19 Mar 2024
Suggestioni di Vino

Edoardo Venturini. L’architettura per le cantine

nZEB. Verticalità. Proporzioni auree. Bioarchitettura. Vedere la faccia dei partecipanti ad una Masterclass, dove notoriamente si parla di vino, quando dal palco Edoardo Venturini, architetto, illustrava questi concetti, è stato un vero spasso.

Venezia, Scuola della Misericordia. Era gennaio 2024 e insieme a Cristian Maitan (miglior sommelier d’Italia 2024) e Alessandro Nigro Imperiale (miglior sommelier d’Italia 2022) tenevo la Masterclass di presentazione della Tenuta Planisium (avevo scritto un articolo che trovate qui) nell’ambito di Wine in Venice. Come introduzione mi sembrava coerente far parlare dal meraviglioso palco, Edoardo Venturini visto che aveva progettato la nuova cantina in quel di Volturino in Puglia.

Mentre guardavo le facce degli astanti, interessanti devo dire ma anche un pò spaesati, ascoltavo Edoardo con un profondo interesse.

Una cantina è una cantina ho sempre pensato. C’è chi ha la cantina nel garage, chi nella rimessa. C’è chi l’ha ricavata sotto la propria abitazione e chi se la è trovata dalle precedenti generazioni. C’è pure chi non ce l’ha propria visto che le dimensioni e gli investimenti obbligano a vinificare conto terzi. Campionato a parte giocano poi quelli che le cantine se le sono fatte costruire in maniera faraonica.

Che ci vuole a fare una cantina in fondo? La zona produttiva, la barricaia, lo stoccaggio, la sala degustazioni. Se sei in zone vocate, i graticci per l’appassimento delle uve.

Cosa diavolo serve di altro? Continuavo a chiedermi questo quando poi è arrivata l’ora di continuare la Masterclass.

È così che dopo Wine in Venice ho cercato Edoardo per capire meglio dei suoi concetti e di lui come persona scoprendone una persona meravigliosa.

Edoardo è di Venezia (e questo anche da come parlava me ne ero accorto!). Architetto (altrimenti di che stiamo parlando). Appassionato di vino o forse più che di vino di cantine. 

Gli episodi della vita ti segnano c’è poco da fare. C’è sempre qualcosa che accade che poi, giocoforza, ti porti dieto per sempre. Anche un banale trasferimento di casa.

Capita così ad Edoardo che da Mestre dove è nato, va a vivere con i genitori a casa della nonna a Salzano. Come da tradizione, c’è un piccolo vigneto che non può che servire per le necessità della famiglia. Anche se con pochi grappoli la vendemmia si fa sempre. Un torchio sotto il porticato ed il gioco è fatto. Sembra semplice e banale ma se quel meraviglioso momento che è la vendemmia con i suoi colori e se quegli odori che si sprigionano durante le operazioni di vinificazione fanno breccia nel tuo cuore, allora, la vita non può che essere positivamente segnata. C’è poco da fare. 

Rimane dentro certo perché quel momento arriva ogni anno. Nel frattempo occorre fare altro. Come studiare e lavorare ad esempio. 

Mi piaceva la tecnica, la geometria, il disegno. Naturale approdo è il Geometra. Inizio a lavoro con mio zio che faceva asfaltature. Guidavo delle piccole squadre. La zona in cui lavoravo era la zona della Marca trevigiana. Avevamo la sede a Silea e frequentavo tutte le zone del Prosecco. Ho seguito un sacco di cantine vinicole come geometra. Nel contempo, nell’88 mi iscrivo all’università avendo già in mente la tesi di laurea. Studio e lavoro perché non potevo permettermi gli studi. Uno dei primissimi lavori è stato seguire i lavori come tecnico della cantina Nino Franco, cantina molto di qualità dal punto di vista produttivo. Quel lavoro è stato progettato dal figlio di Carlo Scarpa, Tobia. Da li la scintilla è scoppiata. 

Quando hai a che fare con architetti del genere non puoi che rimanere estasiato dalle loro opere. Se poi porti dentro di te una passione innata per le cantine ed il vino, beh la deflagrazione è assicurata. Per Edoardo, persona attenta e meticolosa diventa quasi una ossessione. Positiva bene inteso, ma comunque una vera e attenta voglia di sapere di più di tutto quanto gira attorno ad una cantina. 

Lavorando e studiando conosco altre cantine e il territorio della Marca raccogliendo la documentazione che mi ha portato ad avere già il materiale della tesi. Il mio, docente sensibile al tema, mi ha invogliava a raccogliere altro materiale sulle cantine di maggior spessore. Che raccolgo battendo le aree vitivinicole della provincia. Tutte di nobili. Principi, conti, marchesi. Raccontavano la storie delle loro famiglie. Il Castello di Roncade ad esempio. La tenuta Bonotto delle Tezze. Volevo proseguire ma dovevo chiudere per la tesi e per la laurea. 

Edoardo, che è uno meticoloso ma meticoloso proprio, non è che si accontenta di raccogliere materiale. Studia e studia tutto ciò che c’è da studiare sulle cantine a partire dalla notte dei tempi. Dalle vasche di pigiatura delle uve dell’epoca pre romana alle cantine attuali. Un viaggio che lo vede ridisegnare tutto ciò che vede.

Viaggiavo tra le cantine. Correvo con la smania di arrivare, riprendere, fotografare. Mi sono disegnato le cantine perché non volevo tediare i titolari. Con le foto le ridisegnavo. Sono venute fuori bei disegni fatti a mano. Con l’intorno e l’interno. Il progetto di Tobia Scarpa mi diede il “la” perché non volevo solo costruirle ma anche progettarle. Volvevo essere l’artefice delle forme, di quei disegni, degli spazi.

Per fare questo Edoardo avrebbe dovuto lasciare il lavoro nella ditta dello zio che certo non versava in buone acque. Era la paura di fallire a fargli tremare le gambe. Papà nella Guardia di Finanza. Mamma con un negozio di antiquariato. I soldi si c’erano ma non è che potesse gravare sulle loro spalle. 

Ora, ai più può sembrare facile, ma non è così. Quando sei figlio di un architetto famoso, più che “iniziare” qualcosa, “continui”. Certo, devi essere bravo perché se non sei capace poi il cognome non basta. Se sei però un perfetto sconosciuto, puoi avere anche il sacro fuoco che ti brucia dentro, iniziare qualcosa da zero, non può non far tremare le gambe.

Ora però, non è che Edoardo volesse solo progettare cantine. Meraviglioso quanto vi pare ma di cantine pronte ad investire ne conosco poche. Ricordiamoci che sono sempre i casi della vita a segnarci. 

La ditta dello zio faceva strade. E le strade si fanno con l’asfalto.

Lavoravo nel mondo del conglomerato bituminoso. L’asfalto. Nocivo. Sei costantemente immerso in fumi, odori, materiali pericolosi. Possono sorgere allergie importanti. Ancora non soffiava forte il vento della sostenibilità. Facevo già corsi che trattavano il risparmio energetico quindi il recupero dei materiali. Energie alternative. Inizio però a fare i miei approfondimenti appassionandomi davvero scoprendo materiali ecologici come paglia, fibra di legno, calcio silicato. Comprendo, mi insegnano (faccio il corso ANAB che è la più grande associazione nazionale di bio architettura), la forte influenza del materiale sulla salute della persona. Se questa vive in un ambiente sano ha una vita migliore. Era inevitabile io abbracciassi questa disciplina. 

Una folgorazione direi. Lo è anche per me. Sapere che ci sono principi per i quali si può vivere meglio in qualunque ambiente quando questo è progettato con metodi e materiali diversi, è una vera scoperta. Magari è lapalissiano, ma chi di noi si informa di come è stato realizzato un edificio prima di entrarci anche ad abitare? Pensare però che la qualità dell’aria che respiriamo negli ambienti dipenda direttamente dalla progettazione e dai materiali utilizzati è pazzesco. 

Ero ancora dipendente. Mi licenzio e inizio la storia da libero professionista. Oltre che passione diventa professione. Non avendo conoscenze partivo da zero. Ancora adesso non ho che il passaparola. I miei clienti arrivano dalle conoscenze dagli articoli e dalle conoscenze.

Inizia con solo il suo nome. Poi nasce Architetture del Benessere. Infine Cantine fatte ad arte. 

Il benessere come fruibilità degli spazi. Fruibilità e bellezza. Per tutti. 

Si sta bene in un edifico se è bello e armonioso con colori e forme appropriate. Con la luce adeguatamente pensata e progettata. Una sorta di psicologia dell’abitare.

Cantine fatte ad arte nasce invece con l’intento di ritornare a realizzare le cose “ad arte” ovvero con mestiere. Gli studi del passato, quando una cantina si faceva per soddisfare le esigenze di praticità, coniugati con le nuove tecnologie e sopratutto con la bio sostenibilità e diversità.  

Il primo progetto è stato a Bonotto delle Tezze. Era un borgo di fine 1800 con la villa e le parti rurali dei primi del 1900. Aveva bisogno di una ridisposizione dei locali per dare migliore accesso e funzionalità alle varie parti. Ho ripensato l’accesso, i percorsi perdonali e carrabili. Con questa cantina che fa un Raboso meraviglioso ho creato anche un bel rapporto di amicizia. Si sono succeduti altri progetti anche di design. 

Edoardo è un architetto sui generis. Non è un ammaliatore. Semmai lo potrei definire una persona attenta ai particolari che sa ascoltare e osservare il contesto con occhi disincantati. Non ama particolarmente parlare perché usa altri sensi perché vuole comprendere per poi comunicare attraverso i suoi progetti. Ha bisogno di entrare in sintonia con le persone, i committenti come li chiama lui. Solo così riesce a trasformare i pensieri in disegni. Un vero metodo di genius loci. 

Prediligo l’aspetto umano di ogni persona. Ogni committente ha una sua sensibilità. C’è chi è più spirituale, chi più pratico. Da li sento una vibrazione e mi metto in empatia. Capire la persona e il lato umano è fondamentale. È il motore per i quali nasce lo spunto progettuale e l’idea della cantina. Una cosa che chiedo è di essere presente sempre. Vorrei che loro vivessero le emozioni che io vivo quando progetto. Dagli schizzi in poi. L’idea di alcune cantine mi è nata semplicemente conducendo una chiacchierata o solo parlando. La foglia di un pampino, della vite     che cade in un prato con gli steli del prato che la tengono su. È stata una folgorazione. Il titolare mi stava spiegando che doveva demolire una tettoia a ridosso di un edificio palladiano e doveva creare questo spazio. Sono molto influenzato dall’’ascoltare loro. Ogni committente ha l’idea propria della sua azienda. Hanno delle idee che sono degli ologrammi che si vedono a tratti ma non l’hanno materializzata. Io passo tempo con loro perché mi possano trasmettere le immagini che loro vedranno con schizzi. Materializzo il loro sogno.

Gli spazi e la loro fruibilità. Non solo la parte produttiva ma anche e soprattutto l’accoglienza. Per far vivere gli spazi a chi si approccerà a visitare la cantina in una maniera diversa. Valutare il contesto, scegliere i materiali, immaginare il futuro. 

Edoardo mi guarda e vedo che dentro di lui le idee frullano nella mente vorticosamente. Forse avrebbe bisogno di una matita e un foglio di carta per dirmi cosa sta pensando veramente. 

Quando ho visto il progetto che aveva fatto per Tenuta Planisium ho capito che avevo dinanzi una persona in grado di guardare oltre. È stato un onore averti conosciuto Edoardo. Aspetto solo di vedere la tua prossima opera.

PS non sono volutamente entrato nell’ambito tecnico poiché oltre a non essere la persona più titolata a farlo ho chiesto ad Edoardo di iniziare a scrivere su questo Magazine. Troverete i suoi articoli, scritti con uno stile davvero interessante, nella rubrica “Cantine di cui anche Bacco andrebbe fiero“. Io non vedo l’ora

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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