Vigne Guadagno. La voglia di esserci
Nel lessico matematico una condizione necessaria e sufficiente indica un requisito che qualora soddisfatto, assicura il verificarsi dell’evento, se non soddisfatto, garantisce che l’evento non si realizzi.
Per capire bene questo principio occorre prima comprendere quando una condizione è necessaria e quando è sufficiente.
Siamo in presenza di una condizione necessaria quando l’evento si realizza solo se quella condizione si verifica. Però da sola non garantisce l’evento stesso.
La condizione è poi sufficiente perché si verifichi l’evento ma, se non c’è, non è detto che non si verifichi lo stesso.
Facciamo degli esempi vinicoli così ci capiamo meglio.
Condizione necessaria perché il vino venga bene è che il clima sia stato clemente. Però non è che basti questa condizione, ovvero la clemenza del clima per fare un vino buono. Ce ne sono molte altre di condizioni da rispettare!
Condizione sufficiente perché il vino si colori di rosso è il contatto prolungato con le bucce. Certamente vero ma per certe tipologie di uve, la semplice spremitura comporta comunque un colore rosso.
Questo panegirico perché, a volte, la narrazione nel mondo del vino induce a pensare che certe cose avvengano solo grazie a condizioni estrinseche. Se ad esempio si dice che il vino si faceva già al tempo dei bisnonni o anche più indietro, non è assolutamente certa la bontà del prodotto attuale. Al massimo è una condizione sufficiente cioè è sufficiente che si faccia il vino da tanto tempo per averlo imparato a fare (a meno di non essere proprio duri di testa!).
Ma se è una condizione sufficiente aver fatto il vino da generazioni, di certo non è necessaria poiché se uno non ha le generazioni precedenti che facevano vino può comunque fare vino buono.
Sembrano cose scontate però in un mondo come quello del vino dove è complicato entrare e soprattutto è complicato viverci senza avere nulla da raccontare.
Insomma è ovvio, ma bisogna avere il coraggio di dirlo, che essere una famiglia che produce vino da generazioni in un territorio vocato non è condizione necessaria e sufficiente perché il vino sia buono.
È altrettanto ovvio, ma anche qui occorre dirlo, che iniziare a fare vino da zero, non implica assolutamente che il vino non possa venir bene. Aggiungo che non è assolutamente vero che se il produttore non sta in vigna e/o in cantina il vino non è di qualità.
Giuseppe e Pasquale Guadagno hanno cominciato a fare vino in Irpinia dal 2010. Non tanto tempo fa ma nemmeno poco. Solo che entrambi erano promotori finanziari, non ne capivano nulla di vigna e vino, non erano mai entrati in una vigna prima di allora, nemmeno volevano farlo l’investimento.
Andiamo per gradi così capiamo meglio.
Nel 1984 Pasquale Guadagno apre un ufficio ad Avellino. Si occupa di finanziamenti e opera con società bancarie. Giuseppe entra in società con il fratello poco dopo. Loro che non sono irpini ma di Napoli (Napoli Napoli? No, Casalnuovo di Napoli…anche se Giuseppe si trasferisce a Salerno per amore e Pasquale in Repubblica Ceca per motivi di salute) in Irpinia si fanno ben volere. L’intermediazione finanziaria e quella del credito al consumo in particolare li porta a girare e ad interloquire con una miriade di persone.
Il 2008 è l’annus horribilis per il settore finanziario. La crisi dei mutui subprime negli USA, la bancarotta della Leman Brothers provoca un vero e proprio tsunami. Giuseppe e Pasquale sanno che devono differenziare la loro attività perché non sarà mai nulla come prima.
Decidiamo di fare un investimento non per il vino ma per l’agriturismo: accoglienza in una struttura con la vigna. Prendiamo una vigna di Fiano a Montefradane in provincia di Avellino.
L’idea alla base, la ristorazione con l’agriturismo. In fondo non era un grande sforzo. Ci sarebbe stato qualcuno a gestire e loro avrebbero beneficiato dei guadagni.
All’inizio nacque come attività in alternativa al lavoro principale. Non avevamo esperienza.
Con mio fratello Pasquale che è ancora socio al 50%. A luglio del 2010 l’investimento con l’acquisto del vigneto.
Anche chi è ai margini del settore vitivinicolo sa che, bene o male, intorno a settembre, c’è la vendemmia. Vendere una vigna a luglio può essere da pazzi a meno che non si possa spuntare un prezzo maggiore o l’intenzione di liberarsene sia dovuta alla scarsa qualità delle uve.
A settembre non abbiamo conferito le uve ma vinificato presso la cantina di una nostra amica. Abbiamo fatto il nostro primo Fiano imbottigliato poi a maggio 2011. Da li si è deciso di non fare più l’agriturismo ma produrre vini legati al territorio. Abbiamo cambiato il progetto iniziale. Ci siamo affiancati con un agronomo e un enologo. Abbiamo ricercato vigneti a Santa Paolina peri ll Greco di Tufo e Montemarano per l’Aglianico.
Ricapitolando. I fratelli Guadagno non hanno nulla a che spartire con il mondo del vino. Non provengono da una famiglia agricola. Non posseggono terreni. Si occupano di finanziamenti e credito ovvero niente di più lontano che dalla terra può esserci (in generale la finanzia che spesso non ha a che fare con niente di reale e lontana anni luce dall’economia reale). Per diversificare pensano di gettarsi in un business rapido e redditizio come quello della ristorazione. Acquistano un immobile con la vigna. Fanno vino per caso dando vita alla loro avventura vitivinicola con Vigne Guadagno.
La prima parte del lavoro è stata quasi un gioco. “Non mi vendo le uve e faccio una bottiglia”. Producemmo circa 7000 bottiglie di Fiano. Dopo un anno e mezzo vendemmo quasi tutto su una piattaforma di e-commerce. Nel 2011 ci troviamo difronte al bivio. Abbiamo di nuovo vendemmiato Fiano. Da questa vendemmia fatta già con Gennaro Reale (enologo) cambiammo idea. La prima bottiglia ci fece innamorare e abbandonammo l’agriturismo.
Proprio strano il mondo del vino. Non ci sono certezze, non ci sono consuetudini, non ci sono condizioni necessarie e sufficienti.
L’Irpinia è una di quelle regioni magiche della quale tutt’ora non se ne comprende bene le potenzialità. Micro aziende che non sempre vinificano. Produttori che fanno poco sistema. Eppure qui trovano vita vitigni meravigliosi come il Fiano, l’Aglianico, il Greco di Tufo, la Falanghina, tutti con espressioni diverse in funzione delle diverse zone ed esposizioni. Un meraviglioso e unico palcoscenico dove oggi c’è ancora infinito spazio di crescita. Figuriamoci quattordici anni fa quando la crisi c’era e si sentiva. E se non riescono a valorizzare il territorio chi coltiva la terra da generazione, forse è bene affidarsi ad altri. Per il bene di tutti.
Nel 2011 conosciamo le persone del luogo che fanno questo lavoro. Come l’enologo che voleva cose semplici, senza alterazioni in cantina. Tanto lavoro in vigna. Dunque abbiamo un aerotecnico che ci segue la vigna da dieci anni. Insieme a loro programmiamo. Io in vigna ci sto 50/60 giorni all’anno. Non partecipo alle lavorazioni. Il ciclo delle vendemmie lo seguo.
Giuseppe ha il modo di fare tipicamente partenopeo. Mi ricorda mio zio Pasquale che amava argomentare qualunque cosa ma non quello del quale non si sentiva competente, padrone della materia.
Con il fratello Pasquale hanno programmato tutto. Un vero e attento lavoro di analisi del territorio per la scelta dei terreni migliori e dei luoghi dove poter vinificare nei termini delle DOCG irpine.
I vini nascono da nostre scelte e dopo le esperienze commerciali. All’inizio abbiamo prodotto senza cognizione di causa. Poi nel 2013 abbiamo fatto una pausa di riflessione sul Fiano parlando con ristoratori e clienti. Si volevano i bianchi di annata ovvero di pronta beva. Il Fiano invece ha bisogno di tempo. Con la 2013 abbiamo fatto due vendemmie separate per la base e la riserva. Il vino era performante nonostante l’invecchiamento. Può evolversi bene nel tempo. Poi abbiamo acquistato delle uve di Greco e da li abbiamo ricercato una vigna di Greco presa poi nel 2018. Così da avere DOCG Greco di Tufo. Stesso discorso per l’Aglianico. Prima del 2015 introduciamo l’Aglianico con uve acquistate per poi andare alla ricerca della vigna. 2017/18 abbiamo completato.
L’agronomo e l’enologo per realizzare prodotti identitari ma che al tempo stesso potessero incontrare il favore del mercato. La rete di agenti per la corretta prospezione commerciale.
L’orgoglio del territorio e del suo essere campano da portare come valore aggiunto.
Con tutta la inesperienza che avevamo, deciso di fare il vino, abbiamo cercato di costruire una rete vendita con agenti. Allargare anche ai rossi serviva per la gamma. Gli agenti non potevano proporre una azienda piccola come la nostra. Serviva un incremento. Taurasi oltre ad essere una denominazione è un paese. Prendere un deposito e fare li la sede legale serviva a livello commerciale. Col tempo vedi che la scelta dei rossi te la porti dietro con un pò di peso.
Una azienda che conta cinque ettari.
A Montefredane nasco con tre ettari e sessanta. Tra qualche anno faremo qui la Falanghina. La vigna in altezza cosi da avere una variazione in termini di maturazione delle uve. Due selezioni che diventano tre. Anche una base spumante per il Fiano. Ci adeguiamo alle variazioni climatiche però nello stesso tempo portiamo avanti una linea enologica molto legata ala specificità delle uve.
Data la ricetta un buon enologo si ripete. Una piccola azienda ha bisogno di una identità che sono le materie prime. L’uva.
Sembra lapalissiano che debbano essere le uve ad essere protagonista. Purtroppo in molti casi non è, più, così. Prevalgono tanti e tali fattori che poi, l’uva, conta sempre meno.
A Montefredane siamo otto aziende che producono Fiano. C’è un filo conduttore ma ognuno di noi ha delle caratteristiche diverse. Dal terreno alla filosofia in cantina.
Il suo lavoro nel mondo dei servizi finanziari Giuseppe lo ha lasciato tre anni fa per dedicarsi a tempo pieno a questa attività. Sette etichette per circa 15.000 bottiglie. Parte dell’uva venduta perché imbottigliare non avrebbe senso. Un conto economico che sta in piedi a dimostrazione di come facendo bene le cose, le aziende possano sostenersi. Un futuro con la cantina di proprietà per vinificare, laddove possibile, le uve nella DOCG di riferimento. L’enoturismo da sviluppare come motore pulsante di un business che attende solo delle ali per decollare.
Adesso vinifichiamo conto terzi anche se legno e acciaio sono nostre. Affinamento e deposito a Taurasi. Il passaggio successivo sarà legato alla trasformazione delle uve e di contatto.
Pasquale si è trasferito dal 2012 in Repubblica Ceca. Ha avuto un trapianto di cuore ed è rimasto li per necessità. Facciamo comunque fiere insieme ed è partecipe del progetto. Sono riuscito a fargli venire la voglia dell’enoturismo.
Giuseppe è un commerciale che ha acquisito un suo bagaglio di esperienza enologico direttamente sul campo. Con modestia. Standosene quasi in disparte. Lasciando fare a chi sa. C’è voglia di fare e di imparare, giorno dopo giorno, sempre di più. Una esperienza che cresce anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia.
Non ho un nonno che faceva il vino e mi è rivenuta la passione. Ciò che vedo in Irpinia è la possibilità di penetrare nel mercato senza dover snaturare il territorio. Quello che mi spaventa sono le generazioni più giovani che per adesso sono lontane da questo mondo.
Giuseppe, da persona che ha una visione ampia tesse le lodi di aziende come Mastroberardino e Feudi San Gregorio poiché a loro va dato il merito di aver creduto ed investito in un territorio semi sconosciuto portandolo in alto nel mondo. Per questo occorre far sistema e lavorare tutti insieme per lo stesso obiettivo. Senza campanilismi e senza pensare a chi è entrato prima o dopo in questo mondo. L’appartenenza dovrebbe essere valutata solo dalla voglia, e capacità, di investire.
Come terreni e produzione riusciamo anche a vendere qualcosa. Non imbottigliamo tutto. Ho bisogno di fare mercato ma devo crescere. Per il Greco c’è una piccola vigna con poche migliaia di bottiglie. Idem per l’Aglianico. Vogliamo avere un prodotto importante ma di più facile beva. Oggi il tannino irpino è molto accentuato. C’è una sorta di paura nel berlo. Anche il Taurasi abbiamo cercato di renderlo più bevibile. Fatto secondo la tradizione è difficile
I vini.
Il metodo classico da Fiano non ha mercato. Facciamo 2000 bottiglie per vedere come gira la cosa e vedere le evoluzioni in bottiglia.
Come a dire che viene prodotto per esigenze di posizionamento ma soprattutto per verificare le evoluzioni del prodotto.
Fiano di Avellino DOCG Contrada Sant’Aniello. La bottiglia che ho provato era un 2017, per la serie il Fiano è un vino longevo!
La prima cosa che appare in contrasto con l’età è il colore: giallo paglierino con una limpidezza che rasenta la luminosità. Poi anche i sentori che non sembrano essere presagio di un vino particolarmente importante: agrumi, mela, pera mandorle, fiori bianchi. Semplicità ma non complessità. Occorre ricercarli con attenzione. Come se si nascondessero. O nascondessero qualcosa.
In bocca però la musica cambia e il concerto ha inizio. La spalla è ancora poderosa e l’equilibrio è perfetto. Sapidità marcata e persistenza decisamente lunga. Chiusura di bocca impeccabile. Torna molto l’agrume che si arricchisce della pesca bianca, impreziosita dalla mandorla e dalla nocciola. Il coinvolgimento è del palato intero che lascia la bocca in uno stato a dir poco meraviglioso. Che dire se non wow?
Fiano di Avellino DOCG 2021. Un vivace paglierino al limite del luminoso è già un bel biglietto da visita. I sentori sono particolari perché è come se delle foglie di nocciola venissero adagiate in un cestino di erba appena tagliata a formare così un contenitore per pere, ananas, pesca bianca, melone bianco e agrumi. Fiori di biancospino, di ginestra e un mazzolino di margherite si adagiano sul cestino accarezzati da un vento che porta iodio così da far aprire balsamicamente il naso. Ciò che si respira sa di finezza e discreta complessità. Non mi da l’idea di qualcosa, o qualcuna, di particolarmente sensuale. Semmai di un’amante decisa che potrebbe tirar fuori le unghie da un momento all’altro.
Il sorso è in effetti veramente grandioso. La freschezza si sposa con la mineralità, gli agrumi e un retro olfatto di nocciola. Il primo sorso è un invito dato però con uno schiaffo, di quelli che si danno per desiderare il contrario. Infatti poi, arriva l’abbraccio, forte, impetuoso, avvolgente ma non morbido. La sensazione finale in bocca è quasi di sale tanto che mi è venuta in mente la canzone di Gino Paoli. Bellissimo e riuscitissimo equilibrio con una nota vegetale che viaggia in profondità per una persistenza anche lunga. Grande, grandissimo vino.
Greco di Tufo DOCG 2021. Colore anche in questo caso al limite del luminoso. Se si presenta simile al Fiano come colore, i sentori cambiano verticalmente diventando più scarichi, meno invadenti, più fini, meno esuberanti. Raffinati direi. Il limone, il cedo, la pesca bianca, la mela: emergono con difficoltà come se occorra stanarli. La sensazione di gesso si unisce a quella del biancospino e torna lo iodio. Meno invadente del Fiano ma comunque presente.
In bocca continua la finezza arricchendosi di morbidezza. Cosa questa che nel Fiano era assolutamente latente. L’agrume dona freschezza e il finale mandorlato finezza. Non arriva mai ad essere amaro! La persistenza diminuisce e la chiusura di bocca sa di finezza. Finezza, finezza, finezza. Qui la differenza con il Fiano che è l’impeto, il Greco morbida finezza.
Aglianico 2020. I riflessi porpora svelano la giovinezza di questo vino. Se quattro anni sembrano tanti, per un Aglianico rappresentano a malapena lo svezzamento. I sentori non possono che parlare di freschezza per via della frutta rossa non ancora matura. Neanche il passaggio, breve, in legno, è riuscito a far qualcosa. Sottobosco, vaniglia, noce moscata e i tanti fiori rossi completano il quadro olfattivo che comunque tende verso il vegetale/floreale. I sentori vinosi e gli agrumi completano il quadro fornendo ancor di più la sensazione di un vino fresco e giovane.
La bevibilità voluta da Giuseppe si evidenzia immediatamente al sorso per via dei tannini levigati. C’è un corpo non certamente importante; ci sono i frutti rossi e gli agrumi a valorizzare l’importante freschezza; c’è un finale meravigliosamente pulito ad esaltare il lavoro di vigna e cantina. Insomma, uno di quei vini che nella sua estrema semplicità (arricchita dal terroir ma anche dal passaggio in legno) si lascia ricordare. Dopo averne bevuto. Perché si lascia bere e bene.
Taurasi Riserva 2017. L’evoluzione dell’Aglianico. Et voilà. Una evoluzione che parte dal colore rubino scuro e riflessi granata per approdare ai sentori che da frutti rossi non ancora maturi arrivano ad essere neri e quasi cotti. Pellame, tabacco, ciliegia, prugna, cannella, cacao, ematico e un sottobosco che assume un tono di minor freschezza. Le sensazioni offerte sono di un vino forte ed estremamente tannico: un attraente salto nel buio.
La bocca restituisce gradevolezza e bevibilità nonostante tannini vigorosi ed alcol tipico del sud. Gradevolezza per via di frutta matura e cotta che continua a rimanere nella bocca a lungo. Finale lievissimamente amarognolo a stemperare una frutta che potrebbe risultare quasi opulenta e un agrume che c’è senza essere invadente. Un grande vino, una grande espressione di Aglianico.
Quella di Giuseppe e Pasquale è un visione imprenditoriale davvero chiara. Di quelle che dovrebbero avere in molti che lavorano, anche da tempo, in questo settore. Programmare con una strategia chiara e definita. Giusti investimenti e grande propensione alla vendita. Grandi vini. Voluti attraverso collaborazioni enologiche oculate e terreni scelti con precisione chirurgica. Il risultato di quanto ho assaggiato è di livello. Altro che voglia di esserci. Qui si dovrebbe parlare di diritto di esserci.
Rimane, specialmente per Giuseppe, il grande cruccio del dopo. Perché tutto questo è certo un investimento, è certo un modo per valorizzare il territorio e creare qualcosa, ma poi, deve essere anche qualcosa che continua nel tempo. Magari con i figli e per i figli. Giuseppe ne ha due, gemelli (maschio e femmina) di 16 anni.
Vediamo quando finiscono il liceo cosa vogliono fare da grande. Speriamo che gli piacerà.
Sto facendo un investimento che spero verrà seguito da un figlio. Vivi con questa speranza.
Ecco, io credo che innamorarsi di un luogo può essere facile. Innamorarsi di un vino, altrettanto. Di una idea e di un modo di vedere il proprio futuro, un pò più complicato. Ma anche i giovani di oggi, sono in grado di riscoprire, dopo le giuste esperienze, i veri valori della vita.
Io dei vini delle Vigne Guadagno, mi sono realmente innamorato e parlare con Giuseppe è stata una di quelle esperienze che porterò dentro di me per la sua pacatezza, allegria, visione e capacità di coinvolgere l’interlocutore.
Piano piano, Giuseppe, coinvolgerai anche i tuoi figli. Ne sono certo.
ivan.vellucci@winetalesmagazine.com
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