

(Andrea) Io ho un piede e mezzo a Villa Spalletti e mezzo a Pomario. Non mi dispiacerebbe stare più là. L’idea di starmene in campagna non mi dispiace anche se per adesso sono felice di promuovere e far crescere Villa Spalletti. Il mondo del vino sta passando da passione sfrenata a lavoro.

Già la passione. Come si fa a non vedere la passione che, nobiltà e disponibilità economiche a parte, c’è in Giangiacomo ed Andrea. Non so francamente quanti anni abbia Giangiacomo. L’età non conta e, chiederla, mi sembra sempre scortese. Mi affascina però il suo animo che è proprio di chi guarda sempre al futuro in maniera positiva e costruttiva. Poi, di un tratto, dice una cosa, che spiega tutto.

Questo lavoro nasce da una passione. Che mi piace fare anche vista l’età raggiunta. Mi piace pensare che i prossimi anni potrò dedicarli al vino. Più si va avanti con l’età e più il tempo passa velocemente. Pensiamo sempre più al passato più che al futuro che ci sembra corto. Viviamo di ricordi. Questo però aumenta la velocità del tempo che passa. Un’attività come questa comporta che stai sempre ad aspettare qualcosa: il nuovo vino da mettere in bottiglia, la nuova vigna che finalmente produrrà, cosa ci riserverà la nuova annata. È un modo per essere, a qualsiasi età, proiettati verso il futuro.

Come fai a non essere d’accordo?

Chiudo citando ancora il Marchese Del Grillo quando, sempre parlando con Banchard, parla dell’essere nobile.

“Blanchard te credi che è facile nascere da ‘na famiglia come la mia, aho a Roma, col Papa i Cardinali. Da bambino sognavo de fa lo scienziato, l’esploratore, ma a chi le dicevo ‘ste cose? mi padre era un omo zitto, non me diceva mai gnente, studia e prega, mi madre me diceva: prega! così quanno è morto mi padre, mamma m’ha messo un precettore che m’ensegnava il catechismo, me dava certe bacchettate sul culo c’avevo due chiappe rosse come ‘n cocomero. Adesso faccio solo scherzi!…..perchè…. a Roma che voi fa? Che c’è? Chiese, Cupole, tetti, gatti mendicanti e…streghe…..”

Ecco, Giangiacomo è riuscito a dare sfogo alla sua passione. Trovando finanche le streghe. Con il Muffato.

 

Ivan Vellucci

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