21 Lug 2023
Suggestioni di Vino

Vitivinicola Iovino: ‘o mare, ‘o sole, ‘o vino

Vitivinicola Iovino: ‘o mare, ‘o sole, ‘o vino

Guardando Napoli dall’alto, attraverso il finestrino di un aereo in una giornata limpida, è facile riconoscere la natura vulcanica di tutta la costa. A destra di Napoli il Vesuvio con la ragnatela di case sorte, più o meno lecitamente, alle sue falde e il mare subito appresso. Il paesaggio è così affascinante che spesso si ritira lo sguardo sospirando. Quasi a recuperare il fiato dopo essere rimasti estasiati dal gigante buono che diede vita alla sua ultima eruzione nel 1944 (anche tutti noi ricordiamo solo quella 79 d.c quando distrusse Pompei ed Ercolano. Eppure, se si rimanesse con naso e fronte attaccati al finestrino, appena passato Napoli si potrebbero scorgere ben altri crateri: il lago di Agnano, il Monte Corvara, il Monte Nuovo, il lago d’Averno. In pochi si accorgerebbero della solfatara dei Campi Flegrei che poi è il vero vulcano attivo dell’area. Da ben 80.00 anni con la Caldera a rappresentare ciò che sprofonda per via dei vari bradisismi.

Tra mare e vulcani, attivi o spenti, filari di viti da tempo immemore danno vita a Falanghina e il Piedirosso (o come lo chiamano qui, per’e pallummo, piede di piccione), veri gioielli dell’enologia campana. Dal 1994 protetti dalla DOC Campi Flegrei che comprende i comuni di Bacoli, Pozzuoli, Monte di Procida, Quarto, Marano e Procida.

Purtroppo, o per fortuna, poche sono le cantine che ne fanno parte. Terreno difficile. Condizioni difficili. Vitigni non immediati. Tutto sembra dannatamente complicato. Eppure, quando ti imbatti in un personaggio come Antonio Iovino della cantina che porta il suo cognome insieme a quello del Monte Spina dove sorge (il nome intero è Azienda Vitivinicola Monte Spina di Iovino Antonio), tutto assume una prospettiva diversa. Quello che sembra complicato diviene non solo facile ma anche “spensierato”. Solo a vedere il suo sorriso non ho potuto esimermi dal cantare (a mente visto che non potevo farlo a voce) il ritornello della canzone Simmo e Napule paisà:

Basta ca ce sta ‘o soleCa c’è rimasto ‘o mareNa nénna a core a core na canzone pe’ cantá
Chi ha avuto, ha avuto, ha avutoChi ha dato, ha dato, ha datoScurdámmoce ‘o ppassatoSimmo ‘e Napule paisá!

La prima volta che l’ho incontrato ero alla manifestazione IoVino a Roma. Dire che ho incontrato Iovino a IoVino mi fa ancora ridere. Comunque sia, la mia attenzione andò subito verso lo stand di Antonio attratto da tre cose principalmente.

La prima, di origine affettiva e storica: mia mamma faceva di cognome proprio Iovino e mio cugino di nome Antonio. Dèjà vu. Mai nessuno mi aveva detto in famiglia di un parente viticoltore. E infatti Antonio non è nell’albero genealogico.

La seconda, per i nomi dei vini che presentava. In particolare “Vigna Solfatara”: poter assaggiare un vino campano prodotto evidentemente nell’area della solfatara mi allettava molto.

La terza, il sorriso di Antonio e di sua moglie Teresa: vedere con quale grazia ma anche felicità accoglievano gli ospiti non poteva che invogliarmi ad una sosta da loro.

Il sorriso di Antonio non è che l’aperitivo di una entusiastica esuberanza tutta di stampo partenopeo. Una persona che ti coinvolge quando parla, quando ride, quando racconta gli aneddoti della sua vita. Semplici e veri. Come è lui. Come è la sua famiglia. Che ama in maniera spassionata. Come ama il suo lavoro. La sua vita.

Sono tre le componenti essenziali della vita: passione, tenacia e molta ma molta umiltà.

Ecco, già ad uno che mi dice così non posso non volergli bene a pelle. Mi piace di Antonio proprio la passione che lo porta a raccontare con ardore le sue esperienze. Mi piace la tenacia nel portare avanti i suoi progetti in un territorio che è tanto meraviglioso quanto difficile. Mi piace l’umiltà nel non dare mai nulla per scontato e non dimenticarsi mai da dove arriva.

Passione, tenacia, umiltà. Tutto ciò genera entusiasmo. Contagioso nel tono della sua voce, nel sorriso che ti spiazza anche quando gli parli al telefono. Orgoglioso delle sue origini semplici che lo tengono con i piedi ben piantati per terra.

L’azienda ha origine antica. Non come la solfatara ma certamente non comune nel panorama vitivinicolo. 1892. Oltre 130 anni di storia. Mica male!

Tradizione antica di fare vino dal 1892 con mio nonno che piantò la prima vite nei Campi Flegrei a Pozzuoli sul Monte Spina. Nel mio terreno ci sono delle vite secolari che lo testimoniano. La tradizione è poi proseguita con mio padre e questa è la terza generazione con me. Poi ci sarà sicuramente la quarta con i miei figli.

Altra caratteristica tutta meravigliosamente meridionale. La famiglia e la voglia di far qualcosa per i figli.

Già i figli. Antonio ne va così orgoglioso. Gli occhi gli si illuminano quando ne parla. Consiglia, la femmina, che gestisce la parte amministrativa; Giuseppe, lo chef dell’Agriturismo annesso alla tenuta, Il Gruccione. Ma la famiglia sarebbe niente senza Teresa, la sua metà.

Mia moglie è il braccio destro e senza di lei non avrei fatto assolutamente niente. Dietro un grande uomo c’è una grande donna. Mia moglie si chiama Teresa Amore: un cognome eccezionale.

Ora i più potranno leggere nelle parole di Antonio l’idea di autonominarsi “grande uomo”. Ma non è così. Perché il senso della sua frase era un omaggio a Teresa più che a lui. Umiltà. Antonio rimane umile. Anche nei ricordi di quando era bambino. Di quando tornava a casa dopo aver studiato a scuola. Perché doveva aiutare il papà in campagna. Era il 23 novembre 1980 quando la terra tremò in Irpinia con magnitudo 6.9. Una scossa che sconvolse l’intero Sud. Napoli e l’hinterland ne furono particolarmente colpiti così che le poche scuole rimaste aperte dovettero fare il doppio turno per accogliere gli studenti.

Io ho lavorato sempre con mio padre. Ho fatto ragioneria ma la grande scuola è quella del contatto diretto con la terra. Quando venivo dalla scuola dopo che ci fu il terremoto non avevo il tempo per studiare perché dovevo aiutare mio padre in campagna a potare la vite, governare le mucche da latte. Studiavo a scuola.

Eccola l’umiltà di Antonio. Quella di una persona che si è rimboccata le maniche. Si è sporcata le mani di terra, fango, sudore. Ha vissuto su di sé, ma non per sé, gioie e dolori.

Ora ringrazio mio padre perché mi ha fatto conoscere la realtà della terra. Studiare è una cosa ma la pratica è altra cosa. Se il tuo teorico non lo metti in atto, rimane a sé.

Saggezza popolare. Di quella saggezza che gli fa conoscere i propri limiti. Perché un conto è la terra, la vigna, la potatura.

In vigna ci sono io. Il sottoscritto. La mia passione predominante.

Altro conto la cantina dove ci vuole il mestiere. Che non si improvvisa né si sperimenta. Altrimenti vini buoni non ne escono.

In cantina c’è un enologo anche se la maggior parte del lavoro lo faccio io in campagna e nella raccolta. Ciro Verde è molto bravo nella parte enologica.

L’avventura dell’imbottigliamento comincia dopo il 1988, quattro anni dopo la fondazione della DOC Campi Flegrei

Sono stato il secondo ad avere la DOC. Con mia moglie abbiamo portato avanti questa grande passione perché se non c’è passione non fai nulla.

La passione appunto. Quella grande droga che non fa male e che se ti scorre dentro ti consente di avere forze in maniera continuativa. Di non fermarti mai guardando, con ottimismo, avanti. Antonio e Teresa si gettano nell’avventura della vigna trasformando l’azienda da semplice produttrice di uva e vino sfuso a vera azienda vitivinicola.

La nostra nasce come azienda che fa il vino del contadino. Poi, grazie al lavoro, arriva la prima bottiglia DOC nel 2003.

Guardare avanti abbiamo detto. Ciò vuol dire non tanto avere l’ambizione di crescere e guadagnare di più. Certo, importante, ma non vitale. Vuol dire poter far sì che la famiglia abbia il suo modo di sostenersi, di stare bene, di non avere problemi.

È così che Antonio ha l’intuizione. Cosa ha di grande la Campania?

Napule tre cose tiene ‘belle, ‘o sole, ‘o mare, ‘o Vesuvio. Così si diceva. Anche se poi si trovava sempre qualcosa da cambiare nel trittico. Si arrivò anche a sostituire il Vesuvio con il Dio Maradona quasi a significare che questi non poteva sostituirsi al mare ed al sole ma in quanto a potenza non era certo secondo al vulcano.

Divagazioni a parte, Campania e cibo rappresentano un binomio inscindibile. Materie prime provenienti da un territorio baciato da Dio (non dal Dio Maradona) fanno di tutta la Campania un vero e proprio Eden.

L’obiettivo era abbinare al vino la cucina tipica dei Campi Flegrei.

Nel 2014 apre così l’agriturismo “Il Gruccione” con il figlio Giuseppe nella delicata funzione di chef. Un ragazzo che raccoglie da papà Antonio la passione, la tenacia, l’umiltà. Ma anche quella meravigliosa intraprendenza giovanile (e un bel pizzico di propensione commerciale il cui mix a Napoli si chiama a’ cazzimma) che lo porta a partecipare ad una serie di trasmissioni culinarie televisive (di quelle che riempiono i palinsesti di ogni rete). Anzi, mi correggo. Non solo partecipare ma anche vincere.

Ha vinto varie trasmissioni televisive come la Prova del Cuoco con la Isoardi e “È sempre mezzogiorno” con la Clerici, “Camper – Nella vecchia Trattoria” con Federica De Denaro. Si dà da fare anche lui.

Va bene tutto. Ma la vigna?

7 ettari di terreni dislocati intorno all’agriturismo ed al Lago d’Averno. Luoghi meravigliosi e di puro incanto. Se non ci siete mai stati, una gita è d’obbligo. Qui tutto merita. Dal cibo dello chef Giuseppe, ai vini di Antonio, al Tempio di Apollo (che era un complesso termale), al complesso dei Campi Flegrei, alla Solfatara. E se sentite come ne parla Antonio capite quanto amore c’è nei suoi luoghi.

Qui è davvero molto bello. Spettacolare direi. Come la collina di Monte Spina a 300 metri sul livello del mare che si affaccia su Procida, Nisida, Ischia, Sorrento, Capri…..Si vede tutto questo ben di Dio di panorama.

Quattro etichette per due tipologie di uvaggi. Campani ovviamente. Della DOC Campi Flegrei manco a dirlo. Falanghina e Piedirosso (o per ‘e palummo).

Falanghina Grande Farnia e Piedirosso Gruccione. Due vini semplici ma di grande identità vista la matrice del terreno e l’età delle vigne.

Vigne che sono in una zona di 120 e nell’altra di 130 anni. La più giovane ha tra i 60 e i 70 anni.

Tanto per rimarcare ancora la provenienza dei vini, i nomi stessi sono dedicati a qualcosa di territoriale. La Grande Farnia è la quercia propria del Monte Spina, il Gruccione è l’uccello dai mille colori che qui ama risiedere.

Gli altri due vini invece sono delle menzioni speciali “Vigna Solfatara” derivanti sia da Falanghina sia da Piedirosso. 1253 bottiglie per ogni vitigno coltivato all’interno della Solfatara dalle piante più antiche.

Coltivo tutto a ridosso del vulcano Softatara. La gran menzione dei Campi Flegrei solo io lo posso fare perché il mio terreno rientra nella Solfatara.

Due vini di assoluto rilievo (la Falanghina l’ho già recensita sul mio blog Instagram ) e dire “esplosivi”.

La Falanghina mostra la matrice minerale del terreno appare già nell’invitante colore dorato che si accende di luminosità.

Il naso nel calice si crogiola delle nocciole, degli agrumi, della mela annurca, del basilico, dello iodio, dell’alloro: un tripudio di odori tipicamente campani. Così, tanto per ricordare dove ci troviamo.
La bocca al sorso è bellissima e buonissima. Gli agrumi e la mela tornano prepotenti esaltati dalla mineralità.

Il finale tende ad andare verso la mandorla amara senza mai arrivarci.

Un vino che ha mille sfaccettature tali da esaltarne la bevibilità e gli accoppiamenti.

Scegliendo, più che su un pesce all’acqua pazza (con il quale ci starebbe benissimo) lo userei per una pizza bufala e pomodorini del piennolo.

Per il rosso, non svelo nulla ma lo troverete comunque a breve sul mio blog @ivan_1969.

Io, nu poco fatto a vinoPenzo ô mmale e penzo ô bbeneMa ‘sta vocca curallinaCerca ‘a mia pe’ sa vasá!Tarantella, si ‘o munno è na rotaPigliammo ‘o minuto che sta pe’ passá

Antonio e Teresa hanno la doppia anima di viticoltori e ambasciatori del loro brand. Girano in lungo e in largo l’Italia per far conoscere i propri prodotti. Mossi dall’orgoglio, dalla voglia, dalla passione. Sempre con il loro sorriso e la positività che li contraddistingue. Senza però alcuna voglia di fermarsi.

Io e mia moglie abbiamo un progettino. Lei è di Reggio Calabria. Li ci sono ottimi vini non conosciuti. Vogliamo fare un blend tra i miei campani e i suoi calabresi. Vorrei dedicarlo a mia figlia. Faremo gli assemblaggi e capiremo cosa fare.

Non sa ancora bene cosa fare Antonio di questa pazza idea ma io sono certo che un giorno, nemmeno poi così tanto lontano, mi chiamerà per farmi assaggiare la sua nuova creatura. Anzi, la loro nuova creatura.

E io non vedo l’ora!!!

Basta ca ce sta ‘o soleCa c’è rimasto ‘o mareNa nénna a core a core na canzone pe’ cantá
Chi ha avuto, ha avuto, ha avutoChi ha dato, ha dato, ha datoScurdámmoce ‘o ppassatoSimmo ‘e Napule paisá!

Ivan Vellucci

Mi trovi su instagram : @ivan_1969