31 Mag 2023
Suggestioni di Vino

Stefano Menti il Maestro del vino biodinamico

 

Si sente spesso parlare di vino biodinamico. Il più delle volte da chi non lo produce e sempre con grande scetticismo. Come se si trattasse di qualcosa proveniente da un altro pianeta. Esoterismo. Pratiche particolari, alle volte incomprensibili. Raramente si ha la possibilità di parlare con qualche produttore biodinamico che lascia da parte la filosofia per farsi capire. Anche attraverso i suoi prodotti: i vini.

Stefano Menti è uno di questi. Una persona splendida che non ti mette dinanzi altro che la sua esperienza. E i suoi vini. Stefano non si vanta di nulla. Non nasconde o rinnega il suo passato. Un passato di un ragazzo che ha dovuto dedicarsi al vino. Senza volerlo. Senza averlo chiesto.

Non sono arrivato dalla scuola. Ho fatto Ragioneria e dopo il militare ho iniziato ad occuparmi della vendita di prodotti per l’igiene. Siccome sto scrivendo un libro, mi dicono che devo dire così anche se vendevo carta igienica. Non pensavo di entrare in questo mondo qui. A 18 anni il vino non mi piaceva. Mio papà e mio zio facevano un vino che non mi piaceva. Conoscevo solo il vino di mio papà. Quando uscivo fuori con i miei amici per ubriacarmi e dicevo “ah però”. Erano vini che ora ripugno perché con tanto legno. Barrique. Era la moda del tempo. Che però mi ha fatto capire che i vini potevano anche essere buoni.

Siamo a Gambellara, patria della Garganega. Qui in molti fanno vino da generazioni sul suolo vulcanico. In molti, così come papà e zio di Stefano. Quei vini che a Stefano non piacevano e non gli andavano proprio giù. L’azienda non se la passava tanto bene così che la società tra i due fratelli si scioglie con la conseguenza di trovarsi in una difficile situazione economica.

Io che facevo un altro lavoro ho deciso di investire in azienda più per senso di famiglia che perché ci credessi.

Ecco, così è l’ingresso nel mondo del vino di Stefano. Non per amore. Non per passione. Non per necessità. Per senso di responsabilità.

Ora, uno che entra in un business nemmeno poi tanto facile, un business dove c’è da lavorare la terra e per fare questo oltre che faticare servirebbe anche un minimo di conoscenza, ma cosa diavolo gliene frega di buttarsi sul biodinamico?

Andando a vendere in giro il vino ho trovato tante belle persone anche di quelle importanti che lavoravano in ristornati uno/due stelle e che parlavano con me invece di snobbarmi. Ero un ragazzetto con vini dozzinali. Mi hanno invece dato degli spunti dicendo che i vini erano altra cosa. Così, assaggiavo i vini che loro mi consigliavano e quelli che mi piacevano venivano tutti da agricoltura biodinamica.

Forse si sono solo incontrati i gusti o forse è scattato qualcosa di magico tra Stefano e una cultura, un modo di essere quale è il biodinamico. O forse è stato anche un mero calcolo commerciale. Perché Stefano sa bene che la Garganega la lavorano in tanti dalle sue parti e se vuole emergere, qualcosa, di diverso, si deve inventare.

All’inizio essere biodinamici rappresentava la voglia per emergere. Ci sono zone non è necessario essere biodinamici perché tanto i prodotti li vendi lo stesso. Che senso ha cambiare e sbattersi per essere diversi, biologici, biodinamici. In altre zone dove ci sono le cantine sociali, non si cambia perché tanto l’uva non viene pagata di più. Qui era davvero necessario fare qualcosa per emergere.

Poi è diventata una necessità perché i risultati ci sono. L’ecosistema funziona meglio. Quando il vicino soffre la siccità tu soffri meno. Quando arriva la grandinata la tua pianta si riprende meglio di quella del vicino. L’unica cosa strana è perché il vicino non cambia vedendo questi risultati.

Era il 2000 circa. All’epoca di biodinamico si parlava pochissimo. Anche perché coloro, pochissimi, che lo praticavano non volevano parlare con nessuno. Certo non posso biasimarli visto che venivano derisi e messi all’indice.

Volevo andare a trovare e mi dicevano che non accettavano produttori in cantina. Mi sentivo ancora più sfigato.

Eppure non si scoraggia. Incontra Sangiorgi grazie al quale legge “il vino tra terra e cielo” di Nicolas Joly (pubblicato da Porthos) ed inizia ad approfondire ed appassionarsi al tempo stesso.

Stefano si va ad infilare in un cul de sac. Anche perché il papà non è che remasse proprio nella sua stessa direzione. Per uno che da oltre cinquant’anni faceva vino con il metodo tradizionale, quei metodi, proposti da un ragazzino che di vino non ne sapeva nulla, non potevano certo trovare la sua approvazione. Neanche i consulenti gli servivano.

I consulenti erano molto integralisti e mi dicevano che o la biodinamica si fa così o niente. Nel 2010 incontrai Adriano Zago che ancora adesso è l’agronomo biodinamico più famoso in Europa. È stato un discepolo di Pierre Masson. Mi disse che non aveva molto tempo ma che, quando in zona, mi avrebbe dato una mano.

Stefano si applica e si applica sul serio. Una caratteristica questa che non si può non riconoscergli. Lui si applica. Sperimenta ma sempre e solo dopo essersi documentato. Non fa mai le cose per caso. Ogni cosa deve essere programmata, controllata, verificata. Nel rispetto della natura. Quella natura che, se rispettata, è in grado di emanare energia.

I cambiamenti sono presto visibili nel vigneto e nell’orto. Ho cominciato a lavorare con un ragazzetto che mi ha abbandonato per finire l’università. Nel 2015 poi, Marco Barba che faceva il carpentiere prima e a lavorare in una azienda biodinamica nel cantone della Jura diviene il mio braccio destro. Adesso abbiamo 9 ragazzi a tempo indeterminato.

Assumono giovani per essere pronti per il futuro. Il più vecchio nel team ha 50 anni mentre gli altri sono ventenni. Assunti a tempo indeterminato così che possano avere un futuro.

Gli diamo un abbigliamento figo perché lavorano meglio e hanno una immagine. Abbiamo idea di fare una azienda che funzioni da sola.

Come è cresciuto Stefano dopo venti anni. Ora è un manager. Conosce il vino. Sa produrlo. Sa coltivare la vigna. Sa gestire le persone. Sa gestire una azienda. A tal punto che delega e fa consulenza.

Non mi sono goduto la giovinezza e l’ho fatto solo per senso di responsabilità verso i miei genitori. Tutti gli anni li ho passati a lavorare come un cretino senza soldi. Con frustrazione perché i risultati non arrivavano. Nel tempo ho capito che sono contento così perché per me è più importante il tempo libero dei soldi. Chissenefrega di guadagnare tanto se non puoi goderteli.

Essere una azienda biodinamica per la Menti, per Stefano, non è solo una questione di rispetto per la terra. È etica. È impegno sociale. È rispetto per tutto ciò che lo circonda. L’azienda lavora 5.5 ettari di vigna. Poi boschi e orti. Ma non basta. Perché la cultura biodinamica che Stefano e il suo staff hanno ormai metabolizzato fa sì che altri si siano rivolti a lui per ottenere supporto.

Negli anni abbiamo attratto un sacco di gente per aiutarli in cantina. È un progetto di consulenza ampio senza averne cercato nessuno.

Insomma le aziende chiedono di essere supportate in vigna, in cantina, nella gestione del vino. Così accanto all’azienda agricola e vinicola è nata una società che fa consulenza.

Una azienda che è nei colli Berici ci teneva a passare alla biodinamica. Gli abbiamo dato una serie di libri da leggere, libri pratici: intanto leggiti questi libri qui così quando veniamo a parlare perdiamo meno tempo. Vieni qui quando facciamo il corno letame così vedi come si fa. Ti metti lo zaino in spalla e ti insegniamo come si sparge. Ti diamo una serie di check list che sono le stesse che abbiamo noi.

Stefano è pratico ma non sbrigativo. Vuole che la cultura che lui ha imparato non debba essere qualcosa che si vende un tanto al chilo. Se la vuoi applicare devi impegnarti. Devi capire cosa c’è di differente e, se la accetti, la applichi. Ma non seguendo regole ferree. Seguendo ciò che puoi e ritieni migliore per la tua realtà.

Le aziende ci chiedono di vinificare da noi o di supportarli in cantina o vigna. Abbiamo attirato gente dalla Campania, Toscana, Sardegna. Puntiamo a dare loro le conoscenze per poi arrangiarsi da soli.

Un modello di business che porta oggi la Menti a fatturare circa il 78% nel proprio vino, il restante 22% nella consulenza. Niente male per un ragazzo che non voleva fare questo mestiere.

Quando iniziamo a parlare dei vini Stefano mostra tutta la sua carica energetica. Non è un talebano. Non è uno che disdegna i vini non biodinamici. È pragmatico. Il vino piace o non piace. Il vino suscita o non suscita emozioni. Il vino è fatto o non è fatto bene. Molto semplice. Quando mi racconta un episodio, non posso fare a meno che ascoltarlo con interesse e stupore.

Io bevo tantissimi vini e mi piace berli con attenzione. Ogni dieci giorni facciamo una degustazione alla cieca in cantina con tre vini naturali o non dove si deve dire mi piace o non mi piace. Quando cominci a produrre e capisci che oltre all’uva sul vino ci possono essere 83 ingredienti non riportati in etichetta e sul biologico possono essercene 60. Sul biologico ci sono dosaggi altissimi. Una sera di vendemmia siamo andati ad una festa di amici. Tutti appassionati di vini che portavano bottiglie di vino costose e vecchie. È arrivato un Radikon che abbiamo aperto con grandi aspettative. Non era cattivo ma non era nemmeno buono. Sembrava un vino morto perché sapeva di acqua e alcol. Eravamo tutti fan di Stanko Radikon e nessuno ha detto niente. La mattina scendo presto in cantina a controllare e mi arriva un messaggio che la notte era molto Stanko Radikon. Tutti noi abbiamo ricomprato lo stesso vino della stessa annata ed è sempre stato un vino della madonna. Ecco, abbiamo tutti pensato che quella sera il vino non aveva voglia di festeggiare.

Quando senti parlare Stefano capisci quello che in genere c’è scritto nei sacri testi del vino: il vino è materia viva. Allora se è vivo, ha in sé l’energia del suo produttore. Sarà suggestione. Sarà spiritualità. Ci si può credere o meno. Però il vino è bello per questo, perché è vita e morte. È gioia e tristezza. È felicità. È amore. In ogni sua forma ed espressione.

Giovanni parla dei suoi vini con amore. Come un padre parla di sua figlia. Leggi in lui l’emozione. Negli occhi c’è solo ed esclusivamente amore. Amore incondizionato che sa comunque vedere quei difetti che non rifugge ma ammette. Accetta. Come si accettano le paturnie dei propri figli fino quasi a trasformarle in pregi. Tutto però esclusivamente naturale. Come la natura riesce ad offrire. Senza edulcorare nulla ma lasciando che la natura, e la tecnologia, faccia il suo corso. Eppure si dà ancora oggi dello sfigato. Gli è rimasta addosso quella “sfigataggine” del ragazzo che cominciò senza voglia e solo per dovere. In fin dei conti, credo che la sua sia solo una grande, grandissima umilità.

Hai mai pensato di fare il furbo con i vini?

In passato ero molto integralista forse più di adesso perché convinto che i vini per essere buoni dovevano essere fatti con uva integra. Con la tecnologia invece si può ovviare. Adesso poi non posso più perché sono così riconosciuto per quello che faccio che mi perdonano anche cose che non vanno proprio bene. Specialmente con i rifermentati. Una volta che imbottigli il vino che deve rifermentare, che ha poca solforosa, poco alcol, che ha fatto la malolattica, che non è microfiltrato e che deve rifermentare con lieviti indigeni, hai tutti gli elementi per fare male. Li quando ti va storto qualcosa non puoi fare niente e devi riconoscere commercialmente che non è il massimo. Noi lo vendiamo non fregando la gente ma dicendo che è meglio assaggiarlo prima. Li abbiamo sempre venduti.

È tempo di assaggiare i vini di Stefano.

Iniziamo da Roncaie. È il vino più semplice da uve Garganega rifermentato in bottiglia aggiungendo solo mosto di passito.

Puoi berlo sbattuto così hai tutta la quantità di lieviti. Va aperta a 45 gradi. Noi iniziamo a fare questo vino nel 2007. È stato un po’ la conseguenza di un errore. È un vigneto dell’85 in pianura. Ho fatto una potatura cortissima con pochi grappoli. Il terreno è molto fertile e gli acini si rompevano. Dovevo accettare la resa che fa il vigneto e il basso grado alcolico. In primavera aggiungiamo del mosto di passito in misura di 10 grammi di zucchero per litro. Lui riparte a fermentare, lo imbottigliamo e diventa un frizzante col fondo. È un vino da merenda, da pizza e da frittura (pesce e verdure). È un vino da piscina da bere al posto di una birra. Raramente va in riduzione. Usando il mosto di passito c’è meno fondo. 2000 bottiglie nel 2007 e oggi varia dalle 13 alle 20 mila bottiglie. Mi ha attirato delle consulenze perché ci vuole tecnica.

È un vino estremamente particolare al naso. Scovo delle inaspettate morbidezze e una vinosità non accentuata. La rotondità è ovviamente frutto del mosto. Non è un vino per tutti perché non propriamente limpido. Ma proprio per questo dovrebbe essere assaggiato da tutti. Magari alla cieca e con un bicchiere scuro. Perché è davvero una esperienza dalla quale si fa fatica a separarsene.

È un vino che ha evoluzione continua. Avrà una bolla sempre più fine. Diventerà più cremoso e dorato facendo crescere la nota burrosa. Che vuol dire abbinarlo con lieviti dolci.

C’è molta frutta, molti fiori. Un retro olfatto che porta la frutta ad essere matura. Quando lo bevi continua a stuzzicare la voglia di berlo ancora e finisci per berti tutta la bottiglia. Con un aperitivo è fantastico per via di persistenza niente affatto male. La bocca rimane pulita per via di un delicato agrume, non forte così da portare la bocca verso la dolcezza. La pizza in abbinamento, se è bianca, funziona bene così come i formaggi non carichi. Anche una mozzarella di bufala, una caprese o una fresella con pomodoro e tonno.

Ottimo prodotto da piscina, da lido. Anche a pranzo. Bella impronta.

Riva Arsiglia 2020. Garganega in purezza.

La prima cosa che si nota della bottiglia è il tappo a vite, scelta dovuta alla capacità di mantenere inalterato il prodotto nel tempo.

Deriva dal vigneto più vecchio dell’azienda. Impiantato nel 1932 con successive aggiunte. Fermentazione con lieviti spontanei e affinamento in cemento per almeno un anno.

Bella pulizia anche senza nessun filtraggio. Eppure è stato due anni sulle fecce! Insomma qui c’è tanta tecnica e ascoltare Stefano che ne parla in maniera così facile è davvero disarmante.

Al naso i sentori sono bellissimi. Appaiono gli idrocarburi dovuti alla matrice vulcanica del terreno, tipico della zona, così come i terziari come menta, alloro, mentuccia. Poi c’è la camomilla che tende a virare verso il miele. La frutta è come se occorra andarla a cercare. Non va bevuto molto freddo per dar modo ai sentori di esprimersi con tutta la loro forza. Mi piace soprattutto per la palese continuità con il Roncaie: appartengono alla stessa mano.

In bocca c’è rotondità e pastosità con i sentori che si trasformano in sapori. La rotondità si avverte nonostante il vino sia decisamente secco. La persistenza risulta quasi inferiore al Roncaie. Proviene da vigne vecchie, cosa questa che si evidenzia dal maggiore estratto.

Nelle annate più calde arriva a 12.5 gradi; in quelle fredde a 9.

C’è una buona sapidità che avvolge al sorso. Al pari del Roncaie, intriga perché non banale tanto che al primo sorso non lo capisci, ne bevi un altro po’ e ancora non è chiaro. Devi berlo e riberlo per capirlo conquistandoti perché conquista tornando in mente in maniera sempre non esaustiva. Intrigante davvero anche perché può invecchiare continuando a cambiare.

Finiamo con il Monte del Cuca 2020, la versione macerata della Garganega che fa fermentazione sulle bucce.

Non c’è una regola per la fermentazione in cemento. Questo ha fatto 40 giorno. Affinamento in cemento e botti di legno grande per poi assemblare le parti. Prima annata prodotta è stata la 2010.

La macerazione si vede tutta dalla colorazione orange. L’evoluzione al naso fornisce sentori pastosi di frutta matura e prugna secca e nocciola. I terziari sono quelli del Riva Arsiglia per continuare ancora con la gamma. La complessità olfattiva si avvicina a quella di un rosso e i tannini che si sentono in bocca non fanno che confermarlo. Nonostante la sua verticalità, ha una buona struttura. È secco e caldo; avvolgente e sapido. Molto ben abbinabile a cibi succulenti. Un pesce grasso ci starebbe benissimo. Ma anche un coniglio. Mi piacerebbe abbinarlo con della porchetta per le parti grasse e le spezie.

Peccato, siamo arrivati alla fine della chiaccherata con Stefano. Peccato perché parlare con Stefano è una vera esperienza. Al pari o superiore di quella del degustare i suoi vini. C’è energia nelle sue parole e nei suoi prodotti che riconosci per il filo conduttore che li unisce. Quella di Stefano è passione sì ma anche e soprattutto capacità di comprendere come il rispetto per la natura, il rispetto vero, legato a processi e tecniche ben precise siano la base per produrre qualcosa di speciale.

La cosa che più mi è piaciuta di Stefano è comunque la sua umiltà. Nonostante tutto non smette di ricordare quando era un ragazzo sfigato. Lo dice più a sé stesso che agli altri. E forse è solo un modo per dire al mondo come, in fondo, le idee e i progetti prevalgono su tutto.

Ivan Vellucci

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