In legge veritas

A cura di Paolo Spacchetti

Questa rubrica curerà tutti gli aspetti legali che ruotano intorno al vino, alle cantine con approfondimenti e consigli sulla regolamentazione enoica.

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6 Agosto, 2021

Il Vino, il Web e le sue leggi non scritte

Come accennato nel precedente intervento, il settore enologico e quello del commercio del vino sono sicuramente i comparti che, per tipologia di prodotto, facilità di adeguamento ai vari modelli di handling, capacità di essere scelto e valutato anche da remoto, hanno saputo ben sfruttare le potenzialità del web, trovandosi in una posizione di indiscusso vantaggio all’indomani del sorgere della pandemia COVID19 rispetto ad altri articoli di altrettante categorie merceologiche. La situazione che il virus ha generato su scala mondiale non sembra ancora oggi di facile e soprattutto di pronta soluzione, tanto che le misure atte a contenerlo (sarebbe auspicabile anche a debellarlo) sono ancora in continua evoluzione e pertanto direi che viene imposto all’imprenditore una pronta reazione a questo stato di incertezza, consiglio valido anche per le aziende vitivinicole, che occupano un posto di rilievo nel panorama economico non solo nazionale. Passerà del tempo prima di tornare alla cd. “normalità”, intesa come modalità di fare affari muovendosi da un Paese ad un altro, incontrando nuovi e vecchi clienti e fornitori, confrontandosi con il mercato e la concorrenza, partecipando a fiere, vendite promozionali … insomma tutti quei comportamenti, che hanno da sempre caratterizzato il rapporto e il confronto, come oggi si dice, “in presenza”. Nell’ambito di questo lockdown, il mercato ha immediatamente reagito mettendo in campo soluzioni e risorse affinché i legami commerciali e i flussi di merci e fatturati non subissero troppi contraccolpi e si arginassero anche quegli effetti pregiudizievoli che, in ogni caso, la pandemia ha generato, quanto meno nel primo periodo dal suo insorgere e diffondersi. Il viaggio non c’è più e allora ….compro digitale! Questo è in sintesi il rimedio adottato o maggiormente utilizzato a cui anche la distribuzione del vino non si è sottratto, a condizione che le aziende del settore si siano in tal senso organizzate. Tra le reazioni e le soluzioni al quadro appena illustrato, quello dell’e-commerce, cioè la possibilità di poter vendere e collocare beni e servizi a distanza attraverso l’utilizzo di Internet a cui il compratore e il distributore si affidano per conoscere, acquisire e pagare quel prodotto presentato su apposite piattaforme o, nelle soluzioni meno strutturate, nelle vetrine virtuali di siti aziendali, appare indiscutibilmente la soluzione più efficace e riuscita, seppur strumento non scevro da insidie e controindicazioni, che pure vedremo. Se la soluzione dunque di operazioni di e-commerce si colloca tra le più adeguate ed immediate per supplire agli ostacoli frapposti dalla pandemia e mantenere quindi i canali di vendita e di profitto vivi e vivaci, proporla poi per qualche specifico mercato costituisce senza dubbio l’occasione per conseguire una maggiore soddisfazione, oltre che, direi, quasi scelta obbligata per quelle imprese, anche medio-piccole, che intendono spingersi verso traguardi commerciali diversamente non facili da raggiungere, non solo per ragioni geografiche, piuttosto che politiche e strategiche. In altre parole la pandemia ha spinto gli imprenditori a rinnovarsi e rivedere le strategie di business e di marchio con maggiore sveltezza e determinazione. Anche il mercato del vino non è sfuggito a questa reazione  e meglio di altri prodotti, si è adeguato alle regole del marketing emozionale, a quello del marketplace e del social commerce, forme e pratiche messe in campo grazie alle vendite online, le quali, in assenza di una promozione sul web mediante canali comunicativi digitali e che andremo, con curiosità e stupore, a raccontare, non sarebbe ipotizzabile alcun successo di penetrazione commerciale o di vendita emozionale. Ma tante e originali sono le formule che la fantasia dei web designer e le potenzialità della rete, riescono ad immaginare e realizzare. Gli incrementi di fatturati di vendite di vino conseguiti grazie anche all’impiego di nuovi strumenti di comunicazione e promozione presuppongono anche un adeguato prodotto oggetto della vendita.  Non a caso si parla della cosiddetta “doc economy”, quella che qualifica il prodotto stabilizzato nei sapori e colori, dalla provenienza certificata e dalle fasi di sua lavorazione esplicitate e facili da verificare, elementi per i quali il consumatore ormai accorto e consapevole, lo ricerca e lo acquista, in favore di altre tipologie di vini non competitivi per qualità, territorialità, storia e garanzia dell’intera filiera. In chiusura di questo intervento, mi sento di dire che il settore vinicolo, laddove il prodotto presenta quegli elementi sopra tratteggiati, ha dimostrato, come oggi si afferma, una sorprendente resilienza all’emergenza Covid, registrando con quelle tecniche di marketing a cui abbiamo accennato, una soddisfacente crescita di consumo e fatturati. Scenderemo in alcuni dei dettagli più interessanti di queste operazioni, prendendo a riferimento il mercato cinese, che più di ogni altro rappresenta l’esperienza migliore per comprendere lo “stato dell’arte” del mercato del vino. Avv. Paolo Spacchetti
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24 Luglio, 2021

eWINE….E ALTRO ANCORA

Ormai non sorprende come un tempo, la presenza sempre più invadente del suffisso “e” che sta per “electronic” accanto a sostantivi e verbi che intuitivamente indicano che si tratta di attività o funzioni che corrono sulla rete, quella di Internet. E allora e mail, e learning, e commerce, e book, e procurament e così via….cioè l’invio di posta, l’attività di apprendimento, la realizzazione di un commercio, l’edizione di un libro, l’approvvigionamento di beni e servizi ….. tutto per il tramite e con l’utilizzo della rete, del web, di Internet. Da poco (ma poi non più di tanto) si sente parlare anche di “e wine”, cioè la comunicazione e la vendita on line del vino e di quanto ad esso correlato. In altre parole, il mondo dell’informatica e del web hanno raggiunto anche il mondo del vino, ma così non poteva non essere da quando questo prodotto della natura costituisce da tempo una risorsa non solo nutrizionale e di piacere sempre più diffuso e richiesto, ma anche una voce di crescente interesse nei bilanci d’esercizio di cantine e commercianti, di ristoranti ed enoteche ed anche di PIL nazionale. E allora se la versatilità della rete è anche quella di facilitare ed aumentare la diffusione di messaggi e concetti, oltre che di prodotti e servizi, il vino e la sua economia che la avvolge non poteva sottrarsi a questa seduzione che ormai e da tempo influenza enologhi e sommelier, così come ristoratori e soprattutto i consumatori. Per i valori in gioco che debbono essere salvaguardati anche l’e wine non si sottrae a precise regole e direi, per quello che vedremo anche nei nostri prossimi appuntamenti sull’argomento, che il comparto è riuscito a creare una normativa tutta al vino e dintorni dedicata, che non si limita poi al solo prodotto, ma coinvolge necessariamente anche altri momenti e dinamiche imprescindibili per l’affermazione commerciale e dei consumi di vino. Anche questo prodotto dunque non è sfuggito all’attrattiva di una distribuzione realizzata attraverso la Rete, la quale, come per altre iniziative e comparti, facilita l’accesso in favore dei consumatori locali ed internazionali, ma ha anche imposto, per un migliore e crescente successo, l’avvio di una politica di marketing e comunicazione senza la quale la conoscenza, l’apprezzamento e il consumo crescente di vino in questo canale non avrebbe raggiunto i numeri che oggi si contano (e sono dati in aumento). Con il web e le varie discipline nazionali, europee, internazionali ed anche quelle di natura pattizia considerata la natura stessa del prodotto per il quale sono richiesti interventi con strumenti giuridici adeguati, l’attività di e commerce ha prospettato agli operatori del settore grandi opportunità di maggiore penetrazione di mercati, talvolta difficili da raggiungere (ma anche da mantenere) che si sono invece rivelati di inaspettata soddisfazione. L’approccio all’ e commerce, proprio per le potenzialità di espansione che è in grado di offrire e che la recente pandemia ha evidenziato, impone in ogni caso all’operatore di dover entrare in una particolare forma mentis che va al di là dei principi e delle regole così dette “analogiche” che governano il diritto del vino, le quali sono sempre comunque rimaste operative, ma devono ora essere coniugate maggiormente con le regole della comunicazione digitale (QR, solo per fare un esempio), della corretta qualificazione di una denominazione anziché di una altra, della consapevolezza del valore del marchio e del segno (asset oggi valorizzabile nell’ambito del patrimonio aziendale), così come anche della corretta e convincente promozione del brand e delle sue peculiarietà in relazione con il mercato di riferimento verso il quale si intende proporre il proprio vino. Ai grandi vantaggi della vendita online non vanno comunque sottovalutate le criticità, se non vere e proprie insidie che per essere evitate e gestite è imprescindibile un’adeguata formazione per l’operatore del settore, facilitato in questo con importanti  stanziamenti agevolati e a fondo perduto destinati a trasformare la propria cantina, i vigneti, la coltivazione e le pratiche di vinificazione, nonché lo stoccaggio, l’imbottigliamento, la rete vendita, gli addetti ai vari comparti in una vera e propria industria …4.0! Avv. Paolo Spacchetti
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9 Luglio, 2021

Diritto di Tappo, un'antica pratica da scoprire.

Importato da una pratica diffusa addirittura negli anni 50 dalla lontana California, più pragmatica e meno ingessata, anche e da tempo si sta diffondendo nei nostri ristoranti la possibilità di poter portare al tavolo un proprio vino (o altre bevande) comprate altrove o facenti parte della propria cantina o collezione di bottiglie pregiate. Laddove tale facoltà sia consentita, sorge in capo al titolare del ristorante il cd. diritto di tappo, il carkage fee, cioè la legittima richiesta di pretendere dal cliente che porta con sé la bottiglia (BYOB, acronimo di bring your own bottle – che è pure l’insegna esterna dei locali ove tale pratica è consentita) un corrispettivo in grado di coprire i costi degli oneri legati al servire quel vino, partendo dalla temperatura di mescita, stappatura, uso del decanter, scelta dei calici appropriati.…. Ma anche questa formula richiede comunque motivazioni che, a mio avviso, debbano esulare da quella per la quale, poiché i vini dei ristoranti sono considerati costosi in quanto alto è il loro ricarico, allora preferisco portarmelo da casa ed abbatto una voce rilevante del conto finale. La possibilità di degustare un vino speciale o di annata di cui dispongo e non reperibile presso quel locale andrebbe invece giustificata dall’occasione di abbinarlo con delle buone pietanze che quel ristorante è in grado di offrire, o per sopperire ad una scelta limitata della carta dei vini e non all’altezza della proposta culinaria, o ancora per poter festeggiare o celebrare un momento particolare della propria vita con un’ altrettanto particolare bottiglia ricca di significato e destinata da tempo per quell’evento o, meglio ancora, per  condividere con altri esperti ed intenditori il piacere di berlo, nella ritualità che merita. Ancorchè non scritte, il bon ton e il saper vivere impongono al cliente alcune regole come quella di informarsi in anticipo se la pratica del diritto di tappo è consentita in quel locale e l’ammontare e il criterio delle tariffe che verranno applicate per tale servizio, avendo preso in anticipo visione della lista dei vini ed evitando magari di presentarsi con prodotti nella disponibilità del ristorante. Non da trascurare è la discrezione con la quale presentarsi al tavolo con la bottiglia “esterna”, e la gestione delle successive fasi, sapendo coinvolgere in assaggi o pareri il titolare o il sommelier di sala; così come evitare di sedersi al tavolo con un numero eccessivo di bottiglie rispetto ai commensali e all’ordinativo delle pietanze. Altrettanta professionalità ed attenzione deve essere prestata dal ristoratore che deve “vivere” ed interpretare questa formula come occasione di nuove entrate economiche rappresentate appunto dai proventi applicati per il diritto di tappo, in grado di bilanciare le proposte, talvolta troppo esose, della propria carta dei vini (che per certe etichette ed annate talvolta rappresentano una costosa immobilizzazione), senza per questo snaturare o svilire la propria identità, tradizione ed aspettative conquistate nel tempo, sfruttando con una adeguato carkage fee il peso del settore beverage, bicchieri e decanter!. Ma soprattutto mantenendo e forse incrementando clientela esigente e gaudente al tempo stesso. La ritrosia dei ristoratori verso questa sempre maggiore richiesta muove dalla considerazione che la carta dei vini è frutto di ricerca, selezione e proposte in linea con il menù, per altro realizzate da personale specializzato, che ha richiesto addestramento ed investimento, in una con le attrezzature e gli strumenti necessari per un’ottima degustazione. L’obiezione a tale atteggiamento (sempre meno riscontrato comunque) è che tale formula, se sapientemente gestita, costituisce un momento di confronto e crescita tra l’esperto ristoratore e il ricercato cliente, il quale, se possiede questa sensibilità, apprezza la condivisione, i suggerimenti e perché no, la proposta di nuove etichette che l’oste eventualmente gli proporrà. Ma a quanto ammonta questo “diritto di tappo?”. Non ci sono regole precise, ma possono essere enunciati alcuni criteri poi applicati e personalizzati secondo la politica dei costi di ciascuna realtà: dai 5/10 euro a bottiglia in Italia ai 15/25 dollari negli USA. Ma il diritto di tappo appare anche un’ottima soluzione, sempre più diffusa, per i ristoranti etnici di matrice musulmana, il cui credo impone il divieto di vendere alcolici, ma, come maliziosamente il collega Stefano mi informava, se te lo porti da casa… A cura Avv. Paolo Spacchetti
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25 Giugno, 2021

IL PEGNO ROTATIVO, uno strumento finanziario.

Come annunciato, volevo richiamare l’attenzione dei nostri lettori, senza distoglierli dai consigli delle amiche di redazione su quel rosato o quelle bollicine così agognate con i primi caldi, ma anche con le prime e promettenti uscite dopo COVID, su uno strumento antico nel mondo del diritto, ma innovativo e forse anche risolutore nella sua recente versione applicata al mondo del vino. Mi riferisco al “pegno rotativo” introdotto con il Decreto 23.7.2020, pubblicato a fine agosto con il quale viene consentita la possibilità di costituire un vincolo sui prodotti agricoli e alimentari DOP e IGP, inclusi i prodotti vitivinicoli e gli spiriti. Cosa è il pegno? È la garanzia che viene concessa al creditore a presidio dell’esatto adempimento di un’obbligazione, che in questo ambito viene individuata nella restituzione di un finanziamento, che un istituto di credito ha erogato al produttore (art.2784 del Codice Civile). È la possibilità dunque che la giacenza di vino, che per altro in epoca COVID sono lievitate, possa essere individuata e vincolata al buon esito del rimborso di un prestito bancario o di una linea di affidamento comunque concessa. La novità e l’appeal dell’istituto sono date dalla caratteristica di questo pegno “non possessorio”, cioè che non prevede il materiale trasferimento del vino dato in pegno in capo al creditore ed è “rotativo”, nel senso che il produttore può sostituire l’originaria partita di vino concessa in garanzia, con altra di nuova stagione, mantenendo inalterato però il valore dei beni vincolati, con la sola prescrizione di rendere noto l’avvenuta sostituzione al creditore. Con l’aiuto infatti del Registro telematico SIAN, che annota l’avvenuta costituzione del pegno e le altre eventuali sostituzioni nel tempo da notificare con un anticipo di due giorni dall’esecuzione al soggetto creditore e all’organismo di controllo, risulta più rapido per il creditore procedere all’analisi della legittimità del prodotto da vincolare e alla sua valorizzazione che condurrà alla successiva erogazione del finanziamento. Dunque misura agile e di facile accesso, che non rappresenta un pregiudizio per la cantina, la quale può sostituire quella partita di vino senza alterare il processo di affinamento o altre manovre necessarie a conservare ed impreziosire il vino secondo scadenze e regole dettate dai vari disciplinari. Ma ancora più determinante, questa formula consente di sfruttare il valore intrinseco di un prodotto stoccato, ancor prima che lo stesso scenda sul mercato, con indubbi e chiari vantaggi per i produttori. Formidabile leva finanziaria dunque per vedere, in tutta sicurezza, sviluppare il settore vitivinicolo, sfruttando una risorsa che prima costituiva una semplice ed infruttuosa giacenza in attesa di essere imbottigliata e venduta e che ora invece consente di ottenere liquidità per le imprese del settore, sfruttando quel prodotto che ancorché giacente, è già portatore di un valore, crescente nel tempo, che tranquillizza il creditore. La necessità allora di avere un’adeguata e aggiornata valorizzazione del magazzino, che consente al finanziatore di poter compiere verifiche sugli asset da sottoporre in pegno appare come una scelta ineludibile, così come quella di trasferire, soprattutto per le realtà vitivinicole medio-piccole, ma non per questo meno rilevanti nel panorama di riferimento, ai consorzi che racchiudono le varie tipologie e regionalità di vino, di poter offrire una massa critica di prodotto “rotativo”, tale da attivare flussi finanziari costanti ed affidabili nel tempo, come già è accaduto nell’esperienza dei formaggi e dei prosciutti. A cura Avv. Paolo Spacchetti
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10 Giugno, 2021

Introduzione alla rubrica "In Legge Veritas"

Grato a Clara, conoscenza nata sempre in ambito “godereccio” per essere stati presentati dal comune e caro amico Massimiliano (entrambi grandi ed esperti bevitori!) ormai trapiantato in Polonia, mi sono potuto unire a questa brigata di seri ed appassionati professionisti che con altrettanto entusiasmo e “al buio” hanno accettato il mio ingresso, scelte queste che mi onorano per l’opportunità concessami, ma al tempo stesso mi onerano dell’impegno di non deludere chi ha creduto nella mia esperienza  e passione per il diritto, in questo caso dedicato al mondo del vino, che, per una serie di felici coincidenze, ho cominciato ad esplorare ed approfondire con sempre maggiore curiosità ed interesse. Ho infatti scoperto il piacere di conoscere ed applicare regole ad hoc studiate e calibrate per questo prodotto naturale della vita che, ormai da tempo, costituisce un valore prezioso non soltanto come alimento che l’anno passato, nonostante la pandemia, ha registrato un consumo di circa 300 milioni di ettolitri, ma, anche e soprattutto, risorsa economica per i produttori, per il mercato, nazionale ed estero, per gli operatori e perché no, vanto e testimonial della nostra nazione. Ed allora è sicuramente giustificata l’attenzione del diritto per regolare questo ambito e le sue dinamiche, ma, come normale che sia anche in queste declinazioni, il diritto è sempre in affanno rispetto alle evoluzioni e ai fenomeni che interessano la barbatella fino al prodotto finito, dall’etichettatura alla distribuzione, passando per le nuove forme di promozione e vendita, alle formule di marketing secondo le quali il “vino va raccontato”, passando per le IoT o altre nuove tecnologie a servizio del prodotto e suoi operatori. Con l’occasione che mi è stata offerta, per la quale ringrazio tutto il team di Wine Tales Magazine, sperando che sia la mia proposta condivisa ed accettata anche e soprattutto dai lettori, mi avventuro nella missione di rendere più accessibile e soprattutto più pratico ed utile, (ma non per questo meno scientifico ed approfondito), un viaggio nel mondo del diritto del vino o della Wine Law (utilizzo delle diverse espressioni in relazione al contesto in cui ci troviamo, nel senso che la versione in lingua inglese fa “fico”) un vero e proprio corpo normativo che si arricchisce sempre più di materie e di ambiti da disciplinare, approcciando, magari anche con i suggerimenti che verranno dai lettori e dagli esperti e soprattutto dalla Redazione, tematiche ed argomenti che oltre al dato giuridico (per non smentirmi come avvocato…), prevedono il coinvolgimento dell’informatica, del mondo digitale, non escluso quello del marketing e della comunicazione… insomma diritto del vino… 4.0. Paolo
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