15 Set 2023
Suggestioni di Vino

Tenuta Corallo: lu sule, lu mare, lu ientu. E lu mieru

Tenuta Corallo: lu sule, lu mare, lu ientu. E lu mieru (il vino)

Frequento la Puglia e il Salento da tanti anni. Spiagge meravigliose fuse con la limitrofa macchia mediterranea. Gente meravigliosa e accogliente. Cibo fantastico. Città e borghi da cartolina. E il mare. Beh il mare del Salento. Che sia Adriatico o Ionio poco importa. Nel Salento il mare ha i colori del mare, quello vero. Respiri l’aria di mare, del mediterraneo. Qui senti di essere non solo al sud di Italia ma al sud del mondo. Dove le culture si mescolano armonicamente, senza contrasti, con tanta allegria. Qui si balla la Taranta, un ballo sensuale e ritmico che identifica la pazzia del singolo. Pazzia che si condivide con tutti gli altri. Per curarla, esorcizzarla.

Una pazzia che troviamo anche in questa storia fatta di mare, di sole e di vento. Proprio come u Salento!

Salento, Salento! Sapete che qui si parla anche una vera lingua? Il Griko salentino, mix di greco antico e chissà quante altre lingue. In fondo, il tacco d’Italia, si immerge nel Mediterraneo arrivando a lambire le coste dell’Albania, distante poco più di 60 km e della Grecia, separate solo dal canale d’Otranto.

Ecco, Otranto. Chi non c’è mai stato farebbe meglio ad organizzare una visita. Un borgo incantato che si staglia sul mare esaltando il bianco delle sue costruzioni. Un intreccio di vicoli nei quali perdersi è impossibile anche se non si vorrebbe altro.

A nord di Otranto la costa assume forme e colori uniche al mondo. Spiagge bianche incastonate all’interno di suggestive calette contornate da pini mediterranei. I venti di tramontana provenienti da nord e quelli di scirocco da sud, rendono piacevole ogni istante trascorso al mare. L’acqua assume colori diversi nei diversi momenti della giornata restituendo così sensazioni uniche. Indimenticabili.

Poco più a nord di Otranto in fazzoletto di terra racchiuso tra il mare della Baia dei Turchi, la macchia mediterranea e i laghi di Alimini, ho trovato Tenuta Corallo.

Francesco, il responsabile commerciale dell’azienda ci accoglie in cantina. Il vento che spira è quello di mare. Fa caldo anche se siamo e fine estate e un pò di pioggia c’è stata.

Sembra un fatto nuovo ma io ricordo sempre i giorni di fine agosto come quelli della pioggia che portavano via l’estate tanto che con i miei genitori ci traferivamo dalla casa al mare a quella di città. A poco importava poi se il primo fine settimana di settembre ritornasse il caldo e mio padre volesse tornare al mare. Per mia madre la stagione era finita e se ne sarebbe riparlato alla chiusura delle scuole l’anno successivo.

Il sale qui è nell’aria. Lo annusi. Ti entra dento. Come lo iodio. Senti gli schiamazzi della spiaggia e non ti capaciti come una tenuta dove si produce vino possa essere praticamente sull’arenile. Eppure il terreno non è sabbioso. Perché qui c’è alternanza di sabbia e roccia. Non è la pietra leccese ma di calcareo ce ne è tanto. 

La macchia mediterranea che ci separa dal mare concede al vento di trasportare gli aghi dei pini.

La cantina è immersa nei vigneti insieme alle stanze che formano, insieme ad una piscina, il resort. Nulla di particolarmente vistoso ma proprio per questa sobrietà, assolutamente elegante. 

Strano ed ambizioso costruire una cantina qui. Ci sono praticamente solo resort utili ad offrire posti letto e divertimento ai bagnanti. Cosa abbia portato Enzo Marti, imprenditore leccese ad acquistare 13 ettari di terreno con l’unico scopo di impiantare una vigna, non è dato sapere. È qui che mi viene in mente la Taranta e la Pizzica.

Chi era affetto da pazzia veniva curato con la musica: un gruppo di suonatori di tamburello cercavano la giusta melodia con il ritmo del tamburello così che parenti e amici potevano ballare la pizzica al fine di esorcizzare il malcapitato.

Da rito pagano la Taranta e la Pizzica sono diventate nel tempo allegria di festa popolare che vede il suo apice ne La notte della Taranta a Melpignano. 

Quando si visita Tenuta Corallo non si può che pensare che chi ha avuto l’idea di farne una azienda vinicola fosse un pazzo o nel migliore dei casi un visionario.

Costruire un resort con tanto di alloggi avrebbe portato soldi e prosperità in tempi decisamente brevi. Invece Enzo ha fortemente voluto un vigneto, una cantina e solo pochi alloggi in ottica wine resort. Un investimento iniziato nel 2010. Partendo da zero.

Nel 2010 acquista infatti la tenuta che non può che chiamare Corallo a sintetizzare la vicinanza al mare. Ma anche al gioiello penso io. Perché incastonarsi così, non è da tutti. Ne per tutti.

Era terreno e non c’era nemmeno il seme di una vigna. Che viene impiantata per l’intuizione e la voglia di rappresentare e realizzare qualcosa di diverso e di unico in questa zona. 

Per ottenere la prima bottiglia si deve attendere il 2018. Sei lunghi anni utili a far crescere le barbatelle, trovare un agronomo, un enologo, mettere su la cantina con tutte le attrezzature. 

Negroamaro, Primitivo, Fiano, Aleatico. Questi i vitigni per poter generare 70/90 mila bottiglie di vino (mieru!). Facendo tutto in casa così da mantenere la filiera corta.

Cerchiamo di trasmettere la nostra identità nei calici. Sapidità, mineralità e note di macchia mediterranea. A nord e a sud di Tenuta Corallo ci sono poche aree coltivabili. A nord e a sud di Otranto ci sono terreni poco profondi. I venti che arricchiscono nord-nord est di tramontana e sud di scirocco.

Prima di fare un giro, saliamo sul tetto della cantina. Da qui si apprezza la vicinanza dal mare. Si sentono davvero gli schiamazzi della spiaggia. È davvero surreale trovarsi in una azienda vinicola, vedere il mare, sentirne non solo gli odori ma anche i rumori. Mi è capitato altre volte di visitare una cantina vicino al mare, mai così vicino. Le vigne si estendono intorno e mi colpisce il triangolo che si incunea nella macchia mediterranea arrivando a lambire la spiaggia. 

I 20 appartamenti indipendenti sono posti intorno alla piscina nella quale, due bambini, giocano con la loro mamma. 

Francesco ci porta all’interno della cantina nel cui ingresso sono poste in bella mostra le etichette prodotte.

Fino a pochi mesi fa erano 9 che sono diventate 11 da aprile con un rosato e un bianco.

Crusò. Metodo Classico salentino da Nergroamaro. Insomma un blanc de noire. 

Chora. Bianco da Fiano 

Matria rosato da Negramaro.

5 tipologie di vino rosso. Due prodotte da Negramaro e Primitivo con il 15% della massa in affinamento in legno per due mesi poi acciaio: Mesena (Negroamaro), Orterosse (Primitivo)

Poi Simera, Primitivo con uve in surmaturazione; Zoì, unico blend da Primitivo e Negramaro al 50% con sei mesi in barrique; Korafi Primitivo con affinamento di 16 mesi in legno per l’intera massa. 

Drosia, Negroamaro vinificato in bianco.

Asteri è un rosato di primitivo 

La chicca aziendale è Milìa il passito di Aleatico. Suggestivo per un vino dolce con sapidità. 

Io la definisco una marmellata di amarena mescolata alla sapidità del mare.

I nomi dei vini sono in genere sempre suggestivi. Indicano ricordi, vigne, personaggi, ringraziamenti. Nel caso di Tenuta Corallo l’idea è quella di portare il Salento in giro per il mondo con parole evocative e tipicamente salentine. C’è il Griko, come si può non utilizzarlo?

Ed è così che su ogni bottiglia c’è un nome in Griko. Su tutte tranne che su Orterosse poiché un ringraziamento alle terre di provenienza occorreva pur farlo. Poco distante c’è infatti la cava di Bauxite con il suo rosso che abbaglia. Orterosse omaggia un luogo incantato che merita di essere visitato specialmente al tramonto dove si incontra il rosso della terra con quello del sole.

Ogni nome ha un significato.
Milìa significa parola.
Zoì significa vita.
Korafi significa campagna.
Mesena significa con te (in senso romantico).
Asteri è la storpiatura di asteria ovvero stella.
Drosia è rugiada.
Chora vuol dire origine.
Matria è la piazzetta del paese.
Simera è questa giornata.

Enologo è Giuseppe Pizzolante tra i più importanti della Puglia alla sua 45esima vendemmia. Dal 2018 segue l’azienda con continuità e costanza. 

Assaggiamo tre vini partendo dal Fiano Chora.

Il colore è un paglierino quasi verdognolo. È giovane dunque ci sta. Il naso nel calice viene invaso dallo iodio. Se non bastasse quello che si respira, ce ne è anche a profusione dal vino. Pera Smith a profusione con pesca bianca, mango ananas, erba, resina. Semplice ma interessante per due  aspetti: la iodicità ovviamente insieme una sorta di balsamicità. È come se il mare e la macchia mediterranea si siano alleate per coabitare nel calice. 

In bocca è certamente secco forse anche tanto se non arrivasse in soccorso la spiccata sapidità che induce l’importante salivazione. Pazzesca e difficilmente replicabile è la punta di sale che rimane sulla punta della lingua dopo il sorso: esattamente come se un granello di sale fosse stato li depositato.

Si percepisce bene la nota agrumata che al naso sembrava poco evidente. Persistenza lunga e freschezza importante insieme ad un elegante equilibrio e ad un finale pulitissimo, fanno di questo Fiano un ottimo prodotto.

Grande attenzione alla temperatura di servizio per evitare che si possa percepire un velo di amarognolo finale. 

Proseguiamo con il Rosato Matria da uve Negroamaro.

Nel calice si apprezza il colore cerasuolo luminoso, vivo, vigoroso. Altro che rosa pallido. Questo è di quel caldo che si ritrova anche nei sentori di melograno e anguria: siamo al sud!!

Ci sono ovviamente le fragoline di bosco e ciliegia, arancia rossa, fiori rossi tenui e sentori minerali. Ma melograno e anguria continuano a farla da padrone. Meraviglia! 

In bocca c’è una bella e piacevole freschezza con un retrogusto caramelloso, non stucchevole, che ammalia. Secco, più secco del Fiano perché qui a sapidità non spinge con la stessa intensità. La sapidità c’è ma arriva molto dopo rispetto al bianco. È come se la freschezza avesse spazzolato via tutto per poi, a bocca pulita, riuscire a percepire la pur presente sapidità.

Si percepisce il tannino al quale si unisce l’agrume.

Persistenza abbastanza lunga e un bel finale erbaceo in perfetta continuità con il bianco: la macchia mediterranea e i venti del mare arrivano anche in questo calice. 

C’è chi lo usa per la frittura di pesce. 

Lo vedrei bene con una pasta con lo scorfano, un crostaceo o una insalata con il melograno. 

La suggestione è una fresella con pomodorini e alici. 

Concludiamo con Orterosse da uve Primitivo, 2018. È il primo imbottigliamento! 

Il colore è un bel rubino che sta virando verso il granato. 

L’incenso è l’odore che si percepisce immediatamente al naso. Anche con il bicchiere a distanza. Poi cannella, vaniglia, chiodi di garofano. Ci sono certamente i sentori fruttati, ma arrivano dopo. Con calma. Quasi a dire che loro, in questa zona, non sono così importanti. C’è da lasciare spazio alla macchia mediterranea, alla viola, alla peonia, alle erbette. Un vino che è decisamente particolare poiché con solo due mesi di affinamento è chiaro che i sentori arrivano quasi esclusivamente dall’uva e dal territorio. Sembra che sia stato in botte parecchio tempo e non certo per solo il 15% della massa. 

Non è pastoso e non asfalta la bocca. È pulitissimo. 

Si sente un gusto caramelloso che lo rende interessantissimo ancorché intrigante poiché non lo si associa immediatamente ad un Primitivo. Già nel calice si vede scarico di colore, non compatto. Si avvicina più ad un Negramaro. 

Pian piano che si scalda arriva la ciliegia e l’arancia sanguinella. 

Veramente un bel vino. Mi sembra un Pinot Nero del sud. Me lo ricorda per la colorazione scarica che va verso il granato ed il fine ed elegante olfatto. Un vino che non ti aspetti al sud: non corposo, non pastoso. 

Vino ottimamente equilibrato. Bocca pulitissima. Lo vuoi riassaggiare. Persistenza non lunga. Più si scalda più ci sono sensazioni positive. 

È con una zuppa di pesce che mi farebbe impazzire!

È stata la nostra prima etichetta che poi l’anno dopo ha vinto una medaglia d’oro.

Ecco, dopo aver assaggiato questi vini si capisce non solo la lungimiranza di Enzo ma anche  capacità. Di circondarsi di validi collaboratori. Di investire in maniera prospettica. Di guardare al futuro per la valorizzazione del territorio. 

Così che sarebbe da chiedersi chi fosse veramente il pazzo se lui o gli altri che lo consideravano tale.

Poco importa. Come in tutte le storie salentine, si balla comunque tutti insieme. Tarantolati di felicità. In questo caso, i vini consentono di fare festa perché oltre ad essere un tripudio di sentori e sapori esprimono al meglio l’origine salentina.

Soprattutto, una volta assaggiati vini come questi, sapendo e conoscendo la terra dalla quale provengono, non si può che cantare la canzone Non vivo più senza te di Biagio Antonacci dedicata proprio al Salento

Non vivo più senza te, anche se, anche se
Con la vacanza in Salento ho fatto un giro dentro me
Non vivo più senza te, anche se, anche se
La solitudine è nera e non è sera
La solitudine è sporca e ti divora
La solitudine è suono che si sente senza te

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