05 Mag 2023
Suggestioni di Vino

Tenuta Agricola Pesolillo e l’ospitalità abruzzese

Tenuta Agricola Pesolillo e l’ospitalità abruzzese

Cosa porta a produrre vino? Passione? Amore? Calcolo?

Si dice spesso che per ottenere risultati economici interessanti il vino debba avere grandi quantità. Volumi e volumi in grado di generare margini sufficienti per essere definiti azienda. Anche se ancor più spesso le aziende sono famiglie, con la loro storia, la tradizione, la continuità. C’è chi è nato vinicoltore. Chi ci è diventato convertendo la coltivazione. C’è chi ha scoperto l’ospitalità per legarla alla cantina. Un po’ per arrotondare, un po’ per darsi un tono. Raramente mi è capitato qualcuno che abbia iniziato a produrre vino grazie all’ospitalità.

Nel caso della Tenuta Agricola Pesolillo forse si è trattato proprio di assecondare l’agriturismo.

Siamo in Abruzzo, a Chieti. Le colline scendono dolcemente verso il mare separando questo dagli Appennini. Dal mare arrivano i venti salini che rendono le estati meno calde. Così come gli inverni meno rigidi. I terreni, di matrice sabbiosa, sono da sempre vocati alle grandi produzioni di uva.

È questa terra di pastori e di agricoltori. Persone ospitali e schiette che non vanno tanto per il sottile quando si tratta di mangiare. Figuriamoci di bere.

Incontro Lorenzo Pesolillo, terza generazione della azienda. Un ragazzo che si sta facendo strada e che ora, dopo aver preso una laurea in economia, fatto esperienze all’estero e in Italia per una importante azienda che produce e commercializza la bevanda gassata più famosa al mondo (va beh lo scrivo che è la CocaCola), si dedica anima e corpo alla azienda di famiglia. È Lorenzo che si occupa della promozione e vendita dei vini di famiglia.

Ci siamo divisi i ruoli. Un mio fratello fa la sala nell’agriturismo; l’altro sta in cucina. Uno fa più la parte burocratica; uno più cantina vera e propria. A me dicono: con questo vino cosa facciamo?

Marco, Luca, Lorenzo. Loro sono i figli di Giuseppe Pesolillo, diretto discendente di Domenico, fondatore dell’azienda nel lontano 1961.

12 gli ettari di terra. Non tantissimi per una azienda agricola. Ma se sai cavalcare il momento, puoi trovarne di che vivere. Ai primi degli anni 90 papà Giuseppe coltiva le pesche per poi venderle all’ingrosso. Alla fine degli stessi anni, vedendo che qualcosa stava cambiando, inizia la coltivazione fuori suolo e in serra. I tempi cambiano ancora e Giuseppe capisce che qualcos’altro su quella terra si può fare. Mette così su l’agriturismo con la ristorazione e le stanze per gli ospiti. La ristorazione, con la schiettezza dei cibi abruzzesi, necessita di vino. Sincero e senza fronzoli. Così come sono gli stessi abruzzesi. In azienda il vino si è sempre fatto perché le vigne fanno parte di questo territorio. Montepulciano (d’Abbruzzo ovviamente) e Pecorino. Si fa il vino dall’uva che rimane dopo il conferimento alla cooperativa. Si faceva per la famiglia e si fa ora per l’agriturismo.

Eh già l’agriturismo. Quello ne chiede di vino. Così come di ortaggi e tutto ciò che la terra può dare. Turisti, turisti, turisti. Bella intuizione in una terra che ha tanto da offrire ma ancora poco sfruttata.

Avevamo la cantina in versione light. Vinificavamo 5/6000 litri tra bianco e rosso. Per l’agriturismo.

Agriturismo vuol dire ospitalità. Vuol dire aver rispetto degli ospiti, dei clienti. Offrire loro prodotti a km zero non avrebbe senso se non biologici: sani e coltivati nel rispetto della terra. Oltre che del territorio.

Se inizi a produrre ortaggi a km zero, diventa una filosofia che la vigna non può che recepire.

È così che il rapporto con la cooperativa alla quale si conferisce l’uva, si incrina. Non tutti sono infatti disponibili a seguirli nel biologico (forse non riuscivano a vedere lontano). Non tutti limitano le produzioni in vigna badando più alla qualità.

L’unica soluzione possibile è coltivare e trasformare l’uva in proprio: un progetto di lungo periodo. Tutta l’uva però. Cosa questa che non potrebbe più essere assorbita dal solo agriturismo. Anche diminuendo le rese, le bottiglie rimangono tante. Occorre pensare a produrre vino e a venderlo.

Il passo successivo è dunque una conseguenza: investimenti per le attrezzature di cantina, per la cantina stessa, per le persone, per la commercializzazione.

Non è la cantina che ti fa dire wow ma è funzionale e c’è tutto di quello di cui hai bisogno.

Un percorso necessario che porta l’azienda a concentrarsi, anche, sul vino.

Lorenzo è un ragazzo diretto e con il sorriso sempre pronto. Ha dalla sua l’anima commerciale che lo porta a raccontare con leggerezza e maestria la sua azienda ma anche a fuggire dai lavori in vigna o in cantina. Conosce le sue capacità e riconosce le sue conoscenze. Così come i limiti.

Non sono un enologo ma mi fido del nostro. Non puoi saper far tutto per cui ti servi di un tecnico bravo. Soprattutto, quando verso il vino nel bicchiere sento la differenza.

Per iniziare a produrre vino, vino che sia rappresentativo del territorio, che non sia opulento ma schietto, pronto e fresco, serve lavorarci sopra.

Non sono passati tanti anni. Eravamo pronti per il 2020 ma il covid ci ha bloccato. Siamo usciti nel 2021.

Serviva un tecnico ed è stato preso. Serviva l’attrezzatura ed è stata acquistata. Serviva un buon packaging e l’hanno creato. Tutto in un bel piano sequenziale. Merito dell’intuito ma anche di tanta preparazione.

Abbiamo ricreato daccapo tutte le etichette. Abbiamo fatto alcune accortezze in cantina sia da un punto di vista tecnico sia di presentazione. Devo essere contento anche se tutti i commerciali vorrebbero sempre di più. È un inizio. Il prodotto piace dunque va bene.

I 12 ettari di vigneto diventeranno 15 a breve. Le rese per ettaro sono basse per un territorio che ha fatto (nella maggior parte dei casi) la quantità come focus: 150 quintali per ettaro per il Montepulciano; 100 per il Pecorino.

Raccolta manuale su tutti gli ettari.

Per come abbiamo i vigneti noi si farebbe anche fatica con la macchina. Ma serve perché con le piccole dimensioni si gestisce bene la tempistica vigna-cantina.

Una azienda giovane dunque. Governata da giovani con idee chiare e una filosofia che si ritrova tutta nel bicchiere. La voglia, manco a dirlo, è quella di offrire prodotti genuini, identitari, semplici. Schietti. Come gli abruzzesi.

Iniziamo ad assaggiare i vini partendo dal Pecorino superiore. È un 2021. Uva raccolta nella seconda metà di agosto per mantenere freschezza e immediatezza.

Il colore verdolino scarico evidenzia la giovinezza. Le note erbacee di fieno appena tagliato, la confermano appieno. I fiori sono bianchi e c’è un sentore vinoso che lo rende già così schietto e diretto. La mela verde Granny Smith è croccante. Le note semplici e dirette non deludono le aspettative.

Il sorso non è da meno. Già mi piace il retro olfatto che richiama fortemente i sentori apprezzati all’olfazione. Torna la mela verde donando la sensazione di grande freschezza: non serve gustarlo particolarmente freddo (8/10 gradi). È sapido. Molto diretto, non opulento. Molto verticale. È un vino che ha una freschezza e secchezza così importante da renderlo quasi tannico. Serve abbinarlo ad un piatto di pesce dolce tipo salmone o gustarlo durante un aperitivo accompagnandolo con un formaggio non stagionato. La bocca chiude bene e la persistenza è giusta.

Lorenzo è davvero commerciale. Parla a raffica della bottiglia. Del prezzo. Del fatto che deve essere un prezzo abbordabile per il consumatore per portarlo a bere anche due bottiglie. Sa il fatto suo!

Passiamo al Rosato IGT. In una terra dove il Cerasuolo è monumento, sembra quasi un controsenso non chiamarlo così. Eppure, anche in questa scelta, noto lungimiranza, determinazione, serietà. Nella bottiglia non c’è il solo Montepulciano ma anche della Malvasia Rossa. Il colore che ne deriva è più chiaro di un classico Cerasuolo. Territorio, vitigno, tradizione.

Non aveva senso proporre un Cerasuolo così chiaro. C’è qualcosa di diverso per via della Malvasia che da dolcezza ma no

n residuo zuccherino. Quasi aromaticità.

Al naso la cerasa è quella bianca, una ciliegia dolce e croccante: dolcezza della Malvasia, croccantezza del Montepulciano. Oltre la cerasa, un po’ di melograno, della pera Smith, un po’ di mela e dei fiorellini di campo, non c’è molto altro. Ancora semplicità dunque. Schiettezza, immediatezza. Come si conviene ad una serata di campagna in estate.

Volevamo un prodotto più moderno, internazionale.

Questo Rosato si dimostra amabile. Quasi piacione. Lo senti e dici “ah però”.

In bocca emerge la parte fresca che al naso veniva coperta dalla Malvasia. La ciliegia scompare quasi per dare spazio ad una fragolina che non smette di essere presente. Molto secco. Sapidità più spinta del Pecorino.

In finale molto più convincente di alcuni Cerasuoli. Rimane un senso di agrume in bocca che sembra una arancia. Si può bere da solo!

Saltiamo nel mondo dei rossi partendo dal Montepulciano biologico. 2021.

L’uva è raccolta in base agli anni tra l’ultima di settembre e la prima di ottobre. Imbottigliato a marzo 2022 dopo 4 mesi di acciaio per ricercare una beva estiva. Un obiettivo che fa capire il perché del vino: l’agriturismo!

È nato da quello che ci dicevano i nostri clienti in agriturismo quando gli si proponeva il Montepulciano. Abbiamo voluto fare una versione più beverina.

Colore rubino con riflessi porpora dice che nel calice c’è un Montepulciano giovane e non impegnato (né impegnativo). Al naso si intuisce la giovinezza: è come se fosse stato spremuto un grappolo direttamente nel bicchiere. Ricorda, per la frutta che si evidenzia al naso e per la freschezza, un vino novello. Freschezza e accessibilità.

Se non ami particolarmente i rossi, questo potresti apprezzarlo.

In bocca il tannino non è per nulla irruento. Molto secco. Caldo. La frutta in bocca mi ricorda, positivamente, un novello. D’estate con 30 gradi fuori e il vino a 16 si apprezza.

Una bella scelta commerciale pensato per l’agriturismo. Per le serate estive e le cene all’aperto al chiaro di luna. È un vino “infame” (nel senso buono ovviamente!) perché te lo bevi tutto e i suoi 14 gradi rischi di sentirli dopo (ma tanto hai la stanza a due passi e ci può stare).

Saliamo di livello e apriamo un Montepulciano “Filari in costa”. Coltivato in un appezzamento di circa due ettari (“in costa” vuol dire in pendenza) con esposizione sud sud est. Maturazione protratta in avanti

Il colore ricorda il precedente ma senza la porpora come riflesso. I sentori di mora e ciliegia si sentono più maturi. Un po’ di sottobosco c’è. Il passaggio in botte (su circa il 25% della massa) è breve (sei mesi) e di basso impatto (terzo passaggio delle barrique) lo rendono diretto anche se c’è una maggiore e ovvia rotondità rispetto al precedente. Non mi aspetto tanta freschezza in bocca ma rotondità in evoluzione.

Il tannino che si apprezza al sorso è infatti più vellutato. La rotondità c’è pur con un finale leggermente amaricante. Secco e non particolarmente sapido. Un vino non impegnato che ordini nuovamente poiché di facile abbinamento e di beva non impegnata. Ciò che mi piace è la continuità con il precedente rosso. Non so se è un caso o meno. Lo scoprirò assaggiando il prossimo.

La Riserva 2019. Sempre di Montepulciano ovviamente. 3800 bottiglie. Etichetta numerata, ceralacca, cartavelina e cartone dedicato. Qui ci si dà un tono.

Raccolto ancora più tardi del Filari in Costa, fa un anno di acciaio e un anno in barrique. Poi in bottiglia per un ulteriore anno.

L’aumento della complessità olfattiva evidenzia l’evoluzione del vino. La frutta è quasi cotta. I fiori sono vicini al potpurry. Spezie dolci di cardamomo, chiodi di garofano, tabacco, pellame. Poi pepe. La secchezza è la stessa dei precedenti. I tannini sono levigati. La persistenza si allunga e la bocca si chiude precisa con una importante ciliegia. Il maggiore affinamento ha tolto anche il finale amaricante del precedente. La spalla garantisce una sicura evoluzione non tanto per i sentori quanto invece per i tannini che continueranno ad ammorbidirsi. Lo trovo splendidamente abbinabile con la brace (un arrosticino di pecora, manco a dirlo!).  È comunque una bottiglia che non necessita di particolari occasioni per essere bevuta.

Anche questo ultimo assaggio mi conferma che c’è un filo conduttore tra i diversi vini a dimostrare che quando si attua un progetto, non necessariamente si deve venire da lontano. Basta essere coerenti e consistenti.

La coerenza rende particolarmente evidente l’evoluzione sensoriale dei i vini. Pesolillo è uno dei produttori dove ho maggiormente trovato, nella semplicità, il legame dunque la costante impronta tra i vari prodotti. È bellissimo infatti constatare come da uno stesso vitigno si possano avere sensazioni olfattive e gustative completamente diverse ma legate tra esse.

La scelta di produrre vino per l’agriturismo è senza dubbio una scelta intelligente e soprattutto vincente. Cosa ricerchiamo quando andiamo in un luogo del genere? Piacere, relax, convivialità. Proprio come il vino. Cosa è il vino se non sensazioni, ricordi? Ecco allora che aprendo certe bottiglie non possono che tornarci alla memoria le sensazioni vissute. O che vorremmo vivere.

Non so quali e quanti clienti dell’agriturismo dovrò ringraziare per aver ispirato questa evoluzione aziendale, ma davvero grazie. Grazie anche alla famiglia Pesolillo che con lungimiranza e capacità è riuscita a realizzare qualcosa che spero, sia solo l’inizio di una storia.

 

Ivan Vellucci

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