IL BUON VINO NASCE DALLA BUONA TERRA AZIENDA MUSCARI TOMAJOLI
12 Gen 2023
Il Vino in una stanza

IL BUON VINO NASCE DALLA BUONA TERRA

IL BUON VINO NASCE DALLA BUONA TERRA

AZIENDA MUSCARI TOMAJOLI

TARQUINIA 2022

Come nasce un buon vino?

Dalle mani sapienti di chi lavora la terra oppure dal rispetto dell’espressione della terra stessa?

Quella che vi raccontiamo in questo articolo è la storia d’amore, di rivoluzione, di rinascita di un’Azienda che ha posto le sue redini nella tradizione e nel valore primario del rispetto per il suo territorio. Devozione che viene mostrata osservando i bisogni della terra e del vigneto, ogni anno diversi e specifici. Un grande rispetto portato avanti da tutte le persone che, attualmente, ne fanno parte.

Noi, Partners in Wine, in una giornata uggiosa, siamo andate alla scoperta di questa piccola ma sorprendente ed unica realtà: l’Azienda di Marco Muscari Tomajoli situata a Tarquinia, un piccolo gioiello incastonato su un colle nel Nord del Lazio, Patrimonio UNESCO Etrusco.

Con calorosa accoglienza, incontriamo Marco ed il suo fedele amico e collega Pietro Mosci, il quale, con grande gentilezza e disponibilità, ci racconta la storia di questa realtà camminando in mezzo ai filari e accompagnandoci nella visita alla cantina.

Come sempre, siamo attratte dai vigneti che, nonostante in questo periodo dell’anno sono a riposo dopo un lungo e faticoso lavoro, ci emozionano. Il vento tra i capelli, il profumo della terra fresca e il tocco della pianta ci fanno sentire vicine alla natura, regalandoci un senso di libertà, di leggerezza e respirando la “vita” che si percepisce in questo luogo.

Pietro inizia a raccontarci che l’azienda di Marco è molto piccola e a livello familiare ed è per questo che lui non ha un ruolo ben specifico.

“Il mio lavoro dipende dal periodo nel quale ci troviamo: in quello della raccolta sono in cantina con le varie lavorazioni e le ultime sfecciature; durante il Natale mi occupo un po’ anche della parte commerciale con gli ordini dei clienti e nel resto dell’anno sono immerso tra i filari a lavorare la terra. Mi occupo a 360° dell’azienda e sono 5 anni che ne faccio parte. Io e Marco siamo amici da quando eravamo bambini ed è, oltre che un piacere, anche molto facile lavorare insieme a lui per il bene che ci lega. Ho molta esperienza sul campo e faccio continui affiancamenti con l’enologo seguendo molto le sue direttive. Amo molto la terra, soprattutto questa. “

AZIENDA MUSCARI TOMAJOLI  TARQUINIA 2022   (In alto vitigni a bacca rossa, in basso vitigni a bacca bianca )

Se guardiamo dall’alto i filari di Marco, possiamo notare una forma ad elle, da una parte abbiamo i rossi e dall’altra i bianchi, in totale 2 ettari di vigna: il Montepulciano ad inizio filare, il Petit Verdot spostato più verso il mare, due piccoli appezzamenti di Barbera ed Alicante inizialmente sperimentali ed infine il suo meraviglioso Vermentino.

Il Montepulciano viene utilizzato sia per la riserva “Pantaleone”, per la quale fanno una selezione scrupolosa dei filari durante l’annata con una raccolta tardiva a metà di ottobre, sia per il rosato “ Velca” raccolto un mese prima.

Fanno tutte micro vendemmie, iniziando dal Vermentino per mantenere l’acidità alta, poi il Montepulciano per il rosato, il Petit Verdot e così via.

Il lavoro in vigna viene svolto da Marco, Pietro e all’occorrenza da Stefano, un altro loro collaboratore.

Gli impianti sono stati tutti innestati nel 2007 dal padre di Marco, Sergio Muscari Tomajoli, toscano di nascita, andato in pensione dopo una grandiosa carriera da ufficiale di Marina.

Da sempre è stato un grande appassionato di vino che lo ha portato a vivere un’esperienza anche in Francia con i primi corsi di avvicinamento e da sommelier.

Nel 2007 Sergio si ritrova un piccolo appezzamento di terreno lasciatogli dal bisnonno di Marco da parte della madre che, a suo tempo, veniva utilizzato solo per il bestiame. Riprende in mano la situazione facendo varie ristrutturazioni come la cantina, il casale, gli impianti e innestando le nuove viti. Ci fu una prima fase iniziale di sperimentazione anche con il supporto dell’enologo Gabriele Gadenz, il quale sposò subito il progetto di Sergio.

L’importanza della Terra

Inizialmente dalle prime analisi del terreno è emerso che quella terra era vergine e per questo le viti non avevano bisogno di lavorazioni particolari.

Gli esperimenti furono molteplici prima di arrivare alla prima produzione del Nethun, il loro Vermentino, e del Pantaleone. Quest’ultimo in origine era un blend, Petit Verdot, in percentuale maggiore, insieme a piccole partite di Barbera e Montepulciano.

Con l’entrata in azienda di Marco, nel 2017, succeduto al padre purtroppo venuto a mancare, insieme allo storico enologo si scelse di vinificare in purezza il Petit Verdot, questo grande vitigno che più si adattava al clima, sempre molto rigoglioso e mai con una malattia.

A tal proposito, Pietro prosegue nella sua spiegazione:

“Noi lavoriamo con inerbimento permanente, non facciamo irrigazione, non concimiamo, lasciamo fare tutto quanto alla natura. Anche come filosofia aziendale, è una nostra scelta far soffrire le piante e condurle a trovare, da sole, i vari nutrienti. Usiamo solo zolfo e rame ovviamente quando serve. Non siamo certificati biologici, perché al momento non ne sentiamo la necessità, ma ovviamente lavoriamo in maniera biologica e naturale e nel completo rispetto delle volontà della pianta.

La cosa bella di una realtà piccola come questa è che puoi lavorare artigianalmente. Per quei pochi prodotti che diamo, usiamo ancora la pompa a mano; stessa cosa per la raccolta, scrupolosamente a mano, dalle potature allo sfalcio del verde. Facciamo molta attenzione ai tempi di raccolta, calcolando anche il clima dell’annata. Infatti, quest’anno, abbiamo dovuto anticiparla poiché è stata un’annata molto calda. Rispettiamo i tempi delle piante e siamo sempre in vigna per intervenire nel momento del bisogno”.

Due sono i valori principali di questa azienda: la sostenibilità e la qualità. Quest’ultima si basa sul rispetto della vite e del suo ciclo naturale. C’è purezza e semplicità nel loro lavoro, c’è tanto rispetto e amore per quella che considerano una terra unica e naturale.

Tutto questo porta l’azienda ha rese per ettaro bassissime e ad una qualità del vino eccellente.

Siamo a 170 metri slm ed i terreni sono argilloso-calcarei, a pochissimi chilometri dal mare e a pochi metri dal bosco circostante. Le viti che si trovano a ridosso del bosco sono protette dai venti freddi e proprio per questa barriera crescono meno in altezza rispetto a quelle a fondo valle.

Nonostante la vicinanza al mare, non ci sono terreni sabbiosi, ma in profondità c’è questa pietra particolare, chiamata Pietraforte (come da foto). E’ una pietra calcarea, una marna argillosa che solo loro hanno in questa zona, dovuta alla compattazione di argilla, creatasi in milioni di anni, con cemento carbonatico. E’ possibile infatti notare sopra questa pietra delle striature bianche ovvero il calcare rimasto compresso in essa. Questa composizione la ritroviamo in superficie con alte tracce di calcare attivo ovvero il calcio che dona tantissimi nutrienti alle piante.

Ad oggi, questa pietra è ancora in fase di studio analitico per le sue componenti che con ogni probabilità influenzano il vino, come per esempio la grande spalla acida percepita degustandolo che potrebbe essere, secondo Marco, una delle caratteristiche ereditate.

All’improvviso un retaggio dal passato

Camminando tra i filari, in lontananza, notiamo alcune piccole viti. Cosicché Pietro ci racconta che disboscando una parte del terreno, hanno da poco ritrovato una vigna impianta dal bisnonno di Marco. Le piante hanno sicuramente dai 60 ai 70 anni e sono tutti vitigni misti poiché una volta si mescolavano per ottenere uve diverse e alcuni sono addirittura a piede franco. Al momento, stanno approfondendo l’analisi e l’identificazione genetica per capire se in futuro sarà possibile tenerle in considerazione per qualche progetto interessante.

Una piccola ma fruttuosa cantina

Entusiaste arriviamo in cantina dove Pietro ci fa strada:

“Inizialmente era un annesso agricolo dove il nonno di Marco teneva tutti i suoi attrezzi, poi è stata trasformata in una vera e propria cantina. Facciamo tutto da soli con pochi macchinari e attualmente produciamo circa 7.000 bottiglie l’anno. Un terzo di queste le vendiamo in America, tramite un importatore conosciuto da Marco, il quale, lavora con aziende piccole nella zona del Massachusetts e di New York, e le restanti bottiglie qui in Italia. Tutte le etichette sono state rielaborate dall’artista Guido Sileoni di Tarquinia. Sono disegni meticolosi e precisi. Guido ha seguito varie scuole d’arte ma ha avuto un forte legame, fin da piccolo, con il lavoro del padre che faceva l’architetto. Questo, ad oggi, lo riscontriamo nella sua arte, nelle forme geometriche dei suoi disegni, nella sua precisione e nei tratti spigolosi. Ha creato a Tarquinia un murales raffigurante molte divinità etrusche, sua grande passione”.

Entrando, notiamo subito disegnate sui muri varie raffigurazioni di queste particolari e bellissime etichette, una stanza che ospita barrique T5, le protagoniste dedicate soltanto alla Riserva, e in un’altra pochi ma essenziali macchinari.

Il modello T5 è una barrique molto particolare, in rovere francese, proveniente dalla foresta di Tronçais, in Francia, stagionata per 5 anni all’aria aperta. Rappresenta il top di gamma della Tonnellerie Taransaud.

La loro Riserva, l’Aita, affina qui per 18 mesi prima dell’imbottigliamento per poi riposare almeno altri 9 mesi in bottiglia.

Attualmente l’Azienda produce tutto in purezza: per il Pantaleone quasi 2000 bt, per il Nethun altre 2000, per il rosato Velca 1800 bt e infine per la Riserva circa 500 bt annue.

AZIENDA MUSCARI TOMAJOLI  TARQUINIA 2022 La cantina di vinificazione e la barricaia

Un piccolo casale accogliente: in alto i calici!

Terminato il nostro giro nei vigneti e nella cantina, Marco ci ospita nel suo piccolo ma accogliente Casale, risalente ai primi anni del ‘900, ristrutturato completamente dal padre che, ad oggi, funge da sala di degustazione e da base operativa.

Iniziamo qui la degustazione insieme a Pietro e Marco, il quale, ci racconta di più sul progetto delle nuove etichette.

“Questo progetto è frutto di una bellissima collaborazione con il pittore Guido Sileoni, Italo-argentino, nato a Buenos Aires, da mamma argentina e padre italiano. Si sono trasferiti a Tarquinia quando lui aveva 5 anni poiché a quei tempi la situazione in patria era molto difficile e la famiglia decise di tornare in Italia. Legato da sempre al mondo dell’arte e dopo aver svolto lavori di altro genere, ha deciso di seguire la sua più grande passione. Anche lui ha perso suo padre molto giovane e credo che, proprio dopo questo evento, ha deciso di intraprendere la carriera artistica. Su questo siamo molto simili”.

Marco continua a spiegarci che l’inizio della collaborazione con Guido avvenne nel 2012, in seguito alla sua visita ad una mostra da lui creata molto particolare e importante che organizzò nella chiesa sconsacrata di Tarquinia. Un luogo molto evocativo.

“In quell’occasione, secondo me Guido, ha definito e concretizzato chi voleva essere, le sue linee, i suoi tratti, i suoi colori ed il suo meraviglioso stile. Io per caso andai a quella mostra e ne rimasi folgorato, da lì in poi gli proposi una collaborazione. Tra bozze, sperimentazioni e prove varie siamo usciti ufficialmente con le prime due etichette nel 2014, il Nethun e il Pantaleone”.

L’idea di prendere in considerazione le tombe etrusche per le etichette dei vini fu di Guido.

Marco desiderava che rappresentassero un elemento del loro territorio in maniera fedele e autentica e avessero una loro storia. Dovevano essere identitarie e così è stato.

“Questa cura che Guido ha dei dettagli, quasi maniacale, mi ha fin da subito colpito perché volevo che trasmettesse all’osservatore tutto il lavoro che si nasconde all’interno della bottiglia”.  

 VINO, ARTE O STORIA? 

Il primo calice che degustiamo è il loro Velca  2021, un Rosato da uve Montepulciano in purezza. Al naso strabilianti note floreali di garofani e note fruttate di ciliegia. Al palato freschi sentori di frutti rossi, banana, arancia e un pizzico di erba fresca. Avvolgente e con un bel finale sapido e minerale. Un vino di un’eleganza straordinaria.

Per questa etichetta, Sileoni ha scelto la Tomba dell’Orco che rappresenta una donna etrusca che cinge un uovo, fanciulla realmente esistita che si chiamava Velia Spurinna, considerata un po’ la Monna Lisa della civiltà Etrusca, di una bellezza incredibile. Gli Spurinna, a quei tempi, erano una delle famiglie più importanti della storia di Tarquinia. Il dettaglio dell’uovo invece è stato preso dalla Tomba degli Scudi, raffigurante moglie e marito che si stanno scambiando un uovo, simbolo di vita, di fertilità e di rinascita per le coppie di quei tempi.

Il secondo calice che degustiamo è il Nethun 2021, Vermentino in purezza. Il clone è il Corso, proveniente da Sartène, nel sud della Corsica. Qui avvertiamo proprio la salsedine del mare e capiamo fin da subito che il grande potere d’invecchiamento di questo vino è dato proprio dal terreno. Il naso respira intense note di gelsomino, susina e camomilla, toni erbacei e avvolgenti nuance balsamiche. Al palato si avverte una nota netta di pera Williams e agrumi, una sferzante sapidità che lo contraddistingue portandoci con l’immaginazione tra le onde del mare. Lo troviamo molto equilibrato e le note di cedro, mandarino ed anice ci fanno pensare ad un abbinamento ai crudi di mare.

Per l’etichetta di questo vino, l’Artista si è ispirato di nuovo alla Tomba dell’Orco sulla quale in un angolo si intravedono dei tralci di vite con delle foglie stilizzate. L’idea è stata quella di voler richiamare il legame del Vermentino con il mare rappresentando la fusione tra i tralci di vite e i pesci stilizzati. Il nome è di origine etrusca come la divinità del mare, Nethuns, per i Romani il Dio Nettuno.

Il terzo calice in degustazione è il Pantaleone 2019, Petit Verdot in purezza. All’olfatto avvertiamo immediatamente la sua parte erbacea e balsamica, mentre al palato un insieme di frutti rossi, prugna, cannella, chiodi di garofano e liquirizia legano armoniosamente fra di loro. Una morbidezza eccezionale, un’acidità e una freschezza ben integrate. Un connubio perfetto che ci emoziona.

Per l’etichetta, Guido ha preso in considerazione la Tomba dei Baccanti, la quale nella parte più alta è raffigurata la scena di due leoni che stanno cacciando due gazzelle. Il messaggio che vuole essere trasmesso è quello della forza del leone possente e lineare ovviamente nel suo stile artistico.

 

Per l’ultimo vino in degustazione, Marco ci sorprende con la sua meravigliosa Aita 2020, 100% Montepulciano. Un grande vino che, impenetrabile come il suo colore rubino violaceo, al naso ci regala note di ciliegia nera, mirtillo, mora e prugna in un connubio perfetto assieme a sentori di cioccolato e tabacco. Sul finale leggere note balsamiche e speziate, di cannella e liquirizia. Un tannino davvero molto equilibrato ed elegante. Qui ci lasciamo per un attimo andare degustando le sue dolci note boisé.

Etichetta nuovamente ispirata alla Tomba dell’Orco, nella quale, da una parte, viene raffigurata l’Aita, divinità etrusca dell’oltretomba, corrispondente all’Ade Greco. In molti la scambiano per una donna poiché il suo viso tende ad avere dei lineamenti molto femminili, ma in realtà è una divinità maschile con un copricapo raffigurante la testa di un lupo.

<<Marco, qual è l’etichetta che più ti rappresenta?>>

Con una bellissima risata, Marco risponde: “Ho un legame unico e profondo con ognuna delle mie etichette. Un legame unico ma diverso. Nethun sicuramente è quella più rappresentativa che si è espressa sempre in maniera più nitida ed è quella che ci ha fatto conoscere di più nel commercio.  Il Velca, nel suo piccolo, è stata l’etichetta che ha ottenuto più riconoscimenti importanti”.

Come obiettivi futuri, Marco ci confida che vorrebbe ampliare il vigneto e con un po’ di Vermentino in più a disposizione concepire un bianco riserva tra qualche anno. In più continuerà a studiare quelle viti molto antiche ritrovate da poco per capire se possono essere utilizzate per produrre un altro eccellente vino.

Marco Muscari Tomajoli 

“E’ iniziato tutto da mio padre. Mio nonno è morto nel 2000 ed era quello che si occupava della terra e degli animali. Mio padre invece ha ricostruito tutta la struttura, tutto il casale e impiantato le prime viti nel 2007, ma ha iniziato tutto questo con la visione di un hobby di fine lavoro, di uno sfizio personale. Poi ha conosciuto il nostro attuale enologo, Gabriele Gadenz e insieme hanno iniziato a sperimentare. Io sono subentrato quando mio padre è venuto purtroppo a mancare e mi sono reso conto che è una grande macchina, un ciclo continuo che non si ferma e che ha bisogno costantemente di investimenti”.  

Ringraziamo di cuore Marco Muscari Tomajoli e Pietro Mosci per la bellissima visita e accoglienza a noi riservata. Conoscere la storia, la filosofia ed il pensiero di ogni azienda che visitiamo è per noi fondamentale. Ed il rispetto, l’amore, la determinazione e caparbietà che ogni giorno i  produttori mettono per far bene il loro lavoro, può soltanto essere per noi motivo di ispirazione e grande stima.

Vi lasciamo come sempre con una frase a noi cara:

“Credo che avere la Terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”.

Andy Warhol

 

 

 

 

 

 

 

 

Ilaria Castagna e Cristina Santini

Partners in Wine

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