13 Ott 2023
Suggestioni di Vino

Terrae Laboriae: orange, anfora, cuore e testa.

 

Le buone idee nascono dalle intuizioni. Guardarsi attorno in maniera incantata come fa un bambino. Senza un preciso scopo. Chiedendosi perché, come, quando. Entusiasmarsi. Meravigliarsi. Stupirsi. E, al tempo stesso, riflettere. Pensare. 

Non è un meccanismo automatico. Occorre allenamento e predisposizione. 

Avete presente quei giochini della Settimana Enigmistica per i quali occorre unire i puntini numerati così da formare una figura di senso compiuto? Ecco, proprio quelli. Immaginate dunque come ogni puntino, senza una linea che li congiunga, non sarà mai niente di definito. Unendo i punti però, appare la figura nel suo insieme. Chiara, lampante. È sempre stata li ma non l’avremmo mai vista senza una congiunzione. 

L’idea appare chiara e non aspetta altro di essere realizzata.

Già, ma mica è semplice realizzare fisicamente una idea. In molti ci provano, in tanti falliscono. 

Per realizzare qualcosa di concreto, qualcosa che può farti svoltare nella vita o che dia a questa un senso diverso, è necessario non solo averla, l’idea, ma anche essere in grado di realizzarla. Con cuore e con testa.

Andiamo per ordine. 

Il primo puntino si chiama Antonio Sauchella. Ingegnere, manager, appassionato di vino. Una persona che sa il fatto suo e che a circa 40 anni può vantare solide esperienze consulenziali in Italia e all’estero. Soprattutto in Asia. Antonio è un entusiasta oltre che una persona estremamente competente. Senza spocchia e con quella giusta dose di umiltà che non fa mai male. Anzi, direi pure di più di quanto servirebbe perché il curriculum è di tutto rispetto ma non lo da a vedere.

Il secondo puntino sono i vini Orange che in Asia hanno da tempo una buona diffusione.

Non sapete cosa sono i vini Orange?

Immaginate di realizzare un vino bianco alla maniera del vino rosso ovvero con la macerazione delle bucce. Ciò che accade è il rilascio di sostanze coloranti (polifenoli) e tannini. Il vino invece che bianco, assume una colorazione aranciata più o meno marcata in funzione del vitigno e del periodo di permanenza sulle bucce. Il risultato sarà un vino che, generalmente, mantiene i sentori del vitigno di provenienza ma risulterà tannico. Davvero molto interessante.

Il terzo puntino è la provenienza di Antonio: Benevento. Territorio meraviglioso con vitigni meravigliosi. Quel territorio che se ti ha visto nascere ha sicuramente lasciato una impronta indelebile. Per le tradizioni, per la passione, per le persone. Ti ha lasciato anche l’accento. Fa strano, ma manco tanto, sentire parlare Antonio che di lingue ne conosce parecchie e vive a Milano, ancora con un leggero accento campano. Che meraviglia!

Il quarto puntino è Angelo. Vignaiolo di famiglia di vignaioli che possiede e lavora le terre e le vigne. Che non trasforma però in vino. Vende le uve al consorzio. Pochi ettari ma tutti trattati con cura e amore.

Unire questi punti per Antonio è semplice. Un consulente ci mette un attimo a capire che si può fare qualcosa di buono. Buono però è nemico di ottimo. Anche se non ho mai capito dove si posiziona distinto. Infatti a scuola Ottimo era il massimo e pure qui non va bene perché ci sarebbe Eccellente ma non si metteva mai. Un pò come il 10. Meno male che ora le cose sono cambiate e i 10 fioccano.

Eravamo ad Antonio. Fare le cose buone non consente di fare quelle migliori. Quelle che in qualche modo ti contraddistinguono rispetto al resto. 

Così Antonio pensa in maniera diversa. Ancora di più.

Lo fa non da solo ma con Angelo. Perfetta simbiosi, perfetto allineamento dei pianeti e soprattutto congiunzione di tutti i puntini.

Dunque. Vini Orange. Antonio li scopre in Asia. La sua permanenza li per lavoro gli regala sentori diversi, gusti diversi. Così che gli abbinamenti con i vini Orange risultano vincenti. “In Italia ce ne sono pochi di vini Orange” avrà pensato tra se e se.

Quando uno proviene da una terra con meravigliosi vitigni autoctoni dotati di grande freschezza, dunque adattabili alle lunghe macerazioni e ha un caro amico che li coltiva, beh, la figura comincia a prendere forma. 

Eh già, ma di produttori che realizzano vini da Falanghina e Piedirosso ce ne sono a iosa nel Sannio. Occorre qualcosa di diverso e Antonio, insieme ad Angelo, vado dritti come treni sull’anfora georgiana. Ma non basta. Occorre spingersi oltre per guadagnarsi una vera distinzione nel territorio (e non solo). Ecco allora che la filosofia di un vino naturale prodotto con lieviti indigeni e nessun tipo di aggiunta nel processo prende forma.

Ricapitoliamo. Vitigni autoctoni del Sannio. Macerazioni in anfora. Lieviti indigeni. Nessun tipo di aggiunta.

Permettetemi di dire “wow”!

Insieme a questo mio amico, viticoltore da generazione nel Sannio, è nata l’idea di fare qualcosa di diverso. Ci piaceva molto la filosofia naturale visto che viviamo in un mondo così tecnologico e con prodotti figli della tecnologia. Abbiamo studiato la filosofia georgiana con il mondo degli orange wine, macerazione lunga, complessità, tannino nel vino bianco. Ci siamo spinti su questa filosofia. Il ritorno agli arbori vuol dire avere prodotti artigianali con solo uva e niente altro. Le anfore come si usavano migliaia di anni fa. Niente uso di tecnologia, lieviti autoctoni, massaggi del cappello, nessun controllo della temperatura. Questo sorprende anche gli operatori del settore perché non avere tecniche di controllo è complicato. Di fatto noi abbiamo delle anfore di terracotta posizionate cinque metri sotto il terreno che è il migliore mitigatore degli sbalzi termici. Anfore da 1000 litri con una produzione annuale di poco più di 4000 bottiglie. Piccole quantità con una ricerca estrema della qualità perché vogliamo un prodotto che eccelle per qualità senza chimica. Interveniamo molto in vigna. 

Antonio è un manager abbiamo detto. Si occupa di consulenza tecnologica in una azienda che lui stesso ha contribuito a fondare. È davvero meraviglioso come senta forte il bisogno di artigianalità, di ritorno alle origini e soprattutto di mantenimento delle tradizioni. Innovazione e tradizione possono e devono andare di pari passo. Perché il mondo non sarebbe quello che è senza l’innovazione e non saprebbe dove andare senza le tradizioni.

Un connubio che dovrebbe sempre di più essere rafforzato poiché non in antitesi ma assolutamente in simbiosi.

Nasce quindi Terra Laboriae. Nasce il progetto di Antonio e Angelo in quel di San Lorenzo Maggiore (BN) dove ci sono le terre. Un nome che identifica proprio la “Terra del lavoro” già ai tempi di Plinio il Vecchio, la Campania Felix che a tutti gli effetti è la culla del vino in Italia. Terreni fertili, clima fantastico, vitigni meravigliosi. 

La scelta delle anfore, insolita in questo territorio, e ancor di più della completa naturalezza del vino, come mantra aziendale. Elemento imprenscindibile e insostituibile. 

All’inizio c’era un pò di scetticismo ma il prodotto ci soddisfaceva rendendoci forte. La prima volte che ho visto il vino mi sono emozionato. Quasi come se fosse un figlio che nasce. Frutto di tante idee e pensieri. 

Le anfore arrivano dalla Toscana. Una scelta obbligata a seguito della guerra in Ucraina che ha bloccato il commercio. 

Erano già pronte per la spedizione. Il produttore voleva mandarle via Turchia ma senza garanzia. 

Le abbiamo comunque messe noi sotto terra. L’idea era di avere una cantina sotterranea. 

Riusciremo prima o poi ad importare anfore dalla Georgia 

Una società fatta da due persone a distanza. Con Antonio a Milano e Angelo in a San Lorenzo. 

Antonio che si occupa della parte sales&marketing, Angelo della gestione della vigna. Insieme quando si tratta della vendemmia e della realizzazione delle bottiglie.

Quattro ettari di vigna nel cuore del Sannio e tanta positività in questi due ragazzi che partiti nel  2022 con la prima vendemmia, hanno imbottigliato le prime bottiglie nel 2023 e solo ora pronti per uscire sul mercato con tre etichette. Tre tipologie di vino che rappresentano tre puntini da unire con una semplice linea ad identificare la filosofia aziendale. 

La prima è una Falangina, Tetri (il cui nome è bianco in lingua georgiana, თეთრი) con macerazione breve. Raccolta e pressata manuale. Macerazione in anfora di 24 sul bucce e raspi per non perdere il sentore vegetale (le vigne hanno circa 25 anni dunque si può fare). Poi affinamento in anfora per 12 mesi. 

L’obiettivo di questo vino è un prodotto maggiormente fruibile poiché la macerazione è meno spinta. Per un pubblico che vuole “capire” di cosa si tratta senza spingersi molto in avanti.

Il risultato è una Falanghina che esalta odori e sapori: già dal colore dorato stupisce. I frutti al naso non sono bianchi ma gialli: pesca, melone, ananas. Arriva il fieno e la camomilla quasi mielosa. Infine lime e pera. Il mix ricorda una marmellata di arance. Secco, caldo, fresco e sapido ad esaltare il territorio. Un meraviglioso retro olfatto di albicocca disidratata pervade la bocca rendendo il sorso unico e insolito per questo vitigno. Chiusura di bocca precisa e persistenza anche lunga. Stupendo

Poi il rosso Teli (rosso in lingua georgiana, წითელი) da Camaiola, un bel vitigno autoctono usato già dagli antichi romani e confuso nel passato con la Barbera tanto da prendere il nome di “Barbera del Sannio”. Il vino viene prodotto con 8 giorni di macerazione e 12 mesi di invecchiamento in anfora.

Molto colorato e dotato di buona freschezza ancorché meno tannico del sempre presente (in queste zone) Aglianico. Rubino con riflessi porpora, appare impenetrabile nel colore. Tanta frutta rossa e nera quasi a ricordare la macedonia degli alberghi di montagna (mi ci tufferei!). Prugna e tante spezie dolci che vanno dai chiodi di garofano alla noce moscata, al pepe di Sichuan. Poi la rosa che appare fresca e vegetale. Morbida al palato, rotonda, suadente, sinuosa. Un tripudio di sensazioni dovute alla immediata durezza (è secco, fresco, caldo) che si ammorbidisce donando setosità. Teli è un vino che si arricchisce pian piano che trascorre tempo in bocca arrivando ad una chiusura impeccabile grazie anche alla meravigliosa mineralità. Sembra uno vino del nord ma molto più morbido e bilanciato. Buona la persistenza.

Infine Speri (arancio, ფორთოხალი) la Falanghina più spinta con 28 giorni di macerazione e 12 mesi di affinamento. In anfora ovviamente. Per garantire l’ossigenazione si eseguono ripetuti e giornalieri massaggi a mano. Una vera coccola per queste uve che restituiscono poi un colore che tende all’orange insieme ad una buona complessità olfattiva. Le note minerali si uniscono a quelle affumicate e all’arancia candita, al mandarino, all’albicocca quasi in crostata. Pesca e fiori di mandorlo ed arancia. Si percepisce anche una nota delicata nota vegetale. In bocca si palesano i tannini così da renderlo abbinabile ad una vasta gamma di piatti. Secco, caldo, fresco ma non troppo. Minerale. Davvero tanto minerale. Stupendo per la sua partenza quasi dolce e la virata verso un delicato e stuzzicante amarognolo per via dei raspi lasciati nella macerazione. Pulitissima la bocca e ottimo bilanciamento. Un vino non per tutti ma del quale ce ne si può facilmente innamorare.

Le produzioni non possono che essere di nicchia. 2400 bottiglie di Falanghina Tetri, 1000 bottiglie di Speri e altrettante di Teli.

Uno dei vantaggi dell’anfora è il mancato influenzamento del mosto. Totalmente neutra. Tutto ciò che senti arriva dal vitigno.

L’idea alla base doveva essere un prodotto non convenzionale in una terra che di convenzionale ha molto. Qualcosa che oggi non si fa.

Ero tornato dall’Asia con l’idea di questi vini. Li dove hanno cultura e passione per questo tipo di prodotto. Angelo mi ha sempre seguito. Inizialmente avevamo coinvolto anche un altro produttore con base convenzionale che non era molto d’accordo sulla filosofia. Non abbiamo continuato insieme perché non credeva alla nostra filosofia. Abbiamo trovato l’enologo specializzato in vini naturali che opera nel nord Italia Francia e Romania. Non era mai stato al sud e non conosceva la Falanghina. Alle prime visite in cantina ha detto di aver visto terreni vigorosi, terreni che cedono vigore ai vigneti: Campania felix!

Ora, se si tratti di un vero approccio filosofico o di una filosofia costruita a scopo commerciale dopo una attenta e minuziosa analisi del mercato di riferimento e con un occhio al business plan, non l’ho nemmeno chiesto. Non credo sia importante davvero perché le idee, occorre non solo averle, ma anche renderle fattive. Nel tempo. Dunque, che si tratti di filosofia pura o di una strategia commerciale, poco importa. Il prodotto che ne esce è comunque sensazionale.

Ho avuto modo di provare in anteprima le bottiglie e ne sono rimasto piacevolmente colpito. La recensione dello Speri è sul mio canale Instagram.

Di certo, il business plan è stato fatto e con cura. Molti vignaioli nemmeno sanno cosa sia un business plan. Spesso si iniziano attività commerciali o produttive così, ad intuito. Perché piace l’idea e ce ne si innamora. Poi, come va va. Vediamo alla fine dell’anno.

 

Così, se va bene, si arriva alla fine dell’anno e se ne ricomincia un’altro senza sapere se si stia andando nella direzione giusta oppure contro un muro. 

Antonio il business plan lo ha fatto e ci mancherebbe altro. Un pò per deformazione professionale e direi per professionalità. Un pò perché stare dietro ad una attività del genere richiede tempo, soldi, energia. Sprecarli, non avrebbe senso ne servirebbe a qualcosa.

Fare un business plan vuol anche dire tener conto dei costi di promozione dell’attività. Anche questo un aspetto sottovalutato e che poi torna prepotente quando i magazzini rimangono pieni. Sfugge ai più. Non può sfuggire ad un consulente. Esperto. 

È così che Antonio oltre ad occuparsi del prodotto, presta molta attenzione alla costruzione delle etichette così come alla tipologia di bottiglia e al packaging.

Volevamo fare qualcosa di diverso per proporre al mercato qualcosa di speciale e con un vero appeal. Le etichette sono fatte da un artista cubano, Juan Carlos Polo Chaviano. La mia ragazza è cubana e l’anno scorso siamo stati li. Parte delle mie vacanze le ho trascorse con questo artista a ragionare su come potevamo fare le etichette. Ha inventato questo personaggio che si chiama Gordito che è un uomo che brinda con il calice in mano rappresentato in diverse configurazioni ma sempre con l’anfora vicino per evocare il messaggio. C’è molto di investimento anche dal punto di vista del design e del fascino. Anche la bottiglia borgognotta: scura per non avere influenze della luce e del calore; spessa perché essendo un vino naturale, meglio lo conservi e meglio è.  Infine c’è l’astuccio che, oltre a dare una protezione aggiuntiva per viaggiare sempre al buio, è scenografia e design. 

Bellissime in effetti le etichette come sono stupendi gli astucci. Stupende tonalità di colore e grafica accattivante. Fosse anche solo per esporle. Ciò su cui si dovrebbe prestare attenzione nelle parole di Antonio è l’aver messo a fuoco, analizzato e sviluppato ogni singolo aspetto del progetto: niente è e può essere lasciato al caso. Niente è improvvisabile. 

Nonostante l’avventura sia appena iniziata, guardare al futuro è una necessità. Davvero il giusto approccio per non rimanere fermi, per pensare che ogni giorno è nuovo e diverso dall’altro. 

Vorremmo mantenere quantità basse per gestire bene il processo. Potremmo salire fino a 6/7000 bottiglie con un paio di anfore in più. A livello di prodotti le innovazioni sono pensieri che vengono giorno dopo giorno. Avere qualche linea in più sempre con la stessa filosofia. Ad esempio con la Malvasia e il Piedirosso. La cantina è spoglia e servirebbe qualcosa per gli ospiti. Più strutturata e magari visitabile. 

Ci pensi a staccarti dal lavoro?

Per adesso è prematuro per la fase del progetto in cui siamo. Ma ci penso. In una città come Milano dove per sopravvivere devi lottare parecchio, la consapevolezza di avere un vigneto, una cantina, seguire le fasi della natura….alletta parecchio.

Adesso che tutti i puntini sono riuniti, il progetto di una nuova realtà come Terrae Laboriae, prende davvero forma. 

È un progetto che mi piace poiché nasce con solide basi frutto di intuizione, idee, calcoli, programmazione, studio, fatica, lavoro, tradizione, innovazione, territorio. Un mix perfetto si direbbe. No, non basta. Non stiamo parlando di ingredienti che devono unicamente mescolarsi indipendentemente dalle quantità. È necessario metterci due cose importanti: cuore e testa. Antonio e Angelo le hanno entrambi. Cuore e testa. Senza che l’una non domini sull’altra. 

Un grande in bocca al lupo per questa splendida avventura. Sono certo che Teri, Teli e Speri saranno ricordati per molto tempo. Insieme agli altri che arriveranno….

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