28 Mar 2024
Vinodentro

Aglianico MEMINI – 2006 – GUASTAFERRO

L’Aglianico racconta l’Irpinia nel bicchiere dall’alto di una storia millenaria e di un oggi appenappena iniziato.

Un oggi firmato da numerosi Produttori illuminati, consci di un Territorio che nulla ha da invidiare a quelli di più nordici blasoni, capace di regalare vini inossidabili.

Non conosco la cantina GUASTAFERRO se non per le poche parole dell’amica che m’ha fatto stappare ‘sta bottiglia di emozioni.

E proprio perché non la conosco mi limito alle scarne notizie che il web mi concede con la promessa di approfondire il discorso relativo all’Uomo passando, spero, per gli altri vini che produce.

10ha nell’Irpinia di Taurasi, lì dove mi piace pensare che i piemontesi abbiano spiato l’Aglianico per immaginare il loro Barolo.

10ha con una storia che affonda le radici nelle profondità della viticoltura irpina e con un oggi ventennale guidato da Raffaele.

Ora, non so se “MEMINI” stia per quel latino “ricordare” cui la professoressa voleva facessimo seguire “meministi” e “meminisse”, certo è che, se così fosse, questo Aglianico avrebbe tanto da far ricordare.

Racconterebbe dei vini che furono, sacrificati oggi all’opulenza a scapito di una bevibilità cui lui non ha intenzione di rinunciare.

E racconterebbe dell’Uomo che lo fa.

Quell’uomo che è vero discrimine e componente spesso dimenticata in quel termine “terroir” troppe volte abusato ed usato a sproposito.

Quell’uomo che qui ci mette sotto il naso un fazzoletto di un Territorio che ha forse solo nelle Langhe paragone di complessità e parcellizzazione strutturale.

Si, vabbè, ma il vino?!

Beh, questo “MEMINI”, pur al giro di boa della maggiore età, dimostra tutta l’incoscienza di un monello.

Verticalmente profondo come il cono di un vulcano eppure di grandangolare ampiezza.

Riempie il bicchiere come magma che risale dal centro della terra, dirompente come una nuvola di piroclastica, balsamica freschezza.

Ed ecco che riuscite dunque a catalogare con precisione tutte le erbe alpine che avete messo a macerare per fare il vostro amaro, le balsamicità di tabacco, le ferrose mineralità.

Arrivano poi le grassezze della frutta rossa e nera matura e quelle di un cioccolato che fa comunella con il mentolo per ricordarVi degli “after eihgt” degli anni 80.

E poi un secondo giro di freschezze, stavolta succose di arancia rossa e ombrose di sottobosco umido e terroso (foglie e funghi compresi).

Cupa la chiusura, che ricorda china, radice di liquirizia, goudron, e grafite.

Totemico il sorso, a raccogliere intorno e coinvolgere.

Un druido che racconta di sostanza, sottolineando, qualora ce ne fosse bisogno, che le vigne da cui proviene ‘sto vino respirano l’aria frizzantina di quei 500m che sono quasi montagna.

Dunque: freschezze a gogo!

Da quelle dell’arancia succosa a quelle di un dissetante tè alla menta che ci porta per un istante nello speziato oriente.

I tannini?

Educati ma non proprio con le braccia conserte, che stanno al loro posto ma vorrebbero uscirsene in giardino a giocare a ‘chiapparella con quella sapida mineralità che si impadronisce del lungo finale di bocca.

Da bere ascoltando “B.O.B. (BOMBS OVER BAGHDAD)” degli OUTKAST

Roberto Alloi

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