12 Gen 2024
Suggestioni di Vino

Tenuta Scuotto. Adolfo, cuore e testa

Quando ero studente in ingegneria, andai a Firenze per una tesi sperimentale. Un laboratorio della Alenia Spazio dove c’erano tanti cervelloni in camice bianco. Uno di questi, tipo simpatico, milanese, mi chiese: cosa vuoi fare dopo la laurea? Io risposi “il manager!”. Lui mi guardò un pò storto dicendomi “non farei mai il manager perché questo è colui che sarebbe in grado di sputare sul migliore amico”. 

Erano gli anni ‘90 e forse, all’epoca, i manager erano così. Spietati, poco attenti alle risorse umane, arrivisti. Nella mia ventennale vita da manager, non mi è mai capitato di “sputare” (metaforicamente e ancor meno fisicamente) su una persona. Il rispetto e la cultura forse hanno salvato tutti i manager (e i dipendenti!).

Visione, leadership, capacità di gestione delle risorse umane ed economiche, conoscenza dei processi, marketing (in ogni accezione possibile). Queste alcune delle caratteristiche che un manager moderno deve avere. Ora, perché sto scrivendo di questo in un articolo che dovrebbe riguardare il vino? Perché nelle mie peregrinazioni enoiche mi sono certamente imbattuto in manager di grandi aziende con centinaia di migliaia di bottiglie all’attivo ma mai, fino ad ora, di una che di bottiglie ne produce poco meno di centomila, numero che per molti è un ambizioso traguardo. Ecco, per molti ma non per Adolfo Scuotto. Per lui sono un passaggio. Intermedio. 

Adolfo non è un vignaiolo. O almeno non lo è nel senso stretto del termine. È il manager di una azienda creata insieme al padre e che deve gestire in modo tale da farla diventare non buona, non ottima ma eccellente. 

Nel film “Il sapore del successo” lo chef Adam Jones interpretato da Bradley Cooper recita la bellissima frase “D’ora in poi tutto deve essere perfetto. Non buono, non eccellente…perfetto!”.

In quel caso serviva per la terza stella Michelin. Nel caso di Adolfo e della sua Tenuta Scuotto, c’è molto di più. Ci sono motivazioni profonde e proprie di una persona, una famiglia, che sa cosa voglia dire “azienda”. Da valorizzare, da portare al successo, da tramandare a chi verrà dopo.

Visione del futuro, progettualità, pragmatismo, studio, risorse umane, marketing, intraprendenza, spirito pionieristico. Ecco, tutto questo ho ritrovato nella chiacchierata con Adolfo Scuotto.

Tenuta Scuotto nasce dall’idea di due folli, papà ed io, che se pur con percorsi diversi erano accomunati dal sogno di una bottiglia con il proprio nome. Un vino che rispecchiasse la nostra idea di vino ma anche la paternità della nostra famiglia. Nato e prodotto dalla nostra famiglia.

Le aziende non nascono mai per caso. Sono frutto di idee. Magari visionarie, magari fantastiche, magari concrete. Idee. Pensieri. Sogni. C’è sempre una scintilla che riesce a produrre un fuoco. Il vero problema è ciò che ne consegue dopo. Riuscirà il fuoco a divampare o rimarrà una fiammella? O peggio ancora, si spegnerà? 

Prima del covid l’ISTAT indicava come circa 276.000 le aziende che nascevano ogni anno e 274.000 quelle che cessavano. Va bene il turnover ma così appare una ecatombe. 

Non sono le idee a mancare (altrimenti non nascerebbero così tante aziende) semmai la capacità di creare continuità. 

Torniamo alla partenza.

Serve una idea e la famiglia Scuotto, ce l’ha. Servono dei fondi e anche questi non mancano visto che il papà di Adolfo, è da tempo un affermato imprenditore in altro settore. Serve capacità e quella, oltre alla imprenditorialità del papà, Adolfo può mettere in gioco la sua esperienza nel business management e marketing strategico guadagnante lavorando per alcune società di consulenza.

Per iniziare una avventura nel mondo del vino c’è ovviamente bisogno di un terreno, una cantina e di una squadra che sappia far funzionare questo “meccanismo”.

La scintilla dunque. A meno che non si tratti di un motore a scoppio dove la scintilla è provocata e calcolata, in tutti gli altri casi, è casuale.

Mio padre era nel territorio di Lapio per trovare degli amici e si imbatté in un cartello vendesi di un terreno: un casale molto spartano cinto da quasi due ettari e mezzo di vigna. Mi chiamò e mi disse “che faccio chiamo?”. In realtà aveva già telefonato e pure preso appuntamento. Era un bluff.

La visita e la trattativa andò ovviamente a buon fine e da li l’avventura ebbe inizio. 

Anche qui la mentalità può tanto. 

Si può partire e ragionare con una sorta di “vediamo come va” oppure si può programmare e gestire lo sviluppo. 

Adolfo e il papà non sono due persone sprovvedute. Oltretutto, quando capiscono cosa ci vuole per mettere su una azienda dal nulla in termini di investimento e tempo, in quel momento realizzano che per sopravvivere occorre una azienda solida, strutturata, con un progetto e una visione chiara. Tanto più chiara quanto chiaro è l’obiettivo.

La prima frase detta nella riunione di start up da mio padre fu “Io voglio fare un vino che non esiste sul mercato”. Da li l’enologo fece capire che l’affermazione cosi semplice racchiudeva una serie di insidie e costi.

Fermiamoci un attimo. 

Un imprenditore ed il figlio hanno un sogno: produrre vino che abbia in etichetta il nome della famiglia. Fin qui ce ne sono tante di aziende familiari no? Beh si certo ma poi questi continuano.

Non basta produrre vino, vogliono che sia un vino che non c’è. 

Ok. Ma basta produrre un blend particolare, un vitigno strano che ne so ed il gioco è fatto. Ehm non proprio. Perché se poi questa azienda deve produrre pure utili, premesso che non basta un vino solo ma serve una gamma, o questo fantomatico vino che non esiste è il migliore (o tra i migliori al mondo) oppure la vedo difficile.

Impresa davvero ardua quella che attende Adolfo (è a lui che il “giochino” è affidato).

Adolfo però pensa e lavora con metodo e attitudine (poi dicono che studiare in questo campo serve a poco!!).

Inizia il progetto della cantina (siamo nel 2008). I vigneti, non gestiti secondo tecniche agronomiche moderne, vengono espiantati e ripiantati. La prima fase del progetto investe dunque la parte produttiva: terreno e produzione. Tanto per essere pronti per la commercializzazione. Poi si pensa, nella seconda fase all’ampliamento della capacità produttiva, alla logistica, alla accoglienza in ottica experience. 

Volevamo un ambiente confortevole ed affascinante. 

Va bene la parte strutturale, quella che si può costruire con l’esperienza pregressa. Quella che si progetta e si realizza. Le cose materiali insomma. Però, per far funzionare il tutto, c’è bisogno del materiale umano. Persone, anime, cuori, cervelli. Anime che gettano il cuore oltre l’ostacolo sposando il progetto, condividendo l’ambizione. La causa si direbbe. 

 Durante la fase di costruzione abbiamo pensato che essendo un progetto importante necessitava di risorse di alto profilo. Know how e competenze nel mondo del vino che noi non avevamo. Chi oggi prende una bottiglia di Scuotto immagina che siamo viticultori da sempre. In effetti il processo di crescita dell’azienda è stato così veloce che anche io stento a crederci.

La scelta delle persone dunque. Non dovevano essere semplici consulenti ma veri e propri padri putativi di questa azienda e di questo progetto. 

Abbiamo avuto la fortuna, perché poi è sempre un mix di fortuna e capacità, di imbatterci in persone che hanno perfettamente capito cosa volevamo fare mettendosi in gioco anche loro. Magari alzare l’asticella e osare. Provare a fare qualcosa di diverso. Partendo dalla conoscenze del territorio e da un bagaglio di conoscenze acquisito nel mondo del vino anche all’estero come Francia e in varie regioni italiane.

Scegliere le persone vuol dire poi anche fidarsi di chi si è portato a bordo. Persone con le capacità che per far funzionare le cose hanno bisogno di mettere a terra le proprie idee anche attraverso tecnica e tecnologie. Ovvero investimento. 

Ci siamo fatti assistere da un consulente con il supporto dell’azienda che ci ha fornito le attrezzature. Ci ha consigliato non la cosa più economica ma la cosa migliore. Mettendo giù i numeri capivamo che l’impatto economico sulla nostra famiglia era notevole. Nel mondo del vino ci sono vari approcci fermo restando l’idea di fare del vino buono dunque costoso. C’è chi parte da una vigna che possa essere di qualità e tenuta/gestita bene. Il frutto poi viene trasformato da altri. Sono un produttore di uve. Non sono in grado di creare la realtà delle cantina non volendo gestire la fase della produzione. C’è chi addirittura è una commerciale pure. Acquisto l’uva da uno e la trasformo da altri. C’è poi l’approccio più invasivo e verticale dove si fa tutto. Questo è stato l’approccio iniziale e attuale della nostra azienda.

Alla fine, ciò che conta, sono i numeri. Che nel caso di Scuotto hanno iniziato a dimostrare che qualcosa di grande stava venendo su. Nemmeno poi tanto lentamente. Numeri che andavano oltre un semplice giochino di famiglia, di quelli per i quali se va va, altrimenti chi se ne frega tanto il vino ce lo beviamo con gli amici. 

Se le cifre sono importanti inizia a pensare a quante bottiglie devo fare, come le devo fare, dove le devo vendere, come le devo promuovere. Insomma si fa un business e marketing plan. Dall’idea di un vino del quale non si fosse mai sentito parlare e del tutto atipico per idea e concezione, processo di produzione è nata tutta l’azienda. Quando si crea qualcosa si fa sempre step dopo step.

L’approccio imprenditoriale, quello che tutte le aziende dovrebbero avere. Eccolo qui. Una imprescindibile inesorabile necessità. Senza un piano dettagliato, senza una visione del futuro, senza gli investimenti, non si va da nessuna parte. O forse si: nel novero delle aziende che finiscono prima o poi. Che non è l’intenzione della famiglia Scuotto e ben che mendò di Adolfo che tutto è meno che uno che non vuole arrivare.

Adolfo infatti non si accontenta. Di indole è abituato a lottare, a impegnarsi anima e corpo nelle cose, a dedicare ogni istante del proprio tempo per promuovere, con fierezza il territorio, la sua azienda, i suoi vini. L’indole non la studi sui libri. Non la impari a scuola o in un master. Ce l’hai dentro. Poco conta se vieni da una “buona famiglia”. O ce l’hai o non ce l’hai. Adolfo ce l’ha. Direi di più, come napoletano direi che tiene ‘a cazzimma.

Ora qualcuno potrà pensare che venendo da una famiglia bene, fallire in una impresa del genere non sarebbe stato un problema. Si, il giocattolino affidato nelle mani del figlio per farlo divertire se va male, vabbè chi se ne frega. Gli faremo fare altro. No! Non è per niente così. La grande determinazione, la competenza, la capacità imprenditoriale e la visione programmatica di Adolfo è vincente. La capacità di circondarsi di persone competenti che suggeriscono fondamentale. Tutto viene studiato nei minimi particolari. Programmato e gestito con capacità. 

La disponibilità di risorse porta il coraggio e la voglia di osare. Non dico che è un lancio con paracadute perché nelle attività imprenditoriale il paracadute non esiste ma l’atterraggio sarebbe stato più morbido. L’imprenditore nel senso più letterale di questo termine non investe nel mondo del vino se il suo fine è quello del profitto. La componente risorse è una componente nel progetto imprenditoriale fondamentale ma non quella di partenza. Il progetto sarebbe partito comunque. Magari ridimensionato nel tempo e nello spazio. Forse ci sarebbe voluto qualche anno in più ma il tempo e le capacità, quel valore aggiunto delle persone ci sarebbe comunque stato. Molti sono gli esempi di aziende stra dotate di risorse che però non vanno bene. Nel mondo del vino ci sono poche attività finalizzate al profitto.

Anche la scelta del territorio non è stata casuale. Anche qui si potrebbe dire che dovendo dare un giocattolino al figlio, bastava dargli un territorio qualunque. Certo vicino casa ma anche lontano. Uno valeva l’altro. Invece no. Ancora no. Ma ancora visione e determinazione.

Lapio. Irpinia. Un territorio fantastico che non si dovrebbe mai chiamare le Langhe del sud. Qui è terra di Fiano, di Falanghina, di Taurasi (Aglianico). Territorio non vocato ma nato appositamente per il vino. Un mix unico di clima, terreno, uomo, vitigni. Un terroir insomma che il mondo dovrebbe invidiarci.

La nostra famiglia è napoletana di origine. La scelta poteva essere qualsiasi. Non siamo cresciuti in un territorio fantastico come Lapio. Abbiamo scelto invece il territorio anche se non siamo figli del territorio. Siamo stati adottati e ci siamo scelti la nostra madre. In natura non si può fare ma noi l’abbiamo fatto. Ci ha convinto di più perché noi siamo campanilisti. Ci sentiamo e siamo napoletani e il territorio, le radici, le tradizioni sono una nostra ricchezza che difendiamo a spada tratta. Siamo amanti del vino del nostro territorio e in particolare del Fiano. Chi non riconosce nella provincia di Avellino il cuore del vino della Campania non conosce la Campania. Una scelta di cuore e di testa ti dice di Investire nel territorio più vocato che ha le prospettive di crescita migliori. Commercialmente in termini di brand territoriale è quello che ha più appeal oltre i confini regionali. 

Cuore e testa. Insieme. Mai separati. Le scelte si fanno con il cuore e si realizzano con il permesso e la visione della testa. Inseparabili se non si vuol fallire.

Ho sempre visto la mia stessa attività come un modo per far parlare del territorio e della mia azienda. Già dai primi passi della mia attività ho guardato al mio mercato In una maniera globale. Non ho mai visto il mio mercato di sbocco come quello di prossimità. Se ti dicessi che forse in ordine cronologico le fatture emesse in provincia di Avellino sono state le ultime dopo quelle del Giappone, ti fa capire che l’internazionalizzazione ovvero con il vino come ambasciatore del territorio ha rappresentato per me la vera gratificazione. Oggi esportiamo in venti paesi. Attirare l’attenzione sul territorio. Lo facciamo come singoli ma siamo presenti nei consorzi con attività varie perché l’unione è la forza del territorio. Ci siamo messi sugli aerei abbiamo riempito la valigia di sogni e speranze.

Ecco la vera imprenditorialità. “Think global, act local” è un principio del marketing. Pensa globalmente per agire localmente. Adolfo lo applica valorizzando il territorio e portando questo in giro per il mondo. Se c’è qualcosa che nel mondo è riconosciuto della Campania felix del mondo enologico, è il Fiano, il Taurasi, la Falanghina. Il mercato locale si va pure bene ma è il mondo che ti fa decollare. Però prima devi decollare tu e portare il tuo prodotto a farsi conoscere. Girando il mondo con la valigia carica di sogni. E vino.

Bellissimo come Adolfo parli sempre con un “noi”, un “abbiamo”. Tipico di chi ha a cuore la squadra. Peccato però che chi lo conosce almeno un pò e lo segue suo social, dove è parecchio attivo.

È un abbiamo finto perché sono sempre io che vado in giro. È un vantaggio ma anche una fatica. 

Un vero one man band che non ha la struttura che certo gli piacerebbe e magari la avrà nel futuro. Quando sarà economicamente possibile. Le scelte vengono fatte anche in funzione delle caratteristiche del business. Rinunciare ad una fiera per una sovrapposizione è qualcosa che rappresenta un limite ma è cosi. 

Oggi inizio a sentire il peso di anni e anni vissuti a manetta. Spostamenti, eventi b2b, clienti ristoratori, eventi privati, fiere. Nessuna forma di comunicazione è stata messa da parte senza la mia presenza.

Adolfo è dovunque e se ne avesse la capacità, sarebbe uno e trino. Onnipresente. Ma non per essere prezzemolino. Perché è il volto di Tenuta Scuotto. Ne è l’anima. Quella partenopea propria di una persona solare e con la battuta sempre pronta. Capace, colto, preparato ed attento. Difensore del proprio prodotto e del territorio che rappresenta. Con la pacatezza e i modi gentili che lo rappresentano. Senza mai lasciare l’irruenza tutta napoletana.

La frenata l’ho avuta nel 2020. Frenata ma per uno che è un laboratorio di idee come me è un eufemismo. “A qualcosa devo lavorare” mi sono detto. Ho creato da zero il sito internet. Ho messo su lo shop on line. Per me il pensiero di non vendere è un pensiero che mi atterrisce. Cosa posso fare? Ho inventato la formula “io sto con i ristoratori e l’hashtag #iostoconiristoratori . Cambiavo ogni giorno sui social la foto di un ristoratore facendo capire che l’azienda, pur condividendo le stesse tristi avversità, era dalle loro parti e non appena la situazione si fosse stabilizzata saremmo ritornati con loro. Ho creato una formula on line con dirette dove io non comparivo. Era una operazione di product placement dove una giornalista intervistava i clienti, o gli chef che abbinavano il piatto pubblicizzando il servizio offerto. Così, quando sono partiti, l’ordine lo hanno fatto a Scuotto. Siamo con la mente sempre a pensare cosa fare.

Non ci siamo arresi all’inizio figurati se ci fossimo arresi quando il covid stava spezzando le ali al nostro sogno.

Il vino di Tenuta Scuotto.

Nella nostra chiacchierata il vino arriva per ultimo. Forse è anche giusto così. Il sogno, la realizzazione di qualcosa che non c’era prima è un pezzo del progetto. È inserito in un contesto più ampio. Parlare solo di quello, imporrate certamente, non sarebbe utile. 

Oi’ni. Questo il nome del vino che non c’era. Oi’ni. Un richiamo alla napoletanità. “O ragazzo”. Chiamare un ragazzo per attirare la sua attenzione e portarlo da qualche parte. Verso quel mondo che deve necessariamente conoscerne l’unicità. Si, un vino decisamente unico. Qualcosa che consiglio di assaggiare perché regala una esperienza sensoriale. Un Fiano prodotto alla maniera dei grandi bianchi francesi con affinamento di 12 mesi in botte a temperatura controllata. Un vino che resiste al tempo e con il temo evolve. Le note suadenti, il bouquet complesso, la mineralità, la pastosità in bocca, la lunga persistenza, il perfetto bilanciamento.

Oi’ni era il sogno iniziale e il prodotto attorno al quale è nata l’azienda. Dal principio l’idea era che dovesse avere un fratello ed è nato il Fiano classico. È lui che ha preso il tre bicchieri nel corso degli anni. Un prodotto notevole che è anche il biglietto da visita. Magari per il prezzo. La Falanghina è sempre stato il prodotto con il quale andare ad aggredire mercati meno attenti alla qualità e più al prezzo. Il brand Falanghina ha una cassa di risonanza superiore rispetto agli altri. Era dunque necessario avere un entry level. La Falanghina Scuotto è una delle migliori Falanghina sul commercio. È stato best wine in America, per due volte, tra i migliori cento vini per rapporto qualità prezzo (Wine&Spirits) Un prodotto di livello.

Ora, se uno pensa che un prodotto bello e buono si venda da solo, ha sbagliato di grosso. Avete mai pensato a quanti vini ci sono in Italia e nel mondo? Come diavolo si può pensare che dopo aver prodotto qualcosa di unico questo si affermi senza fare nulla? Utopia pura. Ecco perché serve una strategia, investimenti, capacità. Tutta quella che Adolfo ha messo in campo. Come azienda e come persona. Non per un vino. Non per una etichetta. Ma con un mix di territorio, vitigni, azienda, vino, vini.

Oi’ni non è solo. 9 etichette in totale frutto di una vera strategia di posizionamento del territorio e della azienda stessa. Niente, nemmeno in questo caso, è casuale. 

Più aumenti le etichette e più aumenta la complessità produttiva e logistica. Così come commerciale nel gestire le etichette diverse. Però il cross selling, che è una delle strategie di marketing, ne verrebbe meno. Mi ritrovo a vendere Greco perché ho Fiano; vendo Falanghina perchè ho Taurasi. Il cross selling ha accelerato lo sviluppo dell’azienda. Ovvio che va gestito.

Tenuta Scuotto parte con tre referenze in produzione e due in vendita. Mancava ovviamente Oi’ni perché in affinamento.

Sui rossi è nato il progetto Taurasi che per una azienda che sta in Irpina è il rosso per eccellenza ed inimmaginabile non farlo. Come cita Parker e gli da 92 punti, “corpo struttura” ma lo trova il “vino più contemporaneo che ho bevuto”. Ancora una volta abbiamo dato il nostro imprinting. Eleganza e contemporaneità. Armonia ed equilibrio. Cerco sempre queste cose nei miei vini e mi fa piacere che vengano apprezzate. Sono anche sinonimo di commerciabilità. 

Un 2020 chiuso ad un -17%. Fortunati ma la fortuna si cerca e si costruisce. Il nulla rispetto alle medie. Nel 2021, crescita vendendo di più del 2019. Nel 2022 vendite in forte crescita rispetto al 2021. Poi il rimbalzo negativo nel 2023 per mercato, guerre, inflazione. Insomma contrazione dei consumi. 

Non tocca mai tutti allo stesso modo. Abbiamo lanciato la collezione Mythic con un importante progetto e budget di comunicazione. Design dedicato, studio del naming che ha impiegato sei mesi (9 in totale con l’etichetta). Quando ci siamo presentati al Vinitaly è stato un grande successo per la curiosità dei vecchi e dei nuovi clienti. Chi era reticente perché aveva la cantina piena con i ristoranti in calo, la curiosità e la comunicazione lo hanno spinto a prendere quella referenza che altrimenti non avrebbero preso. Magari non guadagnerò tantissimo ma facendo zero a zero sicuramente avrà contribuito alla crescita del progetto. Aidos è diventato uno dei prodotti più richiesto perché il prodotto è proprio buono oltre ad essere biologico. Kuris è un Greco fatto in un certo modo, una genialata. 

Senza dimenticare, sempre nella serie Mythos, Malgrè, il rosato, primo in casa Scuotto, da Aglianico. A proposito, la recensione di Aidos la trovate sul mio blog Instagram.

Il progetto nuovo tra i rossi poi è Redo. 

Volevamo sfatare qualche mito facendo un Aglianico contemporaneo che abbracciasse l’Aglianico giovane (fresco, fruttato) con il Taurasi (corpo e note evolute). Questo ci ha permesso di uscire con un Aglianico del 2021 strizzando l’occhio al Taurasi e giocandosela con i grandi rossi internazionali.

Una gamma dunque frutto di una vera e propria strategia studiata a tavolino e non sottoposta al caso. Ogni prodotto va ad occupare una specifica posizione del mercato per giocarsela. Ad armi pari. Creare ed investire anche nei momenti di crisi per essere pronti alla ripartenza. 

Ancora, per fare questo serve programmazione, servono investimenti e tanta tanta testa. Oltre che quel cuore che alla totalità dei vignaioli non manca.

Per molti, un premio vuol dire poco. Niente di che. Per altri, è un punto di arrivo. 

Per Adolfo è solo un passaggio. Certo, un riconoscimento che ha la sua importanza e da valore tangibile al percorso intrapreso. Ma non ci si ferma. Perché, come lo stesso Adolfo ha scritto sui suoi profili social “ogni giorno il mio vero traguardo è quello che vedo dopo averlo raggiunto”.

È da sempre la mia filosofia. Se mi fossi dato delle scadenze e degli obiettivi mi sarei seduto. Scherzando dissi a mio padre “io tempo 4/5 anni prenderò i “Tre bicchieri Gambero Rosso”. Lui mi rise in faccia. Quando poi l’ho preso per tre anni consecutivi la cosa è diventata atipica e piacevole. “Papà io entrerò nei ristornati stellati e nella distribuzione”. Anche li ci fu una risata perché disse “sai quante aziende fanno la corte?” Ci sono entrato a fine 2016 e sono in una delle distribuzioni più prestigiose. Sono in “Vini & Design” grazie ai quelli sono arrivati qui i grandi Riesling ad esempio. 

Non obiettivi ma punti di approdo. Milestones come direbbero quelli bravi del marketing. Perché se ti dai un premio come obiettivo, una volta raggiunto che fai?

Come obiettivo aziendale, oggi siamo intorno alle 100000 bottiglie (le sfioriamo) mi piacerebbe arrivare a 150mila bottiglie. Continuando a distribuirle nelle stesse percentuali di oggi e continuando ad essere presente nelle carte dei ristoranti stellati. Mi piacerebbe essere premiato come vino dell’anno Gambero Rosso. Mi piacerebbe prendere il voto più alto nelle guide Parker e Wine S pectator. Vorrei poi trasformare la tenuta in un wine resort per lasciare questa realtà alle mie figlie cosi che un domani possano avere una azienda di eccellenza della produzione dei nella enogastronomia e nella accoglienza. 

Ambizioso? Arrivista? Spaccone?

Niente di tutto questo. Se avrete il piacere di incontrare Adolfo (e non è difficile poiché lo trovate ovunque è presente Tenuta Scuotto) basterà parlare con lui per qualche minuto per capire che non è niente di tutto questo. È una persona dotata di cuore ma anche di testa. Ovvero le due caratteristiche principali per governare una azienda aldilà di tutte le capacità manageriali e imprenditoriali che non possono mancare.

Cuore e testa. Mai l’uno senza l’altro.

Tenuta Scuotto. Adolfo cuore e testa

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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