15 Feb 2024
Vinodentro

Friulano Blanc di Simon Tradiziòn – 2018 – Simon di Brazzan

Quella di Daniele (Drius) è più di un’Azienda, è una dedica.

Intanto al nonno Enrico Veliscig (“ILSimon di Brazzan) e poi ad una terra che cerca di calpestare facendosi lieve quanto più possibile.

A chi avesse ancora dubbi sul reale significato del termine “terroir” consiglio di fare quattro chiacchiere con Daniele che ne è non ambasciatore ma rappresentazione.

Dagli inizi negli anni ’50 di acqua sotto i ponti ne è passata tanta qui a Brazzano (che è frazione di Cormons).

Dai 3ha iniziali siamo arrivati ai 14 di oggi, parcellizzati tra Brazzano, Dolegna del Collio e Mariano del Friuli, per dare ad ogni vitigno la terra più adatta per affondare le radici e venircela poi a raccontare nel bicchiere.

Se poi vogliamo mettere un paio di paletti possiamo dire 1986 stop alla chimica e 2012 biodinamica.

Ma che ci faccio io in una Azienda biodinamica?!

Io che credo nel cornoletame come credo negli unicorni.

Beh, uno che sa m’ha detto: “vai” e…eccomi qua, a casa di Daniele, tra vini, chiacchiere e sua mamma che si affanna tra taglieri e quant’altro.

Quella di Daniele è una storia di umiltà, la storia di un uomo che non si vergogna di sapere di non sapere.

Di un uomo che va a scuola da “quelli bravi” per imparare la magia delle macerazioni.

Di un vignaiolo che non vuole nascondersi dietro il dito di un “naturale” che troppo spesso propone non scusabili puzze.

Comunque, di tutto ciò parleremo magari un’altra volta magari dicendo di altri suoi vini.

Qui, oggi, mi scappa di dirVi di Tocai (scusate ma non ce la faccio proprio a chiamarlo Friulano, con vini come questo poi…).

TRADIZION” è un vino che racconta di attese.

Quella dell’ultima uva raccolta in vigna aspettando brume e Botrytis e quella del lungo lavoro in cantina.

60% acciaio ed il resto legno (e qui parte finisce per 25gg nei tini tronco conici da 25hl e parte stabula pazientemente in botte); 60% sprint, il resto temperanza.

Quando avvicini il calice al naso pensi: “alla faccia del semiaromatico!”; difficile distinguerlo da una Malvasia…

Poi ti concentri e…

Ecco che ti si schiariscono le idee e ti rendi conto di essere di fronte ad un vino che sa di antico.

Torni indietro con gli anni e con la memoria a quel Tocai che si raccoglieva a maturazione fin più che completa, quello che andava a braccetto con il grado alcolico quando non si badava troppo a questi dettagli.

Naso brioso e da acchiappo, di ampiezza grandangolare ma dotato di una verticalità che fa venire il torcicollo al naso, piena espressione della varietalità del vitigno.

Complesso e ben dettagliato nei marcatori della frutta matura (pera, mela, una screziatura d’ananas che…vabbè, ci può stare) e più sfumato in quelli floreali.

Erbe aromatiche (timo) e tè verde (che ‘st’anno pare essersi insediato nel mio naso).

Dalle retrovie avanza poi il mugghiare minerale di un mare sepolto ma mai sopito ed il finale è di una mandorla che, seppur mitigata dalla lunga macerazione, mi ricorda il Vulcano Laziale.

Assaggio BUUUM!

Anglosassone negli aromi di bocca, morbido e rotondo, glicerico ma mai stancante.

Abbastanza fresco, molto minerale, lungo ma non troppo (quasi a volerVi invitare ad assaggiarne ancora per non perderne memoria).

Una sorta di “mangia e bevi” di sbarazzina eleganza e controllata potenza.

Da bere così, guardando un temporale dalla finestra o stemperandone i tannini a suon di San Daniele (ma di quello BUONO) ascoltando “I’M YOUR MAN” di LEONARD COHEN e leggendo come un mantra le parole scritte sull’etichetta.

Roberto Alloi

VINODENTRO