10 Nov 2023
Suggestioni di Vino

Tenuta Planisium. Innovazione, imprenditorialità, investimento

 

Quante volte ci lasciamo sopraffare dai luoghi comuni. Pregiudizi, consuetudini, stereotipi. Spesso sono così forti che ci troviamo, come in un romanzo giallo, ad essere convinti già dalle prime battute, di chi sia l’assassino. Per poi essere puntualmente smentiti. Nonostante ciò, i pregiudizi sono difficili a morire.

C’è addirittura la teoria del pregiudizio di conferma che identifica proprio la tendenza a cercare ciò che convalida quanto sappiamo (o presumiamo di sapere) rispetto al cercare prove che confutino le nostre verità.

Ricordo di essere stato affascinato da una scena del film Wolrld War Z nel quale il capo del Mossad, Jurgen Warmbrunn (Ludi Boeken) spiega a Gerry Lane (Brad Pitt) il metodo del decimo uomo. 

Se nove di noi sono convinti che un pericolo non si manifesterà, il decimo deve trovare tutti i motivi per i quali invece quel pericolo è reale e imminente

Si ma che diavolo c’entra questo con una cantina e il vino?

Eh c’entra c’entra.

Perché se chiedessi a qualcuno come se la immagina una cantina nel sud, hai voglia a parlare di pregiudizi. Magari si potesse sempre applicare la regola del decimo uomo!

Volturino, provincia di Foggia. Poco più di 1500 abitanti a ridosso del tavoliere delle Puglie. 

Fermatevi qui e pensate alla prima parola che vi viene in mente in tema di vino.

Non so cosa abbiate pensato ma so certamente cosa non avete pensato: innovazione, imprenditorialità, investimento.

Quello che ho trovato io qui, alla Tenuta Planisium è invece proprio innovazione, imprenditorialità, investimento. 

Ogni cosa, ha sempre, radici nel passato più o meno remoto. Ciò che conta è l’idea. Insieme alla voglia e alla capacità non solo di creare ma, soprattutto, di strutturare. E una volta realizzato, ripartire.

Con mia moglie volevamo mettere un pezzettino di vigna vicino casa per farci una cosa artigianale. Poi abbiamo pensato, rinnoviamo i vigneti vecchi con quelli nuovi, mettiamoci con un enologo bravo e facciamo qualcosa di diverso.

Antonio Valentino è imprenditore. Costruisce strade, infrastrutture. Ha una azienda florida. Di quelle che devono operare in un territorio difficile. Costernato di problemi. Eppure viene contagiato dalla magia del vino.

Io vengo dal settore delle infrastrutture. Faccio strade, autostrade. Era anche per diversificare in quanto ho due figlie femmine e il lavoro che faccio, a me piace, ma non lo vedo adatto per loro. Se posso indirizzarle altrove, ad esempio nel mondo più nobile del vino, mi piacerebbe.

Cuore di papà. Sa che il suo è un mestiere di quelli per il quale serve non solo capacità ma anche, soprattutto direi, tanta fegato. Che non sia adatto per le donne, per le sue bimbe, forse è un pregiudizio. Ma anche un modo per proteggerle. Per dare loro un futuro più “nobile”.

La terra è quella dei genitori. Tutto nasce dalla terra e qui, in Puglia, la terra vuol dire qualcosa. Non solo radicamento nel territorio ma anche esistenza. Essenza. Il papà di Antonio produceva il vino, Nero di Troia e Susumaniello e forse, come tutti i papà di un tempo, di quelli che avevano la terra, non voleva per il suo di figlio, una vita nei campi.

La cultura del vino arriva da mio papà. Sono sempre in giro e a tavola si parla sempre di vino. Mi sono innamorato dell’Amarone.

L’Amarone! Un sogno per il sud. Proprio questo evidenza la visione di Antonio. Rappresenta non il punto di partenza ne una ambizione spropositata. Rappresenta la capacità di guardare avanti e progettare un futuro senza subirlo. Un futuro per realizzare il quale occorre partire con il piede giusto, investire, innovare. Essere imprenditori insomma. 

Così è partita l’idea con mia sorella. Siamo in tre. L’azienda è intestata alle moglie di mio fratello e mia e mio nipote (figlio di mia sorella). Tutto a gestione familiare 

Partire bene progettando ogni cosa. È così che Antonio inizia cercando qualcuno che di vini ne capisca veramente. Chiama Alessandro Leoni, un enologo che di esperienza ne ha parecchia e il professor Marco Esti, docente dell’Università della Tuscia. 

Prima di impiantare i nuovi vigneti ho chiamato loro dicendo che avevo in mente di fare questo progetto. Il professore mi disse che gli piaceva il progetto e che ero solo in zona (la prima cantina è a 40 km). Gli dissi che volevo mettere il Primitivo qui in un territorio molto diverso da Manduria. Poi Negroamaro, Nero di Troia e Fiano. Il Fiano perché è sempre stato una vitigno che c’era qui. Siamo a ridosso della Campania e del Molise. A 10 km c’è San Bartolomeo in Cagno, primo paese della Campania e a 30 Tufaro che è il primo paese del Molise.

Tutto inizia nel 2015 con la prima vendemmia nel 2020 dopo le pratiche burocratiche e il tempo necessario per permettere alle barbatelle di crescere. Le vecchie vigne di famiglia vengono infatti  espiantate. 

Quelle di mio papà sono state estirpate perché vecchie e non andavano bene per quello che volevo fare io. Abbiamo iniziato nel 2015. La prima vendemmia è stata nel 2020 con le pratiche burocratiche e il regime delle piante. Oltre che del percorso bio. Le uve le vendevamo in attesa di partire.

Antonio cerca distinzione. Sa che se sei in Puglia, in un luogo dove per pregiudizio il vino è quello da taglio e la qualità non sempre eccelsa, distinguersi è una necessità. Il biologico è un modo. Ma non il solo.

La certificazione bio è importante perché volevo vedere come erano le uve. Capire il prodotto.

Il vantaggio del biologico è prima il mio che ci tengo alla cura e alla qualità. Per bere e mangiare in maniera sana. La carta non mi serve. Mi serve la qualità.

Un modo di pensare. Un modo di essere. La qualità non si apprende sui libri di scuola. Certo, te la insegnano, ma poi la devi realizzare. Con forza e sacrificio.

Io vengo dal mondo delle infrastrutture. Enologi e agronomi della zona si sono imparati a fare le cose in un solo modo. Quello è. Da fuori cercano di inserirti in altri contesti. A me è sempre piaciuto partire in un certo modo così che i risultati si vedono subito. Il professore insegna enologia e l’enologo è importante. È vero che c’è stato un costo elevato all’inizio ma i feedback che stiamo ricevendo sono tutti positivi. Come primo anno di uscita avere queste soddisfazioni non è male. Se parti male sei finito. Se parti che è buono…

Mio nonno diceva “è meglio una festa grande che cento festicciole”. Come a dire che occorre fare le cose bene, magari una volta sola, ma bene. Ritrovo questo nelle parole di Antonio. Non è necessità di non sbagliare. Semmai è voglia di non deludere prima se stesso, poi gli altri. Perché se vuoi che vada bene un progetto, occorre investire. Con grano salis.

Antonio trasla l’esperienza maturata in un settore diverso e lontano anni luce della vigna. Per fare bene le cose occorre non buttare nulla di quello che si è imparato. 

Siamo partiti anche con i macchinari di un certo tipo. Se vuoi partire in un certo modo devi seguire gli enologi. Non è fanatismo ma per proiettarci verso livelli alti. Ero partito con un budget minore che abbiamo sforato. Ma per come reagisce il mercato posso dire che abbiamo fatto un ottimo investimento.

12 ettari attuali con i vigneti a 735metri sul livello del mare per i bianchi e a 450 i rossi.

Vigne nuove, enologo ed agronomo di esperienza, macchinari di ultima generazione. Mancava solo la cantina e pure quella si costruisce da zero. In maniera ecologica e biosostenibile. Mica si scherza!

Facciamolo come si deve!

Ecco, questo il motto di Antonio. Che sì, ama questa terra. Ama la cantina. Ama i suoi vini. Ma ancor di più ama la sua famiglia. Così che in azienda lavora la moglie, la cognata e la sorella. In attesa che le figlie diventino più grande. Gestendo il tutto con intelligenza e rimanendo alla giusta distanza dalle scelte.

Io sono sempre della opinione che nella casa comanda la moglie ma nella cantina comanda l’enologo. Mi sono affidato perché è giusto cosi. 

Antonio è una persona mite. Di quelle che quando parlano, per la pacatezza con la quale si pone, capisci che hai dinanzi una persona che non ha bisogno di niente altro che la sua intelligenza e capacità. Non ha bisogno di dimostrare nulla. Sono i fatti che devono parlare.

Rese sotto i 60 quintali per ettaro per realizzare 6 etichette (al momento).

Due Fiano, Serritella, con affinamento in acciaio; Notamento in acciaio e barrique.

Abbiamo impiantato dei filari di Sauvignon e di Pinot bianco per il Fiano barricato.

Tre rossi: Primitivo, Montorso, con 4 mesi di barrique; Nero di Troia, Humara (6 mesi di barrique); Negramaro, Capotorre, per 8 mesi in barrique. Un rosato, Briele, da Nero di Troia (la recensione di questo sul mio blog Instagram).

Ci ho tenuto molto anche sulle grafiche. Ho affidato a Simonetta Doni di Firenze quelle per i due vini in prossima uscita e Spazio DiPaolo di Pescara le altre. Per me è un mondo nuovo dove c’è molto marketing. La grafica è importante.

Altro tassello proprio di una persona intelligente e imprenditore serio. La capacità di comprendere come il vino, la qualità, il territorio, non sia tutto. Serve la comunicazione, il marketing e gli investimenti a questo legati. Antonio si è affidato ai mostri sacri italiani in questo settore. Le etichette, quello che può sembrare banale ai più, diventa elemento di trasmissione del suo sogno.

Vorremmo arrivare a 80 mila bottiglie perché voglio un prodotto di nicchia. Il mio obiettivo è arrivare all’Amarone. Quando vado in giro assaggio e capisco quanto siamo lontani.

La visione. Questo deve avere un imprenditore. Non fermarsi a ciò che si ha ma inseguire, perseguire, un sogno. Con costanza, impegno e tanta progettualità.

All’enologo ho detto che voglio arrivare ad un livello alto. Anche se so che l’Amarone è inimitabile. Mi accontenterei però del livello.

Consapevolezza. Antonio non è un visionario. È una persona la cui esperienza lo porta ad essere con i piedi ben piantati nella terra nella quale è nato e vive. Non serve sognare. La Puglia non è il Veneto e il foggiano non è la Valpolicella. La qualità però, l’attenzione ai particolari, le scelte, il progetto. Tutto questo non possono che portare Tenuta Planisium dove Antonio sa che può arrivare. 

L’enologo ci ha fatto fare un vino che avremo a dicembre con surmaturazione delle uve….vediamo come esce. Ma dobbiamo affinare le vendite e non lo vogliamo fare con i distributori. 80 mila bottiglie e un vino come l’Amarone sono i miei obiettivi. Da li ripartire.

Ripartire. Non fermarsi. Non pensare mai di essere arrivati. Ma ripartire per continuare. Per rimanere sul mercato. Per affermarsi. Senza spocchia. Senza crearsi false aspirazioni.

Innovazione, imprenditorialità, investimento. Non è un sogno. Piano piano, sarà realtà.

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