31 Gen 2024
Food&Life

Limori: un cognome scippato, un nome guadagnato

Quando ero piccolo, in estate, i miei genitori mi portavano insieme ai fratelli a casa dei nonni materni. A Camigliano. Un piccolo paese in provincia di Caserta. Passavamo li le calde estati durante le quali nonno Antonio mi portava con lui in campagna dove scoprivo gli odori e i sapori di prodotti genuini. Gli stessi che sono ormai incisi nella mia memoria e che, purtroppo, non trovo più ora. Se non raramente.
Dopo pranzo c’era il silenzio. Nonno Antonio dormiva e non si poteva far chiasso. Complicato se ci sono bambini, maschi, urlanti. Mimma (così chiamavamo nonna) per tenerci a bada ci prometteva (non sempre), se avessimo fatto silenzio, una gazzosa o una cedrata.
Quando, riuscivamo, a non fare nulla di chiassoso (e ciò non accadeva spesso), Mimma mi mandava a prendere le bibite in un posto vicino casa. Così, dopo aver preso una banconota da 500 lire (!!!) uscivo con la Graziella rossa (la bici) e mi involavo verso il magazzino. Già un magazzino. Mica una bottega, un negozio, un supermercato. Dovevo bussare ad una porta in legno e, dopo un pò, una persona anziana fuoriusciva dal buio di quello che doveva essere stata una stalla, prendeva da una bacinella colma acqua, ghiaccio e e bottigliette di gazzosa. cedrata e spuma insieme al ghiaccio, le quattro unità a me necessarie.
Stapparle e berle con fratelli e cugini era la cosa più bella del mondo.

Quel sapore, il sapore della gazzosa o della cedrata, non l’ho più sentito per oltre cinquanta anni. Non che non abbia riprovato a comprarla. Ogni volta che ci provavo, niente. Di quei sapori, nemmeno l’ombra. Non erano più quelle. Tanto zucchero. Tanto colore ma sapore, quello proprio nulla.

 

C’è voluta la presentazione del Gambero Rosso Top Italian Food 2024 per farmi inaspettatamente ripiombare in questi ricordi. A palazzo Brancaccio conosco infatti Flavio Moretti e le sue bottigliette Limori. Un incontro che mi fa conoscere una splendida e sorridente persona come Flavio. Il suo accento romanesco nemmeno troppo marcato. Il sorriso. La voglia di chiacchierare e di prendere sempre il lato bello della vita.

La sua, quella dei Moretti, a Roma, non è solo una famiglia. È una istituzione.
Da sempre distribuiscono bevande. Mi verrebbe da dire, in romanesco che “se a Roma c’hai sete, Moretti te pò da ‘na mano”.
Vero si ma fino ad un certo punto vista la tanta concorrenza che c’è sul mercato del beverage.

Ma uno che fa il distributore che c’azzecca con la produzione di bibite artigianali e ingredienti di prim’ordine? Cedrate, gazzose, spume, limonate. Cose di altri tempi!
Soprattutto, Moretti e Limori cosa hanno in comune?

Limori. Il nome. Partiamo da qui.
Ora, anche per un romano, potrebbe sembrare facile ma vi assicuro che non lo è. Perché la gente non ha tempo e pensa troppo velocemente. Non si sofferma sui particolari. Soprattutto non conosce il carattere di buontempone di Flavio e suo cugino Alessandro.
Allora, dividete la parola Limori in “Li” e “mori“.
A Roma “li” è un articolo. Più precisamente equivale ad un classico e semplice “i”, articolo determinativo. Dunque se si dice “li mori” si intende “i mori”.
Flavio ed Alessandro fanno di cognome Moretti. Ma i moretti sono pure bambini dai capelli mori.
I moretti. I mori. Li mori. Limori
Facile no?
Ora, vi chiederete perché vi abbia fatto spendere tante righe su un nome.
Dietro un nome c’è una filosofia. Un modo di vivere. Un mondo. Così come il carattere delle persone, la loro storia. Semplice, arzigogolata o bizzarra che sia.
Ma ci arriviamo. Per gradi.

Virgilio Moretti, bisnonno dei cugini, all’inizio del 1900 inizia a fare bibite sodate. Piccola linea. Poco smercio. Quanto basta tirare su qualche soldo e iniziare un pò a farsi conoscere. Faceva aranciata, spuma, gazzosa, chinotto e qualche cosina tra soda e sifoni.
Le cose vanno per il verso giusto così che si rende necessaria una piccola linea di produzione. Una fabbrichetta insomma utile anche per imbottigliare (zona di Piazza Pio IX, per chi è pratico di Roma….vicino il vaticano per chi non lo è).
Business chiama business e chi è intraprendente coglie le occasioni che il mercato offre. C’è voglia di vivere e i consumi crescono. Con essi, in assenza di frigoriferi (entrerà nelle case degli italiani, pochi, sono negli anni 40 del secolo scorso) arriva la necessità di ghiaccio.

Trasportavamo le colonne di ghiaccio per tutta Roma. Poi l’avvento della plastica e i costi esagerati fanno spostare il business dalle bibite artigianali alla distribuzione di bevande. Oggi abbiamo tre magazzini su Roma , serviamo più di 1000 clienti ai quali portiamo dall’acqua ai succhi di frutta, dai super alcolici al vino. Non da ultimo le nostre bibite.

La produzione delle bibite di Virgilio Moretti passata anche per i figli, arriva fino agli anni 80 quando si interrompe la produzione di bevande. Il business si è totalmente spostato altrove. Tempo e forse voglia da parte dei nonni, non c’è.
Il tempo, la frenesia della vita, i ritmi incessanti, le difficoltà del business possono tanto. Mettono senza dubbio in archivio, magari dentro scatole riposte nel ripostiglio, ogni ricordo. Foto, lettere, ricette.

“Nonno viene a mancare nel 1999 e nonna nel 2011. Ci troviamo a svuotare casa e saltano fuori i libri con le ricette, i progetti dei nonni. Solo che non c’era più la produzione.

A quanti sarà capitato, proprio in un momento così doloroso come la morte di un genitore di dover, sottolineo dover poiché senza nessuna voglia o stimolo, di svuotare casa e trovare qualcosa che, in qualche modo, abbia suscitato ricordi e tanta commozione?

Non posso certamente immaginare la faccia di Flavio ed Alessandro nel ritrovarsi i fogli con le ricette dei bisnonni ma la loro commozione si.

Mio cugino Alessandro ed io siamo l’ultima generazione. Nel 2012 ci chiediamo “ma perché non le facciamo pure noi le bevande dei nonni?

Mica facile. La prima cosa a cui occorreva pensare era la linea di produzione. Impossibile metterla su a Roma. Unico modo era un terzista. Già ma ci voleva un terzista piccolo. Uno che li poteva aiutare dalle ricette all’imbottigliamento. Pochi pezzi per capire la reazione del mercato e al resto ci si sarebbe pensato.

Non ci interessava come vero e proprio business principale ma solo per portare avanti una tradizione di famiglia. O la facciamo bene o non la facciamo ci siamo detti. Un prodotto artigianale vogliamo. Non certo commerciale e industriale. Troviamo, su consiglio di un amico, una famiglia a Cingoli, nelle marche. Ci andiamo a pranzo. Troviamo Giovanni Passarelli, una persona simpatica, alla mano, disponibile. Adesso avrà circa 71, 72 anni. Ci dice come no, sono contento e diventa ancora più contento quando gli spieghiamo la storia.

Non sono un esperto di ricette di bibite ma produrle fino agli anni 80 era una cosa, produrle ora, altra. Completamente diverse.
Avevamo le ricette ma tanti prodotti che si usavano fino agli anni 80 o non si trovano più o non sono più ammessi. Dovevamo dunque trovare una quadra sulle ricette. Da una base di partenza abbiamo fatto le nuove ricette con ingredienti diversi. Ci doveva piacere.

La voglia di conservare una tradizione familiare ti porta a guardare avanti con fierezza. Con la consapevolezza che il tuo cognome è qualcosa che ha attraversato il tempo e lo attraverserà ancora. Ciò che produci ti contraddistingue. Ecco perché Flavio ed Alessandro non accettano compromessi. C’è bisogno di materie prime che siano di qualità.

Siamo partiti con quattro prodotti: chinotto, cedrata, spuma, gazzosa. Quelli che pensavamo potessero funzionare. Adesso ne facciamo otto. Trainati dal mercato e vendendo che ci sentivamo consapevoli. Abbiamo aggiunto ginger beer, soda, tonica e limonata.

Partono bene i ragazzi. L’animo è quello giusto. I genitori a vigilare ci sono. Anche il produttore, Giovanni, è sempre pronto a dar consigli. Insomma un bel mix che non può che portare a risultati eccellenti. Se ne accorgono pure quelli dell’Expo di Milano. Lo ricordate? Era il 2015. Il titolo era “Nutrire il pianeta”. Bellissimo. Anche se ricordo le code infinite….

Ci chiamano dall’Expo perché assaggiano i nostri prodotti e volevano portarci nella gamma degli sponsor. Per noi era un onore. Sta funzionando bene allora. Fissiamo appuntamento con gli organizzatori, accettiamo la proposta iniziando a programmare.

Tra i padiglioni dell’Expo ce ne era uno sviluppato per Birra Moretti, brand del gruppo Heineken. Birra Moretti-Bibite Moretti…..il pasticcio è servito.

Multinazionale la prima. Piccolo produttore il secondo. Non può che nascerne una novella disfida Davide contro Golia. Solo che non siamo nell’Antico Testamento ne tantomeno nelle favole. Carte bollate, tribunali, differenti paesi (Heineken ha sede ad Amsterdam) e, soprattutto, una sproporzione di mezzi economici fornisce un esito scontato.

Heineken ci fa scrivere da uno stuolo di avvocati per l’utilizzo del marchio. Ma era il nostro cognome e non facevamo prodotti alcolici. Facciamo parlare i nostri avvocati che nemmeno riescono ad imbastire un discorso. Non volevamo cambiarlo. Spendiamo soldi in consulenze. Ma la sfortuna voleva che dagli anni 80 al 2010 abbiamo smesso di fare il prodotto. Senza la continuità avremmo potuto far cambiare il nome a birra moretti. O saremmo diventati miliardari.

Il caso ci mette ancora lo zampino. Se avessero continuato a produrre le bevande sarebbe stato il colosso Olandese a dover pagare per l’uso del marchio Moretti.
È anche vero però che avremmo comunque, in qualche modo, la birra ma certamente non avremmo più bevuto le bibite di Flavio ed Alessandro.
Insomma, Davide si arrende a Golia. Una resa che fa male e brucia. Così tanto che si smette anche di produrre le bibite. La sconfitta non è l’aver perso contro qualcosa o qualcuno. È non poter usare il proprio cognome. Continuare qualcosa. Ma tant’è. Non si può far altro che ammettere la realtà dei fatti.

Aò ma er chinotto che me davi ‘na volta…‘ndo sta?
Ma ‘a cedrata?
Senti, ma ‘a spuma? E ‘a gazzosa?
Ma perché non le rifate?

Quante se lo saranno sentito dire Flavio e Alessandro in quel periodo?
Tante ma tante.

Non volevamo più farla perché senza nome non ci sembrava il caso. Ma le persone sia in italia sia all’estero ce la chiedevano.

Insomma, metabolizzata la sconfitta e ingoiato il rospo, la mente inizia a ragionare. Chissà, forse pure un senso di riscatto vallo a capire. C’era tutto per ripartire. Tutto tranne un nome.

Lasciamo il nostro logo dei due mori (Moretti distribuzione) e facciamo un pò di prove tra i quali “li mori” i mori. Diamo una veste moderna ma legata al vintage. Svecchiata. Ad oggi ringrazio ancora Heineken per averci fatto cambiare nome perché molti clienti ci compravano solo per associazione con la birra. Magari era buono però non lo vedevano come un prodotto artigianale.

Sono tante le storie e gli aneddoti di come nasce un marchio ma questo è unico. Ci si prende in giro. Si ride e si scherza in famiglia e nasce qualcosa di unico.

Partiamo con Limori e anche i clienti che non la lavoravano prima iniziano a lavorarla perché capiscono la artigianalità. Adesso lavoriamo tanto a Roma, in Francia e in Lettonia. Stiamo prendendo accordi per portarlo in altre zone del mondo.

Nel 2022 arrivano i premi del Gambero Rosso e per tre anni Limori vince il premio come migliore spuma e cedrata. Orgoglio e riconoscimento.

Non lo dice solo Flavio Moretti che è bono ma anche altri.

Di scherzare non hanno finito i Moretti.
“Quando si scherza bisogna esse seri” diceva il Marchese del Grillo.
Così, per scherzo nasce anche il nome per la limonata.

Noi facciamo tonica e limonata però una limonata che può essere accoppiata anche con la tonica. Si può bere assoluta o miscelata a qualcosa. Un giorno per scherzare con mio cugino Alessandro, mio padre si chiama Fernando ma per tutti Nando, faccio una battuta e dico: ma perché non facciamo una Limonando? Mi faccio fare Una etichetta con la faccia di mio padre (mia cognata ha una scuola d’arte). Avevo un tir di limonate, ho preso un bancale che è diventato tutto di Limonando. Quando arriva il bancale sono state più le risate che altro. Dura due giorni. Tutti i clienti me la chiedono. Non faccio più la limonata ma la Limonando è quella che si vende più di tutti.

Insomma aveva ragione il Marchese.

Cosa c’è alla base di tutto questo. La qualità senza dubbio. Ingredienti naturali. Non più sciroppi zuccherosi ma frutta. Limonata? Limone. Spuma? Rabarbaro. Chinotto? Chinotto. Ginger beer? Zenzero. Si sente tanto lo zenzero? Ovvio, c’è lo zenzero. Costa un pò di più magari, ma la qualità richiede questo. Così come richiede di distribuire queste chicche nel modo più opportuno. Senza disdegnare la grande distribuzione.

Possiamo pure metterlo in grande distribuzione ma il prezzo non può cambiare. Non voglio svenderlo perché tanto non è il mio business principale.

Limori non è un giocattolo per i Moretti. Nemmeno un oggetto di puro business visto la produzione non certo elevata (attualmente 80-100 mila bottiglie l’anno). Non è un passatempo visto il tempo e la passione che ci dedicano. È la loro storia anche se non più con il loro cognome.
Limori è la linea di continuità tra passato, presente, futuro. Il futuro nel quale ci sarà magari anche quell’aranciata già presente nelle ricette del bisnonno. Soprattutto continuerà ad esserci quella qualità e quei gusti che non possono più mancare. Se non altro per evitare l’oblio.

Ivan Vellucci

ivan.vellucci@winetalesmagazine.com

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