31 Mar 2023
Suggestioni di Vino

Stefano Porro e la vigna da tre milioni di euro

Stefano Porro e la vigna da tre milioni di euro

“Pensateci bene… l’amore può durare solo una notte, un milione di dollari dura tutta la vita!”

E se i milioni fossero tre?

Ecco, immaginate di trovarvi dinanzi ad una Proposta indecente come nell’omonimo film. Magari non ci sarà Robert Redford a farvi l’offerta ma un ricco americano che vi mette sul piatto, con nonchalance, tre milioni di euro per acquistare il vostro ettaro di vigneto. In fondo è un vecchio vigneto che non ti va di coltivare. Anche perché, se hai 21 anni, la prospettiva di tre, inaspettati, milioni di euro in tasca, non è così male. Ti fanno gola. Cavolo se ti fanno gola! Il vigneto sta lì da tempo e il nonno l’ha lasciato a tuo padre che non ha mai avuto voglia di coltivarlo. Lui preferisce stare sui trattori. Tu hai un lavoro da elettricista. Certo, non è il massimo ma ti dà da vivere in maniera onesta. Poi arriva questo americano e, come un fulmine a ciel sereno ti offre qualcosa che non ti ricapiterà più. Qualcosa che ti mette in crisi. Di quelle crisi che non ti fanno dormire la notte. Cavolo, tre milioni sono tanti ma tanti. Chi li ha mai visti e soprattutto chi li vedrà mai.

Poi però inizi a pensare. Perché si, hai 21 anni e questo non vuol dire essere uno che non ragiona. La terra del nonno, quell’ettaro ora diventato il Klondike di Zio Paperone memoria, ha sempre dato uva poi rivenduta perché non è che c’era la voglia e la capacità di fare vino. Solo un paio di damigiane per la famiglia e il resto andava via. A chi sapeva fare il vino e aveva le capacità di farlo.

Eppure non è che siamo in una terra sfortunata. Siamo a Serralunga D’Alba. Siamo nelle Langhe. Quel territorio baciato da Dio che produce il Barolo, il Barbaresco. Insomma lì dove il Nebbiolo assume la sua forma più alta. I terreni qui non hanno certo l’esposizione perfetta, ma chi l’ha detto che pur se diversa non possa far nascere qualcosa di buono. Anzi di ottimo. In fondo se qualcuno offre tre milioni di euro per un ettaro di terra, qualche potenzialità dovrà pure averla!

Stefano Porro non ci ha dormito per notti intere. Il papà, che aveva ereditato la terra dal nonno e non sapeva cosa farsene, disse che doveva essere lui, Stefano, a decidere: la terra sarebbe comunque stata sua a tempo debito. Ma solo quella, perché la terra rappresentava l’unica cosa che poteva lasciargli in eredità. La scelta dunque, se tenerla o venderla, era solo ed esclusivamente sua. Lui avrebbe accettato qualunque decisione.

Un ragazzo di 21 anni. La decisione spettava ad un ragazzo di 21 anni. Elettricista. Di Serralunga D’Alba.

Cosa avreste fatto voi?

Probabilmente avreste preso i soldi. Anche perché sì, un ettaro di vigneto in quel delle Langhe è un sogno. Produrre vino li sarebbe fantastico. Ma quanto ci si può ricavare da un ettaro? 7000, 8000 bottiglie l’anno? E quanto ci vorrebbe per arrivare a guadagnare tre milioni di euro? Ve lo dico io: 40 anni.

Mi hanno fatto parecchia gola. Poi ci ho pensato e ho detto: io ho il mio lavoro, il mio stipendio. È vero che non navigo nell’oro ma se ti regalano tre milioni di euro, li sprecheresti perché non è una fatica che hai fatto tu e non sai apprezzare una fortuna così.

Stefano invece ha fatto una lungimirante scelta di amore e si è tenuto la vigna del nonno (e del padre) iniziando la carriera del vignaiolo.

Già il vignaiolo. Mica ci si improvvisa vignaiolo. Tocca studiare. Bisogna fare esperienza. Oltre che avere i soldi.

Stefano, 21 anni. Quanta ammirazione per questo ragazzo. Che se ne va in giro ad imparare. Financo in Borgogna dove capisce quanto le basse rese in vigna, la cura maniacale della vite, la pulizia in cantina siano fondamentali per avere un prodotto di qualità. Le Langhe saranno pure un territorio baciato da Dio, ma qui sei costretto a produrre vini di qualità. Perché la concorrenza non è solo dovuta alla moltitudine di produttori ma alla qualità generata. Se non produci qualcosa di eccellente, non hai speranze.

Si appoggia a due amici, anche loro neofiti, con i quali dividere una cantina. La devi avere una cantina, altrimenti il vino come lo produci? Dividendosi le spese, ha una parte della cantina per vinificare. Stefano ci mette un locale per deposito, ristrutturato per l’occasione, loro la cantina.

1600 bottiglie la prima annata. 2020. Nebbiolo ovviamente.

Nel 2021, Nebbiolo e “la” Barbera che viene dalle vigne di Monforte. Un piccolo vigneto di parenti che Stefano coltiva con la medesima passione del suo. Nel 2022 si aggiunge anche una barrique di Barolo. Già tutta venduta!

Mi fanno impazzire con questo Barolo perché sembra che non ce ne sia più in giro

Ci vuole un enologo e lo capisce

Abbiamo un enologo interno che fa naso e ci dice se ci sono dei difetti. Ci vuole uno esterno per questo.

Saggezza. Umiltà. Capacità di capire i propri limiti e cosa ci vuole per eccellere. Per il resto

In campagna ci siamo io, mio padre e mia madre.

L’azienda non può rappresentare l’unica forma di sostentamento. Non basta per andare avanti. Così Stefano lavora in una grossa cantina. Anche per imparare.

Prima cosa mi dà da mangiare. Non sembra ma è sempre uno stipendio. Poi vedo il bello e il brutto.

Ecco, quando parli con un ragazzo come questo, con la testa sulle spalle e la saggezza di un anziano, ti ricordi di tutte le volte che hai visto in tv i dibattiti sulla disoccupazione. Ma lasciamo stare.

Il futuro di Stefano è già nel suo immaginario.

Vinificare tutto quello che posso e quando arriverò sulle 8000 bottiglie starò a casa.

Insomma non vuole diventare un grande produttore. Mai superare le 10.000 bottiglie. Lavorare lui e solo lui senza triarsi indietro. Perché solo lui sa quanto amore ci voglia per produrre il suo vino. Amore, passione, dedizione, fatica.

Essere nel cuore delle Langhe per un giovane produttore non da vantaggi se non hai qualcosa di unico. Stefano lo sa. Per quello è andato in giro a studiare.

Far risaltare la zona, che non ha una esposizione ideale, potrebbe essere un vantaggio. Anche se con i cambiamenti climatici la zona non è poi così male. Anzi. In ogni modo qualcosa si porta con sé Stefano dai suoi pellegrinaggi enoici.

Nessuna inoculazione di lieviti ma pied de cuve: cinque giorni prima della vendemmia si raccolgono alcune cassette di uva fatte quindi fermentare in una mastella per poi gettarle nella vasca di cemento. Il 50% dell’uva viene lasciata con la bacca intera creando una semi macerazione carbonica utile per conferire profumi esagerati. Fermentazione da dieci a venti giorni poi acciaio per la malolattica e sette mesi in barrique.

Per fare tutto questo serve materia prima perfetta e massima pulizia in cantina e in vigna. Uve selezionatissime. Difficile farlo capire ai genitori che l’uva la vendevano e certo non andavano tanto per il sottile.

Assaggiamo prima “la” Barbera: bottiglia n.393 di 700 (qui il post su Instagram).

Il colore rubino e la estrema pulizia lo rendono un nettare quando lo verso nel calice. Sarà che deriva dal solo mosto fiore senza prendere nulla dalla pressatura in moda da esaltare quei meravigliosi sentori vinosi che emergono prepotenti. Ancorché giovane (è un 2021) la frutta (ciliegia e melograno) al naso è già matura: vantaggio di avere delle vigne vecchie. In più alla frutta, solo dei fiori. Insomma, un vino semplice, non impegnato, pulito, fresco già al naso.

Volevo una barbera che si potesse bere con tutto.

La sensazione che mi dà bevendolo mi riporta a quando mia nonna metteva lo sciroppo di amarena nella bottiglia: era rinfrescante.

Fresco al palato insomma. Non ha una persistenza lunga così che risulta facilmente abbinabile. È beverino e con un formaggio o un salame, sta benissimo. Non è impegnato ma convincente perché versatile. I tannini non sono mai aggressivi ma quasi vellutati. Cosa questa che non evita comunque la necessità di berlo solo se accompagnato con del cibo.

Assaggiamo poi il Nebbiolo. Bottiglia n. 475 di 2000 (qui il post).

Bellissima intensità di colore, più scuro e profonda della Barbera. La frutta si evolve e da matura diventa la ciliegia messa sotto spirito dalla nonna. Escono sentori che potranno ancora evolversi con la permanenza in bottiglia. Ci sono i fiori. C’è il balsamico. Il sottobosco. Sento ematicità. Tabacco non dolce. Pellami freschi. Tutto frutto degli acini interi e dell’affinamento in cemento prima e di sette mesi di legno con tostature molto lievi poi. In bocca c’è la potenza dei vini di Serralunga ma anche una finezza ed eleganza.

Serralunga è conosciuta come una zona strong.

Il tannino è maturo e importante, cosa questa che risalta ancora di più la freschezza e la secchezza. La sapidità arriva importante e contribuisce alla davvero lunga persistenza. Un vino estremamente interessante ma che se non lo abbini, anche con una polenta, ti taglia.

Bravo Stefano. Davvero bravo ma bravo.

Quando gli chiedo a chi deve qualcosa mi risponde così:

Devo tantissimo ad un commercialista amico di famiglia perché è stato lui a spronarmi a fare qualcosa. Non mi ero mai interessato alla campagna. Anni, prima era come una punizione perché costretto a fare qualcosa in vigna invece di andare al mare con la fidanzata. Adesso passo sabato e domenica in vigna.

Contrappasso? No, solo la stupefacente casualità che la vita, in maniera inaspettata, riserva. Rimpianti? Forse. Come quelli verso il nonno mancato quando era piccolo e al quale ora non può fare tutte le domande che avrebbe voglia di fargli.

Adesso se mi offrissero sei milioni di euro non gliela darei. La soddisfazione che ho avuto con la prima etichetta non ha prezzo

Bravo Stefano. Teniamolo d’occhio perché ne farà di strada.

Ivan Vellucci

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