09 Mag 2024
Vinodentro

I vini del Castagno

DEL CASTAGNO E DI ALTRE COSE

Botte, bottega, bottaio…

Parole che sanno di passati remoti e futuri incerti.

Di un tempo in cui i “barbari” stavano più avanti dei Romani (almeno in fatto di contenitori vinari, stando a quei “contenitori in legno accerchiati” di cui narra Plinio il Vecchio) e di un domani che sembra sempre più “respingente” nei confronti di mestieri antichi e uomini come il protagonista della masterclass di cui Vi racconto.

In realtà i protagonisti sono due: il Castagno e Alfredo Sannibale.

La pianta e l’uomo che la trasforma.

Sullo sfondo il vino in quanto cultura ma anche quotidianità.

Il CastagnoFagacea affine alla Quercia protagonista indiscusso del panorama di quei Castelli Romani cui ha cambiato volto seguendo le necessità dell’uomo e della sua “sete”.

L’aumento di popolazione e la grande richiesta di vino del XVII Secolo spinse sull’acceleratore del cambiamento.

Le “Costitutiones” emanate dallo Stato Pontificio che consentivano ai proprietari di terreni su cui crescessero piante da frutto di liberarsi dai pesanti usi civici del pascolo e del legnatico accesero i riflettori su quel Castagno che, non a caso, era conosciuto anche come “albero del pane” per le proprietà nutrizionali dei suoi frutti.

Bando dunque al bosco misto e via libera ai reimpianti con una pianta dalla crescita estremamente rapida, il cui legno, data l’elevata plasticità, si prestava egregiamente agli usi più disparati, dall’edilizia (sviluppo demografico voleva dire necessità di nuove abitazioni e di travature di sostegno) a, appunto, la produzione di botti.

E il Castagno, sotto forma della classica botte da 11hl, ha accompagnato per lunghissimo tempo il Frascati dalla fermentazione al viaggio verso la città sui “carretti a vino”.

Questo almeno fino agli anni ’60, quelli dello spopolamento delle campagne a favore di una città che sembrava offrire lavoro sicuro e stabilità economica.

La viticoltura subì allora un duro colpo e la cura della vigna divenne hobby e non più “mestiere”.

Si persero professionalità e smarrirono conoscenze, le botti in legno cedettero il passo alla comodità del cemento prima e della vetroresina e dell’acciaio poi.

E cambiò anche il volto dei paesi, Albano in testa, che passarono in breve tempo dall’essere custodi di segreti artigiani tramandati da generazioni alla desolazione delle botteghe chiuse.

ALFREDO SANNIBALE, “IL” BOTTAIO

E veniamo ad Alfredo l’ultimo templare, esemplare ormai unico di una specie che la cecità dell’uomo ha portato all’estinzione.

Classe 1946, bottaio di quarta generazione, artista della scure e del pialletto, profondo conoscitore della materia che lavora.

Il Castagno è nel suo DNA, sa dove andare a cercare i tronchi migliori (GGiovani e forti dall’alto dei loro max 16-18 anni), scarta nodi, segue vene, sceglie doghe (massimo 3 ad albero), stagiona, taglia, pialla, accerchia.

Accende zolfanelli, lava, asciuga, indica, insegna.

Monta e smonta, costruisce, accrocca, ripara…

Lo sguardo e le mani, un unico strumento di precisione.

Sorride Alfredo, anche amaramente, quando racconta dei suoi settant’anni a bottega, svela (in parte) segreti, dà voce a oggetti inanimati, sciorina spessori, racconta aneddoti, strizza l’occhio e dice trucchi.

Le sue opere da tempo hanno varcato i confini dei Castelli Romani colonizzando altri vulcani (l’Etna) e financo la terra dei canguri.

I VINI DEL CASTAGNO

Sei assaggi da cinque Aziende (quattro laziali e una marchigiana).

Sei vini che in comune hanno l’esilio dorato in quel Castagno che Alfredo modella perché sia soddisfatto il nostro alcolico edonismo.

LA TORRETTA: giovane Azienda di Grottaferrata condotta da Riccardo Magno (cugino e dirimpettaio del Gabriele di cui avrete letto anche la settimana scorsa) con entusiasmo e rigore biodinamico.

Tre ettari di vecchi impianti e quattro etichette che conoscono terracotta georgiana e castagno locale.

LAZIO BIANCO IGT “CASTAGNA” 2022: da un’Azienda che ho sempre visto solo dall’esterno e che mi ripropongo di visitare a strettissimo giro, un blend di Trebbiano e di un vecchio clone di Malvasia di Candia che non conosce altro che il legno della botte di Alfredo (a parte il vetro).

Un ritorno alla Tradizione che ben si sposa con le uve prodotte dal vigneto più vecchio dell’Azienda, che da più di sessant’anni affonda le proprie radici nell’anima della terra.

Al naso l’impronta del Castagno è netta e affatto sovversiva.

Ne racconta il miele e in parte il frutto, sicuramente si colora del giallo della frutta matura e delle messi assolate ma una ventata di mediterranea balsamicità ravviva i cuori a suon di menta romana, timo e iodio di frangenti lontani.

Il sorso è un incontro di boxe tra le languide carezze di un calore alcolico abbracciato alle dolcezze del frutto e l’animo ribelle di una Malvasia che fa leva sulle doghe cerchiate per alzare la voce.

Di controllata freschezza usa il fendente della sapidità per ravvivare l’interesse e chiedere un rabbocco del calice.

Da bere ascoltando “LA HOLA” dei MAU MAU.

CANTINA RIBELÀ: in quel di Monte Porzio Catone dai 2ha condotti con rigoroso stile biodinamico da Daniele e Chiara Presutti provengono vini che ben interpretano il variegato suolo nel quale affondano le radici le piante.

LAZIO BIANCO IGP “PENTIMA” 2022: 50gg di macerazione sulle bucce, 9 mesi di legno e poi vetro.

Questo il percorso di una Malvasia (vecchio clone) che già da quel nome “PENTIMA” sa di strapiombi e vulcani e che impegna l’occhio ben oltre le mie capacità di sorvolo.

Giallo di buccia di mela matura, camomilla e cedro (maturo ma anche candito) vive della spinta amaricante del vitigno danzando su note vegetali e amaricanti di menta, basilico, alloro e tè.

Il sorso, sicuramente dissetante, rivela la vigoria dei tannini affilati, compita freschezza e mineralità muscolare esaltando l’animo varietale del vitigno.

Un vino non nelle mie corde, più uno “yellow” che un “orange” ma che dimostra l’impegno e la crescita di un’Azienda che deve fare ancora molta strada ma ha le idee ben chiare.

IL VINCO: siamo a Montefiascone (VT), altro vulcano, altri suoli per una piccola Azienda condotta in stile “nature” da tre amici.

10 anni di attività, cemento a profusione (ma ovviamente anche i legni di Alfredo), e solo vitigni “local”.

VINO BIANCO “LE CAPANNACCE” 2022Procanico e basta per un olfatto dedicato alla frutta secca.

Ecco dunque le nocciole (non a caso siamo dove siamo) e le arachidi, con le loro tostature, ecco la composta di mele, la cera d’api, gli agrumi canditi e una chiara impronta tufacea.

Sorso morbido e genuino, fresco e sapido quanto si conviene.

Cortese nel suo abbraccio calorico, rivela un finale di agrumi anche canditi e minerale piccantezza.

TENUTA SAN MARCELLO: Da Milano a Senigallia per vivere, da Senigallia alla Georgia e ritorno per fare vino.

Questo in breve il percorso di Massimo (Palmieri) che nella sua TENUTA SAN MARCELLO coccola 5ha campagna ad impatto praticamente zero vinificando Verdicchio e Lacrima in anfore interrate che sono gemellaggio tra la storia enologica della Georgia a quella delle Marche.

Qui, oggi, presenta due vini in anteprima talmente assoluta che le etichette, dedicate “velatamente” ad Alfredo, sono state create solo per questa serata.

VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 1” + VINO BIANCO “COLPA D’ALFREDO 2” 2022: dopo la coppia “CIELO SOMMERSO” e “INDISCIPLINATO” (di cui potete leggere qui) ecco altri due vini che è difficile leggere singolarmente.

Figli della terra i primi due, questi altri abitano le doghe ammaestrate da Alfredo.

Uno ci nasce e poi sceglie la tempra dell’acciaio per farsi i muscoli.

L’altro nasce dalla forgia di Vulcano e nel castagno ripone la propria saggezza.

Due Verdicchi che sanno di anarchia, spazzano via preconcetti e cancellano stereotipi.

Il primo è fumoso e imprime sulla pellicola dell’olfatto brume, campagna e racconti.

Ma la camera oscura, anima delle stampe artistiche, rivela un sistema zonale profondamente mediterraneo.

Balsamico nel suo sovraesporre intrichi di macchia e freschezze di rosmarino, salvia e menta.

Il sorso è un bivio dal quale qualche buontempone ha tolto i cartelli di indicazione.

Esalta le dolcezze e lascia di stucco con un profondo senso marino.

Spiazzante, apre al Verdicchio sentieri impercorsi.

Il secondo completa il primo (peccato per un soffio di volatile scappato via come un palloncino dalla mano di un bambino) riempiendo l’occhio con quel suo colore che sa del sole di Luglio a picco sulla sabbia e aprendo i polmoni di balsamicità mentolate e miele che calma gli eccessi e poi anice, timo, un ché di sulfureo e il giusto di salmastro.

Sorso saggio, di garbata freschezza e compita sapidità che sottolinea piccantezze sottili e chiude ricordando la mandorla.

L’un per l’altro da riassaggiare con calma per carpirne i segreti celati nell’animo.

Da bere, con calma, ascoltando “TICK AS A BRICK part 1 &2” dei JETHRO TULL.

COLLEFORMICA: Azienda di Velletri, tre ettari di terra di cui la metà vitati e 100 anni di schiene curve per lavorarla.

Biodinamica a 360°, vecchie vigne di Malvasia e Trebbiano ma anche reimpianti (2017) di un Primitivo che già abitava lì.

VINO ROSSO “PRIMATIVO” 2022: certo ci sono ciliegie e prugne, l’arancia, le rose, le viole ma è quel profumo di ricordi, di soffitta che colpisce e poi quella nota ortolana di rapa rossa…

Sorso beverino, di spiazzante corrispondenza, morbido ma assolutamente pimpante, con quei tannini ancora birichini che affiancano ricordi di liquirizia e di giostre, fave di cacao e agrume sanguigno.

E ORA?

Ora è il momento di ringraziare tutti, il Comune di Frascati per avermi ospitato e per aver saputo “aggiustare il tiro” organizzando un’Edizione di VINALIA PRIORA davvero all’altezza del lignaggio di un vino che è molto di più.

È il momento di ringraziare le Aziende che hanno voluto condividere con noi il frutto del loro lavoro.

È il momento di ringraziare Ilaria Giardini per aver condotto con professionalità e passione una masterclass unica.

Ed è il momento di ringraziare Alfredo per il lavoro di una vita e per i vini che, per suo tramite, ci emozionano ogni giorno.

Roberto Alloi

VINODENTRO