27 Ott 2023
Suggestioni di Vino

Sgaly: testardaggine, onestà, rispetto

Sgaly: testardaggine, onestà, rispetto 

Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata. 

Non prendetemi per matto ma quando parlo con Tommaso Sgalippa che mi racconta dei suoi genitori emigrati in Australia negli anni 50, la mia mente non può non andare al toccante film di Luigi Zampa con interpreti Alberto Sordi e Claudia Cardinale.

Erano quelli gli anni della povertà più assoluta ma anche della prima ricostruzione. Solo che se sei nelle Marche dove c’è poco da ricostruire, la fame la patisci davvero. Un piccolo pezzo di terra c’era pure. Quello di nonno Antonio. Ma che ci potevi fare? Davvero poco. Allora, armi e bagagli e via.

Vivere in Australia non deve essere stato semplice. Vedendo il film di Zampa si capisce la vita degli italiani. E siamo nel 1971. Venti anni prima non oso nemmeno immaginarlo. Eppure è terra delle tante opportunità solo da afferrare. Con capacità, caparbietà e tanto ma tanto lavoro. Papà Mario ne ha. 

Lavora come un matto. Lavori umili da manovale per iniziare. Tanto lavoro, tanta fatica, giusti risparmi lo portano a poter comprare l’azienda per la quale lavora. Affare che va in fumo purtroppo. Pure in Australia le cose non vanno sempre per il verso giusto. Che ce ne si fa allora del gruzzoletto?

Mio nonno gli scrisse che si vendeva una azienda. Una bella azienda agricola. Così papà venne in Italia e acquistò l’azienda con 4 ettari. Tornato in Australia dovette decidere se rimanere li o tornare. Decisero di tornare. Acquistarono altra terra. Erano gli anni 60 e l’agricoltura era diversa. Non c’entra niente con quella di oggi. Tutto un’altro mondo. 

La terra, l’azienda. Uno pensa che ci si potesse campare. Niente di più sbagliato. Occorreva fare altro. Specialmente se hai cinque figli. E Mario non si tira indietro. Non può. Cinque figli sono tanti. 

Papà fece l’esame per diventare daziere. Poi i dazi vennero aboliti e andò a lavorare all’Ufficio del Registro di Fermo. Avevamo due mezzadri che lavoravano con noi ma poi ci lasciarono. Papà lavorava all’Ufficio del Registro la mattina e nell’azienda il pomeriggio. Avevamo gli animali ma le cose non andavano molto bene e si decise di puntare tutto sulla vigna. Era pure nata la cantina sociale della quale mio padre era socio fondatore.

Insomma vita difficile che lo diventa ancor di più quando Mario, a soli 56 anni, muore. 

Tommaso ha quindici anni. È il maschio di casa ora ma ancora troppo piccolo per l’Azienda. C’è mamma Rosa e le quattro sorelle. Cosa te ne può fregare a quindici anni della terra, dell’azienda, del vino. Tommaso è il capobanda del paese. Quello che va casa per casa a cercare gli amici per giocare. 

Io che sono nel 65 sono cresciuto in mezzo alla vigna che sinceramente manco mi piaceva. Abitavo al centro del paese e andavo a chiamare gli amici. Così che quando il pomeriggio dovevo andare in campagna per me era più un pianto che una gioia 

Mamma Rosa prende lei in mano le redini dell’azienda. Tommaso deve finire il collegio ad Ascoli e le figlie non sanno dove mettere le mani.

Mio papà aveva aiutato tante persone perché era un generoso. Così mamma si è trovata avvantaggiata in campagna. Venivano molte persone a lavorare a giornata.

Tommaso Sgalippa, l’inflessione marcatamente marchigiana. Il sorriso proprio di una persona che non solo sa il fatto suo, ma lo sa bene. Battuta pronta. Aneddoti uno dietro l’altro. Questo è Tommaso Sgalippa, detto Sgaly. Come la sua azienda: Sgaly Azienda Agricola Biologica di Tommaso Sgalippa.

Ma poi perché Sgaly?

In collegio ci chiamavamo tutti per cognome. Invece di Sgalippa mi chiamavano Sgaly. Volevo pure registrare questo nome perché mi piaceva. Così ho contattato la Società Italiana Brevetti. Ci dissero che in Francia c’era una ditta che si chiama Skalli che vendeva vini in tutto il mondo. Sconsigliarono di usare un nome simile. Ma io sono testardo e visto che la azienda era stata acquistata con le sterline inglesi ho detto “allora mettiamo la y per differenziarci”. Poi il logo con i due delfini che rappresentano i miei genitori. La cantina era dei miei genitori. Con mio padre avremmo potuto fare l’azienda vinicola venti anni fa ma poi il signore l’ha chiamato a se.

In questa frase c’è molto di Tommaso. La testardaggine ad esempio. Quella caratteristica che ti porta ad andare avanti come un treno basandoti sulle tue convinzioni. Alle volte contro tutto e tutti. Puoi avere delle difficoltà, ma non ti abbatti. Vai avanti.

Tommaso nonostante ne abbia avute tante di difficoltà nella vita, non ha mai smesso di intraprendere la strada più difficile per la sua azienda. Ma anche quella che meglio aderiva alle sue convinzioni: il rispetto di quello che si ha, il rispetto della natura che ci circonda.

Siamo nelle Marche. Ortezzano per la precisione. Sulle colline che dai Monti Sibillini degradano verso l’Adriatico. Una terra che per il vino ha tanto ma poco nota se non per qualche mostro sacro.

Le Marche non sono viste come una regione vinicola. Neanche sulle previsioni del tempo ci nominano a noi. Siamo come il Molise e la Valle D’Aosta.

Tommaso le spara così. Ne ha una per tutti. Senza alcuna malizia. È un puro e questo comporta l’assenza di filtri. Un sorriso che contagia. Un entusiasmo irrefrenabile. 

Ora c’è da pensare ad uno come Tommaso come ad una persona che non si tiene davvero. Non lo tieni e non lo tiene nessuno. Quando inizia a parlare, non lo riesci a frenare. La sua schiettezza è così bella ed al tempo stesso disarmante che riesce a dire delle cose politicamente scorrette, ma comunque gli perdoni.

Tommaso si prende sulle spalle l’azienda (20 ettari di cui 11 vitati) fino a comprarne parte dalle sorelle e parte ad affittarla dalle stesse. A loro l’azienda non è mai interessata davvero. Una è pure ritornata in Australia a fare l’insegnante.

Siamo negli anni 80 e l’agricoltura non quella di adesso. 

Io mi ricordo quando, alla fiera di Verona del 1977, mio padre comprò un casco tipo quelli degli astronauti. Dentro di me dicevo: se uno si deve mettere il casco per usare i pesticidi, un po’ di pericolosità la devono avere sti pesticidi. Quando preparavano i trattamenti pensavo che fossero sì veleni e che sì va bene devo portare l’uva alla cantina sociale, ma io in mezzo alla vigna ci lavoro.

Ricordo i fuochi di Sant’Antonio dove si andavano a cercare grossi pneumatici da bruciare. La parola
inquinamento non esisteva proprio. Nel 1999 avevamo un appezzamento di vigna con esposizione sud sud ovest. I vigneti facevano oltre 250 quintali per ettaro e in cantina c’è chi si vantava di farne oltre 300. Oggi ne facciamo circa 90.

 

Ecco la schiettezza di Tommaso. Lui che ha vissuto, come tanti, quegli anni, non ha paura di ricordare quanto fosse tutto diverso. Non c’era alcun tipo di attenzione verso il sostenibile, il bio, la natura. Si pensava solo alla quantità.

Chi non ha avuto un nonno che andava in giro per la vigna a dare il verderame? Io ricordo perfettamente nonno Antonio che si vestiva come un palombaro, con la tanica messa a mò di zaino e spruzzava sulle foglie un liquido di colore indefinito. Magari era pure verde ma nonno non lasciava che mi ci avvicinassi nemmeno dopo due settimane “non toccare che ho messo il verderame”. Ho sempre sospettato non si trattasse di semplice rame ma all’epoca non sapevo cosa potesse essere. Magari DDT che ne so. So che c’era tanta leggerezza nell’uso della chimica allora.

Mi sono reso conto che era meglio creare una filiera che puntasse sulla qualità. Ma non era semplice. Starci dentro è tutta un’altra cosa. Da soli non si fa nulla. Piano piano ci siamo riusciti. Abbiamo fatto la cantina. Ci rendiamo conto però che ci vogliono tanti soldi. Non siamo ancora riusciti a crearci il mercato che ci serve. Rispetto al lavoro che facciamo non c’è la resa economica che speravamo. Per creare il mercato servono grandi investimenti. Più alti d quelli che sono serviti per la cantina. Poi serve il territorio.

Lucido e più realista del Re. Tommaso snocciola quelle verità che tutti conoscono ma che nessuno ammette. La chimica, il biologico, gli investimenti, i costi, la filiera, la commercializzazione. Si parla di vino con il giusto romanticismo ma poi, serve altro oltre il duro lavoro.

Uno dei nostri problemi è che non riusciamo a comunicare bene ciò che facciamo. Quasi nessuno capisce cosa c’è dietro. La Nutella a chi non piace? Cosa c’è dietro però lo sa solo chi la produce. Nel vino è la stessa cosa. Molti si nascondono dietro le docg le regioni famose i territori famosi. Il vino però è come le carte: sono sempre le stesse ma ogni volta che fai una partita cambiano. Cosi il vino. Tanti dicono. Bono il vino ora fallo sempre così. Allora non hai capito niente.

Sante verità. Specialmente quando sei votato al biologico come Tommaso e la sua Sgaly. 

Ho cominciato ad usare solo prodotti semplici come rame e zolfo. Serviva solo stare più attenti e usare i prodotti giusti al momento giusto. Concimare significava prima dare una spinta, una droga alla pianta per farla diventare più grande, più produttiva. Ma anche più debole. La pianta però non ne ha bisogno. Così ho iniziato a pensare in maniera diversa. La campagna non doveva servire per fare reddito: il reddito è una conseguenza di ciò che facciamo. Ho capito che il biologico si poteva fare. Abbiamo iniziato nel 2004 e ottenuto il certificato nel 2007. Non potevamo però più stare con la cantina sociale perché i costi sono diversi e non ti vengono riconosciuti.

Tommaso ha il potere di illuminare con le sue parole. Semplici e dirette. Ha messo in chiaro come non servano tanti prodotti ma, al contrario pochi (e giusti) al momento opportuno. Allo stesso tempo però, tutto ciò che è biologico porta maggiori necessità di tempo dunque costi che non vengono riconosciuti da realtà come le cantine sociali. 

Qui, magari Tommaso mi perdonerà se dissento un pò poiché c’è differenza tra le diverse cantine sociali. Ci sono quelle che lavorano sulla qualità estrema e quelle sulla quantità. Basta conoscerle. Ma convengo sul fatto che ci vuole fortuna ad essere su un territorio che predilige il primo aspetto.

Il vino è tutto una variabile. Sono incognite che scopri dopo. Noi facciamo il biologico per bene. Il solo loghetto del biologico non vuol dire nulla. Ci vuole serietà. Sullo Chardonnay ad esempio abbiamo da cinque sei anni la cocciniglia che non riusciamo a debellare. Ci sono dei trattamenti chimici che in uno due volte la debellano. Ma non li usiamo perché è contro la nostra filosofia. Non imbottigliamo anche se ci sono delle perdite economiche importanti. 

Tommaso si dimostra una persona con le idee estremamente chiare e la sua schiettezza si palesa ancora più marcatamente quando gli chiedo del lavoro in cantina. 

In cantina è tutto controllato. Ho impostato tutti i parametri. Il lavoro vero e proprio arriva dopo la vendemmia. Abbiamo diverse varietà che ci consentono di distribuire il lavoro nell’arco di due mesi. Non c’è l’enologo perché come in vigna serve la presenza e ciò che conta sono analisi certe.

Ma quindi fai tutto tu Tommaso?

Abbiamo avuto un genio laureato a Udine con 110 e lode e bacio accademico (mi dice il nome ma lo ometto…). Un fenomeno che ci ha fatto fare 115 ettolitri di aceto e vari danni per migliaia di euro. Poi è sparito dalla circolazione e ora sa che mi deve passare lontano. Nonostante i danni, non gli ho detto nulla perché era un ragazzo e poteva sbagliare. Però ha studiato non per aiutare ma fregare la gente. Si sentono i fenomeni a trovare la scorciatoie.

Ho avuto anche un enologo che lo era stato di una grande cantina delle Marche. È stato da noi e mi scriveva una pagina intera con le sostanze che dovevo mettere nel vino: “ma allora non hai capito niente. Io vado in vigna a spaccarmi la schiena e tu mi dai le schifezze da mettere dentro”?

Ora, premesso che con battute di questo tipo, che battute non sono poiché frammenti di vita vissuta, Tommaso mi ricorda a pieno proprio Alberto Sordi, non fa altro che scoperchiare quel vaso che in tanti tendono a mantenere ben coperto. Sono pochi, anche se sempre di più, i vignaioli bravi che rifiutano di inserire nel vino sostanze miracolose ancorché chimiche (magari anche biologiche). Non occorre offrire al mercato prodotti uguali negli anni e privi di errori. Va compreso sempre di più che il vino deve, necessariamente deve, rispecchiare le diverse annate. Questa è la vera magia del vino! 

Vignaioli testardi e tutti di un pezzo come Tommaso, sono proprio quelli dai quali non puoi aspettarti che il vino sia sempre lo stesso anno dopo anno. Così come non puoi chiedergli lo Chardonnay se la cocciniglia se lo mangia.

Al Falerio Pecorino potremmo aggiungere altro secondo il disciplinare ma io lo faccio in purezza. Altrimenti poi non mi piace. Anche la Passerina la facciamo in purezza. In passato abbiamo fatto Chardonnay di livello ma ora per la cocciniglia non è più quello del passato. La cocciniglia viene portata dalle formiche che sono ghiotte della melata. Dunque occorre eliminare le formiche. Ma in modo naturale.

Il Falerio Pecorino è uno dei vini che ho assaggiato. La recensione completa è sul mio blog Instagram.

La Sgaly produce sei etichette. Tre bianchi, Falerio Pecorino, Centuria Romana Passerina, Hausum Chardonnay; un rosato, Rosa di Cuma. blend di Merlot e Sangiovese; due rossi, Rosso Piceno (blend di Merlot, Sangiovese e Montepulciano) e Cuma (Montepulciano in purezza con affinamento in barrique). Tutti vini che svelerò piano piano sempre sul mio blog. 

Rimango comunque colpito dalla tecnologia che c’è in cantina. Si capisce non solo di più dei costi di cui parla spesso Tommaso ma anche della necessità di supportare al meglio il biologico. 

Siamo partiti con un signore, Domenico D’Angelo, che mi ha aiutato a progettare la cantina. Mi ha instradato. Siamo stati fortunati ad appoggiarci a persone competenti. A me piacciono le cose fatte bene. Non mi piacciono le cose a risparmiare. È stato un sacrificio economico che ancora oggi paghiamo. Ma ne è valsa la pena. 

Tommaso si occupa di tutto in azienda tranne che della parte contabile e commerciale. A questo ci pensa la moglie Nicoletta. Due le figlie, Caterina e Chiara. Caterina, laurea in agraria, si occupa anche lei del commerciale e dei Clienti. Chiara fa la maestra in un asilo nido e supporta la famiglia durante la vendemmia. 

A Caterina le piace molto la poltrona e il computer.  Il ragazzo di Chiara invece fa l’enologo e stiamo cercando di farlo entrare in azienda ma ha un buono stipendio

Cosa mi rimane di questa chiacchierata?

Aver conosciuto un personaggio come Tommaso, testardo e schietto. Nonostante una vita difficile, nonostante la fatica, porta avanti le sue convinzioni con forza e tenacia. Senza voltarsi indietro. Senza piangersi addosso. Anzi, lo fa con coinvolgente grandissima energia evidente anche solo dal modo di parlare e di porsi. I vini sono una sua diretta espressione.

Allora, è bello finire con le sue di parole più che con le mie. Perché queste debbano essere l’omaggio ad un uomo prima all’imprenditore dopo: tutto il mio rispetto.

Non voglio infangare nessuno però a me piacciono le cose pratiche e fatte bene. Io lavoro come se qualcuno mi stesse costantemente guardando perché sono stato educato all’onestà e al rispetto.

Onestà e rispetto. Quando ci sono queste due virtù, tutto il resto, non può che essere una piacevole, meravigliosa, conseguenza.

Tommaso, aggiungerei solo la tua testardaggine!

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