20 Set 2024
Suggestioni di Vino

Sorelle Pepe. Quattro donne al comando

Mettere su una band, un gruppo musicale, è sempre impresa ardua. Non è solo un trovare qualcuno che sappia suonare o cantare. C’è bisogno di volere la stessa musica, condividere lo stesso messaggio. C’è soprattutto la necessità di far convivere all’interno della band caratteri diversi che vanno messi alla prova quando arriva, se arriva, il successo. Occorre tanto ma tanto affiatamento per rimanere insieme. Quella bella dose di umiltà che in genere manca. Oltre che alla capacità di comprendere che la band esiste, anche per motivi commerciali e rimanere uniti, conviene. In un sito ho letto che la band più longeva è quella degli U2 che stanno insieme dal 1978. A leggere con più profondità si scopre però che ci sono i Golden Earring, creato nel 1964. Solo due anni prima dei mitici Pooh. Altro che U2.

Tenere insieme una band è complicatissimo anche per la straripante personalità dei componenti. Sempre pronti a voler essere la prima donna indipendentemente dal ruolo. Così che c’è da chiedersi cos accadrebbe se la band fosse costituita da sole donne. Diventerebbe impossibile. Davvero impossibile, tanto è vero che i pochi “esperimenti” commerciali di band costituite da sole donne, sono durati un battito di ciglia.

Come si fa a far convivere delle donne gestendo la dinamica (non certo l’unica) che ognuna vuole essere la prima?

Impossibile, le ho già sposate tutte. 
È la battuta finale di Costantin alias Adriano Celentano nell’episodio “Venerdì” del film Sabato, domenica e venerdì di Martino, Castellano e Pipolo (1979). 
Costantin, impresario del balletto stile Moulin Rouge per impedire alla ballerina Jacqueline di scappare con il suo innamorato, la sposa. Successo assicurato per il balletto che così che il suo il suo fido collaboratore Ambrose escama:

Però l’hai pagata cara eh? Pensa un pò se te ne dovesse scappare un’altra…

Costantin risponde 

Impossibile, le ho già sposate tutte.

In fondo è quello che fa un padre quando si ritrova con quattro figlie femmine. Non può che trattarle allo stesso identico modo. Tenendo ovviamente conto delle differenze caratteriali. 

Tutto facile e tutto normale. Lapalissiano direi. 

Ovvio, si direbbe. 

Proviamo a guardare le cose da un’altra prospettiva. Siamo al sud, in Puglia, in un piccolo paesino, Poggiorsini nei pressi di Gravina di Puglia (BA). Il papà si chiama Raffaele Pepe e gestisce l’azienda che la famiglia possiede da generazioni: 200 ettari di terreno. Tanta terra, tante cose da gestire. Dalle persone, alle lavorazioni, ai fornitori, alla commercializzazione di prodotti che in queste terre sono principalmente cerealicoli. Sapete che c’è una Borsa del grano a Foggia? La mattina ci si sveglia e, al pari di un trader, si verifica la quotazione del grano così che la giornata può assumere mood diversi. Come un trader insomma. Con la differenza che qualunque sia la quotazione, il lavoro devi comunque farlo dalle prime luci dell’alba al calar del sole. 

Con quattro figlie femmine e nessun maschio, per quanto puoi essere di mentalità aperta, un minimo di preoccupazione ti assale. Non per il borsino ma perché i figli si vogliono proteggere. Il lavoro in campagna è duro assai e quando poi hai quattro figlie femmine, che stimi all’inverosimile, cerchi di proteggerle maggiormente.

È per questo che Raffaele e la moglie decidono che le figlie devono fare ciò che meglio ritengono per loro. A partire dallo studiare lontano. Solo se vorranno, ritorneranno. Sarà una scelta loro senza che vi sia imposizione alcuna. 

Caterina è agronomo. Valentina ha studiato informatica e poi è diventata sommelier. Micaela ha studiato economia. Raffaella contabilità e logistica.

Quattro figlie. Quattro donne che hanno percorso autonomamente un tratto della loro vita per poi tornare per avere un ruolo nell’azienda di famiglia 

Nelle aziende familiari per quanto si possono decidere dei compiti diventa tutto un minestrone. 

La giornata si deve chiudere. Chi raggiunge cosa con quali mezzi non è importante. Quando sei in piedi dalle cinque e si fanno le otto senza vedere la fine si diventa nervosetti. In famiglia c’è molta elasticità. Ognuno di noi ha orari flessibili. 

Mio papà ha settantatré anni e sta fuori la porta perché l’agricoltore muore in campagna e non va in pensione. Rimane li sempre. 

Essendo quattro figlie e invece di mandarlo via…

Ma avremmo dovuto ahahah

Per avere un ricambio generazionale soft abbiamo scelto di aggiungere all’azienda qualcosa che a me appassionava particolarmente. Siamo in un territorio vocato ed era una nostra passione. Avendo questi vigneti dai quali riuscivamo a tirare fuori un buon prodotto, abbiamo preso due ettari di Aglianico per destinarli ad una nostra produzione. In pratica abbiamo smesso di conferire creando una etichetta che fosse solo delle sorelle.

Nasciamo da una famiglia di agricoltori da parecchie generazioni. In Puglia e nella nostra zona, dagli anni 70 in poi è stata prevalentemente cerealicola. Abbiamo questa azienda in mano. Fino agli anni 70 facevamo di tutto. Le mandorle, il vino, oltre ai cereali. La nostra è sempre stata una azienda molto diversificata. Ci abbiamo sempre tenuto. Papà, nonno. 

Noi siamo quattro sorelle e nate in questa realtà. Ognuna di noi ha fatto il nostro percorso di studi. Percorsi sempre finalizzati a tornare in azienda. 

Le sorelle Pepe. Una forza della natura. Quattro donne. Quattro personalità. Quattro modi di approcciare la vita. Un solo desiderio: gestire l’azienda di famiglia. 

In un contesto maschile e maschilista scelgono volontariamente di voler essere la continuità dell’azienda di famiglia. Non altri. Non i loro mariti. Loro. Solo loro. 

Non basta la volontà. Non è semplice vincere le diffidenze delle persone. Anche quella del papà che però diffidenza non è. Raffaele lavora nell’azienda da una vita. Anzi, da più vite. Anche quelle precedenti che si riversano sulle sue ossa. La sua non è diffidenza. È necessità di mettere in guardia il bene più prezioso della sua vita. Ma anche quel sano orgoglio di una persona che ancora non si sente pronto per mettersi da parte. 

È qui che subentrano le donne. Con la loro intelligenza prospettica e la capacità di attendere. La donna non è impulsiva come l’uomo, attende. Medita, programma, studia. Attende.

Una attesa che è vera strategia perché mai attuata nell’immobilismo. 

È il 2015 quando le sorelle sfruttano l’occasione del vigneto di Aglianico piantato sei anni prima da papà Raffaele e creano l’Azienda Vinicola Famiglia Pepe. Un modo per diversificare in questo territorio così prossimo alla Basilicata dove l’Aglianico del Vulture è Re incontrastato. Uva da conferire perché di mettersi a fare il vino Raffaele non ha ne tempo ne voglia. Lui no….

Le viti c’erano già perché la nostra famiglia aveva la produzione vitivinicola. Nonno e papà avevano il Sangiovese e il Merlot venduti a cantine del centro Italia. Faceva la quantità 

Papà volle impiantare dopo una serie di analisi, l’Aglianico. Siamo dirimpettai con il Vulture. Il confine con la Basilicata dista due km. Abbiamo capito che l’Aglianico che tutti ci chiedevano magari era buono. 

Quando papà decise di impiantare il vigneto, era indeciso su cosa impiantare e ci ha chiamato. 

Noi abbiamo detto, ci siamo, ci scegliamo il vitigno ma sappi che sarà la tua fine nel senso che diventa cosa nostra.

Ha capito di aver sbagliato solo a chiamarci. Gli uomini che vivono con tante donne si lasciano dolcemente condurre. 

Siamo entrate a gamba tesa nel senso positivo. Se sai che quello sarà il tuo lavoro diventa lo scopo della tua vita

Anche perché ha avuto quattro lavoratrici gratis!

Lui neanche la bolletta si va più a pagare. 

Siamo cresciute con l’idea di portare avanti quello che era già nostro. Nella cultura aziendale era offrirci un motivo valido per rimanere qui. Noi abbiamo studiato all’estero e ti rendi conto che non è tutto oro ciò che luccica. Poter lavorare a casa è un plus

Loro pensano al lato umano. Sapevano benissimo che se non ci fossimo realizzati nel nostro lavoro, qui ci sarebbe comunque stato da mangiare. Ci sono stati molto vicini nelle dinamiche personali. Sul lavoro ci hanno lasciate libere.

Nessuna cattiveria in queste parole. Anzi, rispetto totale per un padre che ha dato loro la possibilità di crescere e sbagliare, crescere e formarsi, crescere e farsi le ossa. Sapendo già in cuor suo che un simile momento sarebbe prima o poi arrivato. Ognuna delle sorelle ha nel padre il rispetto e l’ammirazione di chi, facendolo, capisce quanto sia complicato condurre una azienda del genere. 

Siamo come il riccio. Siamo entrate con due ettari e abbiamo piantato altri due ettari a Fiano e Primitivo. Poi abbiamo estorto un capannone, quello che lui adibiva alla essiccazione del tabacco dicendo “visto che il tabacco non lo fai più, ce lo prendiamo”

Abbiamo fatto la cantina in questa cascina molto scenografica. In un contesto nel quale c’è la vigna e nel mezzo la cascina. Le due ali laterali destinati ad accoglienza ed uffici mentre il centro è per la produzione.

Cosa faccia il riccio non lo so davvero ma la strategia delle sorelle Pepe è fin troppo chiara. Entrare in punta di piedi (non senza sgomitare) nell’azienda di famiglia. Un modo per non creare traumi al padre. Un modo per tributargli rispetto senza che questo possa apparire come elemento di debolezza. Perché tale non è. Ciò che è conquistato infatti diventa di totale, assoluta, esclusiva pertinenza delle sorelle. La vigna, la cantina, il vino: guai a toccarlo!

Il rovescio della medaglia è lavorare con i genitori che diventano grandi. Non si comportano come con i dipendenti. Un padre si permette di fare il domus. Ti fa fare pure le figuracce. 

Abbiamo impiantato il vigneto nel 2008 ed il percorso è stato lento. Non ci riteneva capaci. Eravamo più giovani e venivamo dalla scuola. I primi anni sono stati difficili perché le difficoltà erano enormi.

Anche di comunicazione.

Quando abbiamo scelto ci siamo interrogate e abbiamo deciso. A noi questo lavoro piace. Chiunque quando inizia in questo tipo di aziende ormai meccanizzate ed informatizzate, si affascina. Papà ha sempre creduto nel bio dicendo che questa è casa sua e la deve trattare bene. Ci dice che se volete mantenere pulito dovete usare la zappa. Altro che prodotto. Vuoi il pratino all’inglese? Usa la zappa.

Quattro sorelle sulla stessa lunghezza d’onda che nella loro grande intelligenza sono riuscite a dividere e ripartire i compiti per quanto questo sia possibile in una azienda agricola di stampo familiare. 

Poggiorsini è il comune più piccolo della Puglia e siamo riusciti a portare i turisti. Qui non c’è niente da vedere. È tutta campagna. Quando vediamo che apre un agriturismo, anche se sappiamo cosa gli aspetta ma non glielo diciamo, lo accogliamo sempre con felicità. Perché quando la campagna è viva, l’obiettivo è arrivare come la toscana e i Piemonte. È mentalità ,di quanto può far bene stare in campagna, osservare i tempi. Ti assicuro che se riesci a far combaciare i tempi della vita con quelli della campagna, la vita stessa ne trae giovamento. 

Sono innamorate della campagna. Della vita. Hanno una mentalità che magari si scontrerà con il contesto e sarà difficile, ma è quella giusta. Trovare gli elementi per far si che qualcosa possa accadere. Cercandola e costruendola. Come hanno fatto con il vino.

L’agricoltura deve sfruttare i tempi della natura. Accettare. Quando si mette il tempo nero per giorni, gli operai li hai. Devi accettare. 

A fare questa vita piace. Ma non devi essere ingordo perché non è detto che se lavori dodici ore guadagni per dodici ore. Lo scorso anno abbiamo fatto un terzo della produzione di rosato.

Ognuna di noi ha la sua dimora. Tre su quattro sono sposate e hanno il comparto familiare da portare avanti. 

Mia madre non ci vuole

I nostri genitori non ci hanno voluto. Hanno un palazzo nel centro di Gravina e hanno una casa tutta loro. Si poteva pensare di mettere almeno una figlia ma non ci hanno voluto

Quando c’è la separazione fisica trovi uno spazio

La nostra è una forma di educazione molto rigida perché molto antica. Mia nonna, la madre di mio padre, è milanese. Milano Milano. Mio padre è cresciuto così e anche a noi hanno cresciuto così. I figli si baciano di notte e a diciotto anni si devono trovare, da soli, la loro strada. 

Loro non sono i genitori che vogliono i figli vicino. Il rapporto è tale per cui se vuoi vivere la tua vita, lo devi fare. Le persone sono felici quando libere. 

La grandezza di una famiglia sta tutta qui. Nell’educazione che sono riusciti ad impartire alle proprie figlie. La capacità di trasmettere la cultura familiare. Quella delle generazioni precedenti. 

La nonna era milanese”. Quanto è strana la vita certe volte. Trovarsi in Puglia, nel cuore della Puglia rurale e pensare che le origini siano milanesi fa davvero strano. Però a scavare nel passato delle persone, le favole prendono corpo. 

Caterina Lubrano, oggi splendida donna di 97 anni che suona ancora il violino e legge ogni giorno il Sole24h, nasce a Milano da madre di origini pugliesi e papà milanese. Entrambi i genitori provenienti da famiglie della ricca borghesia. Direttore di banca il papà (quando essere direttore di banca era un mestiere per illustri professionisti), proprietari terrieri in Puglia la mamma. Oltre le terre anche un palazzetto nel centro di Gravina.

Arriva la Guerra alla fine della quale Caterina e il papà scendono a Gravina per avere cura del palazzetto. Capirne le condizioni e provare a venderlo. Oltre ad evitare che venisse occupato da chi tornava dalla guerra senza avere neanche un posto dove dormire. È qui che incontra Michele Pepe.

Mio nonno che era un giovane imprenditore agricolo volle acquistare l’immobile. Era un bel palazzo signorile in centro a gravina. Con un giardino molto grande. Situazione di prestigio e per lui che era ambizioso sembrò aggiungere un bel tassello. Entrò con mia nonna che gli aprì la porta e rimase folgorato. Da mia nonna. Una donna milanese, laureata, raffinata. Lui era fidanzato con una bella ragazza locale. Proprietaria terriera molto ricca. Ma quando vide mia nonna non capì più niente.

Mia nonna è ancora viva. Ha 97 anni, legge il sole 24 ore e suona il violino.

Lei è milanese nell’anima.

Si è sposata con mio nonno e non è più uscita di casa. Si sono girati il mondo insieme ma non è mai andata a fare una spesa.

Ci siamo dovute scontrare e scardinare tante di quei luoghi comuni e fissazioni che nella piccola borghesia ci sono ancora. Abbiamo amici che ragionano ancora come ragionavano i loro nonni. Noi che siamo donne che siamo state fuori abbiamo dovuto lottare per scardinare queste idee e questa mentalità.

Un modo ragionare che andava cinquanta anni fa. Quando facevamo i pranzi di natale c’era l’etichetta. Avevamo delle regole. A casa di mio nonno andavano ambasciatori, diplomatici. Molto più formali. Ci hanno insegnato regole che abbiamo scardinato per il benessere nostro ma anche per dimostrare che non è questo che ti porta al successo. O alla felicità.

Ti rimane una forma di buona educazione. Per quanto i miei nonni fossero benestanti, mantenere una proprietà non è facile. Mia nonna ha sempre lavorato. Vendeva le mandorle nel portone. Perché quando c’era da lavorare, nonostante fosse istruita e benestante, era lei che le vendeva decidendo il prezzo. Si metteva li con i sacchi. Il successo lo devi costruire con il lavoro e devi essere tu in prima persona.

Abbiamo avuto questi esempi magistrali. Tutti si aprono la schiena. Mio nonno me lo ricordo chino sulle carte alle tre di notte. Quando raccogliamo il grano, ci sono 45 gradi. Ci svegliamo la mattina alle 5 e alle 10 stiamo ancora nei campi con una temperatura pazzesca. Anche se non ce la fai, ce la devi fare.

Hai visto le persone a cui volevi bene che facevano un sacrificio personale per lasciarti qualcosa. Niente è caduto dal cielo.

Pensare a tutte e quattro interessate forse non era nei sogni. Quattro femmine. Difficile pensare che tutte volessero lavorare in azienda. Che bel regalo hanno fatto al papà. Quattro figlie a lavorare insieme nella stessa azienda con grande voglia. 

E poi il vino. Impossibile, inimmaginabile solo pensare che queste quattro donne possano vedersi imporre qualcosa da qualcuno. Si informano, leggono, sperimentano, si lasciano consigliare ma poi sono lo a dedicare. Ecco perché i vini sono la loro esatta espressione di vitalità ed energia. Vini che possono essere schiaffi o carezze ma che sono non “delle” Sorelle Pepe. Sono “le” Sorelle Pepe. Dentro queste due bottiglie di Aglianico in versione rossa e rosato ci sono loro: Valentina, Caterina, Micaela, Raffaella. 

Produciamo un Rosso ed un Rosato. Rosato fresco. Non tutti gli anni. Rispettiamo la vendemmia e ci piace far vedere come è andata l’annata.

Nel momento in cui abbiamo deciso di creare un vino nostro (era il 2015) abbiamo contattato una ragazza che è la nostra enologa Valentina Cicimarra. Non avevamo la cantina. Volevamo un posto per vinificare qui vicino e creare due etichette. 

Dovevano rispettare i nostri gusti. Non volevamo qualcosa di simile agli altri. Il nostro rosato è atipico perché di quasi 14 gradi. Intenso e caldo come aroma. 

Volevamo vini giovani, con la nostra mentalità di ricambio.

Entrare è stato difficilissimo. Sembrava una impresa impossibile. Le 7000 bottiglie massimo diecimila rispetto alla annata sono poche. Poi arriveranno gli altri vitigni. 

L’Aglianico rosso fa un passaggio in legno in botti grandi per sei otto mesi. Cerchiamo di capire i canoni per poi portarlo li

La barrique ce l’abbiamo li come estetica. 

Sono devastanti queste sorelle. Una forza. Che meraviglia!!

Il nostro rosato non è un vino leggero. Vorremmo avere una gamma che solletichi i gusti di tutti.

A me piacciono i rossi. Qui ci sono cantine che fanno buoni bianchi. Se ci metti cura vengono fuori bei vini. Magari un blend tra Aglianico e Primitivo. Qualcosa con personalità. Prodotti che assomigliano a chi li fa. Io bevo molto rosso ma non quelli a 18 gradi. 

Anche il Primitivo deve essere una via di mezzo. Le cose buone in campagna si fanno tirando fuori il meglio da ciò che hai. Quanto conosci il vigneto seguendolo dalla potatura alla vendemmia. 

Andiamo in vigna tutti i giorni. Facciamo noi. 

Assaggiando i loro vini ho immaginato nonno Michele che vede per la prima volta Caterina innamorandosene perdutamente: una porta che si apre, i sensi che si destano, il cuore che batte, la mente che inizia a vagare leggera. Se non è amore questo…..

Quattro sorelle è il rosso da Aglianico con passaggio in botte grande. Bel colore rubino e bella vivacità già appena versato nel bicchiere. Non si presenta come un Aglianico importante, opulento, massiccio. Anche al naso appare si “vissuto” per via della frutta cotta ma sono poi i sentori vegetali di sottobosco che lo rendono più snello. L’impressione è di essere in una cucina a Natale con una “Stella di Natale” sul tavolo mentre la frutta cuoce sui fornelli corredata dai sentori acquisiti dalla botte: cacao, bacche di vaniglia, chiodi di garofano, cardamomo, pepe.
Al sorso si capisce poi la differenza di cui sopra. Vigoroso certamente con i tannini che non risultano troppo importanti e la freschezza che, meraviglia, lo rendono quasi verticale. Il frutto svetta con una arancia e il finale con la punta di amarognolo lo rende particolarmente intrigante necessitando ulteriori sorsi per capire. Ottimo bilanciamento e una bocca che rimane fresca e pulita con una persistenza non particolarmente lunga. Insomma un vino che può sembrare da tutti i giorni se non fosse che occorre abbinarlo con qualcosa (ma non di particolarmente importante). Determinato

Rose di San Cataldo, ricorda la masseria dove hanno iniziato a vinificare proprio il rosato. Quello da 14° insomma. Avete presente quando vedi una bella casa che dentro risulta essere ancora più bella? Ecco, così è questo rosato. Fuori appare bellissimo e invitantissimo per via di un brillante colore rosso cerasuolo. Al naso i sentori inebriano per la quantità di frutta (melone, melograno, fragoline di bosco, lamponi, ribes, ciliegia bianca, arancia rossa) e fiori: semplicità e qualità come a dire chic. Quando si porta in bocca il primo sorso la vigoria sapida fa subito capire che c’è concretezza e intensità. Quella della Puglia con il suo sole e i venti del mare. Il finale quasi amarognolo, i piena continuità con il rosso, intriga così tanto che non si può fare a meno di portarlo nuovamente in bocca. Equilibrio raggiunto con una meravigliosa freschezza nella quale l’arancia e i frutti rossi dolci convivono senza eccessi, come se lo spessore e la forza dell’Aglianico si ingentilisse senza perdere la sua vigoria. Intrigantissimo.

Il nostro collaboratore Luigi che sta con papà da trenta anni, ha avuto tanta pazienza nell’’insegnarci le cose. In campagna i segreti si tramandano e Luigi sapeva che se non li avesse insegnati a noi sarebbero andati persi. Lui ci tiene. Quando non andiamo perché c’è la parte amministrativa ci dice: siete andate in ferie? La vigna si segue. In vigna non si va mai senza le forbici. 

Uno dei più grandi insegnamenti in campagna è il fare. Non ce ne si sta con le mani in mano in una azienda agricola. Si entra in vigna con le forbici perché c’è sempre da fare. Ma devi sapere cosa fare e per questo devi avere la fortuna di qualcuno che te lo insegni. Così come devi avere la forza e l’umiltà per ascoltare. Solo così si impara. Solo cosi si può capire cosa fare. Luigi è per tutte e quattro una risorsa. Lo è stato per il padre e per l’azienda. Lo è per loro. Chissà cosa gli ha detto Raffaele a Luigi…

Lasciatemi poi che conceda tutta la mia solidarietà ai mariti/compagni delle quattro sorelle. Vivere con questi tornado non deve essere affatto semplice. Ma l’amore è bello anche per questo.

I nostri mariti sono le vittime del sistema. Subiscono in silenzio tutte le nostre decisioni. Quando andiamo alle fiere e preparo il borsone mi dice: te ne vai?

Spesso vengono con noi.

Ciò che traggo dalla meravigliosa conversazione con queste stupende donne è il profondo rispetto per la famiglia e per il territorio che le ospita. La capacità di guardare al futuro, l’intelligenza nell’affrontare la vita con pragmatismo e forza, la determinazione nel fare le cose. Ma ciò che sono in grado di trasmettere con tutto il loro fascino è l’allegria, intesa come capacità di guardare alle cose con sana leggerezza. Quella leggerezza data dal sapere che le cose occorre farle e allora non serve lamentarsi ma trovare il bello ovunque. 

Donne i cui impegni non si fermano in azienda ma continuano a casa. Ognuna con le proprie famiglie, i mariti, i figli. Perché così è per le donne. Quando smettono di lavorare in azienda iniziano il lavoro a casa. Continuando a percepire un solo stipendio però!

Valentina, Caterina, Micaela e Raffaella. Sono loro le sorelle Pepe. Loro gestiscono adesso l’azienda di famiglia adesso, loro la gestiranno nel futuro. Tutto al femminile!

 

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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