08 Mar 2024
Suggestioni di Vino

Tenuta Santo Stasi. Rosario torna a casa

Nostalgia, nostalgia canaglia……

Che succede?
Succede che sono tornati insieme. 
Ma chi?
Come chi. Sono tornati insieme. Insieme. E io non sapevo nulla….mi sono perso tutto questo. 

È proprio vero che la vita è tutta un film. O forse sono i film che raccontano, semplicemente la vita, le storie delle persone. Ricordo che Carlo Verdone diceva sempre che le sue caricature, i suoi personaggi erano ispirati a persone vere. Osservare la realtà. Basta solo questo. Non guardare il cellulare ma alzare lo sguardo per capire le vite delle persone che ci sono intorno. Ascoltare, parlare. Riempirsi di tanta umanità.

Non so se Checco Zalone per il suo film “Quo vado?” si sia ispirato ad una o più storie vere. Ciò che so è che parlando con Rosario Epifani la scena che ho avuto dinanzi agli occhi era proprio quella del prologo. Oltre all’immagine di Checco Zalone con il pizzetto biondo da vichingo (bene inteso che Rosario non ce l’ha!).

Rosario Epifani è il titolare della Tenuta Santo Stasi. Siamo a Sava un comune nemmeno tanto piccolo a circa 30 km da Taranto e a soli 6 da Manduria, la patria di quel meraviglioso e versatile vitigno che è il Primitivo. Di Manduria appunto.

La faccia sorridente, l’animo mite. Riservato e anche impacciato per certi versi. Ma sereno. Così è Rosario. Eppure, se vai a scavare, come al solito, le persone riservano mille sorprese.

Che Rosario abbia un fisico da atleta te ne accorgi subito. Quando poi ti dice che è stato un calciatore in varie squadre italiane a livello giovanile, inizi a capire. Anche professionista nella Serie B svedese. 

Prego? Svezia? In che senso?

Sono nativo di qua ma sono stato fuori parecchio. Anche a Perugia a studiare giurisprudenza. La mia testa mi porta a fare cose diverse e così me ne sono andato 9 anni a Stoccolma. Andai a salutare un amica e sono rimasto 9 anni. Li giocavo a pallone ma non è che si può solo giocare a pallone. Bisogna fare anche altro. Mi sono diplomato (in lingua svedese) e mi sono iscritto all’università, ingegneria civile. Mi mancavano pochi esami ma ho deciso di tornare in italia perché comunque sia prima o poi in italia ci sarei tornato.

Pari pari Checco Zalone. Ti invaghisci della svedese prima, della Svezia poi. Ma prima o poi qualcosa inesorabilmente scatta. Non è fisicamente possibile per un italiano, del sud poi, vivere li. Troppo perfetto, oltre che freddo. E poi, senza Albano e Romina e il Festival di Sanremo!!!

Rosario decide che è meglio tornare in Italia e finire l’università a Bari. 

Qui si incastra nelle maglie burocrazia italiana e nelle deficienza di qualcuno che promette la convalida degli esami a fronte della rinuncia agli studi. 

Dopo anni di attesa il Rettore che mi aveva convinto a fare la rinuncia agli studi promettendomi che mi avrebbe convalidato tutti gli esami non me ne convalidò nemmeno uno. Nemmeno quello di inglese. Dopo un anno decisi di smettere. Non mi andava di ricominciare tutto daccapo a 27 anni. In Svezia avevo fatto 24 esami. Io ero uno studente svedese in pratica. 

Potrei partire con una invettiva contro qualcuno, ma lasciamo perdere. Dico solo che in Italia se ti laurei all’estero, anche in università farlocche, va tutto bene. Ma se provi a tornare nel mentre, sei spacciato. 

24 esami di ingegneria buttati. Un sacrilegio. Ma non è che puoi lottare contro i mulini a vento. 

Rosario si dispiace e rammarica. Mica tanto però. A lui piaceva fare altro. Piaceva e voleva stare in campagna. 

Volevo stare in campagna. Non ci sono arrivato subito. I miei zii erano agricoltori. Grossi agricoltori ma non mi è stato mai concesso andare in campagna. Ero il primo figlio, il primo nipote e avrei dovuto fare una vita diversa. Quando loro andavano al lavoro, partivano di notte perché altrimenti io mi infilavo in qualche cabina con loro. 

Tornato a Sava, qualcosa si deve pure inventare. Vorrebbe la terra ma non ci sono i soldi. Decide allora di aprire un supermercato utilizzando i soldi dei piani di sviluppo (Sviluppo Italia). 

Mi andò bene. Appena risparmiavo qualcosa, compravo qualche terreno. Per la felicità di mia moglie che mi ucciderebbe anche ora. Nel frattempo infatti mi sono anche sposato con Antonella, che all’epoca aveva una bellissima bambina, Alena, di due anni e che ora ne ha 18. Poi è nato Mathias, 8 anni. 

Il supermercato Rosario lo apre partendo da zero. Giocava a calcio ed era studente; in Svezia professionista si, ma sempre in Svezia. In sostanza, soldi pochi, davvero pochi. 

Dura 12 anni il supermercato. Di più Rosario non riusciva a tenerlo. Un pò le difficoltà nel trovare le persone, un pò le terre che si accumulavano e lo richiamavano inesorabilmente. Nel 2022 decide di cederlo. 

Abbiamo deciso di venderlo perché avevo 10 ettari di terreno. Avevo già un pò di terra, tre ettari da mio suocero. l resto li ho comprati. Circa 7 ettari sui quali ho impiantato vigneto.

Rosario non compra per investimento ma per qualcosa “che non potevo scegliere”. 

La prima vendemmia arriva nel 2021. C’era già da tempo nell’aria l’idea di vendere il negozio e programmare il futuro è stato più facile.

Sono socio di una cantina a Sava e quindi conferivo le uve. Non un granché perché avevo i 3 ettari di mio suocero con vigne molto vecchie che non espianterò mai, mentre i restanti erano liberi e ho piantato da zero. 

3 ettari di vigne storiche di circa 50 anni. Quelle di famiglia. 7 ettari impiantati da zero con primo impianto nel 2018. Fin qui le basi. Agricole ovviamente. Che poi è quello che ama fare Rosario. 

Che tipo che è Rosario! Parlando con lui si percepisce come nelle terre, tra i filari, nella solitudine del mestiere, abbia trovato il suo spazio. Il suo mondo. La sua identità.  Il vino certamente gli interessa e pure tanto poiché quello vuole fare. Ma la terra, lui la terra la ama. Ama le piante che cura ad una ad una senza identificarsi propriamente in una terminologia ormai collaudata. Convenzionale? Biologico? Biodinamico? Integrata?

Io guardo pianta per pianta. Quasi le conosco. Cerco di aiutarle a crescere nel modo più corretto. Assecondo ogni loro bisogno. La loro voglia di crescere. Nei miei vigneti ci devo stare io e non voglio usare nulla per far seccare l’erba. Non faccio tutto con la zappa. Se non è necessario dare qualcosa, non lo do. Uso prodotti biologici perché non mi piacciono quelli chimici. La natura non è nata con il chimico. Cerco di fare il meglio per le piante. Il modo più semplice possibile.

Alle volte diamo per scontato delle parole non prestando attenzione al vero significato delle stesse. 

Quando una persona lavora in campagna da solo, vivendo della terra e dei suoi frutti, prendendosi cura delle piante ma anche di se stessi, allora, non c’è filosofia o terminologia che tenga. Conta solo quanta passione e lavoro e sudore e caparbietà ci si mette nelle cose. 

In fondo, se nostro figlio deve prendere un antibiotico, non è che non glielo diamo perché è chimico. Allo stesso modo, usando sempre e preferibilmente prodotti e rimedi naturali, qualcosa alla pianta ogni tanto bisogna dare. 

Tutti i miei sforzi erano atti ad imparare come si conduce un vigneto. Qui è diventata normale che le persone si fanno fare conto terzi. A me piace viverlo il vigneto. Adesso faccio tutto io. È complicato. Ogni tanto qualcuno mi aiuta. La potatura secca e qualcosa di più importante la faccio solo io. Ho imparato inizialmente da mio suocero però aveva tecniche talmente antiche che non si sposano più con le situazioni moderne. Ora va tutto più velocemente. Ora non è cosi. Dieci ettari prima erano impensabili. Ho guardato mio suocero per quattro cinque anni. Poi ho preso una persona e l’ho pagata per guardarlo lavorare. Lo fermavo in continuazione per spiegarmi cosa stesse facendo. La spiegazione si può fare anche sui libri ma all’atto pratico cambia. 

Umiltà. Ci vuole tanta umiltà nella vita. Ci si può reinventare certo. Si può cambiare andando in Svezia o in Norvegia ma una volta li, la lingua la devi imparare e per farlo devi sudare ed essere umile. In campagna è la stessa cosa. Devi studiare la lingua delle piante. Entrare in simbiosi con loro capendone l’essenza. Senza dimenticare la loro fonte di nutrimento: il terreno. Un complesso ecosistema che muta con le stagioni e con gli anni per via di una moltitudine di fattori esogeni. 

Poche, pochissime bottiglie prodotte da Rosario. Il resto è uva da conferire. 

Sapete quale è il bello però? È che ho avuto come l’impressione che ne produca poche perché non è che gli vada tanto di andare in giro a venderle. 

I contatti e la conoscenza della lingua al nord Europa fanno si che riesca ad esportare gran parte della produzione. Il resto tocca venderlo in zona togliendo tempo alla campagna.

Tre etichette da due vitigni emblema della Puglia: Fiano per il bianco, Primitivo per rosato e rosso.

Semplice. Semplicissimo e senza fronzoli. Come le etichette. Un solo nome per tre vini: Feeling.  

Se avessi fatto solo un vino sarebbe stato complicato per la commercializzazione. A me piace l’agricoltura e invece mi devo necessariamente concentrare sulla vendita. Giro i locali per vendere il vino e devo farlo in continuazione. Il tempo non lo ho. Ho iniziato a fare qualche fiera in Estonia e in Danimarca con mia moglie. Mi fanno un quantitativo di vino che posso esportare. Nessuno mi conosce qui. Non ho vinto premi. Devo migliorare un sacco. Con tre etichette sono più credibile.

In cantina ovviamente c’è un enologo al quale Rosario è arrivato tramite amici. Si è fatto guidare nella produzione denotando un ulteriore livello di umiltà. Umile si ma con tante idee in mente.

Per indole ho sempre un sacco di idee. In silenzio perché sono taciturno. Mi frullano le idee. Mi fido di questo ragazzo anche se il mio obiettivo non è fare solo questo tipo di vino. In questo momento mi sono lasciato trascinare. Il passaggio in botte ad esempio lo ha scelto l’enologo. Neanche con tanti mesi. Bisogna fidarsi. Ci sono tanti tuttologi. Il rosato nasce da una necessità commerciale ma anche naturale. Poi il Fiano emblema della Puglia. 

Il nome è colpa di Antonella. Affidarsi ad una agenzia per la realizzazione dell’etichetta e la scelta del nome è stato un passo obbligato. Peccato che i tempi si sono allungati e per fare prima si è usata la stessa etichetta anche se con colore diverso e stesso nome. 

Perchè Feeling? Io penso di saperlo. Mi ha fatto una proposta e l’ho accettato di buon cuore. C’è molta complicità tra me e mia moglie in tutto ciò che facciamo. Pur essendo completamente diversa. Forse è per quello.

Se invece vi starete chiedendo da dove arriva il nome della Tenuta, ovvero Santo Stasi, anche qui, è nato un pò per gioco un pò per caso. Come in molte delle cose di Rosario. Certo, lui dice sempre così, ma io mica ci credo più di tanto. 

Il nome dell’azienda è il nome di una contrada dove sta il primo appezzamento che acquistai. Vicino a mio suocero che è ancora bello forte di tempra. Per lui eravamo diventati grandi imprenditori così che mia moglie lo prendeva in giro dicendo “guarda che tenuta abbiamo comprato” e lui si arrabbiava ancora di più. Così la abbiamo chiamato Tenuta Santo Stasi.

Solo che mio suocero non beve il mio vino. Lui fa il vino per conto suo. A casa. E non berrebbe mai il mio vino. Ha detto “non ha niente a che vedere con il mio

Di sogni nel cassetto Rosario sembra non averne. Fatta eccezione per la voglia di fare un Primitivo forte e longevo. Forte nel senso di almeno 15 gradi e longevo che possa durare oltre i dieci anni. 

Sotto sotto però lui, che è uno di quelli che nella solitudine della campagna pensa e sogna, sogna e pensa, di idee ne ha da tirare fuori. 

Come quella di vinificare tutta la sua produzione. Anche se poi si snaturerebbe un pò. Dovrebbe stare quasi più in cantina che in vigna. 

Mai dire mai. Di certo, la cosa più bella di questa chiacchierata è vedere la serenità di una persona, Rosario, che ha trovato il suo spazio. Mettersi alle spalle il calcio (non ci gioca proprio più), la Svezia e una laurea mancata per poco (un pò gli brucia ancora), non renderebbe sereno nessuno. Nessuno tranne Rosario.

Una serenità, schiettezza e umiltà che ho ritrovato nei suoi vini a cominciare dal Primitivo DOP. Un vino che (la recensione è sul mio blog) ha un unico difetto: crea dipendenza!

Anche se, come dice lui, si è fatto guidare dall’enologo per produrli, l’amore che ha per la terra e le piante ha certamente contribuito a portare in cantina uve perfette. Lui non lo dirà mai perché tende a minimizzare.

Adesso ho 42 anni. Sono nato annusando la campagna. Da piccolino ero io tra i tanti nipoti ad andare ad aiutare nonna a fare i pomodori. Che cosa vuoi fare da grande? Il veterinario o il fruttivendolo. Ma come? L’avvocato o l’ingegnere devi fare.

E invece Rosario si è trovato, per scelta e direi vocazione, a fare il vignaiolo. Anzi, contadino prima, vignaiolo poi. 

Per chiudere e augurare a Rosario di continuare a vivere il suo sogno e noi di poter continuare a bere i suoi ottimi vini (dunque Rosario non smettere!!) mi è venuta in mente un’altra frase sempre del film di Checco Zalone “Quo vado?” quando va a mangiare in un ristorante pseudo italiano e, scioccato dalla assoluta lontananza del gusto da quello italiano, si fa dare dal ristoratore una scala e un giravite. Con questi smonta l’insegna del locale e grida al proprietario del locale: 

Non si scrive l’Italia invano. Sei un vichingo. Sei un vichingo.

Perché chiudo così? Perché sono convinto che la terra vada coltivata solo ed esclusivamente da coloro che la amano.

Come Rosario.

 

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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