01 Dic 2023
Suggestioni di Vino

San Masseo: suonate, qualcuno vi accoglie

 

Confesso che scrivere questo articolo è stato difficile e al tempo stesso unico. La vita di tutti i giorni spesso ci impedisce di trovare il tempo per riflettere. Fermarsi a capire quali siano le cose importanti della vita. Quali quelle che fanno stare bene le persone che ci circondano oltre che noi stessi. Magari ci piace raccontarcela così, per comodità. Per non pensare veramente evitando in questo modo di dover tirare le somme. Poi, come spesso accade, ovvero per caso, ci imbattiamo in persone che hanno il potere di catturare la nostra attenzione. Persone dotate di quella calma serafica che le fa apparire come in pace con il mondo. Una pace che si trasmette e si infonde. Concetti, parole, sospiri in grado di generare in noi la riflessione. Per alcuni è la Strada. Per altri sono un attimo fugace per poi rituffarsi nella vita. Ognuno la interpreta a modo proprio. Ma, in ogni caso, il dono che riceviamo in occasioni del genere, è grande. Direi unico. La persona che incontro è Michele Badino, un monaco che vive con altri 4 fratelli al Monastero di San Masseo ad Assisi e, tra le altre cose, è un vignaiolo.

Nella storia i monasteri sono stati i luoghi nei quali e tramite i quali la vite, così come altre coltivazioni, sono state salvate dal tempo e dalla furia cieca degli uomini. Protette dalle mura e dalla fede. Coltivate e tramandate. Passate di generazione in generazione come fosse un testimone verso il futuro.

Ma era solo coltivazione? Solo necessità di conservare e trasmettere qualcosa?

No. Ma solo grazie a Michele l’ho capito.

Il Monastero di San Masseo è un monastero benedettino dell’undicesimo secolo che sorge ai piedi di Assisi proprio lungo la strada che arrivava da Spoleto e da Roma. Non è uno di quei monasteri famosi, di quelli che si trovano sulle guide per i turisti. È un luogo semplice dove l’accoglienza, defilata e silenziosa, è stata la matrice comune e costante della comunità nel corso dei secoli.

Accoglienza come elemento di creazione del monastero sorto vicino al Rivotorto, la zona umida di Assisi che ospitava i lebbrosi incontrati da Francesco.

Nella sua storia oltre i benedettini, ospitò nell’800 una colonia agricola per ragazzi che avevano difficoltà con la legge. Una sorta di rieducazione con il lavoro e una vita ordinata. Ha accolto delle famiglie di contadini tra la prima e seconda guerra mondiale e una famiglia ebrea. Ha accolto giovani di tutta Europa negli anni 70 e 80 dai francescani che vivevano qui.

Giovani di tutti i tipi quindi non prettamente a compagine ecclesiale.

Noi siamo arrivati nel 2009 quando era abbandonato da 10 anni dopo il terremoto del 1997. Abbiamo restaurato il monastero e recuperato il territorio in particolare il vigneto. Vecchio di oltre 50 anni con il Grechetto della varietà di Todi. Era utilizzato per la vendita dell’uva dunque quantità e non qualità. Era coltivato con metodi tradizionali. Siamo passati al biologico riducendo la produzione. Sostituito le fallanze dovute a vetusta. Sostituite con barbatelle fatte dalle marze (potature) dei nostri vigneti generando un clone che non si trova più poichè vecchio di 50 anni.

Michele fa parte della comunità monastica di Bose, in Piemonte. Una comunità di uomini e donne di ogni chiesa. Uniti nel lavoro e nella preghiera.

La comunità di Bose era già presente ad Assisi con delle suore sul Monte Subasio. Il terremoto del 2017 le costrinse ad abbandonare il sito fortemente danneggiato e difficilmente riparabile. Essere ad Assisi era però quasi un dovere. Ragion per la quale il Priore cercò un luogo dal quale ricominciare. I monaci di Assisi gli fecero vedere San Masseo che la Comunità di Bose acquistò dopo un lungo percorso non solo burocratico.

Un monastero da restaurare. Nelle mura e nelle terre. Circa 8 ettari con tante colture tra le quali la vite.

Prendendo un complesso nella sua totalità dovevamo restaurare tutto. L’uliveto di due ettari e mezzo e un vigneto di un ettaro e tre. Entrambi erano in condizioni di non utilizzo. Non voglio dire abbandono. Piante infestanti. Era diventato anche discarica perché purtroppo molti entravano e scaricavano ferro, materassi. Abbiamo dovuto disinfestare. La natura aveva preso spazi. Ancora adesso nel vigneto ci sono olmi, acacie, noci e altre piante.

Michele parla con lentezza e un senso di pace e appagamento che non so spiegare. Trasmette perché trasuda, tranquillità e pace. L’utilizzo delle parole, pur non essendo ricercato, indica il totale rispetto per ogni cosa o persona. Quando parla ad esempio dello stato nel quale hanno trovato il monastero, che deve essere stato devastante se c’era pure una discarica, dice che era in “condizioni di non utilizzo”. Grande insegnamento.

Cinque monaci. Cinque persone di fede inviate nel luogo più suggestivo della cristianità. Quella Assisi con tutta la sua spiritualità. Pervasa dalle gesta di San Francesco.

Un monastero da rimettere a posto. Con fatica, sudore ma soprattutto fede.

C’è da rimettere in sesto anche tutte le colture senza alcuna esperienza pregressa.

Il Monastero di Bosa è sulla sella morenica che esce dalla Valle D’Aosta. Senza vigneti perché fa freddo. Noi avevamo solo memoria di cosa facevano i nonni e magari di aver pigiato l’uva con i piedi.

Michele è la persona destinata anche ai terreni. Anche se è architetto. Con grande voglia inizia la sua certosina opera. L’umiltà non è solo regola ma modo di essere. Quella umiltà che gli permette di capire come occorra chiedere supporto.

Da subito abbiamo individuato un agronomo e un enologo che potesse accompagnarci insieme ad una cantina. Abbiamo visitato cantine qui vicino. Cantine che avevano nel modo di lavorare qualcosa vicino al nostro. La cura dell’ambiente come la cura di uno spazio o di un edificio si accompagna alla cura dell’umano. Il monastero è un luogo di accoglienza. Sulla porta del nostro monastero è scritto: suonate, qualcuno vi accoglie. Ugualmente il territorio deve essere uno spazio in cui ci sia il rispetto dell’ambiente, della biodiversità, degli animali. Il nostro vigneto non è recitato per cui entrano animali portando la riduzione del prodotto. Come i cinghiali, i caprioli, il tasso la volpe. Entrano e mangiano anche loro. Fanno parte della famiglia anche se sono un pò discoli.

La vigna, i terreni, sono uno spazio nel quale la biodiversità non è né una moda né un modo per emergere. È il rispetto della vita, di qualunque vita che vi alberga o che trae nutrimento da essa. Si accoglie ciò che la natura stessa genera. Gli animali apportano qualcosa ed è giusto che ne traggano anch’essi giovamento. Un concetto alto. Cristiano. Umano e divino.

Abbiamo iniziato in due direzioni. Sul campo abbiamo ridotto la produzione. Con il cordone speronato, con il Guyot. Accorciare i cordoni. Sostituire le fallanze tipicamente per il male dell’esca. Le abbiamo inviate a Rauscedo che è una delle patrie di produzione delle barbatelle. In cantina. Abbiamo visitato diverse cantine perché non abbiamo spazio ed energia per costruirla. Abbiamo affittato la tecnologia presente in cantina così come le botti. Abbiamo acquistato qualche barrique in rovere Francese. Dopo 10 anni siamo arrivati a produrre due bianchi di Grechetto, uno che fermenta in acciaio e si affina in bottiglia, un Grechetto che fermenta in barrique di rovere attraverso il batonnage e poi, dopo un breve passaggio in acciaio, si affina in bottiglia. Il Grechetto è un vino molto umbro dunque con il carattere delle persone che vivono qui. Quindi schietto, talvolta un pò spigoloso. Io sono selvatico tanto quanto gli umbri.

Il passaggio e la fermentazione in barrique lo rende più morbido. Abbiamo fatto questo dopo aver assaggiato dei vini specialmente nella zona di Todi. Adesso abbiamo anche un piccolo vigneto di rosso in affitto dove facciamo Merlot.

Venendo dal Piemonte abbiamo fatto un Vermut da Grechetto. Stiamo lavorando poi su almeno un altro paio di prodotti. Un vino da messa che ha un iter particolare per le autorizzazioni canoniche. Poi un vino aromatizzato in gestazione. Stiamo ancora facendo gli assaggi. Non abbiamo fretta e ci teniamo ad avere un prodotto di qualità.

La parte commerciale è rustica come noi infatti il successo non è un granché. La priorità è data al campo, alla vigna. Quando c’è tempo si fa la proposta a qualcuno. Qui, in monastero di Bosa, nelle altre due piccole comunità in Puglia e a Roma, a gruppi di acquisto, ai monasteri e qualche ristorante.

La narrazione di Michele è schietta e sincera. Senza filtri. Senza necessità di vendere qualcosa. Così come il vino che produce. Il vino non è un prodotto commerciale anche se necessariamente deve essere venduto per portare vita al Monastero. Il vino è qualcosa di diverso.

Ciò che ci interessa è avere una conoscenza di chi verrà a comprare il prodotto. Il vino veicola un modo di approcciare la natura, il rapporto con l’altro, il modo di approcciare la vita.

I nostri fratelli di Sint-Sixtusabdij Westvleteren (sintsixtus.be) in Belgio fanno birra, una delle birre più buone in Belgio. Loro dicono “noi facciamo birra per vivere, non viviamo per fare birra”. Allo stesso modo noi diciamo “facciamo vino per vivere non viviamo per fare vino”. Ma ciò che facciamo lo facciamo bene. Sulla parte commerciale stiamo un pò pensando come fare. È un pò gravosa per noi dunque trascurato. Ricaviamo ciò che serve per vivere.

Spazio per fare gli impianti ci sarebbe ma il problema sono le forze. In monastero siamo in 5 e non ci sono previsioni di aumento. Uno si occupa anche del vigneto ma anche di altre cose. Non c’è materialmente il tempo lavorandolo a mano. Si potrebbe arrivare a due ettari ma è difficile. Fare il salto vorrebbe dire avere dipendenti ma non è la nostra vita.

Michele non è il solo che lavora nel vigneto. C’è un altro monaco che in qualche modo lo supporta.

C’è con me un fratello che mi aiuta perché lui guida il trattore, io no. Per i trattamenti di rame e zolfo e anche per qualche potatura. Altrimenti sono io o con qualche amico che viene. Alcune lavorazioni si possono anche insegnare a qualcuno, la potatura no, la faccio io. Il vigneto è inerbito fino a che non arriva il fiore per garantire la biodiversità. Abbiamo un agronomo che ha fatto enologia a Perugia. La cantina con il suo enologo. Un punto di riferimento insomma c’è.

Il Monastero non ha spazi né tantomeno le risorse, economiche e fisiche, per garantire anche la cantina seguendo tutte le fasi. La vinificazione conto terzi diventa una necessità ma anche una strada obbligata.

Essendo noi una dop e biologici c’è bisogno di una certa burocrazia per il processo. Già avere i registri dei trattamenti è difficile dunque dobbiamo affidarci ad altri. Se avessi voluto fare soldi avrei fatto l’architetto.

Il Monastero di San Masseo è una derivazione di quello di Bose che a sua volta ha una società agricola, la Agribose con diramazioni ad Assisi, in Puglia, a Roma.

C’è un coordinamento tra i vari siti. Loro si occupano della parte fiscale e amministrativa. Noi ci occupiamo della produzione e dalla spedizioni di grandi quantità. Si vende pure sul sito ma non è che le persona vanno sul sito per acquistare.

Tutto a San Masseo sa di fede. Si percepisce senza che questa sia invadente. Perché ciò che conta è l’accoglienza che non guarda alla fede ma all’essere umano. Eppure, quando chiedo a Michele quanta religione e fede ci sia qui, la sua risposta mi spiazza.

Già il termine religione è un pò ambiguo perché può avere varie eccezioni. Dal punto di vista di una piccola comunità monastica che cerca di vivere con il Vangelo, il rapporto con la terra fa parte di un rapporto con il creato quindi con il Creatore. Quindi con la esistenza di ogni umano che sia credente o no. Per noi ogni umano fa parte della creazione nella diversità dei cammini di fede. Per la storia, la provenienza, il luogo in cui si è nati. Il rapportarsi con la terra con rispetto, di fatto è un atto di fede. Papa Francesco con le sue encicliche come Laudato si, invita a trovare una dimensione che non sia ecologista in quanto ecologista ma in quanto rispetto della natura che fa parte del rispetto del rispetto del cosmo, dell’umanità che fa parte di fatto di un atto di fede. Ricevo un dono che è la vita e il creato e cerco di custodirlo affinché altri possano domani viverlo, esperirlo e gustarlo anche. Passare dalla dinamica del possesso e della rapina a quella del dono. Gratuità e dono. Con le imprevedibilità del caso. Quest’anno è arrivata la peronospora e la raccolta sarà meno della metà. È così e lo accettiamo. Se il rispetto dell’altro e della terra mi comporta questo, lo accolgo e lo vivo.

Ascolto Michele in contemplazione. Il suo tono rende le parole musica. Un canto che ti entra dentro dando significato elevato alle singole parole. Il rapporto con la terra come tramite del rapporto con Dio. Il dono della vita da custodire posto sul medesimo livello della custodia della terra per poterla donare a chi verrà dopo. Una custodia che non è un possesso. Perché il possesso è come la rapina di qualcosa agli altri.

Eppure il vino è trasformazione. Non è solo terra e frutto. C’è bisogno di un processo, un qualcosa di artificiale che diventa anch’essa creazione.

Nella scrittura il vino rallegra il cuore dell’uomo. Non a caso nel cristianesimo i segni per eccellenza della presenza e memoria di Gesù Cristo che si perpetua, sono il pane ovvero il frumento diventato pane e il vino, con l’uva diventata vino. Una valenza simbolica molto forte.

“Fate questo in memoria di me” diventa un mandato. L’immagine che mi piace molto è il passaggio di mano in mano come se fosse una staffetta, un mandato, un testamento, un invito. Nel caso della eucarestia è il mandato di Gesù Cristo ai suoi e da questi agli altri.

È una trasformazione si ma nell’ambiante tutto è trasformato. Non siamo nella foresta amazzonica. Dipende in quale modo utilizziamo la tecnologia a le conoscenze per trasformare. Se nella direzione del possesso o della rapina o nella direzione del dono e della custodia.

Meraviglia pura. Fatto salvo il rispetto del Creato, la trasformazione e l’utilizzo della tecnologia non è qualcosa di cui vergognarsi. Semmai occorre prestare attenzione alla direzione che il risultato prende. Anche l’uso della barrique non è elemento di contaminazione ma di semplice trasformazione.

Se pensi ad un barile lo pensi in legno non con l’azoto. Come umani ci addomestichiamo gli uni con gli altri. L’altro è uno specchio che mi aiuta a smussare gli spigoli. Se l’altro non me li smussasse un pò diverrebbero degli aghi. Così il Grechetto che è un pò spigoloso, abbiamo provato un addomesticamento a vicenda. Reciprocità anche in questo.

Cosa ti manca per completare questo ragionamento anche sul prodotto? Sei soddisfatto? Cosa cambieresti.

Sul campo ci sono alcune cose da cambiare e migliorare. Sulla biodiversità. Sull’arrivare ad una organizzazione del vigneto che sia più facilmente lavorabile. Ci sono età diverse, alcuni erano cordoni speronati accorciati, altri no. Ogni pianta è diversa e va capita la storia. Dopo un pò di anni te la ricordi ma servirebbe una semplificazione. Specialmente in vista del fatto che tra un pò di anni andrò via, perché vengono gli altri e sarebbe utile.

Michele e gli altri fratelli sono a tempo. Non sanno quando terminerà la loro missione a San Masseo. Deciderà il Priore. Lavorano tutti i giorni facendo le cose per bene per qualcuno che verrà dopo di loro. Perché loro custodiscono qualcosa, non lo posseggono.

Sono qui dal 2009 e per i successivi due anni hanno lavorato al cantiere del Monastero. Michele è ritornato nel 2012 cambiando ben tre cantine fino a trovare quella giusta. Il marchio biologico è arrivato solo nel 2021.

Sono soddisfatto della cantina. Se fosse possibilità aumenterai i vini in barrique ma ci sono i costi. Il sogno è demandare a qualcuno la parte commerciale. Non è il mio mestiere e lo faccio nei ritagli di tempo.

Non hai paura che chi arrivi dopo di te non avrà la stessa passione?

Tu hai dei figli no? Cè un salmo che dice che i figli sono come frecce nella faretra. Prendi la freccia, la metti sull’arco, tendi la corda, attendi che non ci sia vento, punti, calibri la forza, lanci. Una volta che hai lanciato non ci puoi fare più niente. Tu speri che vada in una direzione ma se arriva un colpo di vento, te la sposta. Non ci puoi fare niente. Perché è partita. Per cui, si, ce questa apprensione ma è anche un affidarti. Altrimenti diventerebbe un possesso. Con la vigna so che ho camminato per questo tempo e non so ancora per quanto. Ci siamo aiutati a vicenda. Rose e spine. L’ho curata e mi ha aiutata nei periodi difficili. Difficoltà personali e nella pandemia. La vigna e una gattina, Pully, che viene nella vigna con me a potare. Sale sui tralci.

Passare il testimone vuol dire che parti e corri. Raggiungi il massimo della velocità quando lo passi e poi, inevitabilmente inizi a rallentare. Passa il tempo, diventi più vecchio. Come adesso che faccio tutto ma alcune cose le faccio con fatica. Stare in vigna tre quattro ore al mattino vuol dire che il pomeriggio non ce la faccio a tornare se non verso sera. Fa parte della vita. Passare il testimone perché ce la possa fare da solo.

Il rischio che scompaiano i tuoi vini?

Si il rischio c’è. Ma ci sono stati. Come la nostra vita visto. Non siamo eterni. Abbiamo fatto alcune cose, alcune rimarranno. Rimarrà un sapore. Rimarranno dei ricordi. Degli incontri con persone con le quali abbiamo bevuto un bicchiere insieme. Questa è la speranza che ci anima. La nostra vita, la vita di un monaco è qualcosa di folle perché si basa su qualcosa che avverrà dopo. Non hai una famiglia, non hai una persona accanto, non hai dei figli. Non hai una continuità fisica e biologica. Metti in gioco qualcosa che accadrà dopo. Fa parte della nostra vita.

Sto andando in alcuni posti parlando della terra, del modo nel quale la coltiviamo. Parlando del creato. E poi si assaggia il vino. Così sto provando a vendere il vino.

Non abbiamo contributi da parte della Chiesa o da parte di privati. Viviamo del nostro lavoro. Del vino, dell’olio, delle marmellate che facciamo con la nostra frutta. Accogliamo chi vuol sostare presso di noi e se vuole e se può, lascia una offerta. Ci sono anni che ci si sta dentro e altri no. Ma ce la caviamo.

I vini ci sono stati. Anzi ci sono. Quando li ho assaggiati insieme a Michele, ancora non avevamo parlato. Il Grechetto DOP, schietto e vivo. Interessante perché non irruente. Semplice. Diverso il Masseo per la fermentazione in botte con batonnage. Porta con se la sapidità del DOP ma con maggiore rotondità. Due vini che adesso capisco meglio. Vini veri. Vini che recano in se qualcosa di speciale e unico.

Non l’ho mai fatto. Non ho mai invitato il lettore ad acquistare i vini. Lascio a chi legge la curiosità di scoprire e procedere come crede. In questo caso, chiedo a chi ne avrà voglia, di andare sul sito di Agribose e acquistare il vino. Perché questo, oltre a farvi scoprire due meravigliosi prodotti, servirà ad aiutare il Monastero di San Masseo e la comunità di Michele.

Se poi qualcuno si troverà a passare per Assisi, un passaggio al Monastero consentirà non solo di parlare con Michele ma anche di bere, insieme a lui e agli altri fratelli, un bel bicchiere di vino.

Suonate, qualcuno vi accoglie.

Mi trovi su instagram : @ivan_1969

PS

Ho ricevuto una meravigliosa lettera da parte di Michele. Lui li ha chiamati “pensieri sparsi”. Sono pensieri così belli che non possono rimanere solo miei. Ecco il motivo per il quale li riporto qui. Con la speranza che chi li vorrà leggere, comprenda nel profondo quanta meraviglia c’è in tutto ciò.

 

Cura del creato, cura dell’umanità

Quando penso alla terra e alla vigna, davanti agli occhi ho le mani dei miei nonni, mani grandi, segnate dal tempo e segnate dalle tante campagne vissute e percorse, nei campi e non solo.

Insieme alle mani, ricordo il profumo, che affonda nei sapori dell’infanzia, l’odore della terra dopo la pioggia, il profumo del fieno, la crusca per gli animali, il letame sparso nei campi, il profumo delle sementi essicate all’ombra e conservate in una scatola di legno, ben all’asciutto.

Non ho mai pensato che la cura della terra, l’amore per le piante e per gli animali fosse separato dalla cura per l’umano. Sarà perché l’adagio sentito fin da piccolo era: “chi u nu vo ben a e bestie u nu vu ben mancu ai crestien”  (chi non vuole bene agli animali non vuole bene neppure alle persone ) conduceva là.

Così come un altro pensiero di mio nonno michele riferitomi quando ero già più grande: “i pini (pino domestico bot. Pinus Pinea) hanno le radici che affiorano dalla superficie della terra perché cercano il cielo”.

Questa tensione tra il creato, di cui l’umano è parte e l’alto inteso da ognuno in libertà, mi ha accompagnato e ritengo abbiano plasmato il mio essere.

Ritrovarmi oggi, in una comunità di uomini e donne, di chiese diverse, di paesi diversi a lavorare la terra come i monaci hanno sempre fatto, altro non è che dare un seguito a quanto vissuto e sperimentato fin dall’infanzia incrociato con il messaggio del vangelo e per me è una grazia e un dono.

Che cosa lega in maniera inestricabile cura dell’ambiente e cura dell’umano?

Anno dopo anno sempre più ho conferma che è la CURA stessa che è tramite di unione. Cura che investe tutti gli ambiti dell’esistere del creato o dell’ambiente e le tante sfaccettature dell’umano.

Nei luoghi e nelle situazioni in cui l’umano è schiacciato, oppresso, tanto più se è povero, parte di una minoranza, diverso per cultura, tradizione, religione, in quelle terre parallelamente la terra è schiacciata, sfruttata, violata, dimenticata.

Se diamo uno sguardo veloce a quanto accade alle popolazioni indigene del sud- America, soprattutto negli stati del Brasile: Amazzonia, Roraima e Acre il legame appare chiaro ed evidente. Così come accade in Myamar dove la libertà è schiacciata il tasso di deforestazione è secondo solo al Brasile.

Per una comunità, per famiglie, per monaci, lavorare la terra è partecipare in piccolo, ma comunque in modo attivo, alla creazione che continua dall’In principio fino alla fine dei tempi e alla cura del creato.

La cura non ha una connotazione esclusiva per i credenti, cristiani o di altre fedi, ma è inscritta nell’umanità stessa. La cura della madre la cura del padre verso il bambino, la cura dell’uno verso l’’altro e viceversa, la cura per chi è anziano, la cura per chi in tanti modi è più fragile. Cura che diviene sguardo che accoglie, sorriso che fa spazio.

La vigna, paradossalmente in tutto questo è maestra. Anno dopo anno nel ciclo della natura da un morte apparente riprende vita, piange dai tagli della potatura dolorosi certo ma necessari, dai tralci sbocciano gemme, soffici come cotone, si aprono le prime foglie, si allungano i getti, si sviluppa il grappolo che fiorisce con quel profumo unico e delicatissimo. E poi gli acini che mese dopo mese crescono sino a diventare frutto maturo pronto per la vendemmia.

Se riuscite almeno una volta partecipate alla vendemmia, andate in cantina per respirare il profumo del mosto, i colori.

Da piccolo ho avuto modo di pigiare l’uva in un piccolo “caratello”. Gli schizzi del succo d’uva, i profumi, il vociare di tutti, i piedi profumati arrossati e appiccicosi alla fine.

Prendere un altro passo, sostare per contemplare, lasciare spazio, prendere tempo per assaporare. Il creato aiuta a passare dalla dinamica del divorare avidamente e in fretta a quella dell’assaporare sostando.

Dal tralcio quiescente, alla gemma, al fiore, al grappolo, al tino, alla bottiglia. Con un processo nel quale cerchiamo di rispettare la natura, con un protocollo biologico, con il lavoro prevalentemente fatto a mano. Nulla di straordinario, solo l’inserirsi nel flusso delle stagioni, delle piante, della terra non con il piglio dei padroni ma con quello di un amico che senza interesse alcuno si fa accanto e fa strada con noi.

“Setite in po”, siediti un momento, gli anziani ce lo ricordano, dove corro? Verso chi? Lontano da chi lontano da dove?

Eppure, forse, è in quella direzione che siamo invitati. La pandemia, per un momento, ci ha fatto scoprire nel bello e nelle fatiche che è possibile, un altro modo di relazionarci, un altro ritmo nei nostri giorni. Non per semplice antagonismo ma per ridare senso ai nostri giorni, per ritrovare sapori, per 

Capisco che non è facile trasmettere profumi attraverso le parole, suscitare emozioni con un discorso.

Spesso il silenzio è più eloquente e allora vi lascio al gustare i nostri vini, profumi, colori e la brezza sul volto verrete che potrete sperimentare a San Masseo: siete invitati e sarete i benvenuti!