07 Lug 2023
Suggestioni di Vino

Società Agricola Capriotti e la semplicità del Verdicchio

Società Agricola Capriotti e la semplicità del Verdicchio

Quando mi capita di parlare con una persona ho spesso la tendenza a posizionarla all’interno di una cornice ben precisa: un film, un libro, una canzone. Una sorta di raffigurazione schematica per inquadrarla in un contesto più ampio. Come se qualcuno prima di me abbia avuto la genialità di rendere “personaggio”, protagonista o meno, quella persona. Spesso rido perché il ricordo va ad un personaggio comico. Altre volte rimango intrigato. Qualche volta mi rattristo. Può succedere poi di non avere un appiglio sicuro e rassicurante. Di non riuscire capire dove e come incasellare l’interlocutore. Forse capisco di non aver letto il libro o guardato il film o ascoltato la canzone con quel personaggio.

Incontrando Mirko Capriotti della Società Agricola Capriotti la sensazione è di avere dinanzi qualcuno che ancora non ha trovato spazio nell’opera di un autore. Non fosse altro perché, quando pensi di inquadrarlo in un contesto, ti spiazza facendoti andare da tutt’altra parte.

Schietto, verace, diretto, ironico, perspicace, pragmatico. C’è una frase che emerge dalla conversazione con Mirko che dà il senso del prologo.

Qui tutti dicono che sono viticultori alla terza generazione. Potevo dirlo anche io perché nonno era viticultore, mio papà, anche se per un periodo breve, lo è stato. Ma vogliamo dare, anche continuando quello che faceva nonno, una impronta diversa con vini di facile bevuta senza che siano anonimi. Con un nostro vino se sei in tre, una bottiglia te la finisci bene.

Ecco. Ecco Mirko. Siamo a Castelplanio in provincia di Ancona, poco sopra Jesi, nel mezzo di quella Strada Statale 76 che collega il mare di Falconara Marittima a Jesi e Fabriano. Nelle Marche  il Verdicchio la fa da padrone incontrastato dividendo equamente le gioie e i dolori dei produttori (gioie dal successo che sta avendo, dolori dal prezzo non certo elevato).

L’idea di costruire una azienda vinicola viene a Mirko e alla sorella Monia nel 2015. Mirko che lavora in una industria di mobili e Monia a girare il mondo lavorando nella ristorazione. Monia che si ferma per metter su famiglia e poi alla ricerca di un lavoro che non arriva. Ci sono i terreni del nonno però. Tre ettari coltivati come poteva coltivarli il nonno e non coltivarli il papà. Dal vigneto al seminativo. Un po’ di confusione. Ma se non è quella la tua attività, ci sta. Non dovrebbe starci ma ci sta.

Puoi startene con le mani in mano. Puoi continuare ad andare in giro cercando qualcosa che, forse, prima o poi arriverà. Oppure. Oppure puoi scegliere di avventurarti in qualcosa di complicato, difficile, faticoso. L’agricoltura e la vigna in particolare viene raccontata come qualcosa di meraviglioso. Solo chi la vive sa quanta fatica c’è dietro una singola bottiglia. Con il tempo che passa. La vita che ti passa dinanzi agli occhi. Un ticchettio che è nelle orecchie e ti fa capire che se hai una idea, non devi aspettare. Devi tirarti su le maniche e fare.

Monia e Mirko decidono di tirarsi su le maniche e fare. Investendo i pochi soldi che hanno, il tempo e il sudore.

La perdita in poco tempo di persone che avevano tanti progetti ci ha fatto capire che se hai una idea in testa devi portarla avanti. Non aspettare chissà quale occasione o quale evento favorevole. Se ce l’hai e ci credi devi andare. Nel giro di sei mesi abbiamo iniziato tutto. Piantando anche i vigneti. Era il gennaio 2015.

Prendi i tre ettari del nonno. Li lavori bene con le poche e malconce attrezzature. Pianti le barbatelle. Una per una. Con la voglia di fare qualcosa. Con la speranza di ottenere qualcosa. Con la necessità di produrre qualcosa.

Siamo partiti da zero impiantando le barbatelle che abbiamo messo noi e gli amici. I pali da una ditta e noi che aiutavamo. Il nonno essendo agricoltore aveva qualche mezzo. Qualche ferro vecchio che ho usato per le lavorazioni.

Messe le barbatelle, inizia il lavoro. Insieme all’attesa. Generalmente se si hanno i fondi a disposizione, il tempo di almeno due anni necessario alle barbatelle per produrre i primi grappoli accettabili, viene impiegato per realizzare la cantina. Se non li hai invece, oltre a non fare la cantina devi sbarcare il lunario. Pianti le barbatelle e poi vediamo.

Occorre dunque aspettare il 2017 per la prima vendemmia. Vendemmia che non può prevedere la vinificazione perché la cantina non c’è. Unica strada è farselo produrre da terzi.

In molti di quelli che parlano da profeti, e non è critica o invidia, hanno le spalle coperte. Noi no. Non potevamo fare l’investimento della cantina. Abbiamo fatto il vigneto con gli aiuti regionali e il 40% dei lavori in economia.

3000 bottiglie e qualcosa di sfuso. Null’altro si poteva ottenere in fin dei conti. Nel 2017 così come nel 2018 magari con un po’ di sfuso in più.

“Il nonno era produttore di vino ma la storia del vino del contadino che era buono è una stronzata pazzesca. Da noi si dice “non si strozzavano”. Se non aggiungevi acqua, era imbevibile.

Schiettezza. Mirko è così. Dice ciò che pensa. Dice quelle cose che tutti sanno e pensano ma si vergognano di dire.

Gli anni del covid portano a produrre le stesse quantità. L’aumento dello sfuso, la consegna a domicilio e soprattutto i bassi investimenti li aiutano a superare la bufera. Ma proprio nella bufera capitano le cose. E quando capitano puoi prendere o lasciare quello che il destino ti offre. Ogni cosa ha un prezzo. Economico o di impegno. Il prezzo comunque c’è.

Capita così che nel 2020 c’è l’occasione di prendere due ettari di un vigneto di Verdicchio impiantato negli anni 80. L’occasione è ghiotta ancorché impegnativa. Sempre in due, Monia e Mirko, sono. Pochi soldi e tanta voglia. Monica a tempo pieno, Mirko a metà.

Nel 2020 abbiamo ampliato l’azienda con un vigneto di due ettari dei primi anni 80. Ci siamo avvicinati ad un enologo emergente della zona che ci ha supportato nella gestione del vigneto. Il vigneto acquisito ci ha consentito di ottenere un discreto prodotto. Migliorando con enologo e cantina è uscita la seconda bottiglia. Con il vigneto del 2015 facciamo il Classico, con il vigneto acquisito, il Superiore.

La semplicità. Un vigneto, un vino. Niente di più, niente di meno. Nessuna lavorazione in cantina (solo acciaio a temperatura controllata, riposo sulle fecce fini e a febbraio imbottigliamento). Nessuna “costruzione” del vino: non se lo possono permettere e non piacerebbe a Mirko.

Io sono una persona che prima di produrre vini ne ho consumato tanto al bar, alle cene, con gli amici. Per me il vino è convivialità: aprire una bottiglia, tagliare una fetta di salame. Questi sono vini ideale per queste occasioni. Fatti bene nella loro semplicità. Non dico che sono unici ma non sono confondibili.

Se non è questa la vera semplicità e schiettezza non so cosa sia. Mirko è uno di quelli che pensa che riesci a vedere qualcosa in cui credi. Nel caso del vino meglio se pure consumato.

Stiamo iniziando ad impiantare le nuove barbatelle con cloni di vecchie piante. Quelle che stanno scomparendo. In zona stanno appiattendo il vino perché acquistano le barbatelle dallo stesso vivaista, hanno stesse esposizioni, le stesse tecniche in cantina.

Iniziare a fare il vignaiolo dal nulla fa capire quello che gira intorno al mondo del vino. Soprattutto ciò che serve per sostenere l’azienda, garantire la sopravvivenza. Partendo dalle dimensioni che non possono non prescindere dal territorio e da ciò che si produce. Su questo Mirko ha le idee chiare.

Il nostro obiettivo è arrivare a 7 ettari di vigneto rispetto ai 5 attuali. Produrre non cinque etichette perché è difficilissimo ma magari una bollicina e basta. Per ora, con la conoscenza del vino, e in cinque anni non sei nessuno, non so ancora bene cosa fare. Di certo non gradisco i vini passati in cemento. Su dieci vini che assaggio gradisco solo quelli che fanno acciaio. Perché non aggiunge ne toglie nulla. Cemento e legno tolgono territorio. Non è sbagliato farlo ma per una azienda di 6 ettari con 55/60000 bottiglie vorrei qualcosa di territorio.

E le idee chiare anche sul tipo di vino.

Adesso tutti ricercano i vini naturali. Ma i vini naturali fatti bene quanti sono? Alla fine, il vino è un passaggio temporale tra l’uva e l’aceto. L’uomo con le prove e lo studio ha allungato questo arco temporale. Molti sul mondo del vino raccontano la storiella strappalacrime o la favoletta. Alla fine, qui si combatte con le riba a fine mese, le buste paga dei collaboratori. Vendere il Verdicchio sopra i 10€ non è facile. La fascia media dei prezzi del classico è da 5 ai 7€. Il Superiore dagli 8.50 agli 11€. Non ci si può permettere di giocare. Ti raccontano quanto è bella la vita in campagna ma a Pasqua pensavo di stare a casa invece ero nel vigneto perché aveva grandinato.

Quanta verità in queste parole. Le storie inventate per dare un tono alla cantina sono frutto della ricerca di una qualsiasi narrazione con lo scopo di fornire spessore ai vini, blasone alla cantina. Darsi un tono e cercare nel passato la propria ragion d’essere. Vedere e comprendere invece il lavoro, il lavoro vero fatto di fatica e sudore, per necessità, passione o entrambe le cose, è bellissimo. Puoi raccontare la storia più bella del mondo ma poi, alla fine, il vino lo si beve. Se è buono. Se fornisce gioia attraverso sensazioni e convivialità. Ma quando capisci da dove viene, quanto lavoro c’è dietro, quante gocce di sudore oltre che di uva ci sono nella bottiglia, allora, il vino ha più gusto.

Mirko e Monia hanno iniziato questa avventura per un mix di necessità e passione. Al quale forse io aggiungerei la voglia di libertà di Mirko. Ma questa la lasciamo a latere. Anche perché poi Mirko, a parte alcune lavorazioni con i mezzi si occupa di amministrazione, vendita e quant’altro di burocratico c’è da fare.

In vigna le lavorazioni le fa esclusivamente mia sorella e non vuole che io ci entro. Potatura e legatura insieme a due baby pensionati.

Anche la gestione del vigneto evidenzia a pieno la filosofia di Mirko che deve essere anche quella di Monia

Per il vigneto, non siamo in biologico ma facciamo la lotta integrata. Non facciamo uso di erbicidi ma di concimazione organico e sovescio. La poesia è bella ma la realtà è altra. Non possiamo permetterci di perdere il 30% del prodotto o portare l’uva non sana in cantina. Utilizzando prodotti giusti al momento giusto, nel vino non riporto nulla. La solforosa è sotto il limite del biologico perché se l’uva è sana non me ne serve tanto. E questo ce lo dicono le analisi. Fino al 2019 i migliori clienti della cantina Capriotti erano gli stessi Capriotti.

Pragmatismo puro. Dettato certo dalla necessità di sostenibilità, ambientale, del prodotto, dell’azienda, ma anche dal carattere di Mirko (e Monia). Senza favolette. Senza prese in giro. Con convinzione e razionalità. Unico vero scopo, unica modalità per non fallire è portare l’uva bella e sana in cantina. Perché poi, non si può fare più nulla. Una filosofia meravigliosa che rende i vini semplici ma veri.

Due i figli di Monia, uno di Mirko. Il futuro sarà loro se lo vorranno. Di certo adesso occorre portare avanti l’azienda e ad una eventuale cantina, non ci si pensa.

Tutte le cantine che funzionano hanno due/tre generazioni all’interno. Tutte le altre o chiudono o fanno una vita grama. Siamo in due e se faccio una cantina devo mettere un operaio: non ce lo possiamo permettere.

Per adesso dunque il piano è pensare al turismo del vino che la Statale 76 in qualche modo agevola. Un agriturismo, la vendita al bicchiere, la vendita diretta. L’imperativo è bilanciare i minori margini derivanti dalla distribuzione.

Molti hanno fatto la cantina e poi hanno pensato a vendere. Io penso prima a vendere.

Mirko è simpaticissimo ed esplosivo. Con il suo intercalare marchigiano, il sorriso sempre pronto, le battute, gli aneddoti. È uno che vive e ha vissuto. Ma è pratico. Senza fronzoli. Essenziale.

Sente il peso delle vendite. La responsabilità del suo ruolo per le entrate della cantina. Lo fa con il sorriso e la leggerezza di chi ha confidenza del prodotto che offre.

Qui il barista guarda il prezzo ma io gli dico di non fossilizzarsi sui 30 centesimi in più rispetto alla concorrenza. “Vedi quanti ti chiedono il secondo bicchiere” gli dico. Perché chi inizia a provare il mio vino, se ne innamora.

Territorio nelle bottiglie e territorio nella distribuzione. Prima vengono le Marche poi il resto. Che comunque c’è.

Sono sempre convinto che se non sono padrone a casa mia non posso andare fuori. Andrò all’estero quando sarò ben conosciuto qui in zona. Stiamo coprendo bene le Marche. Facciamo qualcosina a Roma con un distributore e quest’anno mi devo mettere di impegno per trovare altre strade.

Partiti da 3000 bottiglie si è arrivati alle 11.000 bottiglie del 2022 puntando alle 16.000 del 2023.  Tutte con due etichette: La Pietra, un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico e Kàlamos, il superiore. Niente rossi in lista perché come dice Mirko

Il territorio non è vocato per il rosso. Non lo voglio fare a meno che il mercato non me lo chieda ma rischio di non farlo con uve mie. Le bollicine se le faccio, le faccio con le mie. Sto assaggiando tante bottiglie per capire in che fascia di prezzo potrò venderle. Occorre capire l’investimento. Quest’anno sicuramente una base la facciamo. Sto assaggiando anche qualcosina in anfora perché se esco col metodo classico esco tra 3 anni. L’anfora ha poca concorrenza.

Ho avuto modo di assaggiare entrambe i vini di Mirko e Monia: rappresentano a pieno il territorio, l’azienda, il carattere. Semplici e non ruffiani. Genuini e non edulcorati.

La Pietra, Verdicchio Classico, è un vino che offre una ottima pulizia di bocca grazie al retrogusto agrumato. Retrogusto pericoloso per il finale amarognolo che si accentua se lasciato scaldare. Munirsi dunque del secchiello per il ghiaccio nelle calde sere d’estate è d’obbligo anche se, confermando quanto diceva Mirko, il vino lo si finisce subito. Semplice e ottimo proprio per questa semplicità. Paglierino dai riflessi verdognoli con pochi sentori ma invitanti: agrumi, fiori di campo, fieno e un mango che inizia a percepirsi. Secco, caldo, fresco e soprattutto sapido, offre una persistenza buona ma non eccessiva insieme ad una bella chiusura di bocca. Perfetto anche per un aperitivo.

Kàlamos, è Superiore già dalla luminosità di quel color paglierino che rende evidente la provenienza dalle vigne più mature. I sentori diventano articolati con il cedro, il pompelmo, l’ananas, la banana, il lieve vegetale, i fiori di girasole, iodio, pietra focaia. Bella freschezza, secco e un calore non particolarmente evidente. Spicca invece ancora la sapidità. Un sorso molto armonico e persistente con ritorno di agrumi dovuto ad un bellissimo bilanciamento. Uno di quei vini per i quale un sorso invoglia l’altro, sia perché è buono sia perché la bocca viene lasciata in uno stato davvero interessante. Abbinamento direi con una pasta con zucchine o un pesce tipo scorfano.

Quanto al nome, Kàlamos, sarebbe stato facile imbastire una storia tipo: il nome Kàlamos è un omaggio ai miei genitori che ogni anno ci portavano in barca proprio a Kàlamos, l’isola greca dello Ionio tra la costa e Cefalonia. Li era la base delle nostre estati. Ecco sarebbe stato facile e bello. Ma i genitori di Mirko e Monia non penso avessero le possibilità di farsi una barca. Kàlamos è il calamo, la sottile canna usata per scrivere. Sottile come la strada, via Canneggie, che collega i due vigneti. Canneggiare poi vuol dire misurare. Anticamente lo si faceva con una canna. Da qui il nome, pratico, legato al territorio, senza fronzoli. Niente di più lontano da una favola. Come lo è Mirko.

Niente favole dunque per la Società Agricola Capriotti. Niente favole per Mirko e Monia. Solo cose concrete. Solo fatica, voglia, passione. Da questo nascono vini che sanno di tutto ciò. Difficile emergere in un mondo così complesso ma io glielo auguro di cuore.

 

Ivan Vellucci

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